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Autore: martaparrilla    29/12/2013    3 recensioni
"Non voglio più che mi odi per quello che stai provando. Non voglio più che guardi i miei occhi senza sapere che mi sveglio presto solo per guardarti uscire di casa e prender il tuo cornetto al bar. Che mi piace l'odore dei tuoi capelli. Mi piace il calore della tua mano. E se devi impazzire, voglio che impazzisca con me, non per me".
Una Emma e Regina in una città senza nome, si scontrano come solo loro sanno fare. Ben presto capiscono che il loro odio cela qualcosa di più grande. Ma Regina questo già lo sapeva. Gli occhi di quella bionda erano terribilmente somiglianti a qualcuno che aveva perso e questo la incuriosiva. Emma dal canto suo non riusciva a spiegarsi i brividi che sentiva quando la vedeva.
Regina ed Emma racconteranno sensazioni e sentimenti in prima persona, alternandosi tra i vari capitoli. Non dubitate della mia sanità mentale quando leggerete le stesse frasi in capitoli diversi, il motivo è semplice: una volta sarà Emma a parlare (o ascoltare), una volta Regina.
Riusciranno insieme a superare i traumi passati?
Genere: Introspettivo, Sentimentale | Stato: completa
Tipo di coppia: Slash, FemSlash | Personaggi: Emma Swan, Henry Mills, Regina Mills
Note: AU, Missing Moments | Avvertimenti: Tematiche delicate
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1. EMMA

Per la milionesima volta lei, Regina Mills, aveva indetto una riunione per futili motivi. L'ultima volta ha avuto il coraggio di mobilitare mezzo palazzo solo perchè un nuovo inquilino aveva lasciato sbadatamente la finestra del suo pianerottolo aperta. Lei aveva detto: "ho sentito una folata di aria gelida mentre uscivo da casa, bisogna rispettare gli altri, e le finestre vanno lasciate chiuse nel periodo invernale”.

Mi sedevo sempre in prima fila, ero una delle ultime arrivate e volevo capire un po' com'era il palazzo in cui mi ero trasferita, la gente che ci viveva, le persone che potevo salutare e quelle da cui dovevo star alla larga. Regina apparteneva decisamente a quest'ultimo gruppo. Ogni volta era una sciocchezza diversa, sempre più assurda. Ma ero l'unica lì ad aver il coraggio di rispondere alle sue lamentele. L'unica ad alzarsi e affrontare i suoi occhi neri come la notte. Gli altri sembravano terrorizzati, e tutti rispettavano alla lettera le sue richieste, come se fosse la sovrana di un regno.

La Regina cattiva. Uhm. Si, credo di riuscire a immaginarmela stretta da un corsetto di velluto nero e una corona. L'ultima volta, al suono delle sua voce, mi ero limitata a sbuffare. Di rimando lei aveva piantato gli occhi dentro ai miei, incrociando le braccia, e avvicinandosi al mio viso, pronta a controbattere. La sua vicinanza mi aveva fatto arrabbiare in modo indicibile. Il suo atteggiamento di sfida era insopportabile.

Era la prima volta che si avvicinava così a me. Mi ricordo ancora la sensazione che avevo provato: una vampata di calore che dai piedi arrivò fino al viso. Era come se i suoi occhi, così vicini a me, mi avessero spogliata. Ma non le avevo dato il tempo di dire nulla. Mi ero alzata e, pronunciando soltanto le parole “lei è ridicola" avevo girato i tacchi ed ero andata via, ignara dei mormorii della gente dietro di me.

Stavolta non volevo farmi la sfilata tra la gente, paonazza in viso, solo per sentirle dire che un ragnetto era entrato in casa sua senza bussare. Tutti stavano prendendo il loro posto. Io me ne sto in piedi, spalle al muro, vicino alla porta della stanza adibita alle riunioni. Non voglio di nuovo affrontare quello sguardo, non così vicina almeno. Allungo un braccio come per stiracchiarmi e qualcosa, anzi qualcuno, ci sbatte contro.

Mi volto. Il suo gelido sguardo circondato dal trucco nero la fa sembrare ancora più cattiva. «Oh, la Regina degli inferi si è degnata di presentarsi».

Devo stare a distanza di sicurezza. Sfrontata, mi sistemo la camicia dentro i pantaloni. La vedo alzare il sopracciglio e incrociare le braccia al petto così per la prima volta la squadro. 165 cm di malvagità. Arriva a 175 con i tacchi e a lei quelli non mancano mai. Gonna inevitabilmente stretta, anzi, non era il solito tailleur, ma un tubino nero a maniche corte che lascia intravedere del pizzo nella scollatura. Caschetto nero, occhi scuri, labbra rosso fuoco. Continua a fissarmi senza dire una parola, sembra voglia mangiarmi.

«Ha perso la parola? Il gatto le ha mangiato la lingua?».

Il suo sguardo imperturbabile, al suono delle mie parole, crolla.

Le pupille, dapprima piccole come capocchie di spillo, improvvisamente assumono una dimensione più umana, come se si siano rilassate, assieme a tutto il corpo di Regina. L'intreccio delle braccia attorno al petto si scioglie, le spalle ricadono un po' in avanti, come se avessero perso rigidità. Tenta di dirmi qualcosa ma le parole le si fermano in gola. Sembra voglia piangere! Regina che piange? No, c'è qualcosa che non quadra. Mi avvicino piano ma lei fa un passo indietro, per poi voltarsi e andar via.

Ma che diavolo è successo? Le ho detto di peggio altre volte. E' crollata com'è successo a me l'ultima volta? Mi affaccio e la guardo andare via di gran passo.

La gente aspetta, così, cercando di farmi sentire da tutti urlo: «Credo che la riunione sia stata rimandata».

Mi infilo le mani nelle tasche e inizio a camminare velocemente, dietro la corsa di Regina.


 

  
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