Epilogo
Non
si vedeva più la Spagna.
Nemmeno
le sue creste
irregolari di sabbia bianca, o il bianco accecante delle case sotto il
sole. La
Spagna era sparita, inghiottita dall’immensità del
mare.
Le
spine della sofferenza si
erano conficcate nel suo cuore con più forza quando aveva
abbandonato l’Italia:
aveva salutato la sua patria rannicchiato contro il pavimento
scheggiato di
quella nave maledetta, su cui il fratello aveva perso la vita.
Era
arrivato in Spagna solo e
arrabbiato, ed aveva trovato un padrone violento: credeva che avrebbe
gioito,
nell’abbandonare quel posto pieno di caldo e pomodori.
Poi
era subentrato Antonio, e i
giorni passati alla locanda. Anche se l’Inquisizione aveva
scatenato una
pioggia di veleno nei suoi ricordi, non aveva cancellato le memorie dei
tempi
più dolci.
Il
tempo spensierato in
compagnia di quella scombinata famiglia, le nottate passate nella
stanza
patronale, il cuoco che aveva scelto di esalare l’ultimo
respiro ad un passo
dal reame del mare… per tutte quelle memorie, il suo cuore
aveva versato
qualche lacrima.
Una
mano solleticò il profilo
del suo collo, allungato per scrutare fuori
dall’oblò rudimentale.
«Non
riesci a dormire, Lovino?»
domandò la voce del suo amante, rauca per i residui di sonno.
L’italiano
fu lesto come un
gatto selvatico a strattonare un lenzuolo per coprire le sue
nudità.
Non
sapeva esattamente come
avesse fatto – e forse nemmeno voleva saperlo – ma
Antonio era riuscito a far
valere i suoi diritti su di lui: nessun marinaio lo aveva mai
infastidito. Non
sapeva se attribuire quel fatto a segrete manovre dello spagnolo o
all’espressione trucida che vestiva di solito.
«Questa
sera il mare è troppo
agitato» minimizzò in un brontolio.
Antonio
si issò a sedere e gli
colò addosso, quasi senza nerbo: le braccia
dell’uomo si adagiarono sul suo
grembo, ed il viso si accasciò sulla sua spalla, la bocca
appoggiata alla sua
pelle.
Lovino
si dimenò senza una
reale intenzione di scrollarsi l’amante di dosso: quella
schermaglia di
inseguitore e inseguito era una specie di rituale tra di loro che
andava
mantenuto.
«Sei
pesante» il suo lamento si
acutizzò in uno squittio: le dita dell’uomo,
appoggiate apparentemente a caso,
erano pericolosamente scivolate vicino alla sua intimità.
«E sposta quelle
manacce!» aggiunse, divincolandosi con più vigore.
«Sto
dormendo» comunicò
Antonio. Sopportò gli sgroppamenti di Lovino come un
cavaliere fa con un
cavallo troppo turbolento, e mormorò: «Non sono
responsabile delle mie azioni.»
«Perché,
anche quando dormi,
una parte di te resta sempre in
attività?» scalciò il giovane. La
spudoratezza del compagno gli faceva
spumeggiare il sangue per l’imbarazzo, specie quando erano
soli e senza vestiti
su di un letto, come in quel momento. Al contrario, lo spagnolo
sembrava
nutrirsi della sua vergogna, e più le guance
dell’italiano si arrossavano, più
lui diventava insistente.
«È
colpa tua» mormorò contro il
suo orecchio infuocato.
«Non
darmi la colpa, bastardo!»
si ribellò lui, rigirandosi nel suo abbraccio come un
salmone nella rete del
pescatore.
Un
palmo dell’uomo fece forza
sul suo petto, schiacciandogli la schiena contro il busto del compagno,
mentre
l’altra rimase ferma nell’incavo morbido della sua
coscia.
Lo
spagnolo dovette evitare
l’ennesima gomitata, ed una lamentela fuoriuscì
con il suo respiro:
«Credevo
che mi amassi,
Lovino.»
«Non
l’ho mai detto» s’inasprì
lui.
«L’hai
detto» lo contraddisse
dolcemente Antonio.
La
mano del compagno si strinse
sul suo bicipite, la bocca si appoggiò sulla sua spalla e la
lingua si mosse
nelle tonalità dell’italiano:
«Ti
amo. Hai detto così.»
Per
un istante, le membra del
giovane si raggelarono per la sorpresa. Poi la rabbia le fece diventare
più
roventi del fuoco mentre sibilava:
«Eri
sveglio?»
«Non
potevo dormire, in un
momento del genere» non riuscì a terminare la
frase: il cuscino grezzo si
schiantò sulla sua faccia, ed il ragazzo sgusciò
fuori dalla sua stretta in un
battito di ciglia.
«Ti
odio» sputò, avvolgendosi
le lenzuola attorno al collo e al capo. Quando Antonio
riuscì a togliersi il
guanciale dal viso, al posto del suo amante sul letto si ergeva uno
strano
bozzolo di coperte, aggrovigliato e fumante di collera.
«Lovino…»
un uragano di
lenzuola lo tempestò di colpi, mentre la voce del compagno
esacerbava:
«Stai
lontano!»
L’unica
risoluzione possibile
fu sporgersi verso quell’ammasso in fermento e sedarlo in una
stretta amorevole.
Le braccia dell’ex-capitano cinsero quell’involucro
irrequieto, placando la sua
ribellione contro il proprio cuore.
Se
gli avesse detto quanto lo
aveva reso felice, con quelle parole bisbigliate nella notte,
probabilmente Lovino
lo avrebbe colpito con una testata sul mento. Così si
limitò ad abbracciarlo
più forte, depositando dei baci su quel grumo di pieghe,
dove supponeva si
trovassero le guance e la fronte del giovane. Dal calore del suo corpo
e
dall’intensità del suo silenzio, Lovino avrebbe
capito.
Sarebbe
arrossito, avrebbe
arricciato le labbra in quel suo broncio adorabile, poi sarebbe
sgusciato fuori
per dirgli qualcosa di acido: era il suo modo di arrendersi
all’impetuosità
dell’amante.
Poco
dopo, infatti, un viso
graziosamente corrucciato sbucò da un foro delle lenzuola,
facendolo
assomigliare ad un cammeo incollerito.
«Ti
odio» sbuffò, con meno
vigore e più cedevolezza nella voce.
Lo
spagnolo insinuò una mano
nell’apertura delle coperte, svolgendo piano quel guscio di
tessuto che
avviluppava il suo compagno.
«Peccato»
sorrise Antonio. Lo
adagiò piano sul letto, gli occhi calamitati dallo sguardo
ostile e dalle
guance infiammate. «Perché io ti amo.»
La
sua clavicola assorbì gli
sporadici insulti che Lovino gli barbugliò contro mentre le
sue mani
accarezzavano la muscolatura magra del giovane.
Antonio
chiuse gli occhi, le
dita che percorrevano il corpo dell’italiano, come un cieco
che cerca la strada
di casa. Lovino era la sua occasione, l’unica ed
irrinunciabile.
Accarezzò
i capelli ramati del
ragazzo, appena rovinati dalla vita sul ponte principale; dischiuse le
sue
labbra con le proprie, ancora tiepide dei baci che si erano scambiati
durante
quella notte. Mordicchiò le screpolature che il sole e il
vento pregno di
salsedine avevano aperto sulla bocca del giovane, guadagnandosi un
morso
vendicativo.
Un
ginocchio del ragazzo si
incassò nel suo sterno, quando il pescatore
divaricò le gambe per il suo
amante. Anche se Lovino affermava di averlo fatto senza rendersene
conto,
Antonio sapeva che era la vendetta dell’italiano per essere
stato udito mentre
diceva le parole più imbarazzanti di tutta la sua vita.
Gli
sollevò con garbo il
bacino, senza staccare le labbra dal suo viso.
Erano
dei protagonisti davvero
bizzarri, loro due: Lovino dichiarava di odiarlo, e lo picchiava
perfino nei
loro momenti di intimità; le loro figure plasmate dalla rude
forgia del mare non
possedevano le labbra di rosa, i capelli di seta o la pelle vellutata
degli
eroi delle ballate d’amore.
Tuttavia,
il loro sentimento
non era secondo a quei personaggi inventati: si erano buttati entrambi
nel loro
peggiore incubo pur di salvarsi a vicenda.
Le
gambe asciutte del ragazzo
si strinsero contro il suo bacino e le sue braccia attorno al suo
collo, ed
Antonio baciò con più forza le sue labbra mentre
si spingeva in lui.
Non
erano protagonisti di poesie
o di canzoni sentimentali.
Erano
due persone vere, che
avevano disprezzato i rapporti umani, chi con un sorriso e chi con un
ringhio,
finché non si erano innamorati l’uno
dell’altro.
Ognuno
dei due aveva ricevuto
un’occasione dalla vita. E la strava abbracciando in quel
momento.
***
Un
urlo attutito si infiltrò
nei loro sogni, svegliandoli con un mugugno.
Lovino
si rialzò addentando una
processione di imprecazioni, e Antonio lo imitò con uno
sbuffo infiacchito.
La
sua gamba protestò per
l’umidità di quella cabina e per
l’eccessiva attività notturna. Lo spagnolo
cominciò a rivestirsi, totalmente incurante di quelle
lagnanze: non avrebbe
rinunciato alle notti con Lovino solo per una cicatrice.
Lanciò
un’occhiata alle gambe
ancora scoperte dell’italiano, trovando il sorriso sghembo
della ferita sulla
coscia. I punti erano stati tolti svariato tempo prima, e il ragazzo
aveva
affermato di non avvertire il minimo dolore. Si chiedeva se fosse del
tutto
vero: quando aveva provato a chiederglielo, Lovino gli aveva quasi
fracassato
lo sterno con un pugno.
«Cos’è
questo baccano?»
contestò il ragazzo, irritato per la sveglia indesiderata.
Antonio
non ascoltò la sua
domanda: si portò alle spalle dell’amante, e
lambì con una carezza il ricordo
della ferita. La conseguenza fu una gomitata nel suo stomaco.
«Ti
ho fatto una domanda» gli
ricordò Lovino.
Antonio
sorrise, premendo un
bacio sul suo collo.
«È
la vedetta» sussurrò. «Siamo
arrivati.»
L’italiano
tese l’orecchio, e
riuscì finalmente a distinguere le grida del marinaio
sull’albero maestro:
«Vedo
le luci del porto di
Marsiglia! Prepararsi all’attracco!»
***
Una
strana febbre sembrava aver
agitato le sartine di quell’atelier.
Francis
sospirò teatrale,
rivolgendosi alla ragazzina che cuciva al suo fianco.
«A
cosa è dovuta questa
eccitazione?» domandò, scrollando con eleganza la
chioma dorata.
«È
arrivata, monsieur»
cinguettò quella. Quasi si
conficcò l’ago nelle dita per
l’emozione. «La Queen of
Pirates è arrivata!»
Gli
occhi azzurri del francese
si schiusero per la sorpresa. Sollevò il viso, sorridendo
all’aria frizzante di
aspettative.
«Ne
sono lieto» soggiunse, a
mezza voce. «Quella nave mi deve ancora un
capitano.»
Il
mantello drappeggiò con
eleganza sulle sue spalle, fasciate da una camicia fabbricata dalla sua
stessa
sartoria – quindi di fattura impeccabile, la migliore della
Francia.
«Serata
libera, mademoiselles»
annunciò, spalancando la
porta. «Andiamo ad accogliere quei frigidi inglesi con un
po’ di calore
francese.»
I
loro passi in corsa
rintoccarono fino al porto.
Prosegue in: Stagioni Marsigliesi