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Autore: Sophie_Lager    27/12/2013    2 recensioni
«Non voglio farti del male.» Mi assicura, facendo un passo indietro, come se mi avesse letto nel pensiero.
«Come fai a sapere che ho paura di te?» Sussurro, immobile. I miei muscoli sono rigidi, pronti a scattare.
«Uno sconosciuto ti trova in un vicolo, di notte, e ti porta qui senza chiederti il permesso. Tu che cosa faresti?» Risponde, stringendosi nelle spalle.
Ha una voce bassa, roca e calda. Tranquilla.
«Inoltre,» aggiunge, dopo poco, come se non fosse sicuro di volerlo dire. «Hai i battiti accelerati.»
Ho i battiti accelerati?
La mia mano si appoggia sul cuore, mentre i miei occhi non lasciano la figura di quell'essere.
E' vero. Ho i battiti accelerati.
«Come…?» Inizio. Ma mi fermo subito. Non è questa la cosa più importante.
«Chi sei tu?»
Lui esita per qualche secondo: «Mi chiamo Ryan. Sono un medico.»
«Tu sei un militare.» Ribatto, notando la medaglietta al suo collo. Perché mi sta mentendo?
«E tu un detective, giusto.» Sussurra, più a se stesso che a me.
Genere: Azione, Romantico, Sovrannaturale | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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Questa storia non è una fanfiction, i personaggi sono miei e così gli avvenimenti e gli eventi narrati. Tuttavia, non posso fare a meno di ringraziare la mia fonte di ispirazione, senza la quale questa storia non sarebbe mai nata. E forse, qualcuno di voi lettori, riconoscerà qualche citazione dei nostri Cat e Vinc.
Detto questo, non mi resta che augurarvi buona lettura, sperando che la mia creazione vi piaccia!
XXX

Sophie Lager



CAPITOLO 1
 

«Allora, detective Grey, che cosa abbiamo qui?»

«Omicidio, signore. La vittima è stata colpita alla testa per simulare un suicidio, probabilmente. Ma il suo aggressore non è stato troppo attento ai dettagli, quindi molto probabilmente la cosa non era premeditata. Ci sono impronte digitali ovunque, con una breve ricerca riusciremo a risalire al possessore del DNA. Come dicevo, la vittima non è morta per dissanguamento. Il sangue a terra è il suo, ma non è stato la causa della morte. Pensiamo si tratti di avvelenamento.»

«Perfetto, lavorateci ancora su. Non abbiamo molto tempo.»

«Certo signore.»

 

«Grey, abbiamo delle prove?»

«Si, dal DNA ritrovato nell'appartamento siamo risaliti al presunto fidanzato di Vanessa Treish. L'uomo non si trova nei paraggi. Delle pattuglie stanno cercando di rintracciarlo.»

«Perfetto, stiamo procedendo bene. Datevi da fare, ragazzi!»

 

«Evelyn. Evelyn! Evelyn Grey!»

«Hey, Richard!»

«Che fai, te ne vai subito a casa?»

«Beh, in realtà… Si.»

«Dai, non puoi saltare questo stupendo aperitivo tra colleghi!»

«Ah, da come hai pronunciato "stupendo" mi è proprio venuta voglia di cambiare idea!»

«Okay, va bene, forse è meglio tornare a casa subito, dovrei seguire le tue orme.»

«Ci vediamo domani, okay?»

«Certo. Fai attenzione, Evy. Non è esattamente sicuro andare in giro per New York di notte, da soli.»

«Hey, Rich, io faccio sempre attenzione. Sono un poliziotto, ricordi?»


 

Dove… Dove sono? 

Oh, la testa!

Non riesco a vedere niente. Mi sembra di avere i postumi di una sbornia.

Sbornia… Quindi sono andata alla festicciola tra colleghi? Non ricordo niente. Maledizione, niente!

Alzo a fatica le braccia e mi stropiccio gli occhi. Muovo gli arti lentamente, non riesco a sentirli davvero. Come se fossi stata addormentata con un tranquillante.

Apro gli occhi, sbattendo ripetutamente le palpebre. 

E il mio cuore manca un colpo.

Dove sono? Questa non è casa mia. E tantomeno il mio distretto di polizia.  

La stanza è grande e bianca. Ci sono scaffali di metallo bianchi pieni di … medicinali, e tutto sembra pulito e disinfettato. C'è odore di acido. Il che non è per niente rassicurante. 

Ad una prima occhiata, direi di essere in un ospedale. 

Guardando meglio, mi accorgo di essere chiusa in una gabbia. 

Una gabbia!

Scatto in piedi, immediatamente sull'allerta. La mano scatta alla cintura, alla pistola. Ma le mie dita afferrano l'aria. Merda! Dov'è la mia pistola? Che posto è questo? E soprattutto, come ho fatto a finire qui?

La gabbia è piccola ma alta, tuttavia non ci sono porte, come se tutto fosse controllato elettronicamente. Mi spingo nell'angolo più lontano dall'unica porta presente nella stanza e premo le mani sulle tempie. Devo ricordare. Ieri sera. Cosa ho fatto ieri sera.

Improvvisamente delle conversazioni mi tornano alla mente, e ricostruisco ciò che è accaduto.

Il caso di Vanessa Treish. Il suo cadavere in una pozza di sangue sul pavimento. Richard che mi invita ad uscire con i colleghi. Io che, da sola, torno a casa camminando sui marciapiedi mezzi deserti di una New York notturna. E poi quel sibilo. Le mie mani che strappano la freccetta dal mio collo. La vista che mi si annebbia. E quei tizi che mi fanno salire sulla macchina…

Poso la mano sul collo, e riesco a sentire il forellino lasciato dal tranquillante sparato da chissà quale pistola. Perché mi hanno portato qui?

In ogni caso, se mi volevano invitare per il tè potevano dirmelo gentilmente. Quindi è meglio scappare il prima possibile. Ma come?

Improvvisamente, la porta si apre. Sussulto e mi spingo ancora di più nell'angolo. Entra un medico, o almeno credo sia un medico. Ha un camice bianco e una mascherina sulla bocca. Non mi lancia neanche un'occhiata. Quindi tutto questo per lui è normale. Bene. Rassicurante. Prende una cartellina e controlla alcuni dati. Poi prepara una siringa, e si avvicina a me.

Oh no. No, assolutamente. Che cosa c'è in quella siringa? 

«Che cosa volete farmi?» Grido al tizio. Lui mi ignora. Prima che la gabbia si apra, entra una donna. E' vestita come il tipo con la siringa, e anche lei non mi considera minimamente. Altro fatto poco rassicurante. Infila dei guanti di lattice bianchi e apre un cassetto. Ne estrae una pistola. 

Tranquillante. Ancora tranquillante.

«Chi siete!» Grido, furiosa e in preda al panico. «Perché mi avete portato qui!»

«E' tutto sotto controllo, signorina Grey. Tra poco sarà tutto finito.» E' l'uomo a parlarmi. Mi volto verso di lui, e compio il peggiore errore: la donna prende la mira e spara. Colgo il tutto con la coda dell'occhio, e istintivamente alzo le braccia. La freccia mi colpisce sull'avambraccio e immediatamente la rimuovo. Troppo tardi per annullare del tutto l'effetto, ma abbastanza per farmi rimanere lucida ancora per un pò. Devo combattere, non può finire così.

«Maledizione!» Esclama la donna, evidentemente rimasta senza armi. Bene, un punto a mio favore.

«Ce la caveremo senza» Risponde l'uomo, passando la siringa alla collega. «Stai pronta a colpirla. Io apro la gabbia.»

E poi il buio.

Un'allarme inizia a suonare, e le luci di emergenza si accendono. I miei due aguzzini si immobilizzano: evidentemente questo non era nei loro piani.

Sento dei colpi sordi e delle urla in lontananza, e di nuovo tutto questo non mi rilassa affatto. Sta succedendo qualcosa di anomalo perfino per queste persone senza scrupoli che rapiscono ragazze dalle strade solo per fare esperimenti. Quindi sta succedendo qualcosa di davvero terribile, ne sono sicura.

«Aiuto!» Inizio a gridare. «Aiutatemi!»

I due mi ignorano, e continuano a fissare la porta, in allarme. Che cosa sta succedendo di preciso?

Poi le urla cessano, e c'è solo il silenzio. Finchè qualcosa non distrugge quella maledetta porta. 

Un uomo entra con passo deciso. Non riesco a vederlo in volto, le luci sono troppo basse. Ma riesco a vedere i suoi occhi, e tanto basta. 

I suoi occhi brillano nel buoi della stanza. Come quelli di un animale. Di un predatore.

Non è possibile.

Istintivamente, mi faccio sempre più piccola, verso l'angolo della gabbia, sperando di non essere vista. I due medici sono immobili. Poi, improvvisamente, scattano. L'uomo si getta sul nuovo arrivato cercando di colpirlo. Senza capire come, l'uomo con gli occhi da gatto si sposta veloce come la luce, lontano alcuni metri da dove poco prima l'avevo visto, e la mia gabbia si apre. Presa dal panico, esco con uno scatto, drigendomi verso la porta. Il mio aguzzino, l'uomo, è ancora impegnato contro lo strano tipo arrivato. La donna viene verso di me. Continuo a muovermi finchè non la considero abbastanza vicina, poi ruoto su me stessa e la colpisco con un calcio. Lei si ferma per un attimo, poi contrattacca. Io cerco di difendermi come posso, ma il tranquillante inizia a farmi effetto: i miei occhi non colgono più completamente i movimenti, le immagini sono sfocate, le mie braccia si muovono con lentezza. Poi la donna mi fa cadere, e io batto la testa sul pavimento freddo. In quel momento di confusione, sento la siringa perforarmi la pelle. Ce l'hanno fatta, alla fine. Strappo via la siringa non appena la donna la conficca nel mio braccio, ma una piccola quantità di quel qualcosa riesce ad entrarmi in circolo. Il liquido brucia nelle mie vene, e io grido di dolore. E allora l'uomo con gli occhi di gatto appare dal nulla sopra di me e attacca la donna. Lei grida, lui come un animale ringhia. Sento la carne della mia aguzzina lacerarsi, e le sue grida placarsi. 

Chiudo gli occhi. Le lacrime sgorgano senza accennare a fermarsi, cerco di non gridare per il dolore e per la paura. Questo non è un uomo. E' una bestia. Un animale. Non un umano.

Apro gli occhi, ma il tranquillante sta avendo la meglio: non vedo più chiaramente.

Mi lascio sfuggire un lamento, quindi torno a mordermi la lingua. Lui non deve sentirmi. Devo lasciare che se ne vada. Che posto è questo? Che cosa succede qui alle persone? Questa bestia è frutto di un esperimento?

Sbatto le palpebre cercando di ritrovare la vista, e lui è sopra di me. A parte gli occhi, il suo viso è umano. Ma non riesco a vederlo, ormai non riesco a vedere più niente. Sento delle mani sotto la mia schiena, e mi accorgo che lui mi sta sollevando. 

«Lasciami!» Grido, con la voce impastata dal tranquillante. Cerco di fare resistenza, ma probabilmente userebbe più forza un uccellino. Muovo le gambe, cerco di sfuggirgli, ma niente. Ormai non posso fare nient'altro se non chiudere gli occhi e sentire il veleno bruciarmi nelle vene.

«E' tutto okay. Sei al sicuro.»

Ed è l'ultima cosa che sento. 

  
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