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Autore: Shetani Bonaparte    31/12/2013    2 recensioni
Leonard Horatio McCoy, per gli amici “Bones”, ha contratto una malattia sconosciuta a chiunque all’interno della Flotta Stellare e alla Federazione dei Pianeti Uniti, una malattia che lo sta uccidendo.
L’unica che potrebbe essere in grado di salvarlo è una ragazza alquanto particolare, che lo ricovererà nell’Infermeria della nave stellare USS Enterprise NCC-1701 e che diverrà, momentaneamente, il nuovo Ufficiale Medico di Bordo.
Riuscirà a salvare il buon dottore?
Il Capitano Kirk riuscirà ad accettare il rapporto profondo che ella instaurerà con il Comandante Spock?
E, infine, riuscirà lei a scoprire se stessa?
(Dal testo) “Da dove vengo io, Capitano? Beh, potrei un poco confonderla: io vengo dall’arido e desertico Vulcano, dalla feconda Terra, dal bellicoso popolo di Klingon. Questi tre pianeti così differenti sono cuciti nel mio DNA eppure… eppure non sono la mia patria. Io non ho un luogo da chiamare ‘casa’, io sono qui ma non sono mai nata, non sono mai stata allevata da una madre e un padre amorevoli, i miei unici contatti erano, fino a quando non salii qui, degli uomini di cui non ho memoria. Da dove vengo io, Capitano? Me lo dica lei, ‘ché io non so risponderle”
Genere: Drammatico, Malinconico, Romantico | Stato: completa
Tipo di coppia: Slash | Personaggi: James T. Kirk, Leonard H. Bones McCoy, Nuovo Personaggio, Spock, Un po' tutti | Coppie: Kirk/Spock
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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~~“Bones! Bones!”
Voci ovattate. No, non voci, una voce. Di chi?
Aprì gli occhi azzurri come il cielo, osservò il viso di Jim; buffo: si sentiva leggero come un palloncino pieno di elio eppure non volava.
Silenzio. Un silenzio assordante gli trapanava i timpani.
Aveva sonno. Tanto sonno. Respirare era odioso: il suo petto si alzava e si abbassava troppo in fretta, spremendo l’aria fuori dai polmoni, senza dargli il tempo di metabolizzare l’ossigeno. Ma non faceva male, no, l’oblio verso il quale stava andando era dolce, rassicurante.
Ripensò un momento a sua figlia, la sua piccola Johanne. Non la vedeva da anni. Sarà divenuta una giovane donna.
Sorride, in pace con se stesso.
Poi ci fu, finalmente, il nulla.

“Capitano… Jim… la dottoressa sta arrivando. Dovremmo accoglierla al meglio a bordo”
Jams, però, non distolse lo sguardo dall’amico, steso in un bioletto. Il computer diceva che i suoi valori, la temperatura corporea e il metabolismo erano intatti, diceva che stava bene. Eppure il dottore giaceva immobile, pallido.
“Jim” lo richiamò Spock.
Nonostante il buio nell’Infermeria, il Comandante sapeva perfettamente che sul volto del biondo v’era una smorfia di dolore. E frustrazione perché era impotente contro la malattia che stava divorando la vita di Bones. E disorientamento perché Bones era come un fratello, per lui, era un punto di riferimento, un pilastro a cui aggrapparsi.
Bones era… era Bones.
“Jim”
Il vulcaniano s’avvicinò all’altro, che gli voltava la schiena, e gli poggiò una mano sulla spalla.
“Jim”
Solo allora il terrestre permise ai singhiozzi di scuotergli le spalle possenti e alle lacrime di rigargli le guance, arrossando i suoi bellissimo occhi ambrati/verdastri. Non prima, non dopo, solo allora.
Si alzò di scatto, tentando di darsi un contegno, ma non riuscendoci fece l’unica cosa che, forse, lo avrebbe calmato. Nascose il viso nell’incavo del collo del vulcaniano, incrociando le braccia al petto, il respiro che s’infrangeva sulla stoffa azzurra della divisa da Primo Ufficiale Scientifico.
Spock rimase interdetto per un attimo, quasi scioccato da quello scabroso contatto fisico. Ma Jim stava male e ne aveva bisogno.
Sentiva il dolore dell’umano, che si fuse con il suo. Un dolore sordo, ecco cos’era. Terribile. E quindi rimase lì, una mano stretta a pugno dietro la schiena, l’altra a pochi centimetri dalla nuca del Capitano. Non sapeva se carezzargli i chiari capelli – cosa che da molto desiderava – o no, poi optò per un comportamento rigido e freddo, unendo la mano a quella che teneva dietro la schiena.
Immobile come una statua, freddo come il ghiaccio, ecco cosa sembrava, Spock. Eppure a Kirk bastò averlo lì per riprendersi – in fondo lo sapeva che per il secondo in comando era già complicato accettare quel contatto fisico che lui gli aveva imposto.
Tirò su col naso, Jim, si ricompose, si sistemò la divisa, si separò dal vulcaniano e, dopo un sorriso appena accennato, uscirono dall’Infermeria fianco a fianco, diretti verso l’Hangar 7.

Shingena squadrò i due uomini dinanzi a se con freddezza.
Rimasero in silenzio per un poco, poi Kirk le diede il benvenuto e le porse la mano in segno di saluto.
“Scusi, Capitano, ma preferirei evitare un tale contatto fisico” disse lei, guardando in viso l’umano; spostò una ciocca di capelli neri come la pece dietro un orecchio e vide la sorpresa dipingersi negli occhi del Capitano e del Primo Ufficiale.
“Scusi, dottoressa Shingena, non sapevo che lei fosse vulcaniana”
La donna dinanzi a lui aveva in fisico asciutto e leggermente muscoloso, il seno prosperoso, le labbra fini, la pelle diafana, i capelli neri che le arrivavano alle spalle e gli occhi… gli occhi neri stranamente umani. Dentro la sua divisa da Medico di Bordo, era un vero schianto.
Il biondo osservò Spock. Incredibile quanto i due si somigliassero.
“Dottoressa, il viaggio deve essere stato stressante” incominciò il vulcaniano, “se vuole la accompagnerò nel suo alloggio per riposare”
“No. Preferisco visitare il paziente, prima. Mi hanno informata che è molto grave”
“Come desidera”

“Diario del Medico di Bordo. Il paziente, il dottor Leonard Horatio McCoy, è caduto in uno stato di incoscienza 10 ore, 5 minuti e 23 secondi fa. I suoi colleghi non hanno notato particolari cambiamenti in lui, prima. Temperatura corporea: 36 gradi centigradi. Le analisi del sangue non hanno rivelato nulla di anomalo, nessuna intossicazione. Il suo fisico è in perfetta salute eppure è insolitamente pallido. La Federazione aveva ragione: la sua malattia è sconosciuta. Un caso affascinante. Non capisco perché mandarmi qui per un solo uomo quando potrei curarne a centinaia sulla Terra. Avrebbero potuto seguire la logica e far venire lui da me. Uh… umani!”
Spense il registratore, osservò il viso del dottore.
Non capiva cosa avesse di preciso e come curarlo e ciò la snervava. Non aveva mai fallito, prima. Mai.
Il viaggio era stato tremendo – troppo rumoroso, troppa gente che la toccava, troppo mal organizzato, secondo i suoi canoni -, non era in grado di fare una diagnosi accurata e iniziava ad aver mal di testa.
Uscì dall’infermeria, le mani incrociate dietro la schiena, indisturbata.
Avrebbe meditato per almeno due ore. Poi, avrebbe studiato la biologia umana – nonostante la sapesse a memoria – e tutti i pianeti su cui aveva messo piede McCoy e tutte le spore che aveva probabilmente inalato. Forse, allora, sarebbe riuscita a capirci qualcosa.
Entrò nel turbo ascensore, attese qualche secondo, approdò nella Zona Alloggi e si chiuse nella propria stanza.
Aveva un’unica certezza: doveva sbrigarsi o non avrebbe avuto alcuna possibilità di salvare il suo paziente.




Allora, come vi sembra? Spero che vi piaccia, io vado a scrivere il secondo capitolo ^^

  
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