Il
buio non mi era mai sembrato così
silenzioso, così opprimente. Niente mi era mai sembrato come
tutto
mi sembrava in quel momento. Niente, tutto. Chi ero io per
classificare cos'era l'uno e cos'era l'altro?
Mi passai nervosamente la mano fra i
capelli, alzandomi per poi poggiare la fronte sul vetro freddo della
finestra, e sopirai, chiudendo gli occhi. La mia vita non era mai
stata in discesa, mai. Nemmeno per sbaglio; ero sempre inciampata,
caduta. Mi ero spiaccicata al suolo come il mio primo pesciolino
rosso.
Mamma, se ci sei, da qualche parte,
dimmi cosa devo fare. Ti prego.
Sorrisi
ironicamente della mia stupidità, e aprii gli occhi,
guardando verso
il cielo. Lei era lì, da qualche parte. Ne ero certa.
Certo, avevo tutto
quello che una ragazza potesse desiderare: una bella famiglia, degli
amici meravigliosi, un ragazzo splendido e una migliore amica fuori
di testa che, in quel momento, stava strisciando nella mia camera
nemmeno fosse stata la reincarnazione di Steve Martin ne “La
pantera rosa”.
«Carlotta,
cosa ci fai qui?»
«Zitta
lurida idiota, sono venuta qui a raccogliere i cocci che rimangono
della mia Hope.»
Mi
afferrò per le spalle e mi fece ridere contro la mia stessa
volontà.
«Sono
le quattro, tu non ti alzi mai a quest'ora. Non ti sei alzata nemmeno
quando sono quasi collassata nel bagno della nostra camera a Roma.»
«Ma
quella volta stavi solamente per passare a miglior vita. Ora si
tratta di tuo padre che ti ha scoperto mentre ti facevi amorevolmente
il tuo fratellastro nel vostro soggiorno e, se permetti, è
un'emergenza.»
Sbarrai gli occhi
e, sedendomi sul davanzale dietro di me, fissai gli occhi azzurri, in
qualche modo rassicuranti, della ragazza. La maggior parte delle
persone avrebbero potuto dire che era una persona acida, stronza ed
egoista ma lei era solo da scoprire. E quegli occhi così
freddi, non
chiari e non scuri, un po' in un modo e un po' in un altro erano il
riflesso del suo carattere.
«Ehi,
non ti ho mai vista così. Tira su quel bel faccino e
guardami.»
Sospirai,
eseguendo gli ordini della ragazza.
«No.
Così non funziona. Quegli occhioni pieni di lacrime non
voglio
vederli.»
Si avvicinò,
piegandosi verso di me e afferrando saldamente le mie mani.
«Andrà
tutto bene.»
«Smettetemela
di dirmelo! Non andrà tutto bene, non è
così.»
«No,
forse non andrà tutto bene. Ma posso assicurarti che io
sarò sempre
con te, e sono certa che Harry la pensa esattamente allo stesso modo.
Beh, io non sono un playboy famoso in tutto il mondo e non faccio
parte di una super band, super famosa e super figa, però
esisto
anch'io. Ma non urlarmi contro, sai!»
«Scusami.»
Mormorai
sommessamente, sorridendo. Lei non disse più una parola, si
limitò
a sdraiarsi sul mio letto facendomi segno di seguirla. E
così, mi
addormentai, accanto a quella ragazza che mi aveva portato in salvo
troppe volte, per troppo tempo e in troppe occasioni.
«Hope,
scendi immediatamente giù!»
Balzai
dal letto, ritornando improvvisamente alla realtà. La
ragazza al mio
fianco schizzò, lanciandomi occhiate sanguinarie.
Senza rifletterci
troppo m'infilai la tuta prendendo aria ed espirando subito dopo.
Spalancai la porta e, indecisa se affrontare la situazione
coraggiosamente oppure far notare il panico che in verità si
era
impossessato di me fin dalla sera prima, scesi i primi scalini,
sentendo delle voci appena accennate ronzarmi nelle orecchie.
Come misi piede in
cucina, sentii gli occhi di tutti i presenti trapassarmi da parte a
parte ma nonostante questo, il mio sguardo cadde sul ragazzo seduto
accanto al tavolo. Ricambiò lo sguardo, e forzò
un sorriso.
Immediatamente sentii il sangue gelarsi nelle vene, e il pavimento
sembrò sparire sotto ai miei piedi.
«Hope,
stasera hai un volo che ti aspetta alle nove. Prepara le valigie, e
avverti Carlotta di fare lo stesso. Tornate in Italia.»
Spalancai gli
occhi, cercando qualsiasi cosa fosse utile per sostenermi in piedi:
ma l'unica cosa che sembrava darmi un minimo di appoggio era il viso
sconsolato di Anne, che ascoltava le parole di mio padre senza poter
intervenire. Una coltellata al fegato avrebbe fatto meno male.
«No.
Papà, non puoi...»
«Non
posso, Hope? Davvero credi che io non possa?»
«Non
intendevo quello, tu non...non vuoi...»
Il
suo sguardo vacuo e senza espressione mi piantò al muro e
non
ammetteva nessun tipo di replica.
«Harry...»
Mormorai, senza
sapere esattamente cosa aggiungere dopo.
«Mi
dispiace...»
Immediatamente
dopo, sapevo benissimo che le lacrime stavano scorrendo sul mio viso.
«Io
non vado proprio da nessuna parte!»
Urlai in faccia a
quell'uomo contro cui non credevo avrei mai dovuto fare una scenata
del genere.
«Io
ci ho provato, tesoro..»
Mormorò
Anne, posandomi una mano sulla spalla.
«Ma
io lo amo, Anne!»
«Smettila
di dirlo! Smettila!»
Sbraitò
mio padre, afferrando sua moglie e portandola accanto a lui.
«Perché,
papà? Cosa ti da tanto fastidio? Se non fosse il tuo
figliastro, non
ci sarebbero problemi, vero? Beh, cosa ci devo fare? Sicuramente non
vi chiedo di divorziare, ma se...»
Sentii
che non ce l'avrei più fatta. Mi guardai intorno un'ultima
volta e
mi precipitai fuori dalla stanza, senza sapere dove sarei andata. Ma
il posto in cui sarei andata, era sicuramente lontano da quell'uomo.
Ogni
lacrima della ragazza, era un colpo al cuore per me. E io non
potevo fare niente.
Lei era lì,
immobile, e mi guardava in un modo totalmente assente. In un modo che
mi faceva più male che altro.
Improvvisamente,
sparì. Così, senza preoccuparsi di niente e di
nessuno.
Mi alzai di scatto,
e subito venni fermato dalla mano di Erik.
«Lasciami.»
«Dove
pensi di andare, ragazzino?»
«Ho
detto, lasciami.»
Mi
avvicinai al viso dell'uomo e fissai i suoi occhi, senza paura.
«Non
ho più intenzione di sentire altre stronzate uscire dalla
tua bocca.
Ora, mollami.»
Con uno
strattone riuscii a liberarmi, e sbattendo la porta di casa dietro di
me iniziai a correre. Non sapevo da che parte fosse andata, non
sapevo dove sarei potuto finire io, ma non m'importava. Dovevo
trovarla, e subito.
«Cazzo.»
Digrignai
fra i denti, accorgendomi che per la prima volta in tutta la mia
vita, sul mio viso scorreva un qualcosa che somigliava vagamente ad
una lacrima.
Non stavo pensando
a niente, se non a quel 'noi' che avevamo messo su in pochissimo
tempo, e che in altrettanto tempo si stava sgretolando. Me
l'avrebbero portata via da un giorno all'altro, e io non avrei potuto
fare niente.
Lei mi aveva fatto
capire troppe cose, in troppo poco tempo. Prima ero Harry Styles, il
cantante. Non me ne sarebbe mai fregato nulla, di nessuno. Mai. Poi,
improvvisamente, mi ero ritrovato catapultato in un universo
parallelo in cui avevo quattro amici idioti, una ragazza
meravigliosa, e dei sentimenti veri. Proprio io.
La vidi. Seduta per
terra, con le ginocchia al petto e scossa dai singhiozzi, i capelli
sciolti lungo il viso nascosto dalle braccia.
M'inginocchiai
davanti a lei, silenziosamente, poggiando mani sulle suo corpo
tremante.
«Piccola..»
Neanche
avessi paura di disturbarla, sussurrai, temendo di peggiorare tutto.
Lei non alzò nemmeno la testa, pianse più forte,
stringendosi
ancora di più.
«Non
ce la farò mai, Harry. Mi vogliono portare via.»
«Sh,
amore, io sono qua.»
«Ora
sei qua. Domani non ci sarai. Stasera, quando mi
addormenterò, non
ci sarai.»
I suoi
occhi finalmente incrociarono i miei. Ma non erano i suoi occhi,
quelli. Erano freddi, ghiacciati. Congelati dai ricordi del passato,
dal terrore del presente e dalla rassegnazione del futuro. Ma aveva
ragione. Io non ci sarei stato.
La presi e la
cullai fra le mie braccia, sedendomi accanto a lei. Forse sembravamo
due pazzi, forse lo eravamo.
«Ti
amo, Hope. E non smetterò di farlo.»
«Mi
aspetterai, vero?»
Si
stava rilassando sotto il mio tocco, lo sentivo. Sorrisi
malinconicamente, lasciandole un piccolo bacio sulle labbra, ancora
salate e bagnate, come il suo viso rigato.
«Anche
tutta la vita.»
«Vogliono
portarci via tutto. Vogliono vederci distrutti, Harry. E ci stanno
riuscendo perfettamente.»
«Io
ti prometto che ci rivedremo presto. Te lo prometto, non
lascerò che
tutto ci crolli addosso.»
“Ultima
chiamata per il volo Londra-Roma, ultima chiamata.”
Sentii
lo stomaco chiudersi, il fiato venir meno e la testa girare. Stava
succedendo davvero?
Il moro mi guardava senza espressione, dietro
le spalle di mio padre, che tentò di abbracciarmi.
«Ci
vediamo,
papà.»
Scansandomi da
lui, mi parai davanti ad Anne, che mi sorrise dolcemente, regalandomi
uno sguardo comprensivo.
«Mi
dispiace,
tesoro..»
Le diedi un
piccolo bacio sulla guancia, stringendomi nelle spalle. Niente
sarebbe stato in grado di farmi stare meglio. Niente.
Harry, non lo salutai. Presi il borsone poggiato per terra di fianco
a me, e senza mai distaccare lo sguardo da lui, indietreggiai, fino a
raggiungere la fila per l'imbarco, al fianco di Carlotta, che mi
guardava senza dire una parola. Sapevo che ero in condizioni pessime,
sapevo che dai miei occhi stavano uscendo solo lacrime, sapevo tutto.
Ma volevo illudermi che niente fosse come pensavo.
Il respiro si faceva più affannoso ad ogni passo, e quando
fu il
momento di fare il check-in, sotto un non so quale impulso divino,
lasciai cadere tutto quello che avevo in mano e mi voltai di scatto,
sicura che il ragazzo non avesse mai distolto lo sguardo da me. E
così era. Feci lo slalom tra le persone, corsi come non
avevo mai
fatto in vita mia ignorando il fatto di avere tutti gli occhi puntati
su di me e allacciai le braccia dietro al collo di Harry ancora prima
che lui capisse cosa stava succedendo. Sentii poco dopo le sue mani
stringermi i fianchi, e la sua testa poggiarsi sulla mia spalla.
«Non
piangere, smettila
di piangere. Ti prego.»
La
sua voce arrivava smorzata alle mie orecchie.
«Non
posso andarmene. Non riesco a lasciarti qua.»
«Non
aver paura, non è un addio. Ci rivedremo presto.»
«Presto quando?»
Mi
allontanai giusto quel poco per riuscire a vedere i suoi occhi verdi
un'ultima volta e sorrisi tra le lacrime.
«Come
posso lasciarti
andare, Hope? Come?»
Presi
un respiro profondo, e lo strinsi di nuovo a me.
«Qualunque
cosa accadrà, ti amo Harry.»
Non
gli diedi il tempo di replicare, e lasciai che la mia mano si
separasse dalla sua, sotto lo sguardo pungente di mio padre.
Da quel momento, per i restanti quattro mesi, sarebbe stato
l'inferno.
Ricordavo
ogni singolo dettaglio di quel giorno, per quanto volessi
dimenticarmi di tutto e di tutti. Specialmente di lui. Lui che mi
chiamava una volta o due a settimana, per dirmi anche semplicemente
che cosa aveva mangiato a pranzo, oppure per dirmi che il tour era
bellissimo e le fans fantastiche. Lui che non mi aveva mai
più detto
un 'ti amo' da quando l'avevo lasciato in quell'aeroporto, mesi
prima. Lui che mi mancava da morire. Mi mancava il modo in cui le sue
mani sfioravano la mia pelle, mi mancavano i suoi baci leggeri, i
suoi occhi allegri dentro ai miei, la sua risata, il suo modo di
farmi sentire speciale.
Mi
sentivo morire, ogni giorno di più. E quel suo messaggio,
quella sua
chiamata alla settimana, erano l'unica cosa che mi manteneva in vita.
«Carlotta,
mi ha chiamato mio padre. Vuole che torno a casa per Natale.»
Alzai
la testa verso la ragazza appena entrata nella stanza, rimasta come
pietrificata ai piedi del letto.
«Non
posso entrare in quella casa come se niente fosse, non posso farlo.
Ho lasciato troppi ricordi in quel posto.»
«Devi
andare. Vai. Vai, tira fuori le palle, e affrontalo. Mordi, sei una
leonessa.»
«Dove
lo tiri fuori, tutto questo coraggio, tu?»
«Oh,
smettila. Preparati, ora. Manca poco.»
Le
sorrisi. Lei era una leonessa, non io. Lei la era sempre stata, e
sempre la sarebbe rimasta.
«Odio
vederti così,
piccola mia.»
Mi
voltai velocemente verso mio padre, nemmeno fossi davvero un animale
selvatico pronto a tirare fuori gli artigli.
«Mi
hai costretto ad essere così, papà. Mi hai tolto
tutto.»
Non
m'importava più. Forse ci sarebbe rimasto male, forse no. Ma
lui si
era preoccupato di questo, qualche mese prima?
«La
bambina di prima, non
esiste più, lo sai? Sono cresciuta, ed ero anche abbastanza
cresciuta quando ho deciso che la mia felicità era in quel
ragazzo.
E tu cos'hai fatto? Me l'hai portato via. Con lui, finalmente, ero di
nuovo felice, papà. E tu non l'hai capito. Mi dava tutto
quello di
cui avevo bisogno, e...mi dispiace, non ho scelto io che fosse il mio
fratellastro.»
Mi alzai dal divano, correndo al piano di sopra e chiudendomi in
camera. Ma non nella mia. No. In quella di Harry. Quella con tutti i
suoi premi, le sue foto con i ragazzi, quella impregnata del suo
profumo. Presi una sua maglia dal cassetto e sorrisi, infilandomela
sopra i miei abiti. Mi sedetti sul letto, con le ginocchia al petto e
la testa altrove. Mi persi a guardare la neve che scendeva soffice
fuori dalla finestra, e ad immaginare come sarebbe stato se niente di
tutto quello fosse successo.
-Mi
manchi, Harry- MESSAGGIO INOLTRATO.
Era
sempre impegnato, e sapevo che mi chiamava di rado solo per quello.
Ma mi mancava, e non gliel'avevo mai detto.
I
fiocchi di neve continuavano a cadere, la vita degli altri continuava
ad andare avanti, il Mondo continuava a girare. Ma io ero ferma,
immobile, congelata. Era quel dolore che non avrei mai saputo
esprimere, quelli che ti lacerano dall'interno, che ti bruciano un
organo dopo l'altro, che ti distaccano da tutto ciò che
è concreto.
Il
rumore di un auto che si fermava mi riscosse dai miei pensieri. Mi
asciugai le lacrime e mi sporsi dal davanzale, per vedere un auto
nera parcheggiare nel vialetto di casa mia e subito dopo un ragazzo
scenderne. Strabuzzai gli occhi e poggiai le mani sul vetro,
piangendo ancora più forte di poco prima.
«Non
è possibile..»
Sussurrai
a me stessa. Il moro alzò la testa e dopo quattro lunghi
mesi tornai
a vivere, incrociando i suoi occhi, che non erano cambiati per
niente.
Dalla
sua bocca uscii un soffocato “Hope..” che potei
capire grazie al
labiale, e capii anche che era sorpreso quanto me. Niente contava in
quel momento, niente che non fosse noi. Mi sentivo la testa pesante,
il cuore battere all'impazzata, tutto sembrava aspettare un nostro
movimento. Un nostro minimo cenno, respiro.
Lasciai
che tutto riprendesse a scorrere lentamente, mentre di scatto mi
giravo e iniziavo a correre, saltando tre scalini alla volta, ridendo
e piangendo contemporaneamente, ignorando le voci che mi chiedevano
dove stessi correndo in pieno Dicembre, con una maglia non mia e dei
jeans bucati.
Spalancai
la porta, lasciando che il vento gelido mi spettinasse i capelli, che
svolazzano in giro senza preoccuparsi del fatto che potevo sembrare
uno spaventapasseri in piena crisi adolescenziale.
«Harry.»
Sorrisi
frenando il corso del pianto e mi lanciai nella neve, arrivando a
pochi centimetri da lui. Era immobile, con il suo giubbotto beige
lungo fino alle ginocchia, i pantaloni neri, i ciuffi perfettamente
in ordine e il fiato corto.
«Tu...sei
qui.»
«No.
Tu, sei qui.»
Automaticamente
allacciai le braccia dietro al suo collo e tornai immediatamente a
vivere, a respirare. Per tutto quel tempo ero stata perennemente in
apnea, e solo in quel preciso istante tornai a prendere fiato. Sentii
le sue dita afferrarmi per i fianchi e inspirai profondamente, mentre
il suo profumo mi faceva tornare alla mente sensazioni ed emozioni
che credevo ormai morte.
«Ehi...mi
sei mancata anche tu, Hope.»
Sorrise
estraendo il suo cellulare dalla tasca e soppesandolo su una mano.
Afferrai il suo viso fra le mie mani e feci toccare i nostri nasi,
chiudendo gli occhi.
«Oddio,
sei davvero qua.»
«Noi,
siamo qua.»
Fece
combaciare le nostre labbra, regalandomi un bacio che avevo
desiderato per troppo tempo ma che scoprii valeva molto più
di tutto
il tempo passato.
«Ti
amo Harry, ti ho amato ogni secondo e sempre di più.»
«Non
quanto ti ho amata io. Quanto ti amo, e quanto continuerò a
farlo.»
In
fondo è un freddo piacevole, è un freddo caldo,
pungente. Un freddo
familiare e da cui sono stata per lungo tempo divisa, un freddo che
regala sensazioni da camino, da focolare.
In
fondo, niente può toccarmi ora.
Ora
ci siamo io e lui, qua.
The end,
Finalmente è finito questo parto.
Scusate se vi ho annoiato troppo, scusate se non aggiornavo mai, scusate se questo capitolo è troppo lungo. Scusatemi per tutto, anche se fa schifo. Ma in mia difesa posso dirvi che l'ho scritto con la febbre, e voi mi direte, 'non potevi scriverlo dopo?'....no. Dovevo finire questa storia, che non mi ha poi soddisfatto molto. Anche perché non credo abbia avuto molto successo, e la trama non è un gran che, però....se ha fatto provare un qualsiasi tipo di emozione, ad almeno una persona, allora ha funzionato.
Voglio ringraziare tutte voi che mi avete sostenuta, grazie davvero.
E vorrei dedicare questa storia, questo mio piccolo passo, ad una persona, che è stata in qualche modo colei che mi ha spinto a coltivare la mia passione per scrittura,che mi ha aiutata sempre, in qualsiasi momento. E sì, è anche la mia amata Charlie della storia. Quindi...grazie, Muty.
Ora me ne vado a dormire, perché è quasi mezzanotte e mezza e sono sfinita...grazie ancora a tutte. Se vi va, lasciatemi un pensiero. Cosa vi ha fatto provare questa schifezza, in totale?
Vi adoro, grazie per tutto il supporto,
Sara.