Arthur era rimasto in silenzio, per tutto il tempo, benché la mente gli scoppiasse di domande. Aveva guidato come un folle, mentre Merlin teneva Lancelot ancora svenuto tra le braccia, diretti verso la casa del servitore.
Non aveva aperto bocca nemmeno quando Merlin aveva portato la ragazza nella sua stanza e, dopo averla adagiata sul letto, l'aveva ispezionata, sentendo il battito, alzando le palpebre per controllare gli occhi vitrei ed esaminato le varie ferite per il corpo. Era rimasto in religioso silenzio, ben poco consono alla sua natura, soffocata da una rabbia che non sapeva da dove provenisse, mista ad un forte senso di impotenza. Non poteva lottare, non poteva guarire, non sapeva cosa fare: che cosa gli rimaneva? Che ne era di Arthur Pendragon, sicuro e forte Principe e Re di Camelot?
Merlin
si alzò dal letto, andando in cucina; si accodò
alla sua scia, con
passi felpati e quieti.
“Cos'ha?
Come sta?” chiese infine, lasciando che alcune domande
uscissero
dalla sua bocca.
“E'
disidratata e denutrita” rispose il ragazzo, prendendo un
bicchiere
d'acqua a temperatura ambiente e aggiungendo un cucchiaino di
zucchero, mescolando con forza; ritornò in fretta nella sua
camera.
Arthur
lo seguì, poi si fermò sullo stipite ad osservare
la stanza da
letto, con le tende rosse che oscuravano il sole, che gli ricordavano
quelle che aveva a Camelot; la stanza vibrava di energia maschile,
dai mobili in noce scuro, alla libreria ricolma di libri rilegati in
pelle, tomi antichissimi e, ci avrebbe scommesso una mano, di magia;
si sentiva in soggezione, perché quella stanza parlava di
Merlin,
dai dipinti di paesaggi mozzafiato al drago scolpito nel legno,
poggiato con nonchalance sul comodino, vicino al bicchiere d'acqua.
Poi lo sguardo si poggiò sulla ragazza dai capelli castani,
che
giaceva incosciente e contusa sul lettone matrimonale, col viso
sofferente. Era davvero Lancelot? Era possibile una coincidenza, se
così si voleva chiamarla, così eclatante?
Merlin
imbevette un batuffolo di cotone nell'acqua e bagnò le
labbra di
Lancelot, che tremarono lievemente; ripeté il gesto, due,
tre volte,
finché le labbra non andarono incontro al liquido, provando
a
succhiare il batuffolo. Merlin
ritrasse la mano e la ragazza aprì piano gli occhi.
“A-acqua”
chiese con voce roca.
“Sei
disidratata, non puoi bere tutto di colpo o vomiterai”
rispose
Merlin pratico, voltandosi per raccogliere un po' d'acqua col
cucchiaio; alzò il collo della giovane e poi
lasciò cadere
lentamente il liquido nella sua bocca, per quanto lei provasse a
berla tutta di colpo, aggrappandosi al suo polso. Mise via il
cucchiaio, aiutandola a ricoricarsi.
“Merlin,
sei davvero tu” gracchiò la ragazza, alzando un
braccio per
accarezzargli una guancia.
“Non
parlare ora. Sforzerai la gola” la ammonì il
ragazzo.
La
mano di lei si chiuse sull'orecchio, stropicciandolo appena tra le
dita, gentilmente, mentre lui, attonito, glielo lasciava fare.
“Dèi,
come mi son mancate le tue orecchie” ridacchiò lei
debolmente,
prima di lasciarlo andare e poggiare il braccio stanco sul letto.
“Prima
o poi mi dovrete spiegare che avete tutti con le mie
orecchie!” si
indignò Merlin, facendola sorridere, mentre si voltava a
cercare lo
sguardo di Arthur che però, scoprì, non era
più lì con loro.
“Torno
subito” disse, mentre lei si girava sui cuscini e ricadeva
nel
sonno, distrutta.
Non
era scappato. No, affatto.
Arthur
Pendragon non scappava per una fesseria del genere. Per uno sguardo
innocente? Per un gesto intimo?
Ma
figurarsi.
Non
se n'era andato dopo che lei o lui, o come diamine doveva chiamarlo,
aveva parlato a Merlin con un tono di voce così dolce o
perché lo
aveva toccato, -toccato!, santo cielo,- mentre lui non osava farlo:
no, affatto. Nemmeno perché gli aveva detto quella frase che
era
risuonata anche nella sua mente il primo giorno in cui si erano
rincontrati. Gli
erano testimoni tutti gli Dèi dell'antica religione e anche
quelli
dell'Olimpo e di Asgard, tanto per fare le cose per bene, che lui era
andato in cucina per prendere dell'acqua.
E
basta. Nessun'altra ragione, per certo. Di certo non perché
fosse
geloso, che fesseria.
Merlin
lo trovò che provava a strozzare un bicchiere, seduto al
tavolo
della cucina.
“Sire?”
chiese titubante, credendo che il pallore sul suo viso fosse dovuto
alla preoccupazione per il suo ex cavaliere.
“Lancelot
sta bene. Dovrò reidratarlo lentamente, con molta pazienza,
ma starà
bene” aggiunse, sicuro di fare la cosa giusta nel
rassicurarlo.
Lo
sguardo di Arthur cadde sull'orecchio del servitore, arrossato dal
tocco della mano di Lancelot.
Si
arrabbiò di nuovo.
“Sei
certo che sia lui?” domandò, guardandolo
mortalmente serio.
Merlin
ricordò con incredibile precisione la volta in cui Lancelot
era
tornato dall'aldilà, sotto l'incantesimo di Morgana; capiva
perfettamente le remore di Arthur, nel non fidarsi subito.
“Io...
sono certo, Sire. Anche se non capisco, davvero non capisco, come
possa ricordarsi il suo nome di allora o il mio” rispose il
mago,
scuotendo la testa incredulo.
“Come
ho fatto io, no?” esclamò Arthur con un'alzata di
spalle, per
nulla sorpreso dall'idea, quanto dalla assurda tempistica degli
avvenimenti. Perché che due cavalieri di Camelot
rinascessero nella
stessa epoca, entrambi come donne e che si ricordassero del loro
passato non poteva essere casuale.
“No.
Non è la stessa cosa. La vostra rinascita era stata
predetta, voi
eravate destinato a risvegliarvi, a ricordare chi eravate”
iniziò
Merlin, senza cogliere quello sguardo stizzito sul viso della
ragazza, nell'apprendere di una predestinazione a ricordare che lui
non aveva chiesto.
“Ma
Lancelot... anche se si fosse reincarnato, avrebbe dovuto vivere
ignaro di ciò che è stato. Si possono fare sogni
su ciò che si
era, ma al risveglio si cancellerebbero e parrebbero scenari di
fantasia. E' così che funziona!”
“Allora?
Pensi che abbia a che fare con me?”
La
domanda era sorta spontanea, veloce. Merlin
lo guardava dubbioso, le mani poggiate sulla spalliera della sedia di
fronte al suo Re.
“E'
una donna, Merlin, come me. E si ricorda ciò che era, non
sarà una
coincidenza, no?” sbottò incredulo Arthur.
“Non
lo so. Al momento non è abbastanza in forze per darci
risposte.”
“E
quando lo sarà?”
Una
domanda che poteva sembrare controllata, ma in cui era nascosta la
sete di sapere.
“Domani
o dopodomani.”
“E
nel frattempo? Tutto il resto? Cosa abbiamo risolto?”
incalzò l'ex
Re, alzandosi per riporre il bicchiere nel lavello.
“Freya
ha detto che sia voi che l'altro uomo discendete dai Pendragon,
perciò non sarà un vostro parente?”
azzardò Merlin, provando a
sbrogliare la matassa di informazioni.
Arthur
si appoggiò al lavello, pensieroso. “Mio padre
aveva un fratello,
ma non so se abbia avuto figli, perché litigarono molti anni
fa e
non si sono più parlati. Mamma è figlia unica, ma
aveva dei cugini
persi di vista anni addietro.”
“Dobbiamo
fare ricerche sul vostro albero genealogico. Dobbiamo scoprire se
davvero discendete da voi stesso e come sia possibile.”
“Potrei
fare delle domande a mia madre, cercando di non metterle pulci nelle
orecchie. Se sospettasse qualcosa, qualsiasi cosa, sarebbe capace di
pedinarmi” propose la ragazza, incrociando le braccia sotto
il
seno.
Sarebbe
comunque potuto andare al comune a richiedere la genealogia completa
della sua famiglia, anche se avrebbe richiesto giorni, forse
settimane, per essere completata. Tuttavia qualsiasi indizio,
qualsiasi speranza, era meglio che continuare a girare in tondo, come
un cane che cercava di mordersi la coda.
Merlin
si incantò ad osservare i raggi del sole del tardo
pomeriggio, che
entrando dalla finestra illuminavano la testa di Arthur, rendendo i
capelli biondi come un'aureola dorata. Un secondo dopo si
schiaffò
la mano in faccia, con un rumore secco, perché seppe che era
davvero
diventato matto: per sempre, irrimediabilmente.
“E
per la missione? Chi può aiutarci? Non credi che la
questione della
spada e la minaccia siano connesse?” chiese Arthur,
avvicinandosi
per guardarlo da sotto in su, fiero della sua ipotesi.
“Dobbiamo
cercare qualche altra creatura magica. Solo loro hanno le
risposte”
balbettò, deglutendo nervosamente.
Il
profumo di Arthur era dolce e gli confondeva il cervello, ma
mischiato ad esso c'era il suo vecchio odore, di cuoio e ferro, e
Merlin si chiese se non lo stesse immaginando, se non lo percepisse
solo perché sapeva che quello fosse il suo Re; i due
profumi, il
vecchio e il nuovo, si mescolavano senza prevaricare uno sull'altro,
accelerando il suo battito.
“Ce
ne sono molte? Di creature magiche, intendo” chiese Arthur,
riportando il suo cervello su un campo neutro; inspirò
profondamente, per scacciare via quelle sensazioni.
“Troppo
poche” replicò serio, uscendo dalla cucina.
Rimasero
al capezzale di Lancelot per tutto il resto della giornata.
Ogni
mezz'ora Merlin gli somministrava un cucchiaio di acqua, controllando
ossessivamente che non rimettesse, lasciandolo poi a sonnecchiare per
riprendere forza. A tarda sera il cavaliere riprese conoscenza,
guardandosi attorno con occhi dapprima confusi, poi sollevati nello
scorgere Merlin. Dopo che il servitore ebbe pulito le ferite e le
ebbe medicate, Arthur aiutò la ragazza a cambiarsi,
mettendole un
pigiama di Merlin, enorme per il suo corpo minuto.
“Grazie,
sei molto gentile. Mi chiamo Laureen” si presentò
la ragazza
bruna, tendendole una mano fasciata.
“No,
sei Lancelot. Ti ho sentito” rispose tranquillamente Arthur,
aiutandola a rimettersi a letto.
La
giovane la osservò imbarazzata, ma con un sorriso sincero.
“Oh,
quello. Io...”
“Va
tutto bene, Lancelot. La ragazza con cui stai parlando è Re
Arthur”
si intromise Merlin, appena apparso sulla porta. Lancelot
sgranò gli occhi e li puntò sulla ragazza bionda,
che resistette
alla radiografia del suo ex cavaliere senza fiatare.
“Sire”
iniziò mentre cercava di alzarsi per chinarsi al suo
cospetto;
“Voi... voi siete come me... non sono solo io... Sire,
io...”
Arthur
bloccò la ragazza sul letto, impedendole movimenti bruschi,
poco
prima che svenisse. Merlin impedì altre conversazioni, dato
che la
notizia aveva già sconvolto troppo Lancelot, che necessitava
assolutamente di riposo. Dopo aver somministrato un sonnifero al
cavaliere, lui e Arthur lo lasciarono a riposare, spostandosi in
cucina.
“Avete
fame?”
Il
suo stomaco brontolò proprio in quel momento.
Controllò l'orologio
sul muro: le nove e trenta; non mangiava nulla dalla colazione.
“Volete
cenare con me?” propose innocentemente Merlin, iniziando a
trafficare in cucina.
Arthur
avrebbe voluto. Avrebbe voluto sedersi di fronte a Merlin e parlare
con lui mentre mangiavano, in una scena così intima che gli
ruppe
qualcosa dentro.
Ma
non era giusto. C'era
qualcosa di sbagliato nel modo in cui il suo corpo reagiva alla
presenza del suo servitore, ai suoi sguardi e alle sue parole, che
gli imponeva di andare via.
Voleva
rimanere e andare allo stesso tempo, e si sentiva scisso. Voleva
stare con lui perché lo faceva sentire bene,
perché sapeva chi
fosse davvero, perché ogni cosa sapeva di nuovo e antico e
gli
piaceva, ma il batticuore che gli suscitava un suo tocco o la rabbia
per la presenza di qualcun altro in casa sua lo spiazzavano, lo
spaventavano.
Merlin
si avvicinò al mobiletto nell'ingresso e armeggiò
con qualcosa di
metallico, poi tornò e gli prese una mano.
“Questa
è la chiave di casa. Adesso andate al vostro appartamento,
domani
potrete tornare all'ora che preferite. Sentitevi come se fosse casa
vostra” mormorò, dato che dalla titubanza del suo
signore aveva
capito molte cose; ma ovviamente non quelle più intime.
La
chiave, calda del calore di Merlin, cadde sul palmo della ragazza, e
assorbì anche quello della sua mano, mischiandoli; Arthur la
guardò
scintillare e gli sembrò che fosse qualcosa di molto
più grande del
minuscolo pezzo di ferro che appariva: era la fiducia di Merlin, era
la sua comprensione, era quel suo mettersi sempre nelle sue mani,
senza domandare mai nulla.
Deglutì
nervosamente, stringendo la mano a pugno, poi si diresse verso la
porta di casa.
“Sire?”
lo chiamò Merlin, facendogli perdere un battito; si
fermò e il
ragazzo lo raggiunse.
“Avrei
bisogno di un favore. Potreste portare un cambio d'abiti per
Lancelot? Dovreste avere la stessa taglia” asserì
il mago,
squadrandolo da sotto a su senza imbarazzo.
Arthur
assottigliò gli occhi, minaccioso: era almeno tre centimetri
più
alto di Lancelot, -poco, ma sicuro,- e aveva meno fianchi!
“Ma
cosa vuoi capire di taglie femminili, Merlin!” rispose,
facendo
ridere il ragazzo; si voltò e spalancò il portone
d'ingresso,
fermandosi poi sulla porta.
“Buona
notte, Sire, state attento.”
“Notte,
Merlin” rispose, varcando la soglia.
“Althea!
Dove diamine eri finita?” le urlò Patricia non
appena mise piede
nell'appartamento, in preda ad una crisi isterica.
La
sua coinquilina era una ragazza punk, che sfoggiava corti capelli
viola e un gestaccio a chiunque osasse indicarla per strada; non si
conoscevano da molto, ma dato il carattere esuberante si era eletta
sua amica per sempre e cercava in tutti i modi di spingerla a
socializzare, a partecipare a rave folli e ad appiopparle qualche
nuovo fidanzato scelto tra i suoi amici schizzati.
Arthur
si lasciò stringere nell'abbraccio stritolante dell'altra,
che le
urlava frasi a ripetizione nell'orecchio.
“Ero
così preoccupata e tua madre non sapeva dove fossi e io
forse ho
sbagliato a chiamarla, ma il tuo cellulare era qui e io non sapevo
come contattarti. Non è da te sparire all'improvviso senza
una
parola, senza portare via nulla, e mi sono preoccupata, non sei una
pazza, ma nemmeno una persona equilibrata, diciamocelo. Dio, non ho
dormito per giorni, ero davvero in ansia, ma dove cavolo eri
finita?”
sciorinò tutto d'un fiato, suscitandogli un sorriso di
dolcezza, ma
anche indignazione: lui non era una persona equilibrata? Detto da
Patricia poteva suonare come un insulto.
Riuscì
a divincolarsi dalla morsa dell'altra e a respirare di nuovo.
“Scusami,
sono andata a casa di un amico che stava poco bene, ho usato le sue
cose. Sono uscita talmente in fretta che ho dimenticato tutto
qua”
mentì, con un leggero batticuore, andando in cucina a
prepararsi un
sandwich.
“Un
amico?” domandò la voce della coinquilina mentre
la seguiva e
Arthur seppe, senza nemmeno guardare, che il suo sopracciglio era
alzato dallo scetticismo. Si poteva intuire la forma di
un'espressione dal tono di voce?
“Sì,
un amico. Ho degli amici, sai” ribatté seccata,
poggiando le fette
di pane sul tavolo e aprendo il frigo in cerca degli altri
ingredienti.
“Sì,
ci credo. Come si chiama?” incalzò l'amica
scettica, mentre si
appollaiava sulla sedia più vicina.
“Non
lo conosci” rispose, aprendo il barattolo della maionese e
iniziando a spalmarla sul pane.
Patricia
intuì quello che sospettava più dai silenzi che
da quello che
Althea le diceva.
“Uh,
ti piace, vero?” azzardò, rubando una fetta di
arrosto di tacchino
dal vassoio sul tavolo e infilandola in bocca con un sorriso
sornione.
“No!”
rispose Arthur con veemenza, sbattendo il coltello un po' troppo
forte sul tavolo e schizzando la maionese intorno.
“Va
bene, non insisto. Mi basta sapere che finalmente riesci ad andare
oltre. Pensavo che Hector ti avesse rotto il cuore per
sempre.”
Arthur
finì di prepararsi il sandwich, diede la buona notte a
Patricia e si
fiondò in camera sua.
L'amica
sapeva che non l'aveva offesa, perciò non c'era bisogno di
chiedere
scusa. Era stata una constatazione, la sua, perché sapeva
come la
rottura con Hector l'avesse provata al tempo; quell'ignobile
bastardo l'aveva tradita e poi aveva addotto come scusa che lei ci
metteva troppo a decidere di lasciarsi andare e meno male non aveva
ceduto.
Addentò
il sandwich mentre con la mano libera frugava nei suoi cassetti, in
cerca del pigiama.
Era
strano aver vissuto come Althea e tuttavia ricordare di essere stato
Arthur, e come le due parti convivessero pacificamente, in un certo
senso. Si
avvicinò allo specchio, con metà del pigiama
infilato e il sandwich
quasi finito, e si specchiò: cercò di ricordare
come era stato il
suo aspetto quando era Arthur, sovrapponendolo a quello di ora. Era
stato alto e bello e parecchio atletico, ma non riusciva a ricordare
nitidamente le sue fattezze e si arrabbiò moltissimo con la
sua
memoria fallace.
Finì
l'ultimo boccone del suo pasto e si infilò l'altra
metà del
pigiama, spegnendo poi la luce.
Sbuffò
sonoramente nell'oscurità.
Era
Arthur ed era Althea e nessuna delle due parti gli sembrava
sbagliata, ma sapeva che continuare ad essere entrambe lo avrebbe
distrutto. Avrebbe
voluto non ricordare di essere stato il principe di Camelot; o
ricordare, ma tornare com'era prima. Così si sentiva a
metà e non
era giusto. E non perché credeva che una volta tornato uomo
non
avrebbe più sentito quelle sensazioni strane quando Merlin
gli era
intorno: non aveva nessun problema ad ammettere che gli piacevano gli
uomini, d'altronde era stato per due anni con Hector e lo aveva
trovato molto attraente; così come non aveva problemi a
ricordare
che gli erano piaciute le donne e sapeva che se ne avesse incontrato
qualcuna di speciale, probabilmente si sarebbe innamorato di lei.
Tirò
su le coperte sino al mento, con stizza.
Era
perché era impensabile che lui sentisse qualcosa per Merlin,
corpo
femminile o meno. Merlin
era il suo servo, il suo valletto, era un idiota, era
irriverente e, soprattutto, era il suo migliore amico; non
poteva sentire qualcosa verso il proprio migliore amico, era
surreale; e non per uno che aveva quelle orecchie, poi. Si
girò su un fianco, scacciando via quella rabbia latente che
si era
acquattata sul fondo del suo stomaco, all'idea che Lancelot stesse
dormendo nel letto di Merlin, al momento.
Lancelot
era tornato. E anche lui si era reincarnato in una donna. C'erano
troppe coincidenze, troppe domande, e ogni volta che cercavano una
risposta le cose si complicavano buttando loro addosso altri enigmi,
altri quesiti.
Cosa
avrebbe dovuto sventare? Perché in quel momento e non due
anni prima
o cinque dopo? Cosa c'era di così urgente, nelle
profondità del
destino, da richiedere il suo ritorno lì e subito? E
perché
Lancelot? Perché non Leon, col quale era praticamente
cresciuto o
Gwaine o Percival?
Come,
dove, cosa, perché... era diventata una litania in quei
giorni.
Cadde
nel sonno, non prima di essersi ripromesso di trovare tutte le
risposte e di salvare Merlin da qualsiasi minaccia attentasse alla
sua vita.
Avrebbe
spezzato la sua spada, una volta ritrovata, così sarebbe
stato
salvo.
Merlin,
dopo aver controllato che Lancelot stesse dormendo e che le sue
condizioni fossero buone, spense la luce e uscì dalla camera
in
silenzio.
La
reazione dell'amico era stata più che giustificata, nello
scoprire
che anche Arthur era in vita e che era una donna, come lui.
Cercò di
immaginare cosa dovesse aver passato per ridursi in quello stato,
probabilmente vagando per delle risposte; gli uomini che lo
seguivano, poi, cosa avevano a che fare? Erano
scappati in fretta, trascinandosi i compagni svenuti, senza lasciare
traccia.
Si
sedette sul divano, rannicchiando le gambe al petto, pensieroso. Chi
avrebbe potuto dargli delle risposte? Kilgharrah, che al tempo sapeva
sempre tutto, era morto ormai da tempo. La testa ciondolò
all'indietro poggiandosi allo schienale, in un gesto di stanchezza.
Era
tutto così assurdo. E maledettamente sbagliato.
La
preoccupazione di Arthur, e qualche sensazione di ansia che non
riusciva a capire, lui le poteva percepire come fossero sue e lo
preoccupavano; e il senso di colpa ritornò prepotente, come
aveva
fatto negli anni. Se fosse stato più attento, se avesse
saputo
difenderlo così come era stato destinato a fare, invece di
creare
l'assassino che lo avrebbe ucciso, forse niente di tutto quello
sarebbe successo. Forse lui e Arthur avrebbero assistito alla nascita
di Albion, libera e magica, e tutto sarebbe finito nel modo giusto.
Dèi,
sembrava una favola, con “e vissero tutti felici e
contenti” e
compagnia danzante; mille anni di solitudine e pensieri di rimorso
non gli avevano forse insegnato che la vita non era una favola? Che
le cose non andavano come uno desiderava, ma a seconda di cosa si
sceglieva, di come si agiva? Che bisognava pagare per le scelte
sbagliate?
Sorrise
tristemente, stropicciandosi la fronte con una mano: era sempre un
ragazzino, un idiota, ingenuo ragazzino. Dopo tutto, non riusciva
comunque a non pensare che tutto sarebbe andato per il meglio.
Il
sonno lo colse mentre ancora rifletteva, abbandonato sul divano, un
orecchio piegato sotto la testa.
Note:
Benritrovati
a tutti. Scusate per il lungo periodo di attesa, ma non ho avuto un
momento libero negli ultmi tempi. Nemmeno oggi, tra preparazioni di
pietanze e via dicendo. Perdono!
Ma
torniamo alla storia...
L'entrata
in scena di Lance ha suscitato le più disparate emozioni:
euforia,
ilarità, incredulità. Sono contenta che il nostro
cavaliere (ormai
gentil donzella) sia così amato! Ovviamente, come molte
hanno
supposto, la sua presenza non farà che mettere pepe alla
tormentata
psiche del nostro asino. O sì, e ne siamo tutti felicissimi.
In
questo capitolo entra in campo Patricia, la coinquilina di
Arthur-Althea... è un OC, ovviamente; spero che vi piaccia.
Apparirà
spesso? Poco? Io lo so, voi rimanete per scoprirlo.
Vi
auguro un buon Natale, o Hanukkah, o Yule o qualsiasi cosa voi
festeggiate! Buone feste a tutti!
A
presto!
Un
grosso abbraccio
Mimì