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Autore: Daisy Pearl    25/12/2013    4 recensioni
Finì di parlare e ansimò brevemente, come se avesse fatto una corsa infinita, lo sentii andare avanti e indietro e in qualche modo riuscii a immaginarmelo. Aveva un lungo abito bianco che si adagiava sul pavimento in pietra. La veste ondeggiava con eleganza e sembrava brillare di luce propria. Le lunghe ali erano spalancate sulle sue spalle, candide come il vestito e, a completarne la figura c’erano i classici boccoli oro che gli ricadevano sulle spalle con gentilezza. Potevo quasi vedere gli occhi azzurri come il cielo fissarmi attendendo che fossi in grado di alzarmi, in quel modo mi avrebbe potuta portare dove dovevo stare.
Mi avrebbe portata all’inferno.
- Questa è la storia di Mar e di Dave. Una storia di magia, tradimenti, colpi di scena, pazza, lucidità, amore. Bene e male si intrecciano in continuazione fondendosi in alcuni punti per poi separarsi. Il confine tra bianco e nero non è mai stato così invisibile.
Genere: Mistero, Romantico | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het
Note: Lime | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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- Questa storia fa parte della serie 'Gioco di...'
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Alla fine sono riuscita ad aggiornare. Potete considerarlo un piccolo regalo di natale da parte mia :)
Ho ricevuto un kindle e sono la ragazza più felice sulla facccia della terra. Insomma, un KINDLE. E addio studio e buoni propositi di passare i vari esami!
Va bè, la smetto con le mie inutili parole da bambina nel giorno di Natale e vi lascio alla lettura del capitolo ;)
Vi auguro un felice natale, il mio è ccominciato benissimo (sì ho scartato tutti i regali come se avessi quattro anni) e spero che continui così!
Vi adoro, e il più bel regalo che voi potete fare a me è quello di leggere questa piccola parte del mio stesso essere, questo piccolo bambino frutto della mia mente contorta.
Buon natale a tutti voi, col cuore.

Greta
(da notare i colori natalizi ;) )






 
CAPITOLO 19


Uccidimi.
Guardai Dave dritto negli occhi, facendo scontrare i nostri sguardi, ero risoluta. Il labbro inferiore gli tremava leggermente, ma probabilmente non aveva la minima idea di ciò che stavo per fare.
Mi avvicinai a lui e gli misi una mano sopra agli occhi, in modo da celare le sue iridi verde smeraldo, forse in quel modo sarebbe stato più facile. Lo sentii inspirare profondamente, a pieni polmoni, come se quella fosse la sua ultima boccata di ossigeno, sentii i muscoli contrarsi, non era affatto tranquillo.
“Perché mi odi tanto?” sussurrò, quasi chiedendolo a se stesso.
“Perché tu mi hai resa debole!” risposi sinceramente, guardandolo con tristezza. Potevo essere come volevo, ora che non mi vedeva.
“Come ho potuto renderti debole Mar?”  il suo tono di voce accarezzò il mio nome con dolcezza, i muscoli si rilassarono “Tu non puoi essere debole. Tu non lo sei mai stata, sei una donna forte! Quante volte sei caduta e ti sei rialzata più forte di prima?” una punta di orgoglio trasparì dalla sua voce e mi fece sorridere.
“Tante volte, ma ogni volta che cadevo mi facevo sempre più male!”
“E’ per questo che ti sei alleata con quella donna? Perché il dolore era troppo?”
Non risposi, mi limitai ad osservarlo. Era alto, leggermente muscoloso, i capelli neri che mi sfioravano le dita erano soffici.
“Mi ucciderai?” mi chiese con un filo di voce.
La bocca mi si seccò.
“L’ho già fatto! Tu sei morto Dave, quello che eri non esiste più!” lo dissi atona, mentre fissavo incantata i suoi capelli.
“Non sono morto, sono ancora qui!”
“Ancora per poco!”
“Uccidimi prima che io uccida te!”
“Anche tu mi hai già uccisa!”quanta verità c’era in quelle parole “Prima mi hai indebolita e poi mi hai uccisa nel peggiore dei modi!”
“Come?” il suo tono di voce era disperato.
Immaginai che Dave si addormentasse, lo vidi con chiarezza nella mia testa, il suo volto era beato e tranquillo, non c’era più alcuna domanda sulla punta della sua lingua.
Un attimo dopo i suoi muscoli si rilassarono , tolsi la mano dai suoi occhi e sorrisi debolmente nel vederli chiusi. Il respiro era regolare, mi fermai qualche istante ad osservarlo.
Mi aveva uccisa spezzandomi il cuore e la Mar debole era morta. Quella che aveva davanti era una Mar rinata più forte di prima. O almeno era quello che volevo credere fermamente io, anche se sapevo che le crepe nel mio vetro erano sempre più pericolose.
Il cellulare di Dave prese a squillare, lanciai un’occhiata al suo viso e notai che il rumore non l’aveva risvegliato dal sonno nel quale era appena caduto. Seguii il suono  e frugai nella tasca dei suoi jeans estraendone l’apparecchio. Lessi il nome sul display.
Alex.
Feci un respiro profondo e premetti il tasto verde.
“Dave, finalmente! Ero così in ansia! Stai bene?” la voce di Alex non nascondeva il suo tormento. Amava Dave come un figlio e lui era scomparso insieme a me da ventiquattrore.
“Alex!” lo salutai con ironia, non mi riusciva difficile essere scortese con quell’uomo che stimavo così poco.
“Marguerite!” pronunciò il mio nome con odio “Cosa gli hai fatto? Se gli hai fatto qualcosa io … io ti…”
“Al momento dorme!” risposi semplicemente non potendo far a meno di provare sollievo ad avere la mente occupata in qualcosa che non fossero le manie di suicidio di Dave e la poca soddisfazione che provavo nella mia vendetta.
Alex parve rilassarsi.
“L’agente Cyfer è quasi rimasto ucciso mentre ti inseguiva!” era un’accusa e un rimprovero al tempo stesso.
“Dannazione, quasi?” sogghignai. Odiavo quell’uomo con tutta me stessa, era così seccante.
“Marguerite, cos’hai fatto a Dave? Ti prego, fallo tornare a casa sano e salvo, ti prego …!” nella voce di Alex non c’era più nemmeno un minimo di orgoglio, solo disperazione.
Sentii una voce che non apparteneva a lui provenire dall’altro capo del telefono,  essa disse qualcosa che non riuscii a capire ad Alex, lui protestò, ma alla fine disse ‘ok’.
“Marguerite!” la voce che giunse alle mie orecchie tramite l’apparecchio, non mi era affatto nuova.
“Oh! Il quasi defunto Cyfer!” ridacchiai. Uscii dalla stanza sotterranea, lasciandomi alle spalle il mio momento di debolezza con Dave e salii le scale, fino a raggiungere il piano terra.
“Dove sei?” le sue domande erano sempre precise e miravano a far cadere l’autocontrollo di una persona, così che ad essa sfuggisse proprio l’informazione di cui aveva bisogno.
“Adesso pensa alla risposta che ti darei e prova a vedere se è il caso che rifare la domanda!”
“Non è un gioco!” sbottò arrabbiato.
“Oh, si che lo è. Io ho giocato le carte meglio di te, agente!” uscii dalla porta principale e osservai il sole ormai alto nel cielo. Portai la testa indietro e lasciai che i raggi mi riscaldassero la pelle del viso, chiusi gli occhi beandomi di quella sensazione.
“Sei alleata con Alan vero? “ il suo tono era nuovamente calmo. Non era un bravo agente se passava il tempo a parlare al telefono con me invece che alzare le chiappe e andare a cercare il ragazzo che doveva proteggere.
“Alan è morto!” lo dissi con freddezza. Dirlo ad alta voce era dannatamente strano, irreale. Era così paradossale pensare che Alan non esistesse più, che l’uomo che mi aveva cresciuta era semplicemente sparito, come se non fosse mai esistito. La cosa peggiore era il modo in cui era morto, l’impossibilità di difendersi, la consapevolezza di non avere scampo. Mi ero sentita in quel modo quando Rob tentava di violarmi, solo che io non ero morta.
Non mi mancava la figura di Alan e non potevo dire di non provare del rancore nei suoi confronti, mi aveva voluta morta e si era adoperato molto per far si che i suoi desideri divenissero realtà. Sì lo avevo odiato, ma gli avrei concesso una morte degna dell’uomo che era stato. Lui si era opposto fino alla fine, i suoi interessi non coincidevano con quelli di Jasmine, era comprensibile. Anche io l’avrei fatto. O forse no.
Tieniti stretta gli amici, ma ancora di più i nemici.
Se i  miei desideri non fossero stati in linea con quelli di Jasmine l’avrei assecondata lo stesso, aspettando un suo momento di debolezza per colpirla.
Ma io volevo la vendetta che lei mi aveva promesso. Mi tolsi dalla testa l’immagine delle labbra di Dave che si muovevano mentre mi chiedeva di ucciderlo.
“E’ morto?” Cyfer sembrava preso alla sprovvista.
“Sì!”
“Come?”
Chiusi la chiamata e spensi il cellulare. Il divertimento era finito, non provavo più gioia nell’ingannare quell’uomo, non in quel momento. Anche quella futile distrazione era stata inutile, avrei dovuto trovare qualcos’altro da fare.
Alzai gli occhi verso la casa e la osservai attentamente. Dietro ogni finestra poteva nascondersi lo sguardo di ghiaccio di Jasmine, dietro ogni insetto, uccello o gatto poteva celarsi lei. Immaginai uno scudo intorno a me, uno scudo azzurro.
Mi guardai attorno sperando di vederlo comparire, ma non avvenne. Forse non lo avevo immaginato abbastanza bene.
Chiusi gli occhi togliendo dalla mia vista tutto ciò che mi circondava, in quel modo avrei visto solo ciò che la mia mente avrebbe prodotto. Sentivo il potere scorrere dentro di me e m abbandonai all’immaginazione.
Lo scudo era trasparente, io lo potevo vedere, era di un pallido rosa e attraverso di esso vedevo il cielo normalmente azzurro, violetto. Questo schermo mi doveva rendere invisibile. Immaginai che se qualunque essere avesse rivolto lo sguardo su di me, lo schermo gli avrebbe mostrato ciò che c’era dietro di me, però celando la mia immagine. Esso doveva guidare la luce attorno a se stesso, facendo in modo che non mi colpisse direttamente, così sarei stata invisibile. Immaginai il funzionamento, vidi un raggio di luce che circumnavigava lo schermo.
Aprii gli occhi e sorrisi vedendo una sottile patina rosa circondarmi. Mi sentivo così gioiosa da non riuscire quasi più a ricordare il mio stato d’animo di poco prima. Era semplice gioia. Non brama di potere o sensazione di onnipotenza. Ero felice, davvero felice, come se fossi nel mio elemento. Ruotai su me stessa spalancando le braccia e ridendo, con il viso rivolto verso al sole. Non mi ero mai sentita tanto libera e nemmeno tanto leggera. Così leggera che forse mi sarei potuta librare in alto.
Chiusi gli occhi nuovamente, il sorriso ancora stampato sul volto.
Immaginai che la gravità, sotto i miei piedi smettesse di funzionare, pensai ai miei piedi che si sollevavano leggermente da terra, immaginai di muoverli come si fa in acqua.
Aprii le palpebre e vidi i miei piedi lambire il vuoto, mi ero sollevata solo di qualche centimetro.
Non appena smisi di immaginare quella situazione la gravità rincominciò a funzionare e i miei piedi cozzarono contro il pavimento. Flettei leggermente le ginocchia per attutire l’impatto.
Mi sdraiai a terra sull’erba e fissai le nuvole che si muovevano pigramente nel cielo. Era così piacevole usare i poteri che avevo, come diceva Alan, io ero nata per quello, anche se lui intendeva dire che ero nata per fare il gioco degli sguardi. Mentre immaginavo ad occhi aperti che le foglie sul terreno volassero intorno a me e loro cominciassero a volteggiare pensai che io ero nata per quello, ero nata per la magia. La facilità con cu la possedevo, la manovravo, era sconvolgente. Jasmine pensava che fosse rigorosa, i sogni su Myria mi dicevano che quasi tutti gli esseri in grado di usare la magia la pensavano allo stesso modo. Mi sembrava impossibile che nessuno di loro avesse mai chiuso gli occhi e immaginato con tanta forza qualcosa, eppure doveva essere andata così, altrimenti non sarei stata una delle poche a conoscere la magia creativa.
Le foglie verdi danzavano attorno a me, una piccola parte del mio cervello continuava a immaginare quello che loro, ubbidienti, eseguivano, mentre il resto era aggrovigliato in migliaia di pensieri.
Certo, io avevo avuto un aiutino, i sogni mi avevano rivelato che la magia creativa esisteva, però io avevo il merito di essermi fidata di quella che sembrava un’intuizione, dato che non rammentavo quei sogni.
Un suono fastidioso raggiunse il mio orecchio, vidi che quella volta a squillare era il mo cellulare. Mi misi a sedere mentre lo estraevo dalla tasca e leggevo il numero sul display.
Alex.
Di nuovo.
Le foglie caddero dolcemente sull’erba verde e il mio scudo si dissolse come nebbia rosa al sole. Guardai il cellulare con odio e immaginai che i circuiti fondessero, vidi lo schermo spegnersi di colpo e un leggero sbuffo di fumo uscire dall’apparecchio. Lo gettai a terra e ci salii sopra incrinando lo schermo. Lo ripresi in mano e  lo buttai nella spazzatura appena fuori il vialetto di quella casa.
Alzai gli occhi al cielo e decisi di rientrare, ormai Jasmine doveva aver notato la mia assenza.


“Dove sei stata?” il tono era indagatorio, ma gli occhi non si staccavano dalla cartina che aveva in mano. Vedere Jasmine china su un oggetto del genere era insolito quanto vedere degli elefanti che volavano. Potevo capire che fosse interessata ai libri antichi, ma le cartine non mi sembravano il suo genere. Osservai i boccoli incorniciarle il viso, mi avvicinai senza staccarle gli occhi di dosso, evitando di posare lo sguardo sul tavolo sul quale Dave giaceva addormentato. Era stato spostato dal centro della sala ad un lato, era meno illuminato, e quindi attirava meno l’attenzione, o almeno così speravo.
Jasmine aveva introdotto nella stanza un altro tavolo di legno, più piccolo del precedente e quasi tutto il ripiano di quest’ultimo era occupato dal grosso planisfero che Jasmine stava segnando con delle piccole croci rosse.
“Vuoi conquistare il mondo?” domandai osservando le ‘x’ perfette brillare a causa dell’inchiostro del pennarello ancora fresco.
“Se lo avessi voluto, l’avrei già fatto!” rispose semplicemente, alzando lo sguardo e sorridendomi con gentilezza. Era una bella donna, dimostrava si è no venticinque anni al massimo, eppure doveva avere mille anni. Ancora una volta quel numero mi parve così elevato e sconcertante.
“Dove sei stata?” ripetè mentre tornava a digitare qualcosa sulla tastiera di un computer che aveva posato sulla sedia di fianco a lei, dato che sul tavolo non c’era più posto.
Una donna che era vissuta mille anni prima con le dita che saettavano tranquillamente sulla tastiera del pc, inverosimile, ma comunque reale.
“Fuori!” risposi allontanando da me quei pensieri.
“Non ti ho vista!” commentò.
“Non ero in giardino!” ribattei tranquilla “Immagino di non poterti chiedere qual è la prossima mossa!” aggiunsi.
“Immagini bene!” ribattè un po’ distratta lei.
Notai che sulla sedia accanto a quella sulla quale era appoggiato il computer c’era un block notes, mi avvicinai  e, senza farmi notare, cercai di leggere le parole che Jasmine aveva scritto. La sua grafia era ordinata e le frasi erano brevi ed efficaci.

Più potere.
Battito regolare 120 min, sonno profondo.
Numero attacchi: 1 nelle prime 12 ore.
Colore pupille: rosso dopo un secondo.
Personalità: incognita.


Perplessa rilessi quello che sembrava un elenco un’altra volta. Sembrava  stesse parlando delle condizioni di Dave, ma mi sfuggiva la frase iniziale. La rilessi, ma nel farlo lo schermo del computer attirò la mia attenzione. Su di esso vi era la foto di una donna, doveva avere quarant’anni circa e sorrideva all’obbiettivo. Teneva per mano un bambina, anch’essa sembrava felice. Accanto ad essa c’era un brave articolo di giornale.


GLI EROI NON SONO MAI STATI COSI’ PICCOLI
New york, 13 luglio 2003.
La piccola Ester Dulard, nella foto con la madre Carol, ha salvato due bambini della sua scuola da essere investiti dal pulmino della scuola. Inspiegabilmente la bambina è riuscita ed essere più veloce del mezzo e ha spostato i bambini prima che potessero fare una fine decisamente peggiore. Ora presentano solo delle piccole ferite superficiali.



Spostai lo sguardo sulla cartina e vidi una ‘x’ rossa in corrispondenza della città di New York, mi sentii rabbrividire.
Gli occhi azzurri di Jasmine incontrarono i miei e  subito dopo mi ritrovai ad urlare con tutto il fiato che avevo in gola, mentre percepivo numerosi spilli conficcarmisi negli occhi. Il mondo divenne nero e io mi portai le mani sul viso e sentii che era bagnato, sperai che si trattasse di lacrime e non di sangue, ma l’odore di ruggine, mi faceva capire che non era così.
“Non vedo!” fui presa dal panico. Il dolore che provavo non era nemmeno lontanamente paragonabile alla paura che mi attanagliò lo stomaco in quell’istante facendomelo contorcere.
“Questo perché non ti devi impicciare!” il suo tono di voce era freddo.
“Non lo farò più!” bisbigliai ancora terrorizzata, muovendo la testa a destra e sa sinistra sperando di far entrare un piccolo spiraglio di luce nei miei occhi. Le mie mani erano ancora immobili sul mio viso, rigate da lacrime scarlatte.
“Se lo farai ancora una volta diventerai davvero cieca!” mi minacciò con tono tranquillo lei.
Un secondo dopo ripresi a vedere. Ero in ginocchio di fronte ad una Jasmine che mi sorrideva pacifica. Non sapevo come c’ero arrivata.
Vedevo.
Il buio di fronte alle miei pupille si era dissolto. Guardai la luce che pendeva dal soffitto sperando di riuscire ad assorbirla tutta con un solo sguardo, speravo avvenisse, non volevo provare più la sensazione di poco prima.
Mi alzai e notai con piacere che lei mie mani erano bagnate di lacrime e non di sangue, mi tastai gli occhi ed essi sembravano essere sani. Era come se non fosse mai successo nulla, come se Jasmine non mi avesse fatta diventare momentaneamente cieca.
Cercai di mettere abbastanza metri tra me e Jasmine prima di guardarla negli occhi.
“Non era necessario!” sibilai.
“E’ una questione seria quella alla quale lavoro, Mar, non intrometterti e non sarà più necessario!”
Strinsi la mascella. Avrei voluto urlarle contro, dirle che ne avevo abbastanza di lei e della suo modo di trattarmi, mostrarle tutta la mia forza. Farla smettere di respirare come avevo fatto con Rob quando ero andata a trovarlo in prigione. Ad ogni pensiero malvagio mi ricompariva nella mente il modo in cui era morto Alan. Inerme. Incapace di difendersi. Non potevo fare quella stessa fine.
Lui non aveva la conoscenza della magia che avevo io, ma nulla mi assicurava che la magia creativa mi sarebbe bastata contro Jasmine. Avevo visto troppo per commettere l’errore di continuare a sottovalutarla.
Uscii dalla stanza a lunghi passi e tornai al piano terra cercando di contenere la rabbia e la voglia di urlare al vento. Avrei voluto scatenare un temporale. Immaginai le nubi scure che si addensavano sopra il tetto della casa. Immaginai le correnti d’aria convergere su di essa, immaginai i fulmini saettare verso terra velocemente, producendo un lieve lampo e poi un tuono talmente forte da far tremare il pavimento di quella dannata casa.
Tutto ciò avvenne. Vidi un fulmine colpire la terra in qualche punto lontano e, pochi istanti dopo, il tuono rimbombò per l’edificio facendo tremare i vetri della casa. Fu allora che urlai. Urlai con tutto il fiato che avevo in gola scaricando la rabbia, la frustrazione, la paura, l’insoddisfazione. Lo feci per tutta la durata del tuono, complice che il suo rumore avrebbe accompagnato e allo stesso tempo celato la mia voce. Le corde vocali mi facevano male, ma non smisi finche il tuono non si dissolse lentamente.
Non mi sentivo meglio, ma almeno mi ero sfogata, per quanto potessi farlo.
Mi incamminai verso la finestra e scostai la tenda, fu allora che nel grigiore del pomeriggio vidi tre auto avanzare nella strada fino ad arrestarsi davanti al vialetto che portava nella casa di Jasmine. Trattenni per un secondo il respiro quando vidi la sagoma inconfondibile di Cyfer uscire dalla prima macchina seguito da una decina di colleghi. Teneva in mano una pistola, così come gli altri.
Ci avevano trovati. Come?
Cyfer sembrava il leader del gruppo, mosse la mano destra due volte e metà del gruppo si spostò nella direzione indicata dall’arto dopo avergli fatto un lieve cenno d’assenso con la testa. I restanti uomini si diressero dal’altra parte. Si muovevano con circospezione, guardandosi attorno e studiando la casa con sguardo diffidente. Mi spostai dal vetro in modo tale da essere invisibile ai loro occhi. Stavano circondando la casa.
Il cuore iniziò a martellarmi nel petto con forza, cosa dovevo fare? Come diavolo aveva fatto Cyfer a trovarmi?
Lui si avvicinò verso la porta e la osservò. Mi sporsi per vederlo meglio, era incerto.
Un uomo si avvicinò a lui. Immaginai il volume delle loro voci che si alzava e che giungeva alle mie orecchie.
Così avvenne.
“Cyfer, la casa sembra disabitata, nessun’auto, nessuna luce accesa, nessun ombra fugace alle finestre!”
Solo allora mi resi conto che l’auto di Dave era sparita, probabilmente ci aveva pensato Jasmine. Per una volta ringraziai il buon senso di quella donna.
“Il segnale veniva da qui!” ribattè convinto Cyfer alzando gli occhi marroni verso il tetto della casa.
“Magari c’è stata un’interferenza, in giornate temporalesche come questa non si sa mai!”
“Fino a cinque minuti fa c’era il sole!” borbottò per nulla convinto.
“Pensi sia stata magia?”
“Ne sono certo!” il suo sguardo era determinato.
Solo allora notai che c’era un altro taglio quasi verticale sul viso, era superficiale, poco più di un graffio, doveva esserselo fatto quando gli avevo fatto saltare in aria il motore.
“Pensi che sia stata la Jones?” il tono dell’uomo era teso.
“Ha fatto saltare in aria il motore della mia macchina, sono sicuro che ci sia dietro lei!”
In qualche modo Cyfer si era convinto che io stessa ero stata la causa del suo incidente. Quell’uomo era molto perspicace per essere così incapace.
“Pensi davvero che anche Sullivan sia qui? Lei si sarà accorta che il cellulare potevano fornire un segnale utile a rintracciarli!”
“Non credo. E’ troppo persa nei suoi piani mentali per rendersi conto delle cose normali come questa! Ha risposto al telefono, è stata lei, non ha nemmeno pensato che così potevo trovarla!”
Trattenni il respiro. Che stupida che ero stata, come avevo fatto a non pensare ad una cosa del genere? Mi maledii mentre tendevo le orecchie per continuare a sentire la loro conversazione.
“Credi che il ragazzo sia ancora vivo?”
Lo sguardo di Cyfer si indurì, ancora non guardava il suo interlocutore, ma la porta, come a sfidarla ad aprirsi di fronte a lui.
“Lo scopriremo presto!”
“Cyfer!” l’uomo sembrava preoccupato “Lei sa che siamo qui vero?” deglutii a vuoto e mi sentii un’estranea. Non aveva senso che parlassero di me con quel timore, io non mi rivedevo nelle loro parole, non ero io la persona sulla quale discutevano, le loro parole calzavano perfettamente a Jasmine, non a me.
“Sì, lo sa!” il tono di voce era grave.
“Abbiamo ospiti!” sussultai nell’udire la voce cristallina non appartenente a quegli uomini  e mi voltai mentre Jasmine compariva dalla scala in fondo alla scala, il solito sorriso piacente stampato sul viso “Mar, non essere scortese! Non dobbiamo far attendere questi uomini fuori, falli entrare!”
La guardai con freddezza e rancore.
“Non sono la tua portinaia!”
Lei ridacchiò, come se avessi appena fatto una battuta, questo non fece altro che aumentare la voglia che avevo di prenderla a calci, ma sapevo di dover mantenere i nervi saldi, ricordavo troppo bene il pugnale d’argento nel ventre di Alan.
“Finchè starai qui sarai quello che deciderò io!”
Le parole di Alan mi risuonarono nella testa. La mia parte dell’accordo si era compiuta, io dovevo essere libera eppure palesemente non lo ero, forse non lo sarei mai stata. Dopo la vendetta me ne sarei andata, dopo la distruzione di Dave che non mi dava soddisfazione avrei per sempre detto addio a Jasmine. Ingoiai a forza tutte le parolacce e gli insulti che avrei voluto rivolgerle, ignorai l’orgoglio e provai di nuovo l’irresistibile impulso di urlare, invece i miei piedi si mossero, quasi autonomamente e raggiunsero la porta e la aprii.
Gli occhi di Cyfer si spalancarono di sorpresa, ma fu un attimo e la pistola scattò in avanti puntata verso di me, il suo dito posato sul grilletto. Trattenni il respiro, sapevo che non  mi avrebbe sparata a sangue freddo, ma comunque avere un’arma del genere puntata addosso non mi rendeva più tranquilla.
“Consegnami Dave!” intimò con voce ferma e sguardo deciso Cyfer.
“Da questa parte!” li invitò Jasmine rivelando la sua presenza. Ancora una volta la sorpresa passò fugace nelle iridi dell’agente rendendolo un attimo spaesato, prima che riprendesse ad essere concentrato.
Jasmine ancheggiò con eleganza fino ad affiancarmi sulla porta, sorrise con gentilezza. Gli occhi di Cyfer saltavano dal mio viso che esprimeva tensione e sfinimento a quello solare e gentile di Jasmine, potevo leggere al loro interno la confusione.
“Sono Jasmine Becketly!” allungò la mano affusolata. Cyfer la guardò, il suo collega era teso alle sue spalle, l’arma in mano e cercava di non perdersi nemmeno una battuta.
“L’hai automatizzata?” seppi immediatamente che la domanda era rivolta a me anche se mentre la poneva Cyfer stava studiando la figura di Jasmine. Lei rise di gusto.
“Anche Mar ha detto la stessa cosa quando mi ha conosciuta. ‘Alan ti ha automatizzata’!” fece un’inverosimile imitazione della mia voce e io strinsi le dita a pugni “Entra, ti spiegherò chi dirige i giochi!”
Cyfer mi lanciò un’occhiata interrogativa, ma io mi limitai a spostarmi di lato per farlo passare. Lui sposò la pistola in modo da potermi tenere sempre sotto tiro, dopo di che fece un breve passo all’interno. Il collega lo seguì coprendogli le spalle. Il cuore mi batteva forte, mentre sembrava che la situazione fosse destinata a peggiorare. La sadica Jasmine da una parte e il bravo agente dall’altra, non sapevo quale delle due morti avrei preferito, forse quella che mi poteva dare Cyfer, almeno sarebbe stata veloce, non ero sicura che Jasmine mi avrebbe fatto lo stesso favore.
“Consegnatemi Dave Sullivan!” ripetè Cyfer, lo sguardo minaccioso puntato prima su me e poi su Jasmine.
“Fai entrare i tuoi colleghi, è grande qui dentro, starete bene!” lo ignorò Jasmine. Erano entrambi freddi, era quasi irreale osservarli parlare l’uno di fronte all’altro mentre la temperatura della stanza sembrava scendere.
“Siete circondate, non avete via di scampo!” si rivolgeva ancora ad entrambe, non aveva ancora capito chi fosse colei che comandava e sembrava non volesse fidarsi di ciò che gli aveva detto Jasmine. Come dargli torto? Lei era sempre così gentile.
“Mi è capitato..” Jasmine prese a camminare verso Cyfer, che aveva i muscoli sempre più tesi “… per caso di udire certi discorsi. Parlo della vostra organizzazione. So che avete degli oggetti che contengono potere e vorrei… come dire… prenderne possesso!”
La pistola di Cyfer si spostò da me per finire puntata contro Jasmine.
“Chi diavolo sei tu?”
“La vera domanda è: chi diavolo credi di essere tu!” la donna sorrise e Cyfer e il collega urlarono all’unisono. Le loro pistole caddero a terra con un tonfo metallico, trattenni il respiro mentre cadevano a terra con gli occhi sbarrati e le urla che squarciavano loro le gole. Jasmine si avvicinò a loro e per prima cosa sfiorò con la punta delle dita la fronte di Cyfer. Lui urlò ancora di più al suo tocco, la zona dove le dita di Jasmine toccavano la sua pelle divenne bianca segno che lei stava imprimendo una piccola pressione su di essa. Socchiuse gli occhi e mormorò qualche parola. Poi scosse la testa e fece la stessa cosa con il suo collega. Scosse la testa nuovamente.
“Questi due sono dei buoni a nulla, non hanno nemmeno una briciola di potere dentro ai loro inutili corpi, vado a controllare gli altri, tu tienili d’occhio!”
Si diresse verso la porta, il sorriso scomparso dal suo volto gentile.
“Non sono la tua  ser…” mi bloccai a metà dell’ultima parola perché lei mi fulminò con lo sguardo di ghiaccio. Quegli occhi mi dicevano una sola cosa: se ci tieni alla tua vita non osare mai più contraddirmi.
Uscì dalla porta lasciandomi sola con i due uomini che ancora urlavano di dolore. Cyfer mi guardava cercando un aiuto, ma non potei far a meno di pensare che si meritava un po’ di tutto quello, se l’era cercata dopotutto. Doveva starne fuori, fin dall’inizio.
“Non posso fare nulla per te, Cyfer!”
Lui parve calmarsi, come se il dolore stesse cessando a poco a poco. Allungò il braccio per cercare di afferrare la pistola, ma fui più rapida e gliela allontanai con un calcio. Mi avvicinai ad essa e l’afferrai. Il metallo era freddo nelle mie mani e l’arma era più pesante di quanto mi aspettassi.
Cyfer mi guardò con il terrore negli occhi di chi sa di avere pochi secondi di vita davanti. Ripensai a quanto fosse stato seccante quell’uomo, alle sue domande insistenti e poco opportune, la sua mania di seguirmi accompagnarmi e controllarmi. Rividi tutti i suoi tentativi di mettermi il bastoni tra le ruote e per un istante immaginai come sarebbero andate le cose se ci fosse riuscito. Probabilmente in quel momento non sarei stata lì, forse Jasmine mi avrebbe già uccisa perché non le ero utile, o forse sarei potuta essere alle Maldive. Non potevo saperlo perché lui, il grande agente che studiava e proteggeva il mondo dalla magia, non era riuscito a fermare una ragazza di 21 anni con un briciolo di potere nelle sue mani. Quasi mi fece pena per il suo misero fallimento.
Con uno scatto tolsi la carica all’arma e la buttai a terra. Cyfer mi guardò in silenzio, il respiro ormai normale, il suo collega sembrava svenuto. Poi guardò le munizioni a terra e l’arma nelle mie mani ormai inservibile.
Ci guardammo per un lungo istante in cui nessuno dei due trovò parole da dire, lui lì a terra e io in piedi a fronteggiarlo. Poi immaginai con chiarezza le sue palpebre divenire pesanti, la stanchezza prendere il sopravvento.
Gli voltai le spalle e mi diressi verso la porta sul fondo dell’atrio, diretta verso le stanza sotterranea. Non ebbi bisogno di voltarmi per sapere che si era addormentato.

 
   
 
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