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Autore: Pawtal    21/12/2013    9 recensioni
Textfic AU in cui John invia per errore un messaggio al numero sbagliato. Non sa che la persona a cui ha appena inviato l'sms trasformerà la sua vita più di quanto possa immaginare.
[Johnlock, teenlock]
Genere: Fluff, Romantico | Stato: completa
Tipo di coppia: Slash | Personaggi: John Watson, Lestrade, Molly Hooper, Mycroft Holmes, Sherlock Holmes
Note: AU, Traduzione | Avvertimenti: nessuno
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Nota della traduttrice: Buonsalve gente! È passato davvero tantissimo tempo dall’ultimo aggiornamento, quasi non ci speravo più. Perdonatemi se non ho risposto ancora alle vostre rece, ma sono stati dei mesi… impegnativi. Pian piano inizio a rispondervi!
Ok, basta, vi lascio a questo bellissimo capitolo un po’ diverso dal solito. *___*

Ps. Forse non è nemmeno necessario, ma non si sa mai: vi prego di non parlare di spoiler nelle vostre recensioni al capitolo (visto lo screening della 301 il 15 dicembre e il trailer finlandese superspoiler che sta girando). È un riguardo nei confronti di chi, me compresa, non sa niente e non vuole sapere niente fino al fatidico primo gennaio. Mancano solo 11 giorni, possiamo farcela! :D

Non mi resta altro che augurarvi buona lettura e buone feste, in anticipo. :D
Peace out!
xx



Note tradotte dell’autrice: Spero di rivedere le vostre belle facce (o… icon) ancora qui il 16 GENNAIO! Con news emozionanti e fantastiche che sono sicura AMERETE assolutamente.
Grazie mille per il continuo entusiasmo e supporto che mi date, anche se c’è voluto così tanto tempo. Ho proprio bisogno di dire che mi sono impallata? Beh, sì. *s’impalla* Ho pensato che la cosa stava diventando un po’ ridicola e non tutto dev’essere perfetto e… beh, ecco a voi. Ve lo meritate. *fa l’occhiolino*








19 Ottobre, 3 Anni Dopo



Sherlock quasi vomita quando sente il rumore del treno in arrivo. Le persone si ammassano lungo la linea gialla. Lui fa un passo indietro. La gente gli si muove attorno frenetica e Sherlock ha la strana sensazione di star nuotando controcorrente.


Il treno rallenta.


A momenti John attraverserà quelle porte.


John.


Fa un altro passo indietro, il suo stomaco è in subbuglio, le sue mani si afferrano e si lasciano, il cappotto è improvvisamente troppo pesante, la sua sciarpa troppo stretta, la stazione troppo piccola.


In lontananza, scorge i passeggeri avviarsi lungo la banchina e torna indietro da dov’è venuto. In un attimo si ritrova dentro Gregg’s [1], in piedi accanto a svariati scaffali di rustici, diversi dolci e una grossa pianta dall’aria triste che probabilmente non viene annaffiata da un mese o due. Osserva il logo in grassetto blu e arancione e si distrae con il pensiero che almeno sotto un altro aspetto, Greg è con lui. Si domanda cosa direbbe se fosse lì in quel momento. Probabilmente qualcosa lungo la linea di smettila di cazzeggiare, va’ lì fuori e bacialo. Afferragli anche il sedere, se sei tentato di farlo. Non gli dispiacerà.


Greg non è mai stato la più rassicurante delle persone.


“Sembri più verde di quella pianta, tesoro. Stai bene?” Sherlock si guarda intorno.


Signora anziana, sulla settantina, fumatrice, vedova, al suo terzo caffè, aspetta suo figlio di ritorno da… Chesterfield? No, Sheffield, ma il treno è in ritardo. È sola, è qui dalle tre ed è in cerca di qualche interazione. Interazione per la quale non sono in vena.


Le annuisce altezzoso, senza guardarla negli occhi. Torna poi a osservare oltre le porte di Gregg’s e attraverso la folla, scrutando le persone fissare i propri biglietti e camminare tra i terminali trascinando via le valigie.


Chiude gli occhi. Non sa per quanto tempo. Abbastanza a lungo da permettere al suono delle rotelline delle valigie sul marmo del pavimento di scemare prima della successiva ondata di arrivi.


Quando apre gli occhi questi sono immediatamente attratti da una figura che indossa un cappello verde brillante che copre anche le orecchie. La testa dell’uomo è piegata e la sua borsa è ferma ai suoi piedi. Risalta come un pollice infiammato, completamente immobile tra la folla di viaggiatori che si muovono intorno a lui. Come una roccia nel fiume. L’unico movimento che Sherlock riesce a cogliere è quello delle sue dita, che si muovono sicure su un cellulare.


Sherlock non ha bisogno di guardare il suo volto per sapere.


Quello stupido cappello l’avrebbe tradito comunque. Proprio come quell’orrido maglione, e i lacci delle scarpe sciolti e oh Dio, è così familiare e non familiare allo stesso tempo. Questa persona, da sola, in piedi, in piena vista, è così innegabilmente John e questa volta non c’è letteralmente nulla a separarli, nulla che impedisca a Sherlock di correre come un pazzo, caricarsi John sulle spalle e portarselo via. Ma Sherlock non se la sente di correre. Questo momento non è una corsa a perdifiato. Non c’è disperazione, nessuna scadenza, nessun ordine di qualche dottore. Sherlock ha tutto il tempo ed ha tutta l’intenzione di prenderselo e assaporarlo.


Non ha nulla a che vedere con il lento avanzare della nausea e che cazzo è successo a tutta l’aria?


Un momento dopo avverte il telefono vibrare.


Cerca nelle tasche, prende il cellulare, lo sblocca e legge.





Con le dita che tremano, Sherlock scrive la sua risposta.





Lentamente e con incertezza, dopo aver letto il messaggio, John alza lo sguardo in avanti. Si guarda velocemente indietro come se si aspettasse Sherlock comparirgli alle spalle, per poi tornare con lo sguardo al suo telefono. A questo, Sherlock sorride compiaciuto e fa qualche passo in avanti per rendergli la cosa più facile, anche se la quantità di persone presenti rende molto difficile individuare un volto sconosciuto.


Dopo aver riletto ancora una volta il messaggio, John chiaramente decide che Sherlock deve essere alla stazione e inizia a voltarsi su se stesso, scrutando freneticamente i volti intorno a lui, identificando ogni persona su cui si posano i suoi occhi come non Sherlock, non Sherlock, non Sherlock…


Sherlock stringe il telefono disperatamente, mentre fa in modo di avvicinarsi di più alla folla di persone. Per l’amor di Dio, John. Tu guardi ma non osservi. Crede di riuscire a distinguere l’inizio del suo nome sulla punta della lingua di John proprio nel momento in cui una donna massiccia, che spinge un carrozzino assurdamente grande, libera la visuale, dando abbastanza tempo a John di individuare quella massa di capelli scuri in lontananza.


John non ha bisogno di aver visto quel volto prima d’ora.


Lui sa.


Sa con assoluta certezza.


Quei maledetti riccioli e quei maledetti occhi e quella maledetta sciarpa. Non riesce a credere che lui la stia indossando.


Per un momento entrambi restano del tutto inchiodati nel punto in cui sono. Sherlock avverte un breve sussulto di terrore che dura solo il tempo necessario prima che un esagerato e divertente sguardo di trionfo spunti sul volto di John, e che Sherlock può solo identificare come euforia infantile. Rapidamente John ripone il telefono nella tasca dei jeans e inizia a correre. Davvero a correre. Si districa tra lo sciame di persone, quasi investendo un bambino piccolo e cercando di spostare ogni paio di spalle che incontra nel suo percorso.


Sherlock si fa avanti, il suo sorriso che si allarga fino ad evidenziare le pieghe agli angoli degli occhi. Allarga le braccia e –

Importarsene non è un vantaggio. Importarsene non è un vantaggio. Importarsene non è –


John gli arriva addosso con forza, stringendo poi Sherlock nell’abbraccio più stretto che abbia mai avuto. Le loro teste sprofondano nel collo l’uno dell’altro e le loro dita affondano nel tessuto dei cappotti, cercando di eliminare quanto più spazio è umanamente possibile tra loro.


L’abbraccio dice finalmente.


Dice cazzo, sta succedendo.


Ma dice anche Avrei aspettato di più se avessi dovuto.


Restano così per un lungo momento. Piedi che si sfiorano. Capelli che solleticano. Sherlock inspira la più piccola traccia di tè Yorkshire [2], ed espira l’odore di vecchi sedili di treni e cruciverba. Abbracciare John è come scivolare in qualcosa di molto più confortevole. È caldo ed è giusto e strattona e attorciglia qualcosa dentro Sherlock in un modo che fa male e lenisce allo stesso tempo.


Alcuni passanti occupati a mangiare freddi rustici o a camminare trascinando i propri bagagli li notano, riconoscendo silenziosamente che quello è un abbraccio tra due persone tenute lontano per troppo tempo. E sorridono perché sanno che vuol dire. Una ragazza aggiunge alla fine di un suo sms:


“…Ho anche appena visto questi due ragazzi ricongiungersi. È stato perfetto, vorrei che qualcuno mi abbracciasse in quel modo.”


Il bagaglio di John resta nel suo silenzioso abbandono, dimenticato sul freddo pavimento di Waterloo [3], proprio a pochi passi da loro. Una donna lo nota e lo afferra, trascinandolo con esitazione verso i due ragazzi. Imbarazzata, cattura lo sguardo di Sherlock.


“John-”


“Sherlock,” risponde piano, la voce attutita dalla soffice stoffa del cappotto di Sherlock.


“Dietro di te c’è una signora con la tua borsa.”


John si fa un po’ indietro per parlare. “Potrebbe anche essere il fottuto Gerard Butler su una bicicletta, non me ne frega un cazzo.” Dietro, la donna con il bagaglio diventa di un allarmante colore rosa.


Un gruppetto di ragazzini che ha assistito al momento applaude, ma è patetico. Solo una dozzina di mani che applaudono. Umile. Educato. Non suona proprio come dovrebbe. Non eguaglia neanche lontanamente il modo in cui John Watson è precipitato ed esploso nella vita di Sherlock, come un milione di cembali che si scontrano tutti in una volta. Così dovrebbe essere. È sicuramente così che ci si sente.


Si separano e John tende la mano per presentarsi. Il sorriso sulle sue labbra inizia a formare le parole, “John Watson.” Sembra ridicolo, passare dal primo abbraccio alla prima stretta di mano. Ma d’altra parte niente tra John e Sherlock è stato mai particolarmente convenzionale.


La sua voce non è distorta dalla linea telefonica, né le parole compaiono su un accecante schermo di un telefono nel cuore della notte. John ha l’aspetto di chi ha appena raccontato la migliore barzelletta nella storia della commedia e il suo sorriso è quasi imbarazzante da guardare.


Quasi.


Sherlock afferra la sua mano e la scuote, tenendo il gioco, forma le sillabe con più forza di quello che mostra. “Sherlock Holmes."


Gesù, John. Sembra che hai appena vinto alla lotteria.


John ha aspettato così tanto tempo di dirlo e quando il momento alla fine arriva, quasi non riesce a formare le parole attorno a quel suo stupido sorriso. “Piacere di conoscerla, Mr. Holmes.”


Suo malgrado, a Sherlock viene da ridere. E John ride insieme a lui perché è tutto così ridicolo e surreale e finalmente, finalmente sta accadendo, proprio quando nessuno dei due pensava che sarebbe successo.


Tutto quello che è successo negli ultimi quattro anni, ogni dito tremante che ha premuto il pulsante d’invio, ogni nodo al suo stomaco, ogni risatina felice che gli è sfuggita dalla bocca, tutto culmina in quest’unico momento.


E nell’unica persona in piedi davanti a lui.


John è un garbuglio di colori contro il grigio dell’ambiente circostante. I suoi occhi sono dipinti di blu e un mucchio di capelli biondi è intrappolato sotto a un cappello verde fatto a mano. Le labbra e le guance sono leggermente tinte del rosso che accompagna il freddo gelido dell’autunno. Il suo sorriso smagliante. Imbarazzante. Incontrollabile. Impossibile non ricambiarlo. Impossibile non sviluppare ulteriori indagini su come funziona quella bocca. Impossibile. John Watson è semplicemente impossibile.


Il cappello è anche a rovescio.



~



Inizia con un caffè, a soli dieci minuti a piedi dalla stazione. John sceglie il tavolo accanto alla vetrina e si siedono, inghiottiti dai loro cappotti.


Parlano, ruotano i cucchiaini nelle loro tazze e ridono e Sherlock non dice nulla della crema rimasta sopra al labbro dell’altro, così può ammirare l’arrossire delle sue guance quando 15 minuti dopo, John nota un ragazzino ridere di lui. “Bastardo,” borbotta nel palmo della sua mano, anche se c’è qualcosa nella sua voce che lo fa sembrare il più grande complimento al mondo.


“…Un po’ancora m’infastidisce che tu me l’abbia tenuto nascosto.”


“Non te l’ho tenuto nascosto. Ho solo omesso di dirlo.”


“Proprio come hai omesso di dire che hai lavorato con Sally Donovan per svariati mesi?”


“Oh, Dio. Alle volte era proprio un incubo.”


“Già, è così che la ricordo.”


“Doveva sempre… spalare merda su di te. Era così irritante.”


“Ma tu non le hai dato ascolto?”


“Oh, ho ascoltato ogni parola. Ho semplicemente scelto di ignorare tutte quelle stronzate. Sono capace di formare le mie opinioni decisamente più accurate, grazie.”


“Anche se probabilmente conosceva il vero me?”


John smette di giocare con il marshmellow nella sua tazza e incontra gli occhi di Sherlock. Un momento passa tra di loro. John lascia andare il suo cucchiaino.


“Non ci credi davvero.”


Sherlock guarda fuori dalla vetrata, una vecchia coppia che passa di la. “Ho detto ‘conosceva’.”


John si siede un po’ più dritto, allargando un pochino le spalle. “Ottimo. Perché ti conosco troppo bene.”


“Al cento percento?” Sherlock continua a guardare fuori dalla vetrina.


“Nessuno può fingere senza sosta di essere un coglione tanto irritante.” A questo Sherlock inarca un sopracciglio, fissando John fino a quando questi non cede. “E per irritante intendo, ovviamente, brillante e meraviglioso ed estremamente intelligente.” Sherlock inarca l’altro sopracciglio. “La parte dell’essere un coglione non cambia, però.”


Mentre il pomeriggio passa, John scopre che sarebbe totalmente felice di restare seduto su questa sedia troppo soffice a questo tavolo troppo piccolo, anche tutta la notte. Mentre Sherlock parla, siede tendendosi in avanti in un costante stato di interesse e ammirazione ed è proprio questa espressione sul suo volto, che impedisce a Sherlock di allontanarsi quando nota che le loro ginocchia sono poggiate l’una contro l’altra. Resta non detto; un’indescrivibile, molto reale, quasi tangibile predilezione per la reciproca compagnia. Sono andati d’accordo istantaneamente, comportandosi in pubblico come se si conoscessero da tutta la vita.


“…Quindi sto quasi dormendo, no? E da qualche parte sento questa risata e movimento nella stanza e ovviamente ignoro tutto e torno a dormire. Avrei dovuto aspettarmelo. Indovina con cosa mi sono svegliato?”


“Se con un’erezione allora non voglio saperlo…”


Mentre parla, i gomiti di John poggiano sul piccolo tavolo rotondo mentre le sue mani gesticolano freneticamente in aria. C’è qualcosa di sconosciuto negli occhi di John e nel modo in cui le sue parole tendono ad accavallarsi le une sulle altre mentre parla, che tradisce proprio quanto è emozionato ed agitato ad essere finalmente faccia a faccia con Sherlock. Ma poi c’è il modo in cui diventa così silenzioso e determinato mentre ascolta le parole che escono dalle labbra più prudenti di Sherlock. È una cosa così semplice ma lo fa sentire importante, il che è bizzarro, estraneo e alquanto nuovo per lui. Aspetta. È passata un’ora, sicuramente accadrà presto. Gli occhi di John si faranno vitrei al pensiero di qualcosa molto più interessante di quanto gli viene detto. Sherlock l’ha visto accadere troppe volte.


Ma non accade. C’è solo qualcosa di sconosciuto.


“…Quando avevo otto anni, ad Halloween, mia madre fece travestire sia me che Mycroft da primi ministri in carica nel periodo in cui siamo nati.”


“Facendo di te…?”


“John Mayor. Tremendamente noioso.”


“E tuo fratello?”


“Margaret Tatcher.”


“Oh, Gesù, cazzo…”


“E non hai visto la parrucca…”


Sherlock torna a guardare quel qualcosa di sconosciuto, studiando John troppo da vicino dato che lo vede smettere di bere la sua cioccolata calda nel bel mezzo del racconto della sua storia di Halloween.


John se ne accorge.


“Che c’è?” Chiede, poggiando con attenzione la tazza sul tavolo.


Lo sguardo calcolatore di Sherlock non vacilla. “Capodanno.”


“Hm?”


“Stavo solo ricordando un Capodanno di qualche anno fa, quando ci conoscevamo solo da un paio di mesi.” Si sporge in avanti adesso, poggiando i gomiti sul tavolo e intrecciando le dita per poter nascondere l’allargarsi di un sorriso sul suo volto mentre John inizia a raccontare una storia tutta nuova circa i fuochi i d’artificio a Londra, Mike cadere sul ghiaccio in mezzo alla strada e di come non avrebbe dovuto bere così tanto–


Penso… che tu abbia davvero bisogno di qualcuno, sai? Qualcuno.”



Le parole riecheggiano nella sua testa; può sentire John dirle chiaramente come la prima volta, anche se, attraverso oneste labbra ubriache, erano attutite e confuse.


Un’altra serie di parole riemerge:


Questo fa di te il mio “qualcuno”?


Sherlock non realizza di aver vagato con la mente fino alla notte in cui era rientrato a casa con quel messaggio in segreteria, fino a quando non avverte John spostare la gamba contro la sua in una posizione più comoda, distogliendolo dal ricordo che lo vede sedere nell’umida rimessa in giardino dei suoi genitori con un telefono premuto all’orecchio; ritorna così al tintinnare delle tazze da caffè che vengono pulite e riposte.


Sembra proprio una vita fa.


Termina due ore più tardi, con un’altra serie di tazze vuote e la conversazione interrotta da una barista con i capelli rossi in piedi davanti a loro, che si rigira tra le mani ancora e ancora il cartello di chiusura.


“Spiacente ragazzi, dovrete continuare da un’altra parte.”


E così fanno. Continuano per strada. Ma la strada è noiosa e ottobre è freddo. Per questo continuano da Tesco. Ma portare un carrello per la spesa tra gli scaffali mentre la sciarpa di Sherlock ricade indietro a colpire il viso di John quando cerca di sopprimere una risata fragorosa, a quanto pare è “estremamente inappropriato” e “uscite o chiamo la polizia!” Così continuano sul tetto. E John non sa come né perché ma non gli interessa più, quindi si siedono a mangiare freddi Pot Noodle [4] come se fosse una serata qualsiasi.


E sarebbe tutto piuttosto romantico, se Sherlock avesse la minima idea, per cominciare, di cosa sia il romanticismo.


Per un momento, John sposta lo sguardo dalla luna per posarlo su Sherlock, il quale sembra addirittura non aver mai visto un noodle in tutta la sua vita, figuriamoci mettersene uno in bocca. Si arrende e poggia il contenitore di plastica a terra, sembrando contrariato e mormorando qualcosa riguardo l’insensata forma dei noodles per il consumo. “Completamente illogici, troppo lunghi e unti per essere considerati–”


“Sta’ zitto. È un cazzo di noodle.”


Sherlock si risistema, sulla difensiva. “Tu sei… un noodle.” Fa una smorfia.


“Stai dicendo che vuoi immergermi in…” John prende il contenitore di plastica dei noodle, tenendolo in alto per catturare il bagliore dei lampioni sottostanti, e legge nuovamente l’etichetta, “pollo e salsa ai funghi?”


“Non stavo… non indendevo-”


“Non stavo obiettando.”


Un rossore avanza lentamente sulle guance di Sherlock. “…Sei un idiota.”


“Un medico dell’esercito adeguatamente addestrato, a dire il vero. Di’ le cose come stanno.”


La conversazione si arresta quando le parole ricordano ad entrambi il motivo per cui John è tornato a Londra. Sherlock non è sicuro di voler menzionare la cosa. La notte è troppo tranquilla, troppo silenziosa per inquinarla con brutte notizie.


John prende un lungo respiro e si appoggia sulle mani, guardando in alto verso il cielo notturno. “Sai perché sono tornato.”


Sherlock chiude gli occhi. Quindi John pensa diversamente. Beh, è naturale, ha appena confessato di essere un noodle.


“Certo che lo so.”


I noodles non pensano neanche.


John si muove a disagio. “Mi hanno assegnato.”


Non perdere tempo, John, salta l’ovvio. Dimmi semplicemente dove, dimmi quando tornerai, dimmi se potremo sederci ancora su un tetto, dimmi che la prossima volta non dovrò portarti i noodle mentre sei in un letto d’ospedale.


“Afghanistan o Iraq?”


“…Afghanistan.”


Le parole restano nell’aria, durante silenzio che segue.


“Quanto tempo?”


John lo guarda.


Quanto tempo abbiamo? Per quanto tempo sei mio? Prima di appartenere all’esercito? Quanto tempo?


“Una settimana.”


Nient’altro viene detto per un po’. Nel buio, John tende la mano verso quella di Sherlock. Tutto è improvvisamente più pesante, l’aria è a un tratto più fredda. Gli sguardi sono rivolti ai piedi e le cose restano così per un po’, con noodle ribaltati consumati a metà e sciarpe tirate più strette.


“Penso che dovrei ringraziarti.” Dice Sherlock all’improvviso, guardando la strada sottostante. “Sai quanto male andavano le cose a quei tempi, e devo ammettere che il tuo strano modo di scherzare era in un certo senso una sorta di piccolo divertimento.” John deglutisce, cercando maldestramente nella sua mente un modo per dirgli che il loro messaggiare costituiva allo stesso modo, anche per lui, una via d’uscita. Poi ripensa a Sherlock dedurre la sua vita incasinata semplicemente dalla frequenza dei suoi panini notturni e dal bisogno, nel buio, di una voce che distrae. Sembra che John voglia dire qualcosa, ma poi ci ripensa. Sherlock sa.


Il telefono di John squilla, il rumore è acuto e indesiderato. È sua madre, che chiede qualcosa sul ritardo dei treni e curry avanzato e ha bisogno di essere passato a prendere? Ha un cappotto con lui? E –


E così scendono, aiutandosi a vicenda e riuscendo comunque a graffiarsi le ginocchia. I loro passi si muovono sincronizzati, camminano con le mani in tasca e i gomiti che si sfiorano fino a quando raggiungono la fermata del pullman. Quando questo arriva, John si agita un pochino, mettendo e togliendo ripetutamente le mani in tasca. Sembra che stia per andarsene e goffamente si volta prima che il dubbio prenda il sopravvento, dischiudendo leggermente le labbra. Sherlock pensa che stia per dire qualcosa ma invece, dopo un momento di esitazione e un incoraggiamento di una frazione di secondo, John si fa in avanti e preme le labbra contro quelle di Sherlock. È possibile che le sue mani siano fredde, ma quando John le porta al viso di Sherlock, questi si rilassa al contatto come fossero di caldo fuoco. È delicato e dolce. Breve ma non affrettato, e assolutamente perfetto.


Ed è così che si conclude la loro prima notte; lente camminate e un goffo bacio che improvvisamente non lo è più ed è esattamente ciò di cui hanno bisogno.









Note!
Ok, come avete visto il capitolo non è più in sms! Ho cercato quanto più possibile di restare fedele al testo ma in alcune parti ho dovuto necessariamente eliminare qualche ripetizione e adattare il testo.
Vi anticipo che non appena Pawtal mi risponderà, cambierò gli sms di John e Sherlock alla stazione; nulla di trascendentale, le parole restano le stesse ma nell' originale sono sottoforma d'immagine: https://fbcdn-sphotos-d-a.akamaihd.net/hphotos-ak-frc3/1452504_10202770515370225_1535454666_n.jpg

[1] Gregg's è una famosa catena inglese di panetteria/pasticceria. http://en.wikipedia.org/wiki/Greggs
[2] Il tè Yorkshire non solo è una qualità di tè nero (come possono essere l'earl grey o l'english breakfast) ma anche una famosa marca di tè.
[3] Siamo alla famosa Waterloo Station di Londra.
[4] I PotNoodle sono praticamente spaghetti precotti in un contenitore di plastica. http://www.unilever.co.uk/Images/450---Pot_Noodle_Chicken_and_Mushroom_90g_tcm28-297338.jpg qui in italia non sono diffusissimi (e te credo!) ma se cercate bene dovreste trovarli, per esempio ne ho visti un sacco in una fumetteria (????)
   
 
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