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Autore: misslittlesun95    09/12/2013    2 recensioni
Bruno, Mirella e Guido, ventidue, diciassette e sette anni, tre figli di una coppia torinese, mamma casalinga e papà poliziotto.
Una famiglia normale nella metà degli anni settanta, finché il padre non muore, ucciso da dei terroristi che inizialmente si pensano di matrice comunista, e la madre porta la famiglia a Roma, dove forse i pericoli sono meno.
Qui, però, la vita di Bruno si scontrerà col mondo della droga minacciando l'integrità familiare, e lasciando a Mirella il compito di educare Guido.
Se non fosse che lei ha scoperto come realmente sono andate le cose il giorno della morte del padre, e ha giurato a se stessa vendetta.
A costo di prendere a sua volta le armi, a costo di diventare anche lei una terrorista.
Genere: Drammatico, Romantico, Storico | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het
Note: nessuna | Avvertimenti: Tematiche delicate
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IX

La discussione tra Mirella e Bruno, che tanto aveva scosso loro quanto il piccolo Guido, non era più venuta fuori, come se per tutti fosse meglio far finta che niente fosse accaduto.
Il ragazzo si era messo di impegno per non far più nulla che potesse insospettire la sorella, e lei anche non aveva più dato peso ai comportamenti di Bruno, troppo impegnata con la scuola.
Era passato il primo anniversario dalla morte di Rodolfo, e a tutti era dispiaciuto non poterlo andare a trovare per lasciare un fiore sulla tomba di quel padre e marito affettuoso e amato che a distanza di un anno mancava ancora come se fosse passato solo un giorno.
La mattina del trentuno di Marzo né Guido né Mirella erano andati a scuola, sapendo entrambi che tanto non sarebbe stato proficuo.
Avevano preferito stare insieme e fare un giro per il centro di Roma, nella speranza di svagarsi e non pensare a quel triste anniversario.
Ma tutto, anche in quella città così diversa da quella da cui provenivano, pareva volergli ricordare ciò da cui stavano scappando.
Prima un negozio di giocattoli aveva attirato l'attenzione del piccolo, e la ragazza senza pensarci gli aveva chiesto se non desiderasse qualcosa, dato che, dopo tutto, era il suo onomastico.
Guido però aveva fatto cenno di no con la testa, spiegando, con il suo modo da bambino cresciuto troppo in fetta, che non pensava ci fosse più nulla da festeggiare.
- Anche quando mamma mi ha fatto gli auguri questa mattina le ho detto di no. Oggi è solo l'anniversario della morte di papà e sarà sempre così.-
Mirella aveva abbracciato il fratello minore e, forse per la prima volta, aveva davvero odiato gli assassini di suo padre.
Quelle persone non gli avevano solo tolto un genitore, cosa che sarebbe potuta accadere anche per un incidente o una malattia, gli avevano tolto la possibilità di avere una vita normale.
A lei, alla madre, a Bruno, a quel bambino che non festeggiava più l'onomastico ma non solo. Quell'omicidio non era stata una ferita, era un marchio, un marchio che nessuno di loro si sarebbe mai tolto di dosso neanche nascondendo al mondo ciò che era accaduto.
Qualche minuto dopo il passaggio davanti al negozio di giocattoli, i due avevano sentito un forte odore di pizza, e di nuovo la loro mente era corsa a un anno prima e a quelli che avrebbero sempre ricordato come i loro ultimi attimi di felicità.
Per scacciare i pensieri tristi, Mirella aveva proposto al fratellino di prendere insieme il primo gelato di quella primavera che stava arrivando, e lui aveva accettato con gioia.
Erano tornati a casa per pranzo, dove li aveva raggiunti anche Bruno.
Avevano mangiato tutti insieme, senza però fare riferimento a quella giornata.
Solo in serata la madre aveva chiesto ai tre figli di fare una preghiera, ma per il resto ognuno di loro aveva vissuto il suo dolore da solo.
A tarda sera Mirella si era addormentata accanto a Guido, preoccupata dall'idea che potesse fare incubi anche quella notte, soprattutto quella notte.
Il fratello maggiore si era fermato a guardarli per qualche istante prima di andarsi a coricare anche lui, e aveva compreso quanto sbagliato fosse quello che stava facendo da mesi.

Ma neanche quel pensiero poté dargli la forza per ragionare sull'ipotesi di smettere, e se ne accorse quando, appena prima di dormire, controllò per bene due volte di aveva la sua magica polverina bianca a posto nel doppio fondo del cassetto del comodino.

****

La classe di Mirella e Rachele aveva fatto spostare in extremis la verifica di italiano la mattina precedente, ammettendo tutti che del Paradiso Dantesco non stavano comprendendo molto.
La professoressa aveva accettato solo in virtù del fatto che mancasse molto poco agli esami, e così quell'ora era stata dedicata ad un ripasso approfondito dell'opera letteraria.
O almeno quella era stata l'idea.
Infatti lo studio della Commedia si era interrotto dopo neanche mezzora a causa di un forte urlo proveniente dal corridoio.
La cosa aveva fatto sobbalzare tutti, ma sarebbe finita lì se il grido non fosse stato seguito da un forte pianto.
A quel punto neanche le minacce della professoressa di una nota collettiva avevano impedito alla classe di uscire dall'aula.
Nel corridoio avevano scoperto di non essere stati i soli ad essere andati fuori dalla classe dopo aver sentito le grida, anzi, mezza scuola pareva essersi riversata al terzo piano in quei pochi attimi.
Mentre ancora tutti si interrogavano sulle cause dell'urlo e del pianto, Simone e il cugino avevano raggiunto le due ragazze per spiegargli cosa fosse accaduto.

- Ad urlare è stata una ragazza del ginnasio, Agnese Simponico.-
- La sorella di Diego? Il ragazzo di cui ci parlasti nel periodo prima dell'occupazione?- Aveva domandato Mirella ricordandosi una discussione di alcuni mesi prima.
- Sì, è appena arrivata la notizia della morte di Diego... ha urlato e pianto per questo. La mia classe è accanto alla sua, ce lo ha detto un suo compagno.-
- Oddio... ma come è stato possibile?-
- Si dice si sia menato con alcuni fascisti che erano chissà quanti contro lui solo e...-Simone non fu in grado di finire la frase, tacque nel tentativo di mandare indietro le lacrime che stavano per uscirgli.
La gemella non ci pensò due volte ad abbracciarlo per calmarlo.
Funzionava sempre, da quando erano piccoli, forse per uno di quegli strani meccanismi che legano i gemelli più di qualsiasi altro tipo di fratelli.
- Tu come stai?- Gli aveva poi chiesto.
Sapeva che Simone e Diego erano buoni conoscenti, forse addirittura amici, e non era un momento facile, quello.
- Non lo so... sono sconvolto. Non come può esserlo sua sorella, è vero, ma sono scosso... è così assurdo...-
Mirella, Rachele e Carlo si erano stretti vicino all'amico nella speranza di fargli capire che c'erano, che con loro non doveva vergognarsi di star male o di essere triste per ciò che era accaduto.

Dopo qualche minuto però, il tentativo di ritrovare la calma che stavano facendo era stato bruscamente interrotto da un altro urlo, sempre di ragazza, proveniente dal corridoio che faceva angolo con quello in cui erano loro.
Scossi nuovamente da quel grido, gli pareva di essere non a scuola ma in qualche campo di guerra, quella mattina, i ragazzi si avviarono senza pensarci due volte verso l'origine del nuovo urlo.
Assieme a loro si era mossa una gran parte degli studenti che ancora occupavano i corridoi, e tutti avevano ritrovato nel bagno delle ragazze l'origine del secondo grido.
Immobile davanti alla porta di uno dei gabinetti stava una ragazzina che non poteva avere più di quindici anni, proprio come Agnese, e sulla porta, grande tanto da occuparne tutta la metà, era disegnata con un rosso vivo una stella cerchiata a cinque punte, il simbolo delle Brigate Rosse.
Le persone davanti al bagno, quelle corse lì dopo l'urlo, stavano in silenzio ferme, aspettando chissà cosa.
La tensione che si era creata lì intorno si tagliava con un coltello, alcuni dei più piccoli non capivano, mentre i più grandi comprendevano fin troppo bene il senso di quell'immagine.
Mirella ci mise qualche secondo a realizzare e ricollegare, poi non seppe mai cosa fosse accaduto nella sua testa, semplicemente iniziò a correre, correre lontana da quel luogo, da tutta quella gente.
Arrivò allo scalone principale della scuola e poi iniziò a scendere, giù fino al piano terra.
Solo allora si buttò attaccata a un muro, seduta sul pavimento, e iniziò a piangere.
Confusa, arrabbiata, triste, non sapeva bene neanche lei come si sentisse.
Spaventata, forse.
Quel simbolo era una dimostrazione di forza, la dimostrazione di come neanche le scuole fossero luoghi sicuri.
Forse chi l'aveva fatto non poteva neanche comprendere la gravità della cosa, forse invece il suo intento era proprio quello.
Ma Mirella a tutto questo non riusciva a pensare. Tutti i suoi pensieri erano rivolti verso il padre e verso ciò che la sua famiglia aveva subito per colpa di qualcuno matto come quelli della stella cerchiata.
Pazzi, oppure cattivi, in ogni caso non cambiava.
Cinque minuti dopo, mentre stava ancora piangendo, fu raggiunta da Rachele e dai ragazzi.
- Oh! Ma cosa è successo?! Ti abbiamo vista correre via e... ma stai piangendo! Che cos'hai?-
L'amica fu la prima a parlare, mentre il gemello e il cugino erano rimasti silenziosi e inermi davanti alla ragazza in lacrime.
Mirella aveva scosso la testa più volte dicendo di non voler parlare, ma alla fine aveva confessato il motivo del suo pianto.
- Non è vero che mio padre è morto in un incidente... lui era un commissario di polizia e.... ed è stato ucciso... sotto i nostri occhi, i miei e quelli di Guido e Bruno...-
Quelle poche parole erano bastate per rendere a Rachele chiaro il quadro della situazione.
- Sono... sono stati quelli che usano quel simbolo? Quello apparso in bagno, dico.- Domandò non sapendo come altro spiegarsi, ma la testa della sua amica fece di nuovo cenno di no.
- No... non si sa chi sia stato... c'è stata una rivendicazione, ma di un gruppo che nessuno aveva mai sentito prima e che non si è più fatto vivo dopo. Come se fossero....- Un singhiozzo rumoroso aveva interrotto le parole di Mirella, ma dopo un attimo aveva trovato, chissà dove, la forza di andare avanti. - Come se fossero nati solo per uccidere mio padre...- Aveva sospirato prima di gettarsi, in lacrime, tra le braccia degli amici che, incapaci di dire qualcosa, avevano accolto quella sua richiesta di aiuto ed affetto senza esitare.

****

Bruno guidava nella notte di Roma in direzione casa.
Aveva passato la serata con alcuni amici e, per la prima volta dopo mesi, era riuscito a sentirsi felice senza bisogno di sostanze varie.

Non aveva neanche bevuto troppo, se ne accorgeva dalla lucidità con cui riusciva a condurre l'auto, eppure era stato così bene.
Una trattoria tipicamente Romana, l'ambiente familiare e un'ottima compagnia avevano fatto ciò che di solito riusciva a fare solo la cocaina, ed era stato strano rendersene conto.
Da una parte quello gli dava la speranza, per poca che ancora poteva essere, di poter smettere, dall'altro gli faceva domandare come fosse possibile che avesse fatto quella fine, la fine del drogato.

Perché non era altro che quello, un drogato.
Una risposta se l'era dato da solo qualche giorno prima, parlando con un amico di cui si fidava così tanto da avergli già raccontato la verità sulla morte del padre, proprio come aveva alla fine fatto Mirella con Rachele e gli altri.
- Sai,- gli aveva detto. - In fondo tutto si è stabilito il giorno in cui uccisero mio padre, nel momento in cui lo uccisero.
Diedi a mia sorella ordine di buttarsi a terra e proteggere Guido, ma poi fu lei da sola ad alzarsi tappando al piccolo occhi e orecchie perché sapeva che spettacolo gli si sarebbe presentato davanti. Lei da sola aveva preso l'iniziativa necessaria a difendere nostro fratello, ed è quello che farà per tutta la vita.
Io, invece, sono rimasto fermo, immobile, incapace di salvarmi e di salvare qualcun altro. Mi domando ancora come faccio ad essere sopravvissuto.
Ci sono notti in cui mi sveglio domandandomi se non avrei potuto fare qualcosa per salvare mio padre, chiamare aiuto prima o qualsiasi cosa.
L'ho visto bene, il suo corpo dopo la sparatoria, so da me che non si sarebbe salvato.
Ma ancora mi domando se non sia stata anche colpa mia.
È per questo che io sono qui a farmi di cocaina e Mirella a casa a studiare col desiderio di fare l'università, perché lei sa prendere decisioni che salvano la vita a se stessa e agli altri, mentre io vivo solo perché ho la fortuna di non morire.-
Solo che quella risposta, se bene fosse bastata al suo amico, a lui non dava il senso che cercava.
Sì, sapeva fosse colpa sua, dopo tutto nessuno gli aveva prescritto di iniziare a drogarsi, eppure...
Eppure a suo modo Bruno imputava tutta quella faccenda agli assassini di suo padre e al trasferimento a Roma, nel disperato tentativo di deresponsabilizzarsi.
Aveva quasi venticinque anni e non era in grado di prendersi le sue responsabilità per ciò che stava facendo di sé stesso, dire che si facesse schifo da solo era eufemistico.
Paradossale era, invece, il fatto che ovviamente solo nei momenti di lucidità potesse pensare sul serio a cosa fare e proprio in quei momenti voleva allontanare la mente da quella piega sbagliata che aveva preso la sua vita.
Come quella sera.
A furia di far in modo di pensare a non pensare non si era neanche accorto, parcheggiando la macchina, che la cucina dell'appartamento dove viveva avesse la luce accesa.

Per questo fu un colpo per lui entrare e trovare la sorella sveglia che beveva chissà cosa da una tazza fumante.
Per un attimo sospirò credendo che fosse lì pronta a urlargli addosso nuovamente, ma appena quella alzò lo sguardo si rese conto di come le cose stessero diversamente. Mirella aveva uno sguardo spento, vuoto, diverso da quello che lui conosceva.
- Ho fatto un incubo.- Disse al fratello senza guardarlo negli occhi.
Bruno, a quel punto, non perse neanche tempo a togliersi la giacca che andò a sedersi di fronte e le prese le mani nelle sue, proprio come quel giorno a Torino, quando la ragazza aveva visto quella scritta sul muro riguardante la morte del padre.
- Hai sognato quando lo hanno ucciso?- Le aveva chiesto aspettandosi un sì come risposta.
Ma lei aveva scosso la testa. - No, non proprio. È strano... non so raccontartelo. Era come se io sapessi che papà sarebbe morto, io lo sapevo ed ero impotente, non potevo fare nulla... eppure non è questo che mi ha inquietato...-
- E allora cosa? Se te la senti di dirlo, ovviamente.-
Mirella annuì e riprese fiato, poi iniziò a parlare nuovamente. - È che quando mi sono svegliata e ho realizzato che papà era già morto mi sono sentita strana, direi quasi sollevata. Ero quasi felice che fosse già morto, capisci? Perché significava che non avrei dovuto rivivere tutto da capo, tutto ciò che è successo da quando lo hanno ucciso. Io... io non lo so, mi faccio schifo da sola, ma non posso fare a meno di dirtelo, la prima sensazione che ho provato svegliandomi è stata questa, il sollievo per non dover rivivere tutto da capo.-
Silenziosamente per la paura di svegliare il fratellino e la madre, la ragazza si mise a piangere tra le braccia di Bruno.
Lui non fece altro che accarezzarle i capelli e ripeterle più volte che andava tutto bene, che non era colpa sua, che non doveva sentirsi in colpa per quello che aveva provato.
Forse era normale, addirittura logico.
Alla fine l'aveva accompagnata a letto un po' più tranquilla e calma, senza più lacrime ma distrutta dal sonno e dal pianto.
Era rimasto così, seduto ai piedi del suo letto, a vegliarla tutta la notte.

   
 
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