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Autore: XShade_Shinra    31/12/2013    0 recensioni
Una strana figura - invisibile.
Una domanda - impercettibile.
“Preferisci morire o vivere così?”
Un urlo – che squarcia il silenzio.
[ Storia classificata 5° al Contest “Il Limbo e… l’Esteta”, indetto da Eylis sul Forum di EFP ]
Genere: Dark, Introspettivo, Sentimentale | Stato: completa
Tipo di coppia: Nessuna
Note: nessuna | Avvertimenti: Contenuti forti
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-The memory of a friend who I never knew-
Una strana figura - invisibile.
Una domanda - impercettibile.
“Preferisci morire o vivere così?”
Un urlo – che squarcia il silenzio.
Storia classificata 5° al Contest “Il Limbo e… l’Esteta”, indetto da Eylis sul Forum di EFP



Nick dell’autore: XShade-Shinra
Titolo: The memory of a friend who I never knew
Tipologia: One-Shot
Lunghezza: 1629 parole
Genere: Introspettivo, Sentimentale, Dark
Avvertimenti: Non per stomaci delicati
Rating: Giallo/Arancio
Credits: Lo scritto e i personaggi sono interamente di mia proprietà. Tutti i personaggi di questa storia sono maggiorenni e comunque non esistono/non sono esistiti realmente, come d’altronde i fatti in essa narrati.




- The memory of a friend who I never knew -


15 Gennaio 2004.

Roberta si risveglia lentamente, mugolando versi sconnessi mentre si alza, lenta come una farfalla che non voglia rompere la crisalide – non si è alzata: è il mondo che ha ruotato, mettendola in verticale.

Non si può strofinare gli occhi a causa del make-up, né massaggiare la testa dolente, altrimenti l’elegante acconciatura che si è fatta prima di uscire si potrebbe disfare.

Non capisce dove si trova.

Un attimo prima era al volante della sua automobile, mentre ascoltava l’ultimo CD dei suoi adorati Muse, ora si trova sospesa in aria in un luogo buio, illuminato da una strana e densa luce nera.

Le scarpe grigie scamosciate non poggiano a terra, e pur muovendo le lunghe e snelle gambe, non si sposta. È come sospesa nel vuoto.

Cerca di parlare, non riesce.

Muove la bocca, ma non esce alcun suono, come fosse muta – prima, allora, ha mugolato veramente?

Tenta di guardarsi attorno, ma non è nemmeno sicura di riuscire a muoversi.

Il paesaggio è monotono e cupo.

Roberta?”.

Una voce dentro la sua testa la chiama; lei sa che quell’individuo che conosce il suo nome è dietro di lei.

Lo sa.

– Non si chiede il perché. Lei sa.

Faticosamente, si gira

– o rimane ferma e ruota il mondo di tenebra che la avvolge? –

e vede una figura tetra

– è invisibile, come fa a vederla? –

avvolta in un mantello grigio

– come fosse stato nero, una volta.

Preferisci morire o vivere così?”, le chiede.

Non è una domanda posta con le labbra – come la precedente, anche questa sembra una voce nella sua testa – e, prima che possa rispondere, Roberta nota che la figura tiene in mano – è una mano quella? – uno specchio – è apparso dal nulla o c’è sempre stato?

Roberta è confusa ma tranquilla.

Quel mondo sembra incoerente, come un sogno, in cui la parte irrazionale non si chiede nulla, mentre quella razionale non capisce niente.

La figura alza lo specchio e lo inclina in modo che Roberta possa guardarsi in faccia.

E un urlo squarcia il silenzio.

Quella non sono io!”, grida – pensa – lei.

Vorrebbe piangere, ma un occhio è cieco e dall’altra parte ha un’orbita cava – non potrebbe vedere, ma ci riesce ugualmente. 

Vorrebbe spalancare la bocca per gridare più forte – ma le fa schifo guardare quei denti mancanti, e quelle labbra tumefatte e spaccate.

Quel riflesso le fa orrore.

Eppure in esso si riconosce.

Con quel naso rotto, quei capelli impiastricciati di sangue che gronda sul suo corpo – un tempo perfetto – la cui spalla destra è uscita dalla propria sede e il gomito è piegato al contrario.

Per sua fortuna, lo specchio non scende oltre, ma lei sa che non potrà più calzare nessuna scarpa al piede sinistro, mozzato – allora perché prima le indossava? –, e il ginocchio della stessa gamba faticherà a tenere l’equilibrio del corpo, con i tendini crociati rotti.

No!”, urla ancora Roberta, fissando con orrore quel suo corpo avvolto in un grigio vestito.

Allora?”, le chiede di nuovo quella voce. “Cosa preferisci? Vuoi morire o vivere con questo corpo?”.

La giovane non perde tempo; sa già cosa rispondere.

Ha lavorato tanto per avere quel corpo. Solo lei può sapere le sofferenze che ha patito tra diete estreme – rinunciando sempre alla frutta secca che tanto ama –, palestra – ore e ore interminabili per migliorarsi fisicamente –, centri estetici – dove togliere le piccole imperfezioni – e interventi di chirurgia plastica – nei quali ha modellato il proprio corpo, diventando una bambola di plastilina con le fattezze che più desiderava. E sa bene i limiti di quest’ultima branca della scienza medica: neanche quella potrebbe renderle ciò che le è stato squartato via.

Io non voglio vivere in questo corpo”, dice, devastata dalla sofferenza.

E così sia”, risponde l’essere incappucciato, sollevando in aria la sua falce – comparsa dal nulla, forse materializzata al posto dello specchio, ora scomparso.

Accade in un attimo: Roberta vede la falce calare su di lei e fenderla facilmente in due, come una canna tagliata dalla roncola del contadino, e in quella frazione di secondo ha solo il tempo di vedere un volto triste e scheletrico sotto il cappuccio grigio, come quella della morte.


Roberta era bella – quando era in vita.

Curava sempre il suo aspetto fisico e non lasciava nulla al caso.

Era la perfezione assoluta, la Venere del ventunesimo secolo.

Ma non era una sprovveduta. Sapeva bene che la bellezza umana è perennemente messa a rischio del tempo, e morire giovane, per lei, sarebbe stata l’esaltazione del suo estetismo; però quell’incidente stradale l’aveva totalmente sfigurata, e, per quanto giovane, la morte l’aveva colta in tutta la sua bruttezza.

Questo, però, non le importava.

Perché Roberta sapeva bene anche un’altra cosa.

La bellezza umana ha anche un altro nemico: la corrosione. Non quella data dal tempo o dalle malattie, ma dall’anima. Un’anima cattiva corrode il corpo, facendolo decadere e trasformandolo in oggetto e non in culto da ammirare.

Lo sapeva, e per questo non era mai stata una ragazza frivola, ma con degli ideali e attiva per il sociale.

E avrebbe mostrato a tutti la propria bellezza interiore, anche ora che è morta, come testimonia la linea piatta del suo elettroencefalogramma.

Roberta all’inizio era solo in coma, per i famigliari che piangevano accanto a lei, ma quando i tre dottori – un medico legale, un esperto in neurofisiologia e un rianimatore – che la stavano assistendo avevano riferito loro che la ragazza era passata da uno stato vegetativo a quello di morte celebrare, tutti hanno capito che Roberta è morta.

L’esteta è trapassata, ma non solo i parenti, gli amici e i suoi cari lo avrebbero saputo.

Anche Carlo, che guarda la parete bianca davanti a sé nell’ospedale a chilometri e chilometri da quello dov’è ora quella sconosciuta di nome Roberta, lo ha saputo. E Carlo piange di gioia e si sente un mostro per averne desiderato per anni la morte.

Abbiamo trovato un compatibile”.

Sono bastate quelle quattro parole per ridargli speranza.

Roberta è morta, ma vivrà di nuovo. E per questo miracolo non ha dovuto firmare col sangue alcun contratto con il diavolo; ha dovuto solamente prendere una penna e apporre la propria firma su un semplice modulo dell’ASL. 


***


15 Gennaio 2014.


«Mamma! Perché papà va via tutti gli anni in questo giorno?», chiede Daniele a Paola, la propria madre, guardando dalla finestra, in maniera assorta, l’auto grigia del padre che esce dal parcheggio condominiale.

«Dani, lo chiedi tutti gli anni: non lo ricordi? Papà deve andare a trovare una persona molto importante per lui», risponde la donna, che sta preparando delle fettine impanate per il figlio, mentre l’olio bolle nella padella. «Una persona che ora non c’è più e che lui non smetterà mai di ringraziare». 

«Un amico?», domanda il bambino, ancora incollato al vetro.

«Sì. Un’amica che non ha mai conosciuto», sorride la donna, prendendo dal frigo la verdura e iniziando a tagliarla alla julienne.

«Come può essere un’amica, se non l’ha mai conosciuta?», domanda il bambino, guidato dalla curiosità tipica di quell’età.

«Perché, anche se non si conoscevano, Roberta ha fatto tanto per lui. Sai che papà da giovane ha avuto una malattia al cuore e sarebbe morto senza un trapianto, e il cuore che ora papà ha nel petto è quello di questa ragazza, che continua a battere. In fondo è come se Roberta continuasse a vivere, e in questo modo ha “fregato” la morte», spiega, per poi girarsi verso il figlio, che la guarda confuso. Probabilmente aveva espresso concetti troppo difficili per il piccolo Daniele. «Oh, non importa, Dani», sorride lei. «Sappi che papà sta andando nel cimitero dov’è sepolta Roberta, per salutarla e ringraziarla ancora una volta per avergli donato il proprio cuore per il trapianto».

Il bambino allora capisce e sorride, balzando giù dalla sedia e spalancando le braccia come a simulare le ali di un aereo o un robot di qualche eroe giapponese, ridendo e correndo via dalla cucina, verso la propria cameretta, facendo sorridere Paola.

Dopo alcuni secondi, la donna sente il proprio cellulare suonare e si asciuga le mani nel canovaccio, prendendo poi il telefono, che tiene nella tasca del grembiule, per controllare chi le ha mandato un messaggio.

È Carlo.

“Ciao, Pao. Sono qui bloccato al semaforo. Mi manchi già e ho dimenticato il CD dei Muse nel PC… sarà un viaggio noiosissimo… Dopo ti chiamo”.

Paola sorride nel leggere il messaggio e gli risponde semplicemente:

“XD Sei il solito sbadato! Per fortuna che ti ho preparato io la frutta secca da sgranocchiare durante il viaggio e le medicine, altrimenti come faresti senza la tua amata?”.

La risposta non si fa attendere, due sole parole, che la fanno sorridere ancora di più:

“Grazie, Amore”.

Paola mette via il cellulare e guarda la padella dove l’olio è ormai pronto per dorare la carne impanata.

«Dani, tra poco vieni a tavola!», preavvisa il figlio, mentre continua a cucinare il pranzo, ripensando a quelle piccole cose di Carlo che sono cambiate dopo l’intervento: l’amore per il colore grigio, per la frutta secca e per i Muse. Parte delle cose che anche Roberta tanto amava.

Paola è un medico – aveva conosciuto Carlo durante la sua degenza in ospedale, dieci anni prima –, e una volta aveva spiegato al marito questo strano fatto: il cuore possiede il sistema nervoso cardiaco intrinseco, che, proprio come un piccolo cervello, permette di pensare e addirittura immagazzinare ricordi, legati però ai nostri gusti personali.


Quando era in quel limbo tra la vita e la morte, Roberta aveva fatto la sua scelta, sapendo che il proprio cuore, bello e sano, avrebbe continuato ancora a battere, portando con sé i propri ricordi.

E la Morte dovrà attendere ancora, prima di poter prendere anche quel frammento di Roberta che era riuscito a sfuggirle.



“Io non voglio vivere in questo corpo”.
“E così sia”.

§Fine§
XShade-Shinra



Nota: poiché era molto difficile spiegarlo brevemente e in termini medici semplici, mi sono rifatta alla spiegazione del fenomeno cervello/cuore parafrasandola dall’opera “Battle Royale”, di Koushun Takami.


  
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