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Autore: Espen    29/12/2013    4 recensioni
Anno 2060.
Dopo la Terza Guerra Mondiale il Giappone è sotto una rigidissima dittatura.
Ogni libertà di pensiero e parola viene soppressa.
La popolazione vive nella povertà e soffre la fame, mentre il Sommo Imperatore e i suoi soldati nel lusso e ricchezza.
Tutti sono contro di lui, ma tacciono per paura della morte.
Il Giappone è avvolto dall’oscurità, ma una nuova luce sconvolgerà la vita di tutti.
Questa è la storia dei Ribelli.
Genere: Azione, Drammatico, Sentimentale | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het, Yaoi | Personaggi: Un po' tutti
Note: AU, OOC | Avvertimenti: Contenuti forti
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                                                                                            Capitolo quattro
                                                                 Il Vento del Nord, follie improvvise e rapporti strani

Genda non amava il turno serale, era noioso portare i soldati in ogni abitazione per riscuotere le tasse. Sbuffò sentendo delle urla provenienti dall’esterno del camioncino.
Odiava quando i cittadini opponevano inutilmente resistenza.
Se gli abitanti non pagavano le tasse, sotto ordine del Sommo Imperatore, dovevano portare via della mobilia oppure, come spesso succedeva, prelevare i loro figli e figlie. I più grandi sarebbero diventati amanti di Kageyama, mentre i bambini sarebbero stati venduti.
Poggiò il capo sul poggiatesta, la mente che già si immaginava a casa con Sakuma che lo aspettava seduto sul divano intento a leggere un libro.
All’improvviso sentì un urlo che gli fece gelare il sangue nelle vene, non era come il precedente.
Era un urlo agghiacciante, terribilmente spaventoso, che sapeva di morte.
Scese immediamente dal furgone per capire cos’era accaduto e ciò che vide lo pietrificò. La luna illuminava parzialmente i corpi inermi dei suoi colleghi, una viscida pozza di sangue gli arrivò fino ai piedi, l’odore di morte che gli faceva salire la bile fino alla gola.
Quattro persone era artefici di quell’assasinio, complici le armi insaguinate. La luna, testimone di quella terribile notte, illuminava i loro volti coperti da delle maschere, sul mantello scuro si notava, ricamata sul petto, in corrispondenza del cuore, un’elegante R . Sembravano dei demoni, belli quanto terribili, delle creature celestiali e sanguinarie al tempo stesso.
Non lo stavano guardando, troppo occupati a far scendere dal retro del furgoncino gli ultimi ragazzini rimasti, che prontamente correvano all’interno del palazzo. Così Genda, in un atto di puro terrore, estrasse dalla cinghia dei pantaloni una pistola e la puntò contro un ragazzo coperto da una maschera probabilmente rossa. Stava per premere il griletto quando sentì un dolore lancinate al petto.
L’ultima cosa che vide fu una lama sottile che gli trapassava il petto.
Poi il buio.
    
Un demone freddo.
Era stata questa la prima cosa che aveva pensato Nagumo Haruya su Gazel, meglio conosciuto come Il Vento del Nord.
Quegli occhi, azzuri come il cielo, gli erano sembrati tremendamente disumani da quanto erano gelidi. Gli aveva salvato la vita uccidendo quel soldato sbucato dal nulla, tuttavia vederlo seduto su quella sedia, nella stanza dove facevano le riunioni, nelle antiche catacombe, gli provocava uno strano senso di irritazione.
Aveva provato, quando aveva saputo che sarebbe giunto a Tokio, a cercare qualche informazione su di lui tra i mercenari che bazzicavano al mercato nero, ma sembrava che nessuno lo conoscesse, non era nemmeno nominato negli articoli riguardanti le rivolte in Hokkaido.
Gazel sembrava non esistere.
Che avesse un’altra identità? Poteva essere una spia del Sommo Imperatore, inviato per  passargli tutti i loro piani, in fondo era amico di Hitomiko e quasi nessuno si fidava di lei, di una Luxury. Venivano chiamate così le persone che appartevano ai ranghi alti della società, gente ricca che non aveva mai faticato in tutta la vita e se ne stava comoda su una poltrona a comandare sugli altri.
-Tutte le missioni sono state portate a termine con successo. Durante quella del gruppo con a capo Shirou, Gazel, alias Il Vento del Nord, si è  unito a noi. La sua abilità strategica e intelligenza ci saranno molto utili.- Appena Hitomiko si sedette, un coro di applausi, alcuni entusiati altri fatti per pura educazione,  rieccheggiò nella stanza.
-Allora Gazel, cosa ne pensi dei Ribelli?- gli occhi glaciali di Shirou si erano posati su quelli dell’albino, sembravano quasi che lo stessero  analizzando, tuttavia l’altro non lasciava trasparire nessun stato d’animo. In quel momento Haruya si accorse di quanto Shirou e Il Vento del Nord si assomigliassero, entrambi possedevano quella maschera di freddezza che nessuno riusciva a far crollare.
Gli occhi, gelidi e impassibili come la sua anima, del nuovo arrivato vagarono sui volti di tutti i presenti, soffermandosi qualche secondo in più su Haruya; poi riguardò Shirou e disse:- Il Giappone non vedrà mai la libertà, se questo è il meglio che sapete fare.-
Subito il commento schietto e secco di Gazel provocò sbigottimento e rabbia tra i Ribelli. Nagumo, addirittura, si era alzato e aveva sbattuto prepotentemente le mani sul tavolo.
-Cos’hai detto odioso ghiacciolo?- aveva urlato, in preda all’ira.
Nessuno poteva permettersi di considerarlo un debole.
E per la prima volta da quando era arrivato Il Vento del Nord  mostrò, vagamente, un sentimento assottigliando gli occhi e irrigidendo la mascella.
Gazel non si faceva mettere i piedi in testa da nessuno.
-Ripetilo se ne hai il coraggio, tulipano incapace.-
Il tono agghiacciante che aveva utilizzato avrebbe zittito chiunque, ma non Nagumo Haruya. Questo, infatti, stava per replicare quando la voce autoritaria di Hitomiko interruppe quel mini-scambio di battute.
-Non voglio litigi qui dentro. Gazel, spiegaci meglio le motivazioni di questa tua osservazione.-
-Sì, anch’io sono curioso di capire dove stiamo sbagliando.- fu proprio quella frase, detta da Fubuki, che durante quel trambusto era rimasto con un’espressione impassibile sul viso, a calmare gli animi dei due litiganti e, in generale, di tutto il gruppo.
Il nuovo arrivato guardò per qualche istante negli occhi il Capo.
Ghiaccio nel ghiaccio.
-Da quel che ho potuto osservare, le vostre abilità individuali sono discrete, ma quello che vi manca è una tattica efficace e sicura. Se questa notte io non fossi arrivato e ucciso quel soldato, lui- e con un’occhiata tagliente indicò un Haruya irritato -sarebbe morto. Avreste perso un alleato,  ricordatevi sempre che un uomo in meno è una speranza in meno di vincere. Dovrete fare molto più lavoro di squadra se volete sconfiggere i soldati di Kageyama.-
Il suo tono di voce era rimasto basso e rauco per tutta la durata del discorso, sembrava essere un sospiro consigliere, che nell’aria della stanza espandeva una voce, quasi surreale, persa nel tempo e nello spazio.
Susseguirono alcuni istanti di silenzio, poi Shirou, con una calma glaciale e gli occhi ardenti di volontà, si alzò dalla sedia e chiese:-Quindi, Vento del Nord, cosa intendi consigliarci per riparare questa lacuna?-
L’albino ghignò leggermente.
-Mi aspettavo questa domanda, Fubuki.-
 
Con la schiena aderente al freddo muro della stanza, un paio di occhi rossi alternavano lo sguardo da un orologio a un pezzo di parete apparentemente spoglia. Afuro si era rinchiuso in camera dal primo pomeriggio, da quando, seduti comodamente su un ramo dell’enorme albero nel cortile, Atsuya gli aveva fatto quella proposta.
-Voglio scappare da qui, da questo mondo falso.-
-C-cosa?-
-All’alba prendo la mia roba e fuggo a Tokio. Vieni con me?-
La semplicità con cui il suo migliore amico gli aveva detto quelle cose, lo aveva completamente spiazzato. All’inizio aveva pensato che scherzasse, ma il tono serio e quello sguardo, pieno di ardente voglia di libertà e coraggio, gli avevano fatto capire che non si trattava di uno scherzo.
-Io… non so, Atsuya. Qui c’è la nostra famiglia, se andiamo via non la rivedremo mai più.-
-Intendi dire la stessa famiglia che ci ha mentito per anni, nascondendoci un’orribile verità? A me non mancherà di certo.-

Guardò, attraverso l’enorme finestra che dava sul cortile del castello, il cielo cominciare a tingersi di un blu chiaro.
Presto lui sarebbe partito e il biondo sapeva che doveva fare una scelta che, sicuramente, gli avrebbe cambiato la vita.
-Non serve che mi dai una risposta subito, Afuro. Pensaci ok? Sappi che io partirò comunque per Tokio, con o senza di te.-

E Afuro ci aveva davvero pensato, valutando tutte le possibilità.
Molte domande vorticavano nella sua testa, in un’incessante quanto fastidiosa nenia.
Che cosa faremo una volta arrivati a Tokio? Vivremo per strada o troveremo un lavoro?
Si chiese anche se sarebbe mancato a qualcuno, perché sapeva che la sua famiglia non era mai stata unita.
Suo padre Kageyama non era una persona fedele, infatti aveva tradito sia la prima che la seconda moglie con delle amanti prese dal popolo. Lui stesso era un figlio illegittimo, sua madre infatti si sposò con  suo padre quattro anni dopo la sua nascita, quando morì la prima moglie.
Le amanti del Sommo Imperatore abitavano in un ala isolata del castello, lontane dagli altri abitanti, e i figli erano destinati a diventare membri della servitù. Anche per questo Afuro era sempre stato nell’ombra della famiglia Kageyama, suo padre preferiva di gran lunga suo fratello maggiore Yuuto, primogenito e unico figlio legittimo, nato durante il primo matrimonio, era l’erede al potere della Tirannia.
I due fratelli non avevano mai avuto un grande rapporto, non parlavano molto tra loro, ma era palese che Yuuto lo odiasse, anche se non ne riusciva a capire il motivo; difatti le poche volte in cui il fratellastro gli aveva rivolto la parola era per rimproverarlo a causa della sua goffaggine.
Afuro guardò un’ultima volta la parete spoglia davanti a sé, questa celava un passaggio segreto che portava direttamente agli ex-sotteranei, lui e Atsuya lo avevano adoperato la prima volta che erano andati a Tokio. Fece un respiro profondo e si alzò dal pavimento.
Aveva preso una decisione.
 
I primi raggi di sole penetrarono nella cella, attraverso la piccola finestrella inferriata, la botola che portava alla tanto agognata libertà era aperta. Atsuya sorrise lievemente quando udì dei passi dietro di sé.
Sapeva che sarebbe venuto.
Si voltò leggermente per scorgere l’esile figura di Afuro indossare una mantellina rossa, uguale alla sua, e sotto di essa intravide un enorme borsone che, sicuramente, conteneva alcuni effetti personali.
-Sono felice che tu sia venuto, Afuro.-
Il biondino guardò prima il pavimento, dove si trovava il passaggio segreto, poi il volto del suo migliore amico. Dalla sua posizione riusciva  a scorgere solamente un occhio grigio perla, che sembrava quasi brillare sotto la pallida luce del sole sorgente; il suo sorriso era quello di sempre, terribilmente sfrontato.
-È stata una decisione difficile-: cominciò a parlare il biondino, il tono dolce ma sicuro –ma sono giunto alla conclusione che nessuno si è mai preoccupato per me, nessuno mi ha mai consolato quando piangevo, nessuno mi ha fatto sentire il calore di una famiglia                         eccetto te Atsu-kun.
Tu sei il mio migliore amico, mio fratello* e la mia famiglia. Per questo ti seguirò sempre, ovunque tu voglia andare.-
L’albino rimase sorpreso dalle sue parole, non immaginava minimamente che Afuro potesse contenere dei pensieri così profondi.
Si girò completamente per specchiarsi nei suoi occhi, così simili ai rubini, e gli scompigliò leggermente i capelli biondi, in un gesto affettuoso.
-Che piani abbiamo?- chiese il più piccolo, sorridendogli affettuosamente.
-Ho un po’ di soldi messi da parte, credo bastino per comprare un modesto appartamento. Ci cercheremo un lavoro, non dovrebbe essere così difficile trovarne uno in una città grande come Tokio. Per il resto… sarà il destino a decidere.-
-Ti rendi conto che quello che stiamo facendo è una follia?-
-Sì, ma sono proprio queste pazzie che rendono la vita imprevedibile e degna di essere vissuta.-

Shuu e Hakuryuu erano inseparabili.
Dove c’era uno, era matematico che ci fosse anche l’altro.
Erano opposti.
Il  moro e l’albino.
Riflessione e impulsività.
Nero e bianco.
Il loro era un legame molto più complicato di quello che la gente credeva. Shuu ci stava riflettendo proprio in quel momento, sotto il cocente sole di giugno, lo skateboard sottobraccio e, ovviamente, il suo migliore amico che camminava accanto a lui per le strade rovinate di Tokio.
Loro due, al contrario di quello che pensavano gli altri, non erano semplicemente amici, ma non stavano nemmeno insieme.
Un rapporto talmente intricato che li legava sempre di più, confondendoli.
Baci passionali e sussurri sulla pelle.
Mani che si cercano, pelli che si toccano.
Un vortice di passione lussuriosa forte e distruttiva, la mente ne è inibita.
Un nome urlato all’apice del piacere…
-Hakuryuu!-
Le gote di Shuu si tinsero leggermente di rosso mentre rivide un piccolo flash-back della notte precedente, ove la luna era stata testimone, ancora una volta, della loro passione.
Quello non era stato solo sesso, ma nemmeno amore.
Era qualcosa di più, ma anche qualcosa di meno.
Un sentimento non definito che li avrebbe condotti in un turbine di follia.
Tuttavia Shuu voleva esserne schiavo, e non sapeva se fosse una cosa sana o meno.
-Si può sapere che ti prende? Oggi sei stranamente silenzioso.-
Tipico dell’albino, non utilizzava mai giri di parole, era diretto e schietto; se voleva una cosa la chiedeva e basta.
Il moro lo guardò negli occhi, stringendo leggermente la presa sul suo skateboard.
-Stavo solo pensando.-
-Tu pensi troppo.-
Ed era vero, Shuu era terribilmente paranoico.
-Ragazzi!-
A pochi metri da loro Taiyou Amemiya stava correndo e agitando la mano in segno di saluto.
Quel ragazzo era come il sole, era sempre circondato da un’aura piena di calore e ottimismo, che sembravano tanto mancare ai giapponesi, ormai oppressi sotto la più ingiusta delle cose sulla Terra: la dittatura.
-Ho delle notizie dell’ultima ora da darvi!- disse una volta raggiunti, gettò un’occhiata fugace al centro della Piazza, dove alcuni soldati controllavano che la legge venisse rispettata, e riprese il discorso, stavolta parlando a voce molto bassa:- però parliamone in un posto più appartato ok?- ed esibì uno dei suoi bellissimi sorrisi.
Subito gli occhi di Hakuryuu si accesero di curiosità, tutto ciò che riguardava Tokio gli interessava, soprattutto se quelle novità gettavano del fango sul Sommo Imperatore.
Appena i tre ragazzi si spostarono in uno stretto vicolo, lontano da orecchie indiscrete, Amemiya cominciò a parlare con tono entusiastico di un fatto accaduto la sera prima.
-Ieri sera i soldati sono venuti a riscuotere le tasse nel palazzo dove abito –pensate che a mia nonna hanno portato via l’unico letto e il kosatsu- hanno preso una decina di bambini e ragazzi credo e, come al solito, li hanno messi in quei camion maledetti.
E all’improvviso sono arrivati,  ho visto tutta la scena dalla finestra di camera mia, sembravano degli eroi, come quelli che vediamo nei manga, emanavano speranza e coraggio. A causa dell’oscurità non vedevo molto bene, ma credo che indossassero un mantello e qualcosa per coprire li viso, un passamontagna o una maschera, non so…. Hanno ucciso tutti i soldati, uno dopo l’altro, sono caduti come birilli, e liberato i ragazzini. Infine hanno scritto una cosa sopra il loro furgone, sono riuscito a fotografarla poco prima che altri soldati arrivassero e cancellassero tutte le “prove”.- qui l’arancio riprese fiato ed estrasse dalla tasca una fotografica, per poi porgerla a Hakuryuu e Shuu.
Proprio come raccontato, sul camioncino c’era una frase, scritta in rosso scuro.
“I Ribelli vi ridaranno la libertà.”
Hakuryuu sorrise compiaciuto mentre stringeva leggermente l’immagine fra le dita pallide.
I paladini della giustizia che aveva atteso tanto a lungo erano arrivati.
 

 
La seconda visita a Tokio fu meno traumatica della precedente. Ormai i due ragazzi sapevano cosa aspettarsi di trovare, tuttavia la fredda realtà era ancora difficile da accettare completamente.
Atsuya si guardava attorno, mentre camminava per le strade della città con il cappuccio rosso ben calato sulla testa e il borsone contenente i suoi averi sulla spalla sinistra, una sensazione iraconda gli si accumulava in gola, come un nodo troppo stretto per essere slegato.
Avrebbe voluto urlare al cielo tutto il risentimento e la delusione che provava verso la sua famiglia, ma non lo fece. Perché oltre alla rabbia c’era anche un’altra sensazione che provava, molto più forte di altre emozioni negative, proprio sopra il cuore, ed era calda e confortante.
Atsuya per la prima volta nella sua vita provava la libertà.
Quella libertà che ti fa correre per strada o su un prato per sentire il vento sul viso che ti soffia contro.
Che ti fa alzare gli occhi al cielo e ridere, ma ridere davvero, dal profondo del cuore, come un bambino troppo puro e innocente per accorgersi della crudeltà del mondo.
È quella stessa libertà che ti fa dire:
Io esisto, sono qui e voglio vivere davvero. Voglio provare felicità e speranza, ma anche tristezza e dolore, perché la vita è fatta anche di questo. Io voglio vivere perché mi sono stancato di essere solo una statua apatica, che si trascina giorno per giorno e non sente il vero gusto della vita.
-Sai, Atsu-kun… non ti ho mai visto così!- la voce dolce e delicata di Afuro ridestò l’albino dai suoi pensieri, il quale gli indirizzò uno sguardo scettico.
-In che senso?-
-I tuoi occhi brillano. Non li ho mai visti così.-
E in quel momento Atsuya gli fece un sorriso, facendo splendere ancora di più quelle gemme grigie che si ritrovava al posto degli occhi.
-Sono felice, biondina.- una mano  gli arruffò i capelli biondi e il ghigno-made-in-Atsuya tornò sul viso del suo padrone.
Afuro, con le guancie un po’ rosse per l’imbarazzo, borbottò uno “stupido” detto senza troppa serietà, ma poi il suo viso ritornò serio.
-Ho fame.- esordì semplicemente, mettendosi una mano sullo stomaco, che, come per affermare le sue parole, brontolava leggermente.
-Wow, biondina, che pensieri profondi.-
Il suo migliore amico si divertiva molto a sfotterlo, quando voleva sapeva essere davvero irritante.
-Guarda che sono serio! Ho fame!- disse con tono melodrammatico, trascinando un po’ le vocali delle ultime parole.
I suoi occhietti vispi si guardarono attorno, finchè non lo vide: una vetrina che faceva mostra di qualche muffin e strane forme di pane, da cui proveniva un profumo assolutamente invitante.
Atsuya non ebbe nemmeno il tempo di dire “aspetta!” che il suo compagno di avventura si era già catapultato sull’entrata della panetteria. Con un sospiro rassegnato lo seguì e, appena posato un piede sul pavimento di legno del negozio, la prima cosa che notò non furono le pareti sporche o i pochi scaffali pieni di pane e dolcetti vari.
No, furono un paio di occhi grigi, così uguali ai suoi.                                      
Poi ci fu solo buio.


*= ovviamente qui Afuro si riferisce ad Atsuya come "fratello" in senso metaforico, per far comprendere meglio all'altro che lo considera un membro della sua famiglia anche se non hanno legami di sangue. 

Angolo dell'autrice sclerata che posta sempre in ritardo
Ma buonsalve gente!
Ok, avete tutto il diritto di tirarmi addosso pomodori/libri/tastiere/dizionari/porte/chipiùnehapiùnemetta
Avevo detto, ancora mesi or sono, che avevo già cominciato il nuovo. Solo che un paio di mesi fa', arrivata circa a tre quarti dalla conclusione, ho avuto una crisi da "OhsantissimoTerumicosahoscrittoquestarobaèschifosanonpossopubblicarla" e ho riscritto il capitolo tutto da capo.
E devo dire che questa nuova stesura mi piace molto di più ^^
Vi auguro un buon Natale in super ritardo e un felice anno nuovo in anticipo!
 Ci rivediamo fra tre/quattro mesi con il prossimo aggiornamento!
Spero davvero di non metterci così tanto T.T

Un abbraccio abbraccioso
Ice Angel

 
 
  
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