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Autore: Queen of Superficial    27/12/2013    2 recensioni
«La maglia dei Kasabian, le camere da letto comunicanti con il tubo dei pompieri, la terra sotto i nostri piedi che sembrava assecondare i nostri passi ogni volta che ci muovevamo per incontrarci. Vicini, eterni, imbattibili.
Poi, la vita.
La vita spesso ha un modo suo di rivelarti le cose. Non te le dispiega davanti come un elenco, una certezza, non te le sottolinea in rosso tre volte per fartele identificare come importanti. No. Le insinua. Silenziosamente. Inesorabilmente. Piccole biglie che si incollano l'una all'altra per creare un disegno, filtrare una luce. Ti rendono edotto di quale sia la realtà, e ti dicono che non importa se quelle che hai vissuto fossero solo illusioni, purché siano state belle.»

Sequel di "Niente virgolette nel titolo". Perché? Lo sa Dio.
Genere: Slice of life | Stato: completa
Tipo di coppia: Nessuna | Personaggi: Christopher Wolstenholme, Dominic Howard, Kate Hudson, Matthew Bellamy, Nuovo personaggio
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Quando abbiamo una reazione graduale il cambiamento di livello energetico è lieve, al punto che possiamo anche non accorgerci che c'è una reazione in corso, come ad esempio quando la ruggine comincia a formarsi sul fondo di un auto; ma quando una reazione avviene in fretta accade che sostanze di per sé innocue interagiscono in modo tale da generare enormi scariche di energia.”
(Prof. Walter White, Breaking Bad)

 

Mi portai una mano alla testa, più che altro per capire se avessi ancora una testa. Una sensazione di umido dietro la nuca mi accese i più elementari campanelli di allarme; non avevo ancora aperto bocca che sentii il peso che avevo addosso alleggerirsi d'un tratto, poi svanire. Cercai di mettere a fuoco, e ci volle tutta la mia concentrazione: vidi Jimmy che mi sollevava.
“Ria”
Il mio nome. Il mio nome mi era entrato in testa dalle orecchie come avvolto nell'ovatta, e adesso galleggiava tra le mie tempie, in un ridondante, asettico ping pong.
“Ria”
Due eco di meno, stavolta.
Aprii la bocca per parlare, per informare chiunque mi stesse chiamando che lo sentivo, certo che lo sentivo.
Battei le palpebre più e più volte con forza: la stanza smise un poco di girare. Cercai di nuovo di mettere a fuoco. Nulla più che ombre confuse, come se stessi guardando la slow motion di soggetti che si muovevano a velocità supersonica. Provai allora a sentire il mio corpo: disteso, senza dubbio. Su una superficie morbida, il divano?, il letto?, la nuca leggermente in trazione perché sollevata, un cuscino?, le mani, riuscivo a muovere le mani?, riuscivo ad alzare un braccio?
“Ria”
Chiusi gli occhi. Il viso di mia madre stanco di sonno in una vecchia fotografia. Deli, Deli, Deli cantilenava qualcuno, zia Barbara?, in un video che chissà dove era andato a finire. Qualcuno premette il tasto stop. Mi voltai di scatto, anche se ero consapevole di non aver fatto, in realtà, alcun movimento: la stanza nella mia mente divenne la camera da letto degli ospiti che zia Barbara aveva fatto ridipingere apposta per me e Splinter, ad Huntington Beach. Sentii i capelli frustarmi il viso a seguito di quel movimento repentino. Non aveva senso. Io non avevo senso. Perché quel ricordo? Ah, sì. Qualcuno chiamava aiuto, da in fondo alle scale. Corsi a vedere cos'era accaduto: riverso a terra c'era un corpo. Il corpo di chi?
Il corpo di Cristo. Una nuova immagine si sovrappose alla precedente: una chiesa gotica assillata da un numero imprecisato di austere vetrate. “James, smettila!”, sibilava stizzita zia Barbara. Io non facevo che ridere: avevo otto anni e la spinosa questione dei denti da latte mi aveva appena abbattuto entrambi gli incisivi. Mi vergognavo molto, ma Jimmy non faceva che farmi ridere. Vedi? Sei bellissima. E io cedevo, e ridevo. Non avevamo fatto altro che darci di gomito per tutta la funzione: una volta fuori, era sparito dietro la chiesa per fumarsi una sigaretta con gli amici. Lo avevo seguito trotterellando, e gli stavo abbarbicata alla vita con tutte e due le braccia mentre lui rideva, chiacchierava e fumava scomodissimo, tutto storto e col viso rivolto in su, per evitare di intossicarmi: la sua già allora presa di ferro, saldamente intorno a me.
Jimmy, ecco cosa volevo dire.
Jimmy.
Dissi, invece, “Cristo!”, e mi tirai a sedere.
Il mio salone era tornato dove si trovava prima che io venissi sbattuta con il cervelletto a terra dal frontman dei Muse; la mia migliore amica, accigliata come un giovane gufo, mi porgeva, studiandomi, un involtino di tessuto che fumava gelido; Jimmy, in piedi dietro di lei, mi guardava spaventato e si teneva una mano sul cuore sorretto da mia sorella. Sfilai alla velocità della luce l'involtino di mano a Bliss e mi alzai in piedi; barcollai vistosamente; Jimmy si protese in avanti per aiutarmi e vacillò a sua volta; Bliss, in qualche modo che sfugge alle leggi della fisica, ci afferrò entrambi e ci sistemò a sedere sul divano: quando Jimmy disse “Non agitate Ria”, Splinter si voltò e gli tirò il primo, unico e ultimo schiaffo che l'avrei mai vista mollare a qualcuno nella vita.
Jimmy la fissò allibito, e lei gli puntò contro un indice perentorio: “Se vai a finire all'ospedale, non siamo noi quelle che la agitano. Resta lucido. Mi hai capito? James? Resta lucido!”
“Ho capito!”
“Bene!”
Bliss mi poggiò una mano affettuosa sulla fronte, poi mi abbassò la testa per controllarmi la nuca: a quel punto mia sorella, con le dita sul collo di Jimmy e gli occhi all'orologio da polso, si voltò repentina.
“Dove sta quel deficiente di Bellamy?”, articolò, contando tra sé e sé.
Un mugolio vago si alzò oltre il tavolino dell'ingresso: Bliss sbuffò sonoramente, si voltò, raggiunse il punto da cui proveniva il lamento e colpì ripetutamente ciò che si trovava lì a terra con la punta del piede, producendone un mugolio più acuto.
“E' vivo.”, ci informò. Poi lo sollevò con tutta la grazia che le riuscì e lo gettò a peso morto in poltrona: “Ti diffido dal tentare di nuovo di ammazzarmi la migliore amica: una ce ne ho ed è pure in piedi per miracolo.”
Mia sorella si produsse in un sonoro sbuffo, si acciambellò sull'unico punto libero del divano e prese a massaggiarsi le tempie: “Lo sapete che ore sono?”
“Ohi ohi ohi ohi ohi”, proruppe Bellamy, svaccato in poltrona.
Bliss alzò gli occhi al cielo mentre, senza neanche guardare cosa stava facendo, apriva un blister di pillole, ne cacciava due in bocca a Jimmy e gli chiudeva la mascella come una tagliola.
“Ingoia, tu. Dunque, quale funesto piacere ti porta qui a quest'ora antidiluviana, Matthew?”
Seguitai a battere le palpebre.
“Dove eravate voi due?”, articolai, rivolta a Bliss e Splinter.
“Facevamo alcune commissioni per il piano B.”
“Sanguino! Fa malissimo!”
Alzai gli occhi verso Matt: un graffio vermiglio gli sfigurava il mento, e un po' di sangue stava iniziando a colare sul colletto della t-shirt.
“Dev'essere stato il tuo anello.”, ipotizzò Bliss grossomodo nella mia direzione, porgendo un tovagliolo di carta al sofferente.
“Quale anello?”, domandò Matt, intontito.
Mi rizzai in piedi a fatica, nonostante le mute proteste di Jimmy, e mi avvicinai al mio ex tenendomi il ghiaccio ben premuto dietro la nuca.
“Il mio anello. Sei ubriaco?”
“Sono ubriaco e devo dirti delle cose. Quale anello?”
“Il mio. Vogliamo uscire in terrazza?”
“Io lo faccio fuori.”, Jimmy.
“Jimmy, le coronarie.”, Bliss.
“Fanculo le coronarie.”, Jimmy.
“James non fare i capricci!”, Splinter, iraconda.
“Allora?”, io.
Matt mi rivolse uno sguardo spaesato e disse, o almeno tentò: “Non so se sono in grado di camminare.”
“Sei in grado. Io ne sono in grado, e mi sei franato addosso.”
Assottigliò gli occhi e parve spendere una grande quantità di energia a fare mente locale: improvvisamente, si riebbe. “Hai ragione. Scusa. Ti ho fatto molto male? Non l'ho fatto apposta. Quale anello?”
“Alzati.”
Appena all'aria fresca, gettai indietro la testa e presi una generosa boccata di freddo notturno londinese: la nebbiolina che ancora mi avvolgeva le idee si diradò di colpo, uscendosene per il naso diretta al fiume.
“Non faccio altro che bere.”, disse Matt, più come informazione che come ammissione, tamponandosi senza requie il taglio sul mento.
“Fammi vedere.”
Il sangue si era fermato, e ora la ferita aveva un che di tragicomico, addosso a lui, se si consideravano anche gli aspetti allegorici.
“Cos'è quello?”, disse, all'improvviso.
Distolsi gli occhi dal taglio, e mi accorsi che mi osservava con insistenza la mano sinistra.
“Un anello.”
“Fin lì c'ero.”
Tacqui, mi voltai a destra e a sinistra, constatai la vuotezza dei nostri due splendidi tavolini in ferro battuto, picchiai il pugno contro il vetro, ottenni l'attenzione di Bliss e le feci il segno universale del dammi immediatamente una sigaretta e una pistola a tamburo.
“Non mi ricordo questo anello.”, mi informò Matt, guardando nel vuoto.
“Stai facendo il finto tonto.”, replicai, allungando una mano oltre la portafinestra per afferrare il pacchetto di Marlboro, poi mi voltai.
“Perché sei qui?”
“Ho delle cose da dirti.”
Mi accesi una sigaretta, sulle spine.
“Io ci tengo davvero a riavere Bing: è la mia ragione di vita.”
“Come è giusto che sia.”, dissi, con la netta sensazione di galleggiare nell'ovvio.
Aspirò forte aria fredda reggendosi alla ringhiera e i suoi zigomi crearono due nette ombre in contrasto con la fioca lampada da terrazzo che qualcuno aveva avuto la sana idea di mettere fuori: sorrisi.
“Il punto è che non so se ci tengo a riavere Kate.”
Silenzio.
“Forse ho fatto uno sbaglio, con lei. Forse non ho fatto altro che sbagliare con ogni passo che mi ha allontanato da te.”
Soffiai sonoramente via il fumo e mi voltai a guardarlo, granitica.
“Quando l'altra sera ci siamo detti che ci amiamo ancora...”
“... parlavamo di scie chimiche. Di ombre. Di ricordi. Sei stato tu a dirmi, su questo preciso marciapiede che vediamo da qui, che hai fatto una scelta: e hai scelto lei. Ora, quale coltello vorresti rigirare in quale piaga, esattamente?”
Sorrise, amaro.
“Scie chimiche? Questo è tutto quel che è rimasto?”
Gettai il mozzicone al di là della ringhiera e mi voltai, esausta. Tutta la stanchezza mentale che non avevo davvero avuto modo di avvertire in quei rocamboleschi giorni mi travolse come una valanga.
“Ascoltami, Matthew Bellamy. Non è per una scia chimica che io sono qui a cercare di salvarti la vita, e non è perché mi sento parzialmente responsabile della distruzione che ti si sta abbattendo attorno, perché sappiamo tutti e due, e lo sappiamo benissimo, che se non fosse stato questo a mettere alla prova il tuo rapporto con tua moglie, avresti fatto senza dubbio qualcos'altro. Perché tu fai così. Tu sei così. Tu arrivi, e smonti, e sfasci con quell'aria remissiva da genio incompreso, quando in realtà è tua precisa intenzione renderti incomprensibile. Inafferrabile. Perché questo è quel che ti fa sentire vivo. Dunque sì, è vero, c'entro io in questa incresciosa situazione, ma c'entro in maniera puramente incidentale: avresti fatto comunque qualcosa, prima o poi, che avrebbe rischiato di mandare a gambe all'aria la tua relazione con Kate. Tu fai sempre, Cristo, sempre qualcosa che rischia di mandare a gambe all'aria la tua relazione con chiunque. Lo hai fatto con Dana iniziando una storia con me, la figlia del suo amante, e lo hai fatto con me iniziando una storia con Kate: e con me, anche se a questo lei non ci arriva, hai avuto bisogno di essere proprio plateale, e me l'hai messa al culo dopo una richiesta di matrimonio strappacuore davanti a migliaia di persone, perché sono sopravvissuta a tutte le tue precedenti stramberie che, se ricordi, non sono state poche, e a dirla tutta nemmeno leggere. Per citarne un paio, il ritorno di fiamma con Dana e la storia con Lily Allen. Dunque, cosa ti aspetti che io ti risponda a questa ennesima dichiarazione di lana caprina? Che delle tue parole non me ne faccio niente se non sono cantate su una musica, perché è questa l'unica risposta possibile. L'unica che mi hai lasciato da darti. E sto qui, nel cuore della notte, a sprecare fiato e ed energie per spiegarti qualcosa che non vuoi capire, mentre un intero bastimento di persone a me care con delle vite e delle carriere da mandare avanti sono tutte qui a perdere il loro tempo per cercare di salvarti il culo in nome dell'affetto che portano a me, perché sanno che io ci tengo a te, e senza chiedermene il motivo spendono notti e giorni a cercare di risolvere i problemi che tu hai, ancora una volta, creato. E mi sembra orribile, francamente disumano, che tu venga a dirmi che rivuoi Bing ma non rivuoi Kate: che vuoi me al suo posto.”
Matt si strinse nelle spalle, indecifrabile.
“Kate dice che preferirebbe Jimmy.”, disse, affilato, tentando forse la via della provocazione.
“Me ne fotto di quello che preferisce Kate! Io preferisco Jimmy. E, a questo proposito, mai più nella vita mi piomberai a casa senza avvertire talmente ubriaco da essere incapace di reggerti in piedi, rischiando di fargli venire un infarto. Mi sono spiegata?”
“Mi stai congedando?”
“Mi sono spiegata?”
Tacque. Tremando, valicai la portafinestra trovando in salotto anche Synyster, Fleur e Shadows, tutti e tre ancora tiepidi di sonno; mi approssimai al cordless, quasi lo strappai dalla base, e composi rabbiosamente un numero.
Dominic rispose al terzo squillo.
“Vienitelo a riprendere. Di nuovo.”
Respiravo pesantemente; allungai una mano alla cieca per cercare una sigaretta sul tavolino. Non pensavo a niente in particolare, se non alla rabbia pura, incolore, della presa in giro. Al posto della sigaretta, trovai delle dita e un sorriso affettuso: risposi come potevo, localizzando poi un pacchetto abbandonato sul divano. Matt era rimasto in terrazza, punto forse sul vivo da quelle poche parti di discorso che aveva incamerato – non mi ascoltava mai, non sul serio - e io mi accesi un'altra Marlboro, camminando su e giù, incapace di stare ferma.
Ciascuno dei miei cari, imbalsamato nella propria posizione senza dire una parola: guardai Shadows, pensieroso, a braccia conserte; Synyster, che fissava un punto davanti a sé, marmoreo; Fleur, imbambolato nella sua espressione più neutra, in piedi accanto agli altri due; mia sorella in poltrona, con le gambe raccolte e una sigaretta tra le dita; Bliss, seduta all'indiana di fianco a Jimmy, che scrutava meditabondo il tappeto.
“Quel tappeto è osceno. Dobbiamo ricordarci di dargli fuoco, una volta o l'altra.”
Nessuno rispose. Nessuno rise. Nessuno disse nulla. Mi tormentai un'unghia tra le labbra, sbuffando fumo e nervosismo.
Gettai un'occhiata al vetro della portafinestra: Matt sostava lì, fumando di spalle a noi, padrone in una casa non sua. Padrone di quel divano, di quel tappeto, di quella ragazza che adesso si ribellava a lui come una figlia adolescente e arrabbiata col mondo. Mi avvicinai a passo di carica e bussai sulla superficie trasparente che ci divideva. Si voltò al rallentatore.
“Sei stato qui più che abbastanza: ci vediamo quando dobbiamo vederci.”
Chiuse gli occhi, e quando li riaprì la sua espressione era tornata quella del giovane uomo delle foto nella mia stanza, ancora pieno di aspettative e orizzonti da conquistare. Col taglio ormai cicatrizzato sul viso, mi rivolse uno sguardo terribilmente nostro, mi sorpassò e si fermò giusto un attimo, dopo aver aperto la porta d'ingresso: “Col senno di poi, avrei scelto te.”
Mi voltai verso di lui, tesa come una corda e limpida come un campanello: “Col senno di poi, io decisamente no.”
Accennò un sorriso e si chiuse l'uscio alle spalle.
Dopo alcuni secondi di silenzio, mentre i miei occhi indugiavano sulle scanalature del parquet, mi raggiunse le orecchie il suono più spontaneo, inatteso e strano del mondo: un applauso.
Un applauso scrosciante, cardiaco e imponente, condito da urla di approvazione.
Alzai lo sguardo su di loro.
Shadows era già a pochi passi da me: mi sollevò in aria e mi fece fare una giravolta. “Bra-va.”, sillabò, affettuoso.
Mia sorella si alzò dalla poltrona, trionfante.
“Finalmente”, disse, “gliene hai dette quattro.”
Jimmy si tirò su dal divano, stabile e tranquillo: non saprei dire se aveva applaudito anche lui, oppure no. L'unica cosa che so è che avanzò cauto e comprensivo verso di me e mi rivolse lo sguardo più bello che, fino a quel momento, riuscissi a ricordare: le sue braccia mi chiusero in un rifugio gentile giusto un millesimo di secondo prima che scoppiassi in un torrente scomposto di lacrime.

 

La differenza fra un buon colpo e un cattivo colpo è la stessa che passa fra una bella donna e una donna comune: è una questione di millimetri.”
(Ian Fleming, Missione Goldfinger)

 

Avevo dormito, in tutto, quattro ore.
Continuavo a svegliarmi, a rigirarmi, a scuotere Jimmy per assicurarmi che respirasse.
“Piccola, hai rotto il cazzo.”, divenne la hit di quella notte.
Verso le sette, quando l'alba era già alta, prima della mia ultima ora di sonno della giornata, me ne stavo a occhi spalancati verso il soffitto, in esilio da me stessa.
Mi accoccolai addosso a lui, che allungò automaticamente un braccio per circondarmi e per poco non mi perforò una costola.
“Cos'hai” chiese, con la voce impastata di sonno.
“Te addosso, dunque tutto bene.”
Ero dentro una sua maglia, di fianco a lui e in un letto impregnato del suo odore: niente al mondo, in quel momento, avrebbe potuto turbare la mia quiete. Eppure, i fantasmi.
Chiusi gli occhi un attimo e mi svegliai tempo dopo con un braccio in cancrena: mi districai a fatica dal viluppo, afferrai l'anello dal comodino, lo infilai, spalancai la porta, la richiusi, mi sfuggì di mano, sbattè, “Vaffanculo!”, “Scusa.”, “E cazzo!”, risi, arrivai in punta di piedi in cucina, repressi un urlo.
“Che c'è.”, mi chiese Bliss con una tazza di caffè in mano, le pantofole a forma di coniglio, la vestaglia rosa e una maschera all'argilla bianca in faccia.
Risi di nuovo.
“Quanto ridi stamattina. Soffri di bruttissime oscillazioni di umore, te l'hanno mai detto? Fatti vedere da un neurologo.”
Le feci una smorfia, appropriandomi di una tazza: “Notizie del piano B?”
“Aspettiamo Nishe e Andrea tra un'oretta, dopodiché andiamo in redazione.”
“In redazione? Al Sun?”, io.
“No, al Corriere della Sera.”, Bliss.
“Sei simpatica.”, io.
“E tu ora te ne accorgi?”, Bliss.
“E cosa facciamo in redazione?”, io, prendendo un sorso di caffé.
“Ci travestiamo e sostituiamo quell'articolo.”
Sputai il caffé.
“E' questo, il piano B?”
“Cosa ti aspettavi?”, Bliss, serafica.
“E il piano C?”, domandai, preoccupata.
“Non c'è, il piano C.”, mi informò mia sorella, svolazzando dalla porta in vestaglia cremisi diretta al lavabo.
Mentre si versava una generosa dose di tè in una tazza decisamente ridicola, si voltò, punta da un pensiero: “L'avete detto a Shadows?”
“Detto cosa?”, domandammo quasi in coro, interdette.
“La segretaria all'ingresso.”, Splinter.
“Eh.”, noi.
Mia sorella ci guardò come se fossimo appena uscite da una piccola astronave trasportata a zampe da un piccione albino.
“E' una donna!”, disse, sottolineando l'ovvio.
Shadows si manifestò sudato come un torero, sventolandosi con un asciugamano.
“Io sono un uomo rispettabile, con una carriera e una fidanzata: mi state facendo diventare una troia.”
Gli misi una tazza in mano, incoraggiandolo a coprirsi i denti il cui riverbero, complice il sole, ci stava facendo rischiare la cornea.
“Da dove torni?”, chiesi, affabile.
“Dall'allenamento.”
“Con questo tempo?”
“Con questo freddo?”
“Con questo umido?”
Si asciugò il viso e dietro la nuca, esibendo i pantaloncini, quindi ci istruì: “Con tutte le cose che avete detto, più una quantità preoccupante di vecchie che fanno la spesa fottutamente presto; una delle quali mi ha toccato il culo mentre facevo stretching.”
“Beh, se ti avessi visto a novanta gradi per strada probabilmente anche io ti avrei toccato il culo.”, dissi, partecipe.
“Grazie, questo mi rassicura.”
“Figurati.”
“Che succede?”, Jimmy, entrando come al solito a torso nudo e con i capelli in disordine.
“La tua promessa sposa mi sta facendo avances sessuali.”, Shadows.
“Splendido.”, Jimmy.
“Ha detto che se mi avesse visto fare stretching in strada mi avrebbe toccato il culo.”, Shadows.
“Come darle torto, anche io avrei avuto la tentazione.”, Jimmy.
“Perché non ti lasci punzecchiare? Sono stanco, sudato e insoddisfatto e devo pure andare di nuovo a fare il prostituto.”, Shadows.
“Il cosa?”, Jimmy.
Gli misi in mano una tazza e un tenero bacio a labbra chiuse.
“Per le Sette Opere di Misericordia, siete stucchevoli.”, proruppe Bliss.
“No, davvero.”, le diede manforte quella volpe di Splinter.
Sbuffai, seguendo il suono del campanello; non appena aprii la porta, Nishe si sfilò gli occhiali da sole e un foulard nero dalla testa: “Buondì. Siamo pronte per l'operazione Topo Morto.”
Voltandomi sgomenta, sbattei addosso a Synyster.
“Brian.”
“Dimmi.”
Sospirai di sconforto.
“Niente, portami in bagno a cavalluccio.”
“Per quale motivo.”
“Portamici e basta.”
“D'accordo.”
Mentre saltavo sulle spalle di Gates, sentii distintamente Jimmy dire: “E' matta.”
“Da quale pulpito.”, sussurrai, mentre sbandavamo a destra e a sinistra per il corridoio.
“Posso dire a sua discolpa che non si è mai fatto portare a cavalluccio da nessuna parte.”, lo difese Synyster.
“E certo. Quando lo alzavi.”, rettificai, smontando dal destriero in prossimità della porta del bagno.

 

Jane?”
“Alexander.”
“Do you remember that day you fell out of my window?”
“I sure do, you came jumping right after me.”
“Well, you fell on the concrete, nearly broke your ass and you were bleeding all over the place
and I rushed you up to the hospital, do you remember that?”
“Yes, I do.”
“Well, there's something I never told you about that night.”
“What didn't you tell me?”
“While you were sitting in the backseat, smoking a cigarette you thought was gonna be your last
I was falling deep, deeply in love with you.”
Home, let me come home, home is wherever I'm with you.
(Edward Sharpe and the Magnetic Zeros, Home)

 

“Io non me lo metto, quell'affare ridicolo.”
Bliss pinzava a due dita un pantacollant di un'arancione sgargiante.
“Devi sembrare una stagista.”, sospirò Splinter, seduta aggraziatamente sul tavolo.
“Tu quando eri stagista indossavi questa roba?”, domandò Bliss, sospettosa.
Mia sorella sospirò. “E' un capitolo oscuro della mia vita che preferisco rimuovere. E comunque non ero stagista, ero assistente.”
Intrapresi la traversata della cucina in un tailleur gonna e giacca decisamente inopportuno, secondo il mio personale senso della comodità.
“Da cosa è vestita Ria, da porno segretaria?”, chiese serafico Synyster, appoggiato al frigo.
“Tu non vai da nessuna parte vestita in quel modo.”, soggiunse Jimmy, fermo, “Da nessuna parte che non sia la camera da letto in questo istante.”
“James, puoi evitare?”, mia sorella, interdetta.
“Quando te ne farai una ragione, Splinter?”, Shadows, ragionevole.
“Il matrimonio è in vista, dunque, diciamo che inizierò a riuscire a convivere con la cosa verso il funerale di uno dei due.”
“Suona promettente.”, commentò Synyster.
Era esasperante. Non riuscivo neanche a sedermi.
“Non devi sederti: devi camminare.”
“Su questi trampoli?”
“No, hai ragione. Mettiamoci Shadows, sui trampoli. Può darsi che la situazione svolti.”
“Non ne troviamo nemmeno a Camden Town nei negozi per transgender di decolletè della sua misura.”, Splinter, pratica.
“Non cincischiamo: chiariamo piuttosto, nuovamente, i ruoli.”, intervenne Nishe, scacciando mosche immaginarie con la mano mentre guadagnava il centro della cucina.
Cincischiamo.” sussurrò Bliss, sbigottita, e mi fratturai lo sterno nel tentativo di non ridere.
“Li conosciamo: devo piantare un casino fingendo di pretendere di voler leggere l'articolo e Ann e Nishe fingono di essere i miei avvocati. Mentre Bliss si veste da zucca e scambia gli articoli in sala Articoli in Stampa, la cui legittima sorvegliante verrà ipnotizzata da Shadows .”, dissi, sbuffando.
“Tu che ne pensi, Jimbo?”, si informò Shadows, alzando le sopracciglia.
Jimmy armeggiava con la macchinetta del caffè, dandoci le spalle: “Che le ragazze hanno voglia di giocare alle Charlie's Angels.”, disse, tranquillo. Andai a sfilargli l'aggeggio di mano, ci misi l'acqua, il caffè, dunque glielo porsi di nuovo: “Ora puoi chiuderlo.”
“Perfetto, in questa casa non si berrà mai più caffè.”
Mi voltai verso Bliss: “Perché?”
“Tu credi davvero che qui ci sia qualcuno in grado di svitare una macchinetta avvitata da Jimmy?”
Lo guardai, gli tolsi di nuovo la bricca di mano e la avvitai io.
“Va bene, non abbiamo molto tempo. Andiamo.”, disse Splinter, esortandoci a sciamare all'esterno.
Porsi distrattamente una mano ad Ann seduta sul tavolo per aiutarla a scendere, cercai la borsa e mi avviai alla porta.
“Ria.”
Sull'uscio, girai la testa per guardare Splinter.
“Sì?”
Si picchiettò il dito indice della mano destra sull'anulare della sinistra. Abbassai gli occhi sull'anello.
“Allora?”

 

I want to be free from desolation and despair.

 

Nishe si voltava a destra e a sinistra con aria spaesata in un lunghissimo corridoio di porte tutte uguali, nel quartier generale del Sun.
“Credo di aver preso un grillo.”, disse, grattandosi la testa.
“Si dice aver preso un granchio.”, la corresse Ann.
L'altra si voltò al ralenti: “Non ho mai avuto particolare simpatia verso i granchi.”
Scoppiai a ridere e rischiai di farmi esplodere la giacca.
“Ricapitoliamo”, disse Splinter nel mio auricolare, “Avanzi con passo marziale verso l'ufficio del direttore e sbraiti. Di' ad Ann di mettersi gli occhiali.”
Bliss si guardava sconsolata i pantacollant arancioni.
“Penso sia per di là.”, disse Ann, puntando l'indice grossomodo a caso.
“Andiamo.”, esortai, prendendo un bel respiro.
Valicammo un numero imprecisato di corridoi e porte a vetri, con tutti gli occhi degli addetti ai lavori addosso, finché non identificai una targhetta caporedattore. Bloccai la carovana.
“E' sbagliato.”
Nishe sospirò. “Lo sappiamo. Non abbiamo alternative.”
Un pensiero mi frullò in testa e abbatté le poche barriere restanti. Non avevo mai avuto la capacità di generare teatrini: gestirli, era un'altra cosa.
“Sì che ce l'abbiamo.”, dissi.
“D'accordo”, acconsentì Nishe, stanca, “Allora mettiamola così: non abbiamo tempo.”
Mi squillò il telefono.
“Ria?”
Mi si gelò il sangue.
“Kate?”
“Ho bisogno di chiederti una cosa.”
“Ho bisogno che ritiri quell'articolo.”
Sospirò.
Le altre mi si agitarono intorno: le placai, stizzita, con una mano.
“Posso chiamare anche adesso per posticiparne l'uscita: prima di decidere se farlo pubblicare o meno però ho bisogno di chiederti una cosa.”
“Va bene.”, dissi.
“Posso parlare con Jimmy?”
“Prego?”
Un prego così forte che saltarono tutti e quattro, affianco a me.
“Vorrei parlare con Jimmy. Questa sera. A cena.”
Mi si bloccò il fiato in gola. Stavo per dirle: penso che ti strapperò la vena femorale con due bacchette da sushi. Dissi: “Ti richiamo.”
“L'articolo andrà prestissimo in stampa: vedi di fare in fretta. Hai, diciamo, un paio d'ore.”
Attaccai.
Otto paia di occhi mi fissavano interdetti.
“Io... Io non...”
“Cos'è questa voce sottile che hai, Ria? Dobbiamo fare in fretta, non abbiamo molto tempo, e credo che”, mi chiese Shadows, studiandomi.
“Matthew.”, dissi, per la prima e ultima volta in vita mia, “Stai un attimo zitto e ascoltami.”
Un quarto d'ora dopo eravamo quasi sotto casa: in macchina regnava un silenzio pesante, ad eccezione di Bliss che a quanto pare non riusciva a esimersi dal ridere a crepapelle da quando avevo verbalizzato la situazione al resto del gruppo.
Congedai Nishe ed Ann e dissi loro che ci saremmo sentite a pomeriggio inoltrato.
Spalancai la porta di casa.
In salotto, Jimmy, Synyster, Splinter e Fleur si voltarono in sincrono verso di me.
“Già di ritorno? Com'è andata? Avete sostituito l'articolo?”, chiese mia sorella, baldanzosa.
“Hai presente Annie Lennox in Walking on broken glass?”, Bliss.
“Adoro quel video.”, Fleur.
“Fate silenzio tutti.”, io, gettando la giacca sulla spalliera del divano, tirandomi la camicia fuori dalla gonna, scalciando le scarpe, il tutto sbandando in corridoio per raggiungere la camera da letto.
“Cos'ha Ria?”, chiese Synyster alle mie spalle.
“E' meglio che ve lo dica lei.”, sentii dire a Shadows mentre chiudevo la porta.
Riemersi dalla stanza in un pantacollant e un maglione oversize.
“Non abbiamo sostituito l'articolo.”
“Come?”, urlò mia sorella.
“Ho ricevuto una telefonata.”
“Da chi? Come minimo da Dio, perché non vedo chi altri avrebbe potuto...”
“Da Kate.”
Synyster aggrottò le sopracciglia: “Da Kate Kate?”
“No, Brian, da Kate Middleton.”
Jimmy mi guardò, serio: “Cosa voleva?”
“Parlare con te.”, gli risposi, indugiando con lo sguardo sulla curva delle sue labbra. Non so perché proprio lì. Calò un silenzio carico di elettricità.
“A cena. Vuole parlare con te a cena.”
Silenzio.
“Dice che farà almeno posticipare la data d'uscita dell'articolo, se accadrà.”
“Ria non è d'accordissimo.”, intervenne Shadows.
“Possiamo dire così, oppure possiamo dire che se fino a qualche ora fa difendeva la legittima ragione di Kate adesso avrebbe piacere a cavarle gli occhi.”, Bliss.
“Non vedo la necessità che vadano a cena insieme, francamente.”, dissi, cercando di suonare diplomatica.
Non mi credette nessuno: neanche io.
Afferrai le sigarette e me ne andai in terrazza.
Questa sensazione divorante, corrosiva, questo fuoco nelle orecchie. Tutte cose che non ero abituata a provare a una tale intensità, e con una tale ferocia che minacciavano di togliermi il respiro. Mi rigirai l'anello sul dito, inquieta.
“Piccola?”
Mi voltai: non avevo idea di che espressione avessi in faccia, mi faceva male la nuca e sentivo calore divamparmi in ogni cellula, ma mi voltai lo stesso a guardarlo. Aveva addosso la mia maglia preferita, quella con una fantasia di chiavi bianche su sfondo nero priva di qualunque senso ontologico. Era uscito in terrazzo a maniche corte, in barba alla California e alle abitudini. Aveva le mani nelle tasche dei pantaloni della tuta, i capelli in ordine precario e mi fissava con un'espressione incastrata tra il soddisfatto e l'indecifrabile.
“Lo trovi divertente, Jimmy?”
Come prevedibile, scoppiò a ridere e si strinse nelle spalle.
“La tua faccia è di un'interessante sfumatura tra il rosso e il viola, sai?”
Guardai altrove, risentita.
Non riuscì a trattenere un'altra risata, piena di tenerezza, avanzò lentamente verso di me e mi chiuse tra le sue braccia.
“Sei gelosa?”
Feci cenno di sì contro il suo petto: non riuscivo a nascondere un cocente imbarazzo.
“Se vuole parlarmi a cena, e questo può servire in qualche modo a sistemare la maledetta situazione...”
Lo abbracciai a mia volta e tirai su il mento per guardarlo: “Sono tremendamente gelosa.”
“Sai che puoi fidarti di me.”, mi rispose, senza centrare minimamente il punto.
Gettai uno sguardo furtivo oltre la portafinestra: tutti i presenti in salotto sobbalzarono e distolsero velocemente lo sguardo, fingendo di star facendo altro.
Sorrisi mesta e mi tirai Jimmy in un angolo cieco, dove nessuno avrebbe potuto vederci: rivolsi uno sguardo truce al suo palese divertimento.
Raccolsi le idee e incrociai le braccia: mi guardava come se si trattenesse dallo scoppiare nella risata più fragorosa della sua vita, in attesa.
“Senti.”, dissi, a disagio, “Non ho mai fatto la femme fatale con te, e non ho intenzione di cominciare ora.”
“Quindi?”
“Quindi, io...”
La facoltà di linguaggio, già naturalmente compromessa dalla mia preoccupante tendenza a inciampare nei concetti quando sarebbe necessaria la massima linearità di pensiero, non mi aiutava. Mi bloccai all'inizio della frase, continuando a balbettare io, io, io.
“Ascoltami, Ria; ascoltami bene. Noi due non abbiamo di questi problemi: siamo cresciuti insieme, ci conosciamo da una vita. Non siamo piombati l'uno nella quotidianità dell'altra all'improvviso, come tutte le coppie normali, e le conversazioni più serie che abbiamo avuto sono state considerazioni sulla vita o litigate su una scala di stronzate che va dall'1 al 14.”
“Dove 14 sei tu che mi informi di sapere già da tempo di non avere alcun legame di parentela con me.”, mi sentii in dovere di puntualizzare.
“Razionalizza questa cosa: lo faccio per noi. Lo faccio per te.”
Scoppiai in una risata antipatica.
“Lo fai perché finalmente ti ritrovi il coltello dalla parte del manico! E ti piace vedermi gelosa e in apprensione perché se solo... Se solo succede qualcosa...”
“Ma cosa vuoi che succeda? Una sveltina nel taxi?”
“James.”
Rise, facendomi il verso. “Ma guardati! James! Stai per consigliarmi di usare precauzioni?”
“Non scherzare nemmeno! Il solo pensiero di te con Kate... con chiunque altra... io”
“Ria, padroneggi quattro grammatiche e parli discretamente bene sei lingue di cui due morte e non riesci a dirmi altro che io?”
“Non sei simpatico.”
“Sì che lo sono. E sono anche infinitamente paziente, con te.”
“Sì, è vero.”, ammisi, riottosa, “L'ho detto anche io a Bliss.”
I nervi mi affiorarono alla pelle, percorrendo tutto il tragitto dal mio cervello alle mie mani che si andarono a piantare sul suo colletto per tirarmelo a mezzo centimetro dal viso.
“Senti, io voglio Bellamy fuori dalla mia linea di tiro perché non sai quanto mi costa trattenermi dal fargli saltare la testa per tutto quello che ti ha fatto passare, per il modo in cui è piombato a casa nostra facendoti l'ennesima, stucchevole dichiarazione d'amore e pentimento, e non sai quanto vorrei rendergli pan per focaccia spiegando a sua moglie cosa vuol dire fare seriamente del sano sesso con un uomo degno di questo nome.” disse all'improvviso.
Sobbalzai, e lo guardai sconvolta.
“Ma non lo farò, perché è quel che farebbe la persona che sono con tutti, tranne che con te. Sto cercando di arginare i danni che ti sono stati fatti: ti voglio al sicuro e tranquilla, per quel che posso. E non riesco a pensare a nessuna, davvero, a nessun'altra donna, se non a te. Non ho fatto altro per gli ultimi anni e ormai sono abbastanza sicuro che non ci sia niente che possa farmi cambiare idea. Questo è il motivo per cui ti ho messo un anello al dito. Basta.”
Non riuscivo ad articolare verbo.
“Per quanto non posso negare che mi dispiaccia questa tua improvvisa gelosia nei miei confronti, veramente non la capisco.”
Chiusi gli occhi, li riaprii, mi strinsi le braccia al petto.
“Come puoi anche solo pensare che io ti dia per scontato.”
“Perché sei fatta così. Non concepisci che qualcuno possa non amarti, ed è per questo che hai sviluppato questa malsana fissazione per Bellamy. Perché lui non ti ama, e tu non lo sopporti.”
Sgranai gli occhi, incredula.
“Io ho sviluppato questa malsana fissazione con Bellamy perché lo amavo, Jimmy! Che ti piaccia o no io ero perdutamente innamorata di quell'uomo! Volevo la sua vita, i suoi figli, la sua testa di merda accanto per il resto dei miei giorni! Non lo voglio ora e forse non lo voglio già da un po', ma l'ho voluto, davvero, con tutta me stessa per più tempo di quanto mi piaccia ricordare! Mi ha lasciato il cuore vuoto come un palloncino sgonfio e alla fine, come al solito, come sempre, tu ti sei messo lì a rattopparlo come meglio ti è riuscito, e mi sono aggrappata a te con tutte le mie forze, ma non pensare neanche per un secondo che io lo abbia fatto perché non avevo alternative, o perché mi faceva comodo così! Io ho scelto te. L'ho fatto contro tutto il buonsenso e fracassando quell'ultimo scampolo di famiglia che mi era rimasto, e l'ho fatto perché ho voluto te, e ti ho voluto così forte da pensare addirittura che in realtà volere Matt non era che una scusa per staccarmi da te, e dalla bruciante mancanza che sentivo quando eravamo lontani. Dal bisogno fisiologico di avere il tuo odore addosso, dall'ossessione di stare tra le tue braccia da quando riesco a ricordare. Se non avessi provato qualcosa di diverso per te non mi sarei mai posta il problema di chiarirmi le stranezze che mi portavano a pensare che mamma fosse stata adottata. Avrei continuato nella mia illusione. Ho già un padre che non mi ama, non avevo bisogno di privarmi anche dell'appartenenza a una famiglia. Potevo vivere cent'anni senza portare alla luce quella storia.”
Era lui ad essere basito, questa volta.
Interdetto e sconvolto.
“Per tutti questi anni in cui il mio affetto verso di te straripava ora da una parte, ora dall'altra ha portato Splinter a un passo dal farmi ricoverare d'urgenza al San Raffaele per accertamenti neurologici: l'unica cosa che ha trattenuto mia sorella è stato il fatto che il primario del San Raffaele era nostro padre.”
“Cosa stai dicendo, Ria?”
“Oh, certo, è chiaro che tu non abbia idea di cosa io stia dicendo. Sono così maledettamente brava a dissimulare, a trattenere, a non creare problemi con i miei ingombranti e bizzarri sentimenti: non ho rotto le scatole a nessuno per una vita intera, è normale che siate tutti caduti giù dai peri quando sono partita per la Nuova Zelanda all'improvviso. O quando ti ho detto che ti amavo, e che volevo stare con te, non mi importava di quante zie sarebbero finite in terapia intensiva con un infarto ancora in corso. È normale che Zacky reagisca chiedendomi com'è successo alla notizia che tu mi hai chiesto di sposarti. È normale che tutti facciano quel che vogliono, sono abituati a non tenere i miei sentimenti in nessun conto.
Sai, Bellamy mi ha fatto bene, tremendamente bene: probabilmente, senza Bellamy, noi due non staremmo insieme, mio padre non avrebbe finalmente avuto nient'altro che lo spazio che si è guadagnato nella mia vita, e io sarei ancora qui a chiedere scusa a tutti per quello che sento e quello che voglio.”
Urlavo, ormai. Urlavo preda del flusso generato dalla diga rotta dei miei pensieri.
“Sei stato tu a insegnarmi che è meglio chiedere il perdono che chiedere il permesso, sei in assoluto la persona più discontinua, dissoluta e imprendibile che io conosca, eppure sei stato l'unico uomo nella mia vita che mi abbia mai dato un valore. Come puoi pensare che io non veda tutto questo? Che pensi che tu ci sarai sempre, indipendentemente da quanto io possa essere stronza o inaffidabile o indecifrabile o qualunque scemenza mi capiti di sperimentare? Non mi passerà mai la meraviglia di svegliarmi accanto a te e sentirmi fortunata, premiata da un Dio, se c'è, per meriti che non credo nemmeno di avere. Ringrazio il cielo tutti i giorni per avermi dato il coraggio di prenderti il viso tra le mani e baciarti il giorno della mia laurea. Io sono grata ogni giorno perché tu esisti. Ed era così da molto prima che stessimo insieme.”
Non avevo mai visto Jimmy a bocca aperta, e credevo di non doverlo vedere mai. Come su molte altre cose, mi sbagliavo. E non riuscivo a fermarmi.
“Ti ricordi la prima volta che abbiamo fatto l'amore? Quasi annegavo per la vergogna, non riuscivo a sostenere il tuo sguardo mentre eri su di me, dentro di me, eppure non riuscivo a smettere di guardarti. Sentivo di stare facendo la cosa più sbagliata e innaturale del mondo, e non riuscivo a fermarmi. Non riuscivo a smettere di morderti e di sospirare e di implorarti di continuare, ti volevo così forte che sentivo due forze di trazione dentro di me incontrollabili, terribili: il disgusto per me stessa e il desiderio di te. Avevo in mente tutte le immagini di quando ero bambina, che stonavano così tanto con quello che stavamo facendo, e sentivo le lacrime bloccarmi il fiato in gola. Ma non riuscivo a trattenermi. Non riuscivo a farne a meno. È stata la cosa più devastante della mia vita. Più disperatamente bella della mia vita.”
“Da come la racconti sembra un'esperienza orribile.”, disse solo, a mezza voce.
“No, non ti concentri. Fai caso a quel che dico. Fare l'amore con te mi è costato ogni cosa, ed essere tra le tue braccia è stato di gran lunga più importante di essere tra le braccia di chiunque altro, in qualunque altro momento della mia vita. Perché quando finalmente ho smesso di tormentarmi, e ti ho guardato senza più quella vergogna opprimente, niente più si sovrapponeva. Tutto mi è diventato chiaro. Quello che provo per te è riuscito ad abbattere quella barriera oggettivamente invalicabile. Inimmaginabile. Cosa credi? Ogni volta è così. Ogni volta è come se fosse la prima. Ogni volta, come mi hai detto tu, siamo due ragazzini che danno sfogo ad una fantasia proibita. Ma ti garantisco che se tutto questo non fosse accaduto, se noi non avessimo il vissuto che abbiamo, se avessi dovuto incontrarti un giorno per strada e poggiare, per caso o per destino, gli occhi su di te, mi sarei comunque innamorata. Con la stessa cecità con cui mi sono innamorata di te in questa situazione, nonostante tutto. Ora vestiti, vai da Kate e tieni tutto questo bene in mente.”
Mi voltai di spalle con gli occhi che mi bruciavano, tremando lievemente. Mi accesi una sigaretta. Composi un messaggio sul cellulare.
Toccalo anche solo con un dito, e non camminerai mai più sulle tue gambe.
Non lo inviai.
Sentii le forti braccia che conoscevo così bene cingermi da dietro, contenermi, arginarmi. Mi strinse a sé in un momento in cui sembrava che le cose avessero finalmente smesso di andare in pezzi.
“Non ho parlato di te a Bliss non perché fossi preoccupata per una sua eventuale relazione con Synyster, o perché volevo proteggere qualcosa di noi senza rendere pubblico ogni mio legame. È la mia migliore amica. Non so come abbiate fatto a bervi quella storia. Io non le ho detto di te perché le avrei raccontato una cosa per un'altra. Perché c'erano demoni troppo terribili e affamati dentro di me, demoni che urlavano i sospetti sull'adozione di mia madre, sui sentimenti contrastanti e innaturali che ho sempre avuto per te. Perché dirle che tu eri mio cugino e raccontarle del nostro rapporto avrebbe significato mentirle, e lei non se la sarebbe mai bevuta. Avrebbe esposto la verità, come fa sempre. Mi avrebbe forzato ad affrontarla. È stata una scelta precisa, guidata da motivazioni ben chiare, quella di non dirle niente nel dettaglio dei miei parenti di Huntington Beach. E lei non ha chiesto, perché sapeva che c'era qualcosa che non andava. È stata anche l'unica che non ha battuto ciglio sulla nostra relazione. C'è una ragione per tutto, come vedi. Non avrei mai finto con lei. Non le avrei mai potuto raccontare una storia a metà. Poi ci sono stati i provvidenziali eventi che vi hanno portato a conoscervi, e per me è stato un grande sollievo. Ma quando gliene parlai si arrabbiò tantissimo: perché le stava bene che non glielo dicessi affatto, oppure avrei dovuto farlo prima. La via di mezzo, il dirglielo perché costretta, è stato un atto di sfiducia nei suoi confronti che non credo mi perdonerà mai del tutto.”
Respirava tranquillo sulla mia spalla, senza smettere di stringermi.
“Quante altre sono le cose che non mi hai mai detto e che ti divorano la testa, Ria?”
Ci pensai su.
“Non molte altre, credo.”
Tirai dalla sigaretta, accarezzandogli il braccio. Ancora una volta, fuori infuriava una tempesta e io ero al sicuro con lui.
“Anzi, veramente una c'è. Non posso vivere senza di te. Sei l'unica persona senza la quale in assoluto non riuscirei a sopravvivere. Ne morirei, se ti perdessi. E non parlo di perderti ontologicamente, nel senso di saperti sano e salvo da un'altra parte, con qualcun'altra. È qualcosa di cui non riesco neanche a parlare.”
Mi si ruppe la voce sulle ultime sillabe, e lui mi strinse ancora un po' più forte.
“Io sono qui.”, disse, calmo.
“Mi sono sentita morire, quella volta. E non parlo per metafore, mi sono davvero sentita morire. Ho sentito chiaramente la vita che mi lasciava, e non sono mai più stata la stessa dopo. Voglio che tu lo sappia.”
Mi voltai a guardarlo dolcemente: aveva una luce tutta nuova negli occhi.
Gli chinai la testa e lo baciai sugli occhi chiusi: sorrise.
“Credo di aver perso una lente a contatto.”, disse poi, massaggiandosi l'occhio e sbattendo la palpebra. Risi.
“Io credo di aver perso la dignità.”, risposi, lanciando il mozzicone al di là della ringhiera.
Mi riprese tra le braccia, premuroso.
“Hai baciato Bellamy quando eravate in Nuova Zelanda?”, disse, in un soffio.
“Sì.”, risposi, contro il suo petto. Non aveva senso mentirgli. Si irrigidì leggermente.
“Ci sei stata a letto?”
“No.”
“Avresti voluto?”
Mi staccai da lui per guardarlo.
“Come mai tutte queste domande?”
“Avresti voluto?”
“Io voglio te.”, risposi, staccandomi e avviandomi verso la porta finestra. Gli sorrisi, sventolando la mano sinistra. “E' per questo che ho questo anello al dito, sai?”
Mi sorrise di rimando, seguendomi.
Erano tutti a occhi bassi, a fingere di fare qualcos'altro.
“Lo so che avete sentito ogni sillaba.”, dissi, crollando a sedere tra Bliss e Shadows, che mi passò teneramente un braccio intorno alle spalle e mi attirò a sé. Seguirono alcuni secondi di raccolto silenzio.
“Noi in realtà siamo tremendamente invidiosi del vostro amore. Abbiamo un profondo rispetto per quello che vi lega. Nessuna delle persone in questa stanza sarebbe disposta ad affrontare neanche la metà dei problemi che affrontate voi per difendere il vostro rapporto. Siamo affascinati e spaventati dalla tenacia con cui vi amate al di là di tutto e al di là di tutti. Il resto non conta assolutamente niente.”
Mi voltai, anzi, ci voltammo tutti verso Bliss, prede di una diffusa incredulità. Perfino Jimmy, sulla porta per le stanze da letto, si bloccò e si girò a guardarla.
“Tra l'altro siete anche un po' tipo la bella e la bestia, tu con il naso nei tuoi libri e lui con le sue rumorosissime batterie e tutti i suoi tatuaggi. Insomma, funzionate come coppia. Siete belli da vedere.”, aggiunse Splinter, dolce.
“Io non l'ho mai diviso con nessuno, sai, ma sono contento di dividerlo con te. Tieni a lui in un modo che non riesco a fare a meno di ammirare, e, che tu ci creda o no, lo sapevo già. Sapevo già tutto quello che gli hai detto, come probabilmente lo sapeva anche Bliss. Questo perché noi sappiamo di voi molto più di quanto voi crediate di sapere di voi, non so se sono chiaro.”, disse poi Synyster, guardando il tappeto.
“Non ho mai potuto fare a meno di osservare che era sempre la prima persona che cercavi quando ti sentivi triste, e anche quando ti sentivi felice, Eldariael. E non ho mai potuto fare a meno di invidiare il modo in cui vi ritrovavate sempre l'uno tra le braccia dell'altra, non importa quanto stanchi o quanto affondati nelle rispettive ingombranti relazioni amorose del periodo. Questo significa qualcosa. Significa sempre qualcosa.”, intervenne Fleur, rigirandosi un bicchiere da brandy tra le mani.
“Perciò”, concluse Shadows, “Non importa quante zie ammazzerà questa cosa. Voi siete più importanti. Non dovete giustificarvi con nessuno. E avrete noi, sempre.”
Sorrisi. Sorrise anche Jimmy.
“Basta, abbraccio di gruppo.”, disse Splinter, alzandosi in piedi: la seguimmo tutti e ci fermammo al centro del salotto, creando un marasma di braccia di abissale importanza, vista la situazione. Tirai una ciocca di capelli a Bliss con i denti, e lei si voltò sofferente.
“Grazie, stronza.”, le sussurrai, dolcemente.
“Prego, imbecille.”, mi rispose a mezza voce, piena della tenerezza che ci aveva sempre legate.
Sarebbe stata una serata lunga e ingarbugliata come una luminaria di Natale.

 

 

If this is to end in fire,
then we shall all burn together.
And I see fire
hollowing souls
I see fire
blood in the breeze.
And I hope that you'll remember me.
(Ed Sheeran, I see fire)

 

 

 

 

 

 

 

Allora.


Beautiful va avanti.


Q.





 

   
 
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