Thankfully
Katniss Everdeen│Peeta
Mellark│Sae
la Zozza│Haymitch
Abernathy│Effie
Trinket
Non
vedo Peeta da ore, ormai. Haymitch dice che sono noiosa, che non
sopporta più i miei lamenti e che se non fosse per Peeta mi
avrebbe
già uccisa tempo fa. Non ho le forze né la voglia
per rispondergli
a tono, perciò lascio che i suoi maligni brontolii riempiano
il
silenzio della mia casa. Deve essersi stufato di blaterare con il
muro, finalmente; lo sento andarsene sbattendo forte la porta,
trascinandosi dietro il suo nauseabondo olezzo di alcool e vomito.
Rimango
sola, immobile come lo sono da ore – da quando
Peeta se n'è
andato –, lo sguardo fisso fuori dalla finestra
inondata dalla
luce primaverile. Il Distretto 12 si sta lentamente risvegliando dal
quieto torpore invernale. Le primule che Peeta ha piantato nel mio
giardino sono ancora ostinatamente chiuse nel loro bocciolo ed io non
vedo l'ora di rivederle nei vasi sparsi in giro per la casa.
È un
po' come se Prim tornasse da me, anno dopo anno.
Il
ricordo di mia sorella mi fa pensare che, per quanto Peeta cerchi di
convincermi del contrario, io non ho ancora superato ciò che
è
successo. Convivo con i miei sensi di colpa e i miei rimorsi, e
talvolta nemmeno la vicinanza di Peeta riesce a scacciare per un po'
i miei demoni; mi capita ancora di risvegliarmi urlando, nel cuore
della notte. Peeta è lì, pronto a cingermi con un
suo abbraccio, ad
infondermi il suo calore. Il suo profumo di pane e cannella
è la mia
droga. Lo è sempre stato.
Non
so per quanto tempo Sae, Haymitch e persino Effie, che viene a
trovarci almeno tre volte al mese, abbiano dovuto insistere. Ma alla
fine ce l'hanno fatta. Hanno convinto Peeta a riaprire la panetteria.
E questa notizia, per quanto piacevole, mi ha colta di sorpresa.
Durante le nostre tranquille passeggiate in giro per il villaggio a
Peeta capita spesso di bloccarsi davanti ai resti del luogo in cui
tempo viveva con la sua famiglia, i muscoli tesi e le mani strette a
pugno, le nocche bianche per lo sforzo. Evita sempre di guardarmi in
faccia, una volta ripartiti.
Però
il ragazzo del pane è tornato da me, almeno in parte.
È un Peeta
diverso, da riscoprire e apprezzare nuovamente. Io non ho mai smesso
di amarlo. L'ho capito solamente nel momento in cui mi è
stato
portato via. Per i primi anni dopo la fine della guerra il suo
depistaggio ci ha allontanati, ma non è bastato a
distruggere ciò
che avevamo un tempo. Continuiamo a cercarci. Perché
è quello che
facciamo. Ci prendiamo cura l'una dell'altro.
Posso
godere di nuovo delle sue attenzioni, seppur non nell'esatta maniera
che segretamente desidero. A lui non lo dirò mai, ma quando
dormiamo
insieme l'impulso di voltarmi verso il suo viso e baciarlo fino a
togliergli il respiro mi coglie costantemente. Non gli dirò
mai che
ogni genuino sorriso che rivolge a chiunque altro che non sia io mi
fa male davvero. Peeta mi sorride, certo che mi sorride, ma non come
faceva una volta. È sempre un po' abbacchiato, meno vivo.
Gli
episodi distorti del nostro passato hanno instillato in lui il timore
che io non sia del tutto sincera. Che io possa ucciderlo. In quei
casi torna in gioco il “vero o falso?”, per
qualunque minimo
dubbio, ma urlato. Peeta grida cose orribili, a volte, cose che mi
spezzano sempre un po' di più ma al contempo mi spingono a
combattere per riaverlo indietro completamente. Ripenso spesso a
quando mi ha detto che sono una stronza, e vivo con la consapevolezza
di esserlo stata per davvero. Ho giocato con i suoi sentimenti, e con
quelli di Gale, senza sapere cosa sentissi veramente per l'uno o per
l'altro. E alla fine ho scelto il dente di leone che fiorisce a
primavera. Ma quando era già troppo tardi.
─ Katniss!
L'urlo
improvviso di Sae la Zozza mi distoglie bruscamente dai miei
pensieri, riportandomi forzatamente alla realtà. Mi sono
riscoperta
terribilmente sensibile ai cambi d'umore, nell'ultimo periodo, per
cui non mi stupisce l'irritazione che prorompe come un fiume in piena
dentro di me nel sentirmi apostrofare in questo modo.
─ Cosa
vuoi, Sae? ─ bofonchio, seccata, mentre l'anziana donna fa
irruzione in soggiorno con la trotterellante nipote Gretchen appesa a
un braccio. Sae mi squadra da sotto in su con fare indagatore, per
una volta evitando di profondersi in irritanti lamentele sulla mia
mancanza di forme.
─ Avvisarti
che sei in ritardo, ragazza. ─ Sae fa il giro del basso tavolino
ingombro di matite e piccoli schizzi dimenticati da Peeta,
scaraventando sul divano l'innumerevole quantità di
pacchetti di
varie dimensioni che si è portata dietro. Gretchen ridacchia
col suo
consueto fare un po' svagato, portandosi le mani alla bocca. Sento
gli occhi di sua nonna puntati addosso, e dopo un po' mi costringo
controvoglia ad alzare lo sguardo su di lei.
─ Quelli
cosa sono? ─ domando, indicando i pacchetti con aria inquisitoria,
passandomi le dita tra i capelli annodati.
─ Provengono
da Capitol City. È tutto quello che so ─ risponde Sae con
una
scrollata di spalle. Il solo sentire quel nome mi fa stringere i
pugni, mentre il seme della curiosità si instilla dentro di
me
contro la mia stessa volontà.
─ Bene,
grazie di avermeli portati. Più tardi li brucerò.
Sae
inarca un sopracciglio, scuotendo il capo ed accogliendo la nipotina
sulle ginocchia.
─ Non
credo sia una buona idea, sai. C'è una busta, da qualche
parte. ─
Subito mi fiondo sul divano, ormai vinta dall'interesse, poi riemergo
dalla catasta di pacchetti stringendo tra le mani la suddetta busta,
vittoriosa. Mi affretto ad aprirla, impaziente, finché mi
ritrovo
davanti ad un pacchiano bigliettino decorato a motivi floreali e
vergato in un'elegante grafia in inchiostro rosa
scuro. Mi è
orrendamente familiare, ed in un attimo la voglia di strapparlo in
mille pezzi s'impossessa di me.
Per
stasera. Sono sicura che sarà una grande, grande, grande
serata!
Post
scriptum: non fare scherzi di pessimo gusto, Katniss Everdeen.
Sii
educata e indossalo, o ne varrà della tua vita.
Effie
Sae
scoppia a ridere da sopra la mia spalla, e con lei Gretchen, anche se
debolmente. Io mi affloscio contro lo schienale, affranta. Che
diavolo le è saltato in mente!? Non ho nessuna intenzione di
agghindarmi secondo la frivola moda di Capitol City per poi apparire
come una completa idiota agli occhi dell'intero Distretto 12. Fulmino
con lo sguardo i numerosi pacchetti, notando solamente ora gli osceni
colori della carta con cui sono stati impacchettati. Giallo canarino,
verde acido e fucsia mi aggrediscono gli occhi, e sento il bisogno
impellente di scagliarli tutti tra le fiamme crepitanti del
caminetto, se solo fosse acceso.
─ Ti
lascio sola con le tue pene, Everdeen. Io ho da fare. ─ Sae si
congeda così, indirizzandomi un ultimo, divertito sorrisino
di
scherno che altro non fa se non mandarmi ulteriormente su tutte le
furie.
Soffoco
un urlo dentro un cuscino del divano, poi sposto lo sguardo
sull'orologio a pendolo accanto alla libreria. Le sei e dieci.
L'inaugurazione è alle sette precise. Sbuffo, arrabbiata con
Effie e
con il mondo intero, accingendomi a scartare il primo di quella che
mi sembra una serie infinita di regali fatti apposta per torturarmi
psicologicamente. La lieve minaccia di Effie mi rimbomba nelle
orecchie ed un brivido corre lungo tutta la mia spina dorsale.
Il
minuscolo pacchettino che ho tra le mani rivela un fine braccialetto
d'oro tempestato di piccole pietruzze trasparenti che mandano mille
diversi colori a seconda di come le guardi. Nel secondo trovo un paio
di semplici scarpe, dorate anch'esse, con un tacco infinitamente
basso per gli standard di Effie Trinket. Sento
istintivamente
che dovrei iniziare a preoccuparmi, ma ne scarto lo stesso un altro.
Questo contiene una semplice collana (l'ultimo grido in fatto di moda
capitolina dev'essere l'oro, suppongo), il cui
ciondolo è
costituito da un'unica, lucente perla. Mi blocco, lo sguardo fisso
sul pendente. Il profumo della sabbia e dell'acqua salmastra della
mia seconda arena mi riempie le narici e per la prima volta dopo
tanto mi permetto di perdermi nei miei ricordi proibiti. Risento la
fame disperata che mi ha pervasa mentre Peeta, il mio
Peeta,
mi baciava, la sua mano tra i miei capelli, il suo caldo respiro
sulla mia pelle. Mi sento avvampare, al ricordo di quell'episodio
che, me ne rendo conto solo ora, ho gelosamente custodito nelle
profondità del mio cuore spezzato, impedendo a chiunque di
strapparmelo via.
La
roca risata di un Haymitch particolarmente ubriaco nella mia cucina,
una sera di qualche mese fa, riempie il silenzio carico di tensione
in cui sono sprofondata.
“Muori
dalla voglia di saltare addosso a quel ragazzo, non è vero
dolcezza?”
Non
sono mai arrossita tanto come in quell'occasione, visto e considerato
che Peeta si trovava lì con noi. Poi non l'ho più
visto per i
quattro giorni successivi. Gli insulti che ho riversato su Haymitch,
più tardi quella sera, devono essergli bastati per una vita
intera.
Con
l'ennesimo sospiro, afferro tra le mani l'ultimo pacco, il
più
voluminoso. L'ho lasciato apposta alla fine, perché ho
timore di ciò
che può contenere. Con dita tremanti, strappo via la carta
da
regalo. Chiudo gli occhi, tastando alla cieca alla ricerca
dell'apertura. Sollevo delicatamente il coperchio, trattenendo il
fiato. Sono diventata terribilmente melodrammatica, oltre che
sensibile. Me ne rendo conto. Quando li riapro, i miei occhi cercano
di registrare razionalmente ciò che hanno davanti. Effie mi
ha
davvero regalato una cosa del genere?
Tasto
leggermente il soffice tessuto di cui è fatto il mio abito
nuovo di
zecca, cercando invano di trattenere un sorriso di sollievo. Devo
ricordarmi di ringraziarla.
La
gente del Distretto si riversa a ondate all'interno della panetteria.
Persone a me sconosciute mi sorridono grate, altre discutono
allegramente sui loro lavori di ristrutturazione che procedono senza
intoppi. Alcuni bambini, raggruppati attorno ad un tavolo, creano
biscotti dalle mille forme, aiutati dai genitori. Il mio sguardo si
posa su una bimba che avrà sì e no sei anni, che
se ne sta tutta
sola in un angolo del tavolo, gli occhietti bassi e una formina tra
le mani. Sto per scoppiare a piangere, credo, quando vedo Haymitch
precipitarsi verso di lei, sorridente come non l'ho mai visto. Le
gioiose risate di tutti, vecchi e giovani, gente del villaggio e del
Giacimento, rischiarano questo cielo un po' strano e gonfio di
nuvoloni. Nessuno a parte me sembra prestarvi attenzione.
─ Assolutamente
splendida!
Uno
squittio alle mie spalle mi fa voltare di soprassalto, e rischio
quasi di travolgere la vecchia Ripper. La giovane donna che mi
ritrovo davanti è bionda, ha degli enormi occhi azzurri e
indossa un
coloratissimo vestito di tulle dalle maniche a sbuffo. Mi ci vogliono
dieci secondi prima di rendermi conto che questa bellissima donna
è
Effie Trinket.
─ Effie?
Sei... ─ comincio, sinceramente stupita. Dov'è finita la
parrucca
giallo sole che portava appena tre settimane fa? Che fine hanno fatto
i chili di trucco che si metteva in faccia? Effie fa un gesto con la
mano come a voler scacciare una mosca, sorridendomi radiosa.
─ Oh,
non parliamo di me, ti prego! Ti sei vista, tesoro? Sei radiosa.
Arrossisco,
stringendo la gonna del mio vestito con le mani. Quando mi sono
guardata allo specchio, un'ora fa, non potevo credere che la vecchia
Katniss fosse tornata. Per quanto mi senta
decisamente tanto
elegante non posso nascondere di sentirmi a mio agio, in questo corto
abito che, dal bianco più puro, diventa color tramonto
al suo
estremo. Abbraccio Effie di slancio, sentendomi stringere un attimo
dopo. Soffio un sincero “grazie di tutto”
al suo orecchio,
e la sento sorridere di nuovo. Effie si scusa, dicendo di dover
necessariamente andare a controllare che Haymitch non stia combinando
qualche imbarazzante disastro. Io me ne torno alla mia precedente
postazione in un angolo del negozio, lontana da tutto e da tutti,
lontana dalla piccola pista da ballo creata apposta per questo
evento, dove tutti si stanno divertendo come non succedeva da tanto.
Scorgo
Peeta accanto all'enorme forno mentre insegna ad alcune donne come si
fa il pane, e mi perdo nella sua gioia. I suoi sorrisi si estendono
anche ai suoi occhi azzurro cielo, i riccioli biondi sono spettinati
e gli danno un'aria terribilmente tenera che mi fa ricordare per un
attimo il ragazzino che mi ha salvata dalla fame tanti anni fa.
Qualcuno chiama la folla al silenzio e Peeta, uno dei panini che
stava cuocendo tra le mani, si rivolge a noi.
─ Vi
ringrazio per essere venuti, dal profondo del mio cuore ─ comincia,
uno smagliante sorriso a illuminargli il volto. ─ Volevo... volevo
solamente dirvi due parole. In nome di ciò che ho
affrontato, e di
tutto il dolore che ho –abbiamo–
provato, credo che questa
mia decisione vi aiuti a pensare che non sempre tutto è
perduto, se
ci credete. Io ho smarrito me stesso. Ancora oggi lotto per
riappropriarmi di ciò in cui credo, voglio
riavere indietro
il mio passato. ─ Mi sembra che stia guardando nella mia direzione,
ora, per cui mi affretto ad abbassare lo sguardo. Poi Peeta continua
il suo discorso, e mi sembra di sentire un sorriso a stento represso
nella sua voce. ─ Stiamo lentamente tornando alla vita. Tutti
quanti. Insieme ce la faremo. Ed io non sarei qui, ora, se non fosse
per una persona.
Mi
sento bruciare dall'insistenza con cui il suo sguardo sta
scandagliando il mio viso alla ricerca di ogni più piccola
reazione.
Credo che abbiano tutti smesso di respirare. Non vola una mosca.
Rialzo finalmente il capo, incrociando immediatamente quello
scintillante di Peeta. Ora sorride. A me.
La
pagnotta che ha tra le mani sfugge alla sua presa, ed è un
attimo
prima che le fiamme del forno la divorino quasi completamente. Ha
cominciato a piovere a dirotto, fuori.
Peeta
ripesca il pane servendosi di uno dei suoi tanti strumenti, senza mai
distogliere lo sguardo dal mio. So già cosa sta per
succedere. Il
suo braccio si tende, e la pagnotta annerita dal fuoco atterra con un
soffice tonfo ai miei piedi. Sorridiamo nello stesso istante, per una
volta completamente felici. Se lo ricorda. Se lo
ricorda. Se
lo ricorda...
Quasi
mi ero scordata della presenza dei nostri concittadini nella stanza.
Le mie guance vanno di nuovo in fiamme, e così quelle di
Peeta. Mi
chino quanto basta per raccogliere ciò che in passato mi ha
salvata
dalla morte. Strappo il pane a metà, prendendo un pezzo
della parte
non annerita dal fuoco. Mi sento di nuovo piccola, scarna e morente,
bagnata da capo a piedi mentre attendo che la fame mi divori anche
l'anima. E rivedo il gentile ragazzo del pane che mi osserva
attentamente attraverso le grosse gocce di pioggia, e l'impatto della
mano di sua madre contro la sua guancia.
Sbatto
le palpebre, rendendomi conto di dove mi trovo. Vedo che Peeta ha gli
occhi velati di lacrime, ma non so perché. Poi capisco.
Decine
e decine di mani si sono levate, tutt'intorno a noi, tre dita puntate
al cielo.
Significa
grazie, significa ammirazione, significa dire addio a qualcuno che
ami.
Nda:
Beh, sì, ho pubblicato una fan fiction appena tre ore fa. Lo
so.
Ma non uccidetemi, suvvia. Questa è interamente
fluff! Non
siete felici? Dai, lo so che lo siete.
Spero
di non aver fatto disastri con i personaggi. L'ultima cosa che voglio
è che mi siano usciti OOC.
Spero
ardentemente che vi piaccia, sul serio. L'ho appena
scritta e
mi ci sono già affezionata.
Amo
Peeta.
Beh,
lo sapete già.
Orsù
dunque! Rinnovo i miei auguri di buone feste, spero passiate un
Capodanno all'insegna del divertimento e dell'allegria, che sono le
cose più importanti visto lo schifo di periodo che tutti
stiamo
passando a causa di 'sta cazzo di crisi.
Buone
vacanze (e mi raccomando iniziate i compiti presto, non come me, che
aspetterò il 5 per iniziarli) :3
Bacioni!
Veronica