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Autore: asyouwishmilady    23/12/2013    1 recensioni
Dopo il sortilegio di Peter Pan (3x11), gli abitanti di Storybrooke perdono la memoria per la seconda volta. Emma, l'unica ad essere riuscita ad andarsene dalla città in tempo, torna alla sua vecchia vita a Boston, nuovamente ignara di essere la Salvatrice, la figlia di Biancaneve e del Principe Azzurro e la madre di Henry. Dopo un sogno particolarmente realistico, però, le torna in mente tutto. Dove saranno Henry e gli altri? Saranno ancora in questo mondo? E come sarebbe riuscita a salvarli?
Scrivere questa fanfiction è l'unico modo che ho per sopravvivere fino a Marzo. Spero che aiuti anche voi ad uccidere l'attesa!
Genere: Avventura, Fantasy, Sentimentale | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: David Nolan/Principe Azzurro, Emma Swan, Henry Mills, Killian Jones/Capitan Uncino, Mary Margaret Blanchard/Biancaneve
Note: What if? | Avvertimenti: Triangolo
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«Emma» sorrise Uncino, incredulo «Emma, sei tu»

«Era ora» feci io ironica, cercando di nascondere le lacrime di sollievo che mi stavano salendo agli occhi. Eccolo, il mio Uncino. Ce l’avevo fatta, ce l’avevamo fatta.

«Mi aspettavo un’accoglienza più, come dire, calda, Swan» ridacchiò lui, un po’ deluso dalla mia reazione. Immagino che gli sarebbe piaciuto se gli avessi buttato le braccia al collo, gridando il suo nome. Forse sarebbe piaciuto anche a me, riflettei, imbarazzata. Ma c’erano altre priorità adesso: mio figlio, la mia famiglia.

«Non importa» continuò lui, divertito «Ho già sentito abbastanza. Vecchio amico, eh? E quel “ti amo”?»

Non risposi. Era troppo imbarazzante. Ero solo felice che lui fosse di nuovo con me, e che potesse aiutarmi a salvare la mia famiglia.

«Allora, dov’è la nave?» domandai, secca.

«Circa nella zona in cui trovavamo prima, milady. Dove mi hai baciato, per intenderci» ribatté serio. Non appena avremmo salvato tutti, mi sarei occupata di lui: l’avrei chiuso in uno sgabuzzino, l’avrei ammanettato e l’avrei riempito di botte. E di baci. No, Emma, non ora.

Feci inversione e tornai indietro, premendo l’acceleratore così forte da farmi dolorare il piede. Perché non riuscivo a guardarlo in faccia, perché? I miei sentimenti erano così chiari fino a poco prima. Adesso, ero ancora travolta dalla solita lotta interiore: lasciarmi andare o allontanarlo? Ci avrei pensato quando sarebbe stato il momento.

«Eccola» disse Uncino, di punto in bianco, ed io accostai con una frenata brusca.

«Scommetto che sei più brava a guidare le navi, tesoro» commentò lui, ironico, mentre scendeva dall’auto.
Prese a camminare ed io lo seguii senza pensare. Non vedevo niente, se non la sua figura che si avviava velocemente verso la spiaggia. Era bello lasciarsi completamente andare, smettere di pensare e lasciare che fosse qualcun’altro a guidarmi, per una volta.

«Siamo arrivati» annunciò, indicando l’oceano alle sue spalle.

Corrugai la fronte, confusa «Io non vedo niente»
Non c’era nulla alle sue spalle, se non l’oceano scuro. Doveva essere impazzito: probabilmente era stato il trauma della perdita della memoria.

«Non c’è niente» sussurrai, a testa bassa.

«Ma… Com’è possibile? E’ proprio qui» Uncino indicò nuovamente l’oceano, ma io non vedevo nessuna nave.

«Sei sicuro di stare bene?» gli chiesi, pazientemente. Non escludevo il fatto che quel Matt avesse potuto infettare il suo corpo con chissà quali droghe.

«Emma, come pensi sia possibile questo, altrimenti?» si diresse in fretta verso l’oceano, finché l’acqua non gli raggiunse prima i piedi, poi la vita. Ad un tratto, si tuffò e prese a nuotare.

«Sei impazzito?!» strillai più forte che potevo, mentre i miei piedi, autonomamente, mi portavano verso di lui.

«Emma, Emma, Emma…» lo udii cantilenare da lontano, mentre nuotava in fretta «Non cambi mai, eh? Tu e la fiducia non andate molto d’accordo, se posso permettermi»

Quando avvertii l’acqua gelida raggiungermi la vita, mi bloccai. Cosa diamine stava facendo? Chiusi gli occhi, concentrandomi sull’odore di salsedine e sul rumore ritmico delle onde. Abbi fede, Emma. E’ quello che mi avrebbe detto anche la mia famiglia. Fallo per loro, almeno.

Non appena riaprii gli occhi, mi ritrovai di fronte a qualcosa di inspiegabile: Uncino stava fluttuando, a mezz’aria, sopra l’acqua.
«Ti vengo a prendere con una scialuppa, resta dove sei» lo sentii urlare ed, in quello stesso istante, la Jolly Roger apparve come per magia, imponente, davanti a me.

Strinsi i pugni. Un flashback mi colpii alla sprovvista: August. Quando mi aveva mostrato la sua gamba di legno, io non riuscivo a vederla perché non ci credevo. Troppe volte ero stata scettica, anche quando la verità era terribilmente evidente.

Senza dire una parola, mi lanciai in acqua e cominciai a nuotare verso la nave. Mentre scivolavo tra le onde, mi presi un minuto per pensare a me ed Uncino. Lo amavo, e lui lo sapeva: glielo avevo detto io stessa poco prima. E lui amava me, quindi qual’era il problema? Perché non riuscivo ad accettare la nostra relazione?

Riemersi per riprendere fiato e mi resi conto che avevo già raggiunto la nave. Alzai lo sguardo e scorsi Uncino che, dall’alto, mi lanciava una scala di corda. L’afferrai e lasciai che lui mi tirasse su.

«Se avessi aspettato qualche minuto ti avrei…» esordì lui, indicando i miei vestiti fradici.

«Ti amo» dissi d’un fiato. E fu come scrollarsi di dosso quel pesante masso che, ormai, ero abituata a portarmi dietro. Lui mi sorrideva, con i capelli neri bagnati che gli ricadevano disordinatamente sulla fronte. Ricambiai il sorriso perché ero felice, in quel momento, con lui. E perché finalmente avevo buttato fuori quello che mi tenevo dentro da troppo tempo.

«Ti amo anch’io» mormorò, commosso, con gli occhi azzurri arrossati dall’acqua dell’oceano.
Mi avvicinai a lui e lo strinsi più forte che potevo. Da quanto tempo desideravo farlo? Portò la mano buona sulla mia guancia e posò le sue labbra sulle mie, in un bacio così appassionato che persi completamente la cognizione dello spazio e del tempo.
Avremmo potuto continuare all’infinito, ma un pensiero negativo in un angolo della mia mentre mi risvegliò: Henry.

Mi staccai dolcemente da lui «Adesso andiamo a salvare la mia famiglia»

«Sei fradicia. Ti prenderai una polmonite se non ti metti degli abiti asciutti» arricciò attorno al dito una ciocca dei miei capelli gocciolanti..

«Non mi interessa, devo salvare mio figlio!» sbottai, spingendo via la sua mano.

«Odio dirtelo, ma non andremo da nessuna parte senza fagioli magici» si passò la mano tra i capelli bagnati, evitando il mio sguardo.
Sentii mancarmi la terra sotto i piedi. Non ci avevo pensato. Come avevo potuto non pensarci?

«E adesso?» domandai pacata, cercando di calmarmi. Non era colpa sua, non dovevo aggredirlo in quel modo.

«Adesso vai ad asciugarti» mi afferrò dalle spalle, guardandomi dritto negli occhi, con amore «Poi cercheremo una soluzione»

Annuii, impassibile e mi avviai verso l’interno della nave. Ricordavo quel posto come fosse ieri, quando ci eravamo imbarcati per salvare Henry. Ed eccoci di nuovo pronti per un’altra avventura.
Sarei mai riuscita a vivere tranquilla? Mi domandai pigramente. Ma, a quel punto, non mi interessava altro che mettere in salvo la mia famiglia, e passare del tempo con Henry. E con Uncino.

«Appendi i vestiti nella camera principale» lo sentì gridare, mentre entravo in quella confortevole stanza completamente in legno
«Mentre si asciugano, puoi indossare qualcosa di mio»

Sollevai un sopracciglio, percependo il suo tono divertito. Che idiota.
Non appena varcai la soglia, cominciai a strapparmi i vestiti di dosso, che si erano praticamente appiccicati alla mia pelle. Prima mi asciugo, pensai, prima andiamo da Henry. Faceva un freddo terribile: man mano che mi svestivo, avvertivo degli spifferi d’aria congelata penetrarmi nelle ossa.

Con la pelle d’oca, mi chinai a raccogliere gli abiti fradici per appenderli alla corda consumata che attraversava la stanza.
Tremavo: ero completamente nuda e un’infinità di gocce gelide mi scendevano, senza stop, lungo la schiena, dalle punte dei capelli fino al sedere.

Udii la porta schiudersi e, d’istinto, mi voltai di spalle «Uncino?»

«Ti ho portato qualcosa con cui…» le parole gli morirono in bocca. Sentivo il suo sguardo pesante sul mio corpo nudo.

«Non credevo ti fossi già…» fece lui, con voce strozzata e seriosa. Merda.

Incrociai le braccia al petto: avevo troppo freddo, avevo bisogno di asciugarmi. Mi voltai di scatto verso di lui e gli strappai con foga gli stracci di mano, mentre perlustrava con gli occhi ogni angolo del mio corpo.

Provai ad asciugarmi il più in fretta possibile, strofinando così forte da farmi bruciare la pelle. Uncino non accennava ad andarsene, né smetteva di fissarmi, con gli occhi che bruciavano di desiderio. E avrei voluto dannatamente sentire il bisogno di insultarlo e di cacciarlo. Ma non lo sentivo.

Quando si avvicinò e mi strinse con fervore a sé, avrei voluto sentire il bisogno di respingerlo. Ma non volevo farlo.

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Eccoci! Spero vi sia piaciuto questo capitolo: ho cercato di essere il più dettiagliata possibile e spero di essere risultata abbastanza chiara. Ed ora il dilemma. Descivere o non descrivere la scena spinta tra Emma ed Uncino? Ovvero, salto direttamente a quando tornano sul ponte della nave, o descrivo? Datemi un consiglio perché sono veramente combattuta... Fatemi sapere, vi prego çç 
Intanto, grazie di aver letto! Aspetto i vostri consigli :)
Claudia
   
 
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