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Autore: Lady Viviana    01/01/2014    1 recensioni
Raccolta di dieci one-shot, dieci storie per aspettare la nuova serie di Sherlock, dieci momenti, dieci diverse declinazioni del rapporto fra John e Sherlock. Amici, amanti, compagni di avventura, coinquilini.
Una storia al giorno, in attesa di sapere la verità.
ATTENZIONE! Possibilità di spoiler relativi alla seconda stagione!
Genere: Fluff, Introspettivo, Slice of life | Stato: completa
Tipo di coppia: Het, Slash | Personaggi: Altro personaggio, John Watson, Quasi tutti, Sherlock Holmes
Note: OOC, Raccolta, Traduzione | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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The Little Details
by ItsRealForUs
 

N.d.t.
Buongiorno a tutti e buon Anno :)
Stasera, poco prima dell'inizio della terza stagione, pubblicherò la decima e ultima storia. Poi *prepara cioccolato e fazzoletti* potrò godermi il ritorno in gran stile di Sherlock (perchè, conoscendolo, lo sarà sicuro ^^).  Buona serata a tutti e buon 1 gennaio ^^
Lady Viviana
p.s. Link alla storia originale: https://www.fanfiction.net/s/7564405/1/The-Little-Details
Link al profilo dell'autrice originale (ItsRealForUs): https://www.fanfiction.net/u/1893047/ItsRealForUs
 

John
Sherlock
Ragazza
 
John premette il palmo della mano sul volto, lasciandolo lì per un attimo prima di spostare le dita agli angoli degli occhi.  Per un assurdo momento, ripensò alle sedute con la sua vecchia terapista e pensò a se il ritorno della frustrazione e del cinismo nel suo affrontare la realtà fosse o no un progresso. Beh,  avrebbe chiesto se la signora Bracewell era stata licenziata di nascosto per l’intervento di un certo Mycroft Holmes nella questione della riabilitazione di John Watson. Ma in questo momento non era importante.
 
Ciò che era importante era che lui e Sherlock avevano vagato per le strade per quattro, lunghissime, ore in cerca di un particolare negozio di caffè in cui un sospettato di omicidio si era accampato nell’inseguire la sua ultima vittima. Lo stomaco di John brontolò mentre passavano davanti allo stesso venditore di patatine con lo stesso adorabile profumo di sale e olio fritto davanti a cui erano passati mezz’ora prima. Non poteva permettersi di fermarsi;  chissà in che guai avrebbero potuto portarlo le ricerche di Sherlock. L’ubbidiente blogger aveva appena iniziato a ideare modi per attirare a casa il detective quando lo vide bloccarsi di fronte a un caffè minuscolo che si confondeva fra due grandi edifici di mattoni. Era così piccolo e poco appariscente, per non parlare del fatto che era deserto, che John non l’avrebbe notato se Sherlock non si fosse bloccato.
 
Cos’è?” chiese John, percorrendo la breve distanza che lo separava dal detective fermo immobile. “”E’ questo il posto?
 
Sherlock scosse la testa e tirò fuori il Blackberry che difficilmente non aveva con sé “Ovviamente no, ma è vicino, molto vicino. Quello che ho bisogno di sapere è cosa stava facendo. Deve aver avuto qualcosa da fare mentre se ne stava seduto. Non un libro…non è il tipo che legge. Troppo avvincente, troppo personale. Non il telefono perché il segnale qui è pessimo. Se riusciamo a individuarlo, allora-“
 
Immediatamente si dipinse sul volto di Sherlock quel suo sorriso orribilmente falso (per John) e terribilmente affascinante (per tutti gli altri) e puntò dritto su una donna seduta fuori dal locale con un caffè davanti a se e un dispositivo nero lucido fra le mani. John gemette e lo seguì, pronto a spiegare, seduto sul taxi che li avrebbe portati a casa, il motivo esatto per cui la donna aveva schiaffeggiato uno Sherlock confuso e terribilmente maleducato.
 
“E’ il nuovo modello, vero?” cinguettò Sherlock con un leggero accento Cockney*. La donna alzò sorpresa lo sguardo dal suo tablet. Per qualche secondo il suo sguardo, confuso, si spostò dal testo scritto sullo schermo al (falso) sorriso di Sherlock.
 
Oh, sì, è un Kindle Fire**” disse alla fine lei. Accento americano, probabilmente Sherlock potrebbe individuare la sua città natale con un errore di un centinaio di miglia. Il suo leggero spostamento del viso indicò che la classificava come londinese.
 
“Sì,  lo sto tenendo d'occhio su enGadget. Posso vederlo un attimo? Non ero certo su alcuni dettagli” chiese senza intoppi, l’accento leggermente raffinato e quel tono che le donne (e, aveva scoperto John, pochi uomini) raramente rifiutavano.
 
Ah, immagino di sì” mormorò lei, consegnando il tablet, sembrando preoccupata per quello che stava facendo. John penso che sembrava una versione molto più grande del telefono della Ragazza in Rosa [1x01, n.d.t.] e non stupendosi quando Sherlock iniziò a spostare velocemente il dito attraverso una raffica di icone e applicazioni sullo schermo liscio. Il detective lo soppesò fra le mani, un sorriso autentico che si estendeva da un orecchio all’altro. John rivolse alla donna, che ora stava sorseggiando il suo caffè,  uno di quegli sguardi che significavano “grazie per aver permesso che il mio amico provasse”. Lei lo colse e rispose con un sorriso. Il che era una novità. La maggior parte delle persone tendevano a guardarlo ancora più confuse.
 
“Questo - disse alla fine Sherlock con il tablet appoggiato sulla sua esile mano  - è quello che stiamo cercando. Chiaramente stava usando un tablet, qualcosa di molto simile a un e-reader con una batteria a lunga durata e nessuna dipendenza dalla connessione internet. I piccoli cafè tendono ad avere la carta per internet per attrarre clienti, ma era in un posto che probabilmente non piace agli utenti di internet. Quindi, non un cafè, più una taverna”.
 
Guardò John, in attesa. Incapace di nascondere la sua ammirazione, John si lasciò sfuggire uno dei suoi sguardi luminosi, di quelli che dicono qualcosa tipo “Sei brillante”, poiché stava cercando di non ripetersi per la milionesima volta. Sherlock continuò a esaminare l’e-reader finchè un colpo di tosse non attirò la sua attenzione.
 
“Ehm, scusi se la interrompo, ma, potrei riavere il mio Kindle? L’ho preso soltanto-“
 
“L’hai preso soltanto ieri e la cover non è ancora arrivata, a giudicare dal fatto che hai una confezione imbottita ecosostenibile nella borsa” – scherzò Sherlock, gettando uno sguardo alla vecchia borsa di cuoio appoggiata dietro la sedia della donna – sei molto attenta, restia a rovinare tutto con impronte digitali sconosciute. Lo usi anche seduta a un tavolo usando due mani, piuttosto che con una mentre cammini come farebbero la maggior parte delle persone con un portatile. E’ abbastanza prezioso per voi. Considerando la mancanza di compagnia a questo tavolo e il vostro shock per essere stata avvicinata, non avete ancora molti amici a Londra, quindi questo non è stato il regalo di un amico. Questo oggetto è uscito di recente ed è abbastanza costoso, non esattamente qualcosa che avrebbe acquistato un parente oltreoceano. A giudicare dalla vasta e variegata selezione di note su cose da fare e di libri, devi essere un insegnante di Letteratura da qualche parte a meno di cinque isolati da qui perché quegli stivali sono perfetti per un’insegnante che va al lavoro a piedi. Questo è il tuo cafè preferito,  ben isolato poiché non ti interessano le persone e perfetto per la tua dipendenza da caffè, ben diversa dall’abuso diffuso di alcool che affligge altri studenti del tuo stesso college…dove stai prendendo una laurea di livello di più alto per poter insegnare all’università ovviamente…”
 
John sapeva che la sua bocca era leggermente aperta, ma sapeva anche che nessuno apparte Sherlock l’avrebbe notato. La donna al tavolo annuì lentamente, prese il Kindle che Sherlock le aveva finalmente ridato e lo infilò in una piccola scatola di cartone e poi dentro la malconcia borsa di pelle.
 
“Tutto giusto – confermò un po’ tremante – insegno Letteratura in una scuola a due isolati da qui il appartamento è poco più lungo questa strada. Amo il caffè perché sono molto tollerante alla caffeina e non bevo. Ma è perché l’alcolismo è presente nella mia famiglia, a dispetto delle vite terribilmente sregolate di altri accademici”
 
Sherlock piegò indietro la testa e alzò gli occhi “Uh, c’è sempre qualcosa. Qualcosa di così piccolo che non colgo”.
John si sentì come gli avessero tirato una manata dietro la testa quando quei riccioli scuri si inclinarono così opportunamente verso di lui. Aveva appena dissezionato una persona vivente e, allo stesso modo in cui era affascinante seguire il filo dei suoi pensieri, l’aveva fatto di fronte a lei, annullando immediatamente il suo ruolo. La scomparsa dell’adrenalina può portare soltanto alla colpa.
 
La donna (professoressa? maestra?) prese borsa e caffè “Bene, spero di essere stata una distrazione alle sue indagini, Mr. Holmes
La testa di Sherlock scattò quando udì il suo nome, “Cosa?”
Lei rise, battendo sulla parte superiore della scatole che conteneva l’e-reader “Ha guardato tutti i miei libri e i miei appunti e non ha fatto caso all’oggetto della mia tesi? Sto trattando i gialli inglesi. La mia ricerca tende a includere anche risultati non di fantasia. Chi altro avrebbe potuto andarsene in giro per Londra a dedurre accessori se non Sherlock Holmes e il suo fedele blogger, il dottor John Watson?” Lanciò uno sguardo a John e annuì prima di allontanarsi in cerca di un taxi.
 
Sherlock agitò con aria drammatica il suo cappotto mentre si dirigeva verso l’estremità opposta della strada. Riuscì a percorrere diversi passi lunghi, rimuginando, prima che John si affrettasse a raggiungerlo per cercare un taxi per loro.
“Devo essere stanco “ disse Sherlock accennando un ghigno mentre John chiudeva la portiera. John in quel momento era un pochino stanco dopo tutto quel camminare cui l’aveva costretto il loro ultimo caso, perciò il tranquillo borbottare un “c’è sempre qualcosa” poteva anche essere frutto della sua immaginazione.  Piuttosto che provocare l’orso che era il suo coinquilino, John si concentrò nel cercare di ricordare dov’era il piccolo caffè e chiedendosi se l’insegnante di inglese gli avrebbe rivolto il suo sorriso da-so-tutto-io se l’avesse offerto di prendere un caffè.
 
 
Quattro messaggi a Lestrade risolsero il caso. L’orgoglio di essere superiore rispetto al resto dell’umanità offrì a Sherlock due ore di relax e la diminuzione dell’adrenalina.
John era nel bel mezzo di un episodio di Doctor Who [n.d.t. popolare serie britannica a cui lavora anche Moffat, co-creatore di Sherlock], con in grembo una delle ciotole pulite con delle tagliatelle, quando Sherlock iniziò ad annoiarsi. Il sospiro iniziò con l’apparizione di una vestaglia blu, ma John iniziò a irritarsi solo quando il coinquilino si lasciò cadere senza tanti complimenti accanto a lui, drappeggiando la sua vestaglia, per quello che era possibile nel piccolo spazio che rimaneva libero sul divano. John finì l’ultima tagliatella e mise la ciotola sul tavolino, per poi voltarsi.
 
Cosa. diavolo. c’è. che. non. va?” disse impassibile.
 
Sherlock sospirò di nuovo. Se John non l’avesse conosciuto così bene, avrebbe scambiato Sherlock per un attore. La teatralità, le lacrime e i sorrisi finti, l’enorme ego, tutto. Fino ai capricci quando stava per distruggere il telefono.
 
“Annoiato” mormorò Sherlock, contraendo le dita della mano destra come se stesse suonando un violino invisibile. John era abbastanza contento di averlo nascosto dopo la sessione alle tre del mattino di due giorni prima. L’unico consulente detective del mondo poteva anche essere brillante, ma non aveva pensato di controllare nel ripostiglio, dietro di prodotti per la pulizia che solo John toccava.
 
Giusto. Beh, questo l’avevo capito. Hai appena risolto un caso questo pomeriggio, lo sai”.
 
Sherlock guardò il suo dottore. Il tuo essere così ovvio è incredibile, dissero i freddi occhi grigi. Le labbra non avevano bisogno di aggiungere altro e John si limitò ad alzare appena gli occhi.
 
Sì, ok, va bene. Perché non fai un esperimento? O vai…a osservare qualcuno? Potrebbe andare bene, anche se l’abbiamo già fatto per un sacco di tempo, oggi”.
 
Sherlock chiuse gli occhi e mise un braccio, come sempre chiarissimo, sulla fronte in quella che John definiva “la posizione del genio torturato”. Il detective in realtà aveva troppi modi di porsi, troppe espressioni e toni di voce, ma sentì di aver dato un nome a tutti. Non importava di quale si trattasse, John non aveva comunque voglia di vedere Sherlock analizzare programmi tv tutta la notte. Si alzò, concedendo quindi al suo coinquilino di occupare anche la restante metà del divano.
 
“Dove stai andando?” chiese Sherlock. John qualche volta odiava il suo tono da “devo assolutamente avere questa informazione e tu me la dirai”. Prese la giacca dall’appendiabiti vicino alla porta e se la mise.
 
“Non sarà in giro, lo sai” chiamò il bozzolo di seta e cotone egiziano dal divano. John si girò per vedere l’inizio di una smorfia.
 
Cosa?
 
“La donna del cafè. Ti piacerebbe fare qualcosa con lei. Non sarà in giro. Domani è giorno di scuola e lei si deve svegliare alle cinque per arrivare a lezione, ovunque sia. Inoltre, ho seri dubbi sul fatto che riuscirai a localizzare il suo appartamento solo dalle deduzioni che ho fatto. Anche io ho bisogno di più informazioni.”
 
John rimase lì, le dita ferme nell’atto di chiudere la giacca. Aveva un rapporto di odio-amore con le deduzioni di Sherlock. Erano terribilmente veritiere, ma anche brillanti. Sperava, però, di riuscire almeno a trovare una falla nel suo ragionamento.
 
E cosa – iniziò John, chiudendo le giacca e infilando le mani (e non solo quelle) in tasca – ti fa pensare che io stia andando a cercare lei? O che voglio incontrare qualcuno di cui non so neanche il nome?
 
Sherlock si sedette, felice per l’attenzione che stava ricevendo e per il fatto che John era ancora lì. “E’ semplicissimo. Non hai voglia di affrontare il mio umore o di ascoltarmi mentre svelo gli errori nella trama dei tuoi stupidi telefilm di fantascienza. Potresti uscire e cercare di recuperare il rapporto con Sarah, ma dopo l’incidente in piscina, lei ha scoperto di non poter stare con qualcuno con uno stile di vita così…pericoloso e un impegno di lavoro oltre quello alla clinica. Oggi abbiamo incontrato una donna non poco attraente di quasi trent’anni che ha ammesso di non avere amici a Londra e probabilmente in tutto il paese. Era educata, tranquilla, molto intelligente. Mi ha ingannato per un qualche attimo, cosa che ti diverte. Nella sua famiglia ci sono casi di alcolismo, come nella tua e lei stessa ha paura di diventare dipendente da qualsiasi sostanza, esattamente come te che ti rifiuti di prendere gli antidolorifici prescritti in ospedale dopo la vicenda della bomba. Voi due siete davvero molto simili, anche perché a lei piacerebbe che tu corressi in giro a risolvere casi in quanto parte della sua visione romantica della realtà che le deriva dal vivere immersa nella letteratura. Un dottore e un insegnante. Che adorabile e noioso abbinamento.”
 
John si leccò il labbro inferiore, cercando di trattenersi dal dire tutte le cose che pensava riguardo all’analisi dettagliata di Sherlock riguardo un possibile futuro con la signorina-del-Kindle. Afferrò le chiavi dal tavolino e le mise nella testa della giacca.
 
Quindi – disse, calmo – dal momento che con questa donna siamo così compatibili, perché non dovrei avere una possibilità di girare il suo quartiere per vedere se la incontro?”
 
Sherlock si alzò e iniziò a camminare, la vestaglia che si agitava dietro di lui nella sala, come sarebbe successo al suo cappotto in strada. Si muoveva nel piccolo spazio come un pantera in una gabbia, dando un ordine alle informazioni che aveva.  John sentì i suoi occhi che spaziavano dai piedi chiudi nelle pantafole, alla fascia in vita, fino alle spalle sottili e ai capelli in disordine. Da quando osservare quella strana creatura era diventato un appuntamento fisso nella sua vita? Prima di poter meditare ulteriormente, il vulcano di informazioni Sherlock iniziò il suo flusso piroclastico.
 
“Uno dei motivi te l’ho già detto: sta dormendo o lo farò fra poco. Il secondo è che sta affrontando un divorzio. E’ venuta qui con il visto da studente e ha sposato un fidanzato con cui stava da poco perché avrebbe potuto seguirla e continuare la relazione. Ama la scuola e ama Londra, le mancano i suoi amici e il clima di casa sua, probabilmente tropicale. California del sud, probabilmente, ma abbastanza lontano da Hollywood. Hanno divorziato e lui è tornato là. Lei è qui, da sola, perché lui era l’unico con cui aveva socializzato e aveva paura di farlo con altri. Ora potresti descriverla come sposata al suo lavoro – aggiunse Sherlock allegramente – Crede anche che io e te siamo fidanzati e non è il genere di persona che rovina i rapporti per trarne vantaggi per sé”.
 
John aveva riaperto la giacca ed era a metà strada verso la sua poltrona quando Sherlock se ne uscì con quell’ultima frase. “Cosa? Lei…lei crede cosa??
 
“Che io e te siamo fidanzati e non è il genere di persona che rovina i rapporti per trarne vantaggi per sé” ripeté Sherlock.
 
John sprofondò nella sua poltrona e Sherlock ricadde sul divano. Il dottore non aveva nemmeno notato che il suo coinquilino era di nuovo nella “posizione del genio tormentato” ora che si era assicurato che John non lasciasse l’appartamento per un po’ di tempo. Sprofondando nella poltrona, John ripercorse la scena nel cafè. Aveva parlato pochissimo e ottenuto un sorriso da parte della donna per via di Sherlock…come diavolo aveva fatto a presumere che ci fosse una relazione fra loro due? Come potrebbe potuto farlo chiunque altro?
 
“Molte persone pensano che ci sia qualcosa fra di noi, soprattutto se mi hanno conosciuto prima che ti incontrassi. Mrs Hudson lo sospetta fin dal primo giorno. Anche i commenti di tua sorella sul blog fanno capire che sospetta ci sia un’attrazione nascosta reciproca. Circa il 60% delle persone in cui ci imbattiamo insieme, per caso o no, pensano che siamo una coppia omosessuale. Circa il 72% degli uomini pensa che io sia gay sia quando sono con te, sia quando non lo sono e circa il 30% delle donne pensa che tu sia gay quando siamo insieme. Lei rientra in questa percentuale, ha supposto che stessimo insieme, probabilmente perché ha scoperto durante le sue ricerche che ci conosciamo da molto tempo.”
 
John aprì e chiuse la bocca un paio di volte, ma non uscì nessun suono. Aveva avuto un appuntamento con quattro, bellissime donne nell’anno scarso da quando aveva conosciuto Sherlock, il che era poco per lui, ma pensava fosse dovuto alla sua scarsa vita sociale.  Per sentirsi dire poi che quasi tutti quelli che lo conoscevano pensavano fosse più che interessato a farsi il suo coinquilino. Ricordò la candela al “loro” tavolo da Angelo e le domande di Mrs Hudson sulla situazione in camera da letto. Ricordò la battuta ridicola di Mycroft riguardo un “lieto annuncio alla fine della settimana”.
 
Sherlock non l’aveva sentito alzarsi dalla poltrona, ma saltò su quando la porta dell’appartamento si chiuse sbattendo.
 
John era in un pub che guardare la pinta appena iniziata di fronte a lui quando il telegono vibrò contro la sua coscia. Lo ignorò, sperando che il crescente suono proveniente dagli altri avventori che stavano guardando una partita di calcio lo coprisse. Ronzò ancora, due volte, in rapida successione, prima che lo tirasse fuori dalla giacca dei jeans e aprisse i messaggi.
 
Dove sei? – SH
 
Ho fatto qualcosa di sbagliato? – SH
 
Ho detto qualcosa di sbagliato? – SH
 
Il telefono vibrò ancora e lo schermò si illuminò.
 
Detesto quando sei arrabbiato e silenzioso su qualcosa. – SH
 
Beh, questo era interessante. Sherlock difficilmente esternava un sentimento, molto meno se si trattava di quelli di John. John abbandonò la pinta tiepida sul bancone di legno e si diresse verso Baker Street. Tornava a casa.
 
Si fermò fuori dalla porta, in ascolto.  Sembrava che Sherlock fosse uscito o stesse dormendo; sicuramente uno Sherlock in preda alla noia non sarebbe stato così silenzioso. Dall’altra parte della porta venne il suono di un bicchiere che si rompeva seguito da alcune imprecazioni a bassa voce e John lasciò andare il respiro che non sapeva di aver trattenuto. Esperimenti. Ovviamente. Aprì la porta e scoprì cosa stava succedendo nella folle mente di Sherlock.
 
Il detective stava per tamponare una sostanza chimica caduta sul tappeto con un fazzoletto dall’aspetto costoso. Ancora indosso il pigiama e la vestaglia, non si era allontanato di molto dalla sua posizione sul divano. John sospirò.
 
Siamo qui da più di un anno e ancora non sai dove sia l’armadio delle scope?
 
Sherlock guardò John come se gli avesse appena suggerito di badare ai cinque, chiassosi figli di Lestrade “Abbiamo…un armadio delle scope?”
 
John intervenne, aprendo una piccola porta vicino alle scale e recuperando alcuni  prodotti per la pulizia, uno straccio e, per sicurezza, la custodia del violino. Sherlock la afferrò immediatamente, lasciando la misteriosa sostanza e le schegge di vetro a John.  Passò le mani sulla superficie liscia e screpolata e la aprì. Con un piccolo sorriso, pizzicò una corda.
 
“Mi stavo giusto chiedendo dove fosse finito” mormorò, pizzicando alcune corde. John rovesciò lo straccio pieno di cocci nel cestino.
 
Sì, avevo deciso di nasconderlo in un posto in cui non avresti mai guardato. Immagino di averci azzeccato
 
Sherlock annuì, tirò fuori il vecchio Strad e lo appoggiò sulle lunghe braccia. Prima che John potesse fermarlo, o chiedere cosa intendesse nei messaggi, o facesse qualunque altra cosa, iniziò a suonare un pezzo intenso e pulsante. Le note erano discordanti e tristi, ma belle. John si ritrovò sul divano, gli occhi completamente incollati a Sherlock, che continuava ad condurre il gioco. Se John avesse avuto la capacità di osservare del detective, avrebbe notato quanto saldamente fossero chiusi i suoi suonava mentre suonava o quanto tese le sue spalle. Avrebbe notato che il percorso ben conosciuto che le dita facevano viaggiando sulle corde, che suggeriva che aveva suonato molte volte quel pezzo nella sua vita, anche se John non aveva mai sentito una vera e propria melodia provenire dallo strumento. Sherlock tenne l’ultima nota per il tempo che la fisica gli permetteva prima di riaprire finalmente gli occhi.
 
Era stupendo” disse John. Sia che stesse discutendo la situazione matrimoniale di un cadavere proteso sopra di esso o che tirasse fuori qualcosa da quello strumento torturato, John continuava a stupirsi.
 
“Vistoso, ma falso” mormorò Sherlock, guardando il violino come aveva guardato l’e-reader, da punta a punta, prima di rimetterlo nella custodia.
 
Non penso
 
Sherlock analizzò attentamente John, lanciandogli quello sguardo con cui scansionava le persone in cerca di inganni e verità nascoste. Evidentemente aveva trovato ciò che cercava perché, per la seconda volta in poche ore, si lasciò cadere sul divano vicino al suo coinquilino.
 
Allora, cosa vogliono dire quei messaggi? Voglio dire, mi dispiace essere uscito, ma non avrei mai pensato che ti importasse se ero o no arrabbiato”.
 
Se John non l’avesse conosciuto così bene, avrebbe detto che Sherlock sembrava ferito. Certo, i penetranti occhi grigi si erano sicuramente addolciti e le labbra contratte, ma John non aveva mai seriamente pensato che avesse la capacità di preoccuparsi di qualcosa. Si era autodefinito un sociopatico ad alta funzionalità, no? Aveva detto che era sposato al suo lavoro. La vicenda di Irene Adler avrebbe potuto alimentare una vaga idea di sessualità in lui, ma lui l’aveva trattata come un diamante perduto, diviso prima di essere venduto o come un programma di scacchi per il computer particolarmente buono.  Un avversario, non un essere umano. Ricordava Mor….la sua minaccia di far scoppiare il cuore di Sherlock. Stranamente, il suo peggior nemico era stato l’unico a immaginare che ne avesse uno. Eppure, l’ultimo consulente investigativo al mondo sedeva, con l’aria ferita e leggermente persa, chiedendosi quale passo falso avesse commesso per far sì che il suo coinquilino lo abbandonasse per una notte intera.
John si morse l’interno della guancia, chiedendosi cosa dire.
 
“L’ho letto su internet”, disse bruscamente Sherlock. Fu sufficiente a confondere John.
 
Letto cosa?
 
“Come scrivere il messaggio. Ho letto che le persone sono meno sulla difensiva e più aperte alla discussione se l’affermazione inizia con “Io” come soggetto, piuttosto che “tu”. Pertanto, invece di scriverti, Perché sei un’idiota insopportabile? ti ho scritto come quello che hai fatto mi ha fatto…sentire”.
 
John si agitò sulla sedia. Chi avrebbe mai associato quella parola di sette lettere con inizia con s- con Sherlock!
 
Beh, mi dispiace di essere uscito. Ho solo…”
 
“ Si sentivi minacciato e sconvolto all’idea che così tante persone fra quelle che conosciamo non conoscano le tue preferenze sessuali. Ed è stato ancora più scioccante perché tu non riesci a capire come facciano a presumere che una persona così normale, comune e simpatica possa avere una relazione con un misantropo eremita come me, la cui ultima relazione, durata due settimane, risale a un periodo di noia quando era all’università”.
 
John si sporse in avanti appoggiandosi sui gomiti, cercando di dedurre l’origine della deduzione. Gli occhi vagarono dalla postura chiusa, al comportamento difensivo, alle mani giunte in preghiera appena sotto il mento. Osservò in profondità gli occhi e le labbra sottili saldamente chiuse. Si chiese, vagamente, come faceva Sherlock a non accorgersi che Molly Hopper, all’obitorio, gli cadeva addosso di continuo. La sua mente riandò anche allo schermo imbarazzante quando “Jim da IT” venne in visita, spostando lo sguardo sul detective quando rabbrividì. Ricordò l’orgoglio nella voce di Sherlock quando lo aveva presentato a Sebastian come un “amico”, prima che, infastidito, lo correggesse. Era riuscito a venire con lui a più di metà dei suoi appuntamenti. Si era difeso da quel pazzo di suo fratello e dalle occasionali frecciatine sarcastiche di Anderson sulle scene del crimine. Aveva curato la sua zoppa con l’adrenalina. Non aveva mai pulito, né messo a posto, né fatto il tè, né comprato il latte. Eppure Sherlock era quello che gli aveva sfilato la giacca-bomba, come se fosse stata addosso a lui e non a John. Era quello che l’aveva gettato nella piscina quando la bomba era esplosa. E Sherlock era il miserabile pazzo con cui, nonostante tutto, continuava a vivere. Il miserabile pazzo che osservava, troppo serio e troppo tranquillo, come John aveva preso la notizia che per l tutti gli altri era ovvia.
 
Credo di dover correggere alcune pecche nel tuo ragionamento” disse John e deglutì quando Sherlock rivolse a lui il suo sguardo laser.
 
“Scusa? Credo che fosse corretto in tutti i punti”
 
John si sporse in avanti e premette le sue labbra proprio di fianco a quelle di Sherlock. Per un terribile momento, penso di essersi sbagliato. Poi, Sherlock avvolse le sue braccia intorno al medico militare che era accanto a lui. Poteva anche esserlo immaginato, ma qualche minuto dopo, quando John scoprì che il maglione era troppo caldo e che in una certa posizione lui e Sherlock potevano sdraiarsi perfettamente sul divano a guardare la tv spazzatura, giurò di aver sentito un leggero borbottio mentre Sherlock gli accarezzava i capelli
 
“C’è sempre qualcosa. C’è sempre qualcosa”



*Cockney è il dialetto di Londra, anche se originariamente (cito Wikipedia) si riferiva soltanto al dialetto dell’East End, la parte proletaria e più povera della città
** http://www.gizmodo.it/wp-content/uploads/2012/05/Kindle_Fire_hand.jpg
  
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