-3-
(assegnare le
parti)
Perfetto!
Manca il rossetto e poi…
sei perfetta.
Non credevo di riuscirci. Ma scopro
che la faccenda è alquanto strana: a quanto pare mi vengono automatiche
cose
che non avrei mai immaginato di saper fare in vita mia.
Avrei anche potuto evitare il
trucco, ma tu non ti presenti mai in ufficio senza almeno un velo di
rossetto a
sottolineare la curva delle tue labbra; quando ti accade di non essere
perfetta
come al tuo solito, c’è sempre qualcosa che non va. E proprio oggi non
vogliamo
che qualcuno pensi che qualcosa non vada, vero? Sarebbe troppo
imbarazzante
rispondere cosa.
E’ una fortuna che tu non sia in
uno dei tuoi “giorni no”: in bagno, nell’armadietto, mi sono trovato di
fronte
ad una scatoletta… ci ho messo qualche minuto a capire cosa potessero
essere.
Quell’esperienza, ti assicuro,
preferisco evitarla. Poi, magari, mi sarei scoperto capacissimo anche
di mettere
un assorbente interno, ma sono contento di non doverlo provare.
Almeno per il momento.
In effetti… cerco di non pensarci,
ma… tornerò mai nel mio corpo?
Sono alle prese con la spazzola
quando suona il telefono. Calma: ci vuole concentrazione prima di
rispondere.
“Colonnello Mackenzie…”
Dall’altra parte, per un attimo,
un silenzio quasi esitante.
“Chi parla?” domando.
“Mi… mi scusi… devo aver sbagliato
numero…”
All’altro capo sento una voce che
mi sembra essere la mia e, in sottofondo, rumori familiari.
Tento l’inverosimile.
“Mac…? Sei tu?”
Mi accorgo di attendere con ansia
la risposta, a confermare che le mie ipotesi sono corrette.
“Harm?”
Sento sollievo, nella mia voce,
quando trovi il coraggio di domandarmi se a rispondere al tuo
apparecchio, e
con la tua voce, sono proprio io.
Avevo ragione, allora: siamo
ognuno nella pelle dell’altro.
Assurdo, irreale.
Ma sapere che ci sei tu, dentro il
mio corpo, in qualche modo mi rassicura. Spero che sia lo stesso anche
per te.
“Sì, sono Harm.”
Che liberazione, poterlo dire a
qualcuno! Non mi ero reso conto di quanto avessi bisogno di poter
parlare con
qualcuno che potesse capire. Non oso immaginare come ti senti tu,
oltretutto in
mezzo a persone che quasi non conosci…
“Mac, come stai?”
“Bene… più o meno. Senti… Hai
capito che cosa è successo?”
“Non ne sono certo, ma credo che c’entri
l’eclissi di luna e…” esito a dirti tutto quanto: come faccio? Non
vorrei che
pensassi che tutto questo casino fosse colpa tua.
“Harm, credi che la mia frase di
ieri…”
Ci sei arrivata da sola.
“Devi averlo desiderato talmente tanto
intensamente che fossi nei tuoi panni…” cerco di sorridere con la voce,
per
sdrammatizzare un po’, prendendoti bonariamente in giro.
“Credi davvero che volessi tutto
questo? Che pensassi a quello che ho detto?”
“Sì, Mac. Sono convinto che
pensassi davvero a quello che hai detto. Ma non credo affatto che
volessi che
accadesse realmente una cosa simile.”
“Cosa faremo, Harm?”
“Non lo so…”
“Voglio tornare a Washington…”
“Ma non puoi, Mac! Ho le
qualificazioni. E poi la Parker…”
“Harm, rifletti: come faccio a
volare al posto tuo?”
“Puoi farcela, Mac. Io ho fatto il
caffè…”
“Se permetti non è proprio la
stessa cosa”.
“Aspetta, non è questo che
intendevo. Volevo dire che mi sono reso conto che so fare le cose che
solitamente fai tu. Mi sono persino truccato, e devo dire che sono, o
meglio
sei, perfetta come sempre”.
“Ma volare, Harm! Lo sai che non
sopporto di volare neppure quando sei tu a pilotare… figurati se devo
farlo
io…”
“Potresti trovarlo divertente. E poi
c’è Skates… ti può aiutare lei”.
“E cosa dovrei dirle? Che il
Comandante Harmon Rabb, esperto pilota di tomcat, improvvisamente ha
scordato
anni e anni di addestramento al volo? Oppure dovrei dirle la verità? Ma
fammi
il piacere, Harm…”
“E perché no?”
“Che cosa?”
“Dirle la verità”.
“Ma per favore…”
“Non sto scherzando, Mac. Potrebbe
capire. Ti assicuro che Skates potrebbe davvero capire”.
“Tu lo credi? Dovevi vedere la sua
faccia poco fa quando ti ha visto in mutande".
“Aspetta, aspetta… cos’hai detto?”
“Lascia perdere… ha bussato alla
tua cabina per avvertirti che sarebbe stata lei il tuo RIO e io ho
aperto,
senza riflettere…”
“Un momento: hai detto che Skates
sarà il tuo RIO?”
“No. Io ho detto che Skates
sarebbe dovuta essere il TUO RIO…”
“Ma è perfetto! Lei è bravissima,
il miglior secondo con cui abbia mai volato… quello che non saprai fare
tu, te
lo dirà lei”.
“Tu sei pazzo. Vuoi vedermi morta?
O vuoi morire tu? – Accidenti che casino! - Capisco che quello che è
successo,
tecnicamente potrebbe essere definito colpa mia, ma…”
“Tu non c’entri niente con tutto
questo. E non morirai affatto. E neppure farai morire me.”
“Sei sempre così maledettamente
sicuro di te?”
“No, non sempre. Avrei avuto delle
difficoltà con gli assorbenti… E non ho ancora provato i tacchi…”
Sento una risata, quella che
speravo di ottenere con le mie parole, e capisco che stai cedendo.
“Se io provo a pilotare, tu devi
uscire con Webb. Ho appuntamento con lui, questa sera”.
“Scordatelo”.
“Allora niente qualificazioni”.
“Ma così non potrò volare per sei
mesi…”
“Sta a te decidere…”
Non conosco una donna più caparbia
di te. Forse è proprio per questo che ti adoro.
Ma uscire con Webb… C’è un limite
a tutto!
“Coraggio, Harm. Si tratta solo di
un appuntamento…”
“Non pensare neppure per un minuto
che ci vada a letto assieme… Scordatelo!”
“Non saresti tu a farlo, ma io. E
poi Clay…”
“Zitta. Non voglio sapere com’è
Clayton Webb tra le lenzuola”.
“E chi ti dice che stavo per dirti
com’è a letto? Ci sono altri posti…”
“Vuoi o no che vada all’appuntamento?”
“Guarda che sei tu quello che
vuole che io piloti un tomcat…”
Cerco di porre fine a questo
battibecco, ricordandoti che il tempo passa.
“Non devi essere sul ponte fra
poco? E io devo andare dall’ammiraglio”.
“Oddio, che ore sono?”
Eheheh… sentire che proprio tu mi
domandi l’ora è quasi divertente.
“Ma come, Mac? Non lo sai?” ti
prendo in giro.
“Divertiti pure…”
“Non mi sto divertendo. O meglio,
un pochino sì. Ma questo particolare può farti capire che ho ragione e
che puoi
pilotare”.
“E tu, allora, puoi uscire con
Clay”.
Niente da fare, non cedi.
“Ok, d’accordo. Uscirò con Webb”.
E’ terribile anche soltanto dirlo.
“Promesso?”
“Promesso”.
“Ti chiamo più tardi… provo a
tastare il terreno con Skates, ma potrei aver bisogno del tuo
intervento per
convincerla”.
“Chiama al tuo cellulare”.
“Va bene. Harm…”
“Dimmi”.
“Ho paura…”
Capisco subito che non ti stai
riferendo al volo –o meglio, non solo a quello- ma a qualcosa di più
grande di
noi.
“Lo so, Mac. Anch’io”.
“Anche tu?”
“Sì, Mac. Anch’io”.
Resti un attimo in silenzio, come
ad assorbire quello che ti ho detto. Per un momento temo che la mia
confessione
ti agiti maggiormente. Invece sento un lieve sospiro che mi giunge
attraverso
l’apparecchio e ho la sensazione strana, quasi irreale, di esserti
vicinissimo.
La mia voce è calma, tranquilla, quando mi parli di nuovo.
“Ciao, Harm”.
Devo aver detto la cosa giusta per
tranquillizzarti. Sapere che anch’io ho timore di quello che ci è
accaduto deve
averti confortata.
E’ strano… non so se in un'altra situazione
di pericolo avrei ammesso con te una mia debolezza… probabilmente no,
pensando, erroneamente forse, che sapermi padrone della situazione ti
avrebbe
fatto sentire più forte. O più combattiva. Magari mi sono sempre
sbagliato e a
te sarebbe bastato sapermi semplicemente più umano.
“Ciao, Mac. E… grazie”.
“Harm… un’ultima cosa…”
“Dimmi”.
“Davvero ti sei truccato?”
***
Cerco il
tenente Hawkes, Skates
(devo abituarmi a chiamarla Skates), sul ponte. La vedo accanto ad un
Tomcat
(probabilmente il nostro), che sta parlando con un meccanico.
Non credo che ce la farò mai a
salire su quel bestione…
La osservo da lontano per un
attimo, sicura di sé ed estremamente competente. Sta controllando
assieme al
meccanico qualcosa su un fianco dell’aereo e i suoi movimenti indicano
che sa
quello che sta facendo.
Harm ha ragione; me lo ha sempre
detto, fin dalla volta che la difese in tribunale anni fa, che Skates è
il
miglior secondo col quale abbia mai volato. Dovrei essere tranquilla e
invece…
Dannazione a te, Harm! Come puoi
pretendere che piloti al posto tuo?
Si volta dalla mia parte e mi
vede. Le faccio un cenno con la mano e la vedo dirigersi verso di me.
“Hey, come mai non indossi ancora
la tuta? Manca mezz’ora all’incontro
con gli altri”.
“Vieni con me nella mia cabina. Ti
devo parlare”.
Mi guarda sospettosa.
“Harm stai bene?”
“Vieni con me, ti spiego tutto”.
O almeno ci proverò.
Mentre mi segue, inizio a
raccontarle qualcosa: le accenno al nostro discorso di ieri e lei mi
ascolta
attenta, ma mi guarda con aria perplessa.
Come darle torto? Anch’io non
capirei cosa c’entra questo discorso che le sto facendo, a meno di
mezz’ora
dalle prime prove per le qualificazioni.
Tuttavia non mi interrompe e
ascolta.
Quando siamo nella mia cabina,
però, finalmente si decide.
“Harm, perché mi dici queste
cose?”
Prendo fiato e mi butto.
“Io non sono Harm”.
Mi osserva negli occhi, dubbiosa,
ma non dice nulla.
Proseguo, cercando di spiegare
qualcosa che io stessa ancora non capisco.
“Harm è nel mio corpo a
Washington. Io sono Mac”.
Continua a stare zitta. Ma non
smette di guardarmi negli occhi. Non capisco se lo fa perché anche lei
è
incantata dal tuo sguardo, oppure perché, anche lei come accade a me,
cerca nel
tuo sguardo ciò che di solito non confessi.
“Deve essere accaduto nella notte,
dopo l’eclissi di luna… quella frase che gli ho detto ieri, quando ero
arrabbiata…”
“E dovrei crederti?”
“E’ la verità, anche se non so
come dimostrartelo. Possiamo chiamare Harm…”
“Perché mi hai raccontato questa
storia?”
“Harm non vuole che torni senza
aver partecipato alle qualificazioni… sai quanto sia importante per lui
volare…”
“Mi stai dicendo che piloterai tu,
oggi?”
“Lui sostiene di essere riuscito a
fare il caffè… e a truccarsi…”
“Ah, bè, allora… Ma dico: siete
impazziti? C’è una certa differenza”.
“Lui è convinto che nei nostri
corpi siano rimaste memorizzate azioni automatiche, che facciamo ormai
da anni
senza riflettere, e che se lui sa truccarsi, io so pilotare. E con te
al mio
fianco…”
“E tu la pensi allo stesso modo?”
“No. O meglio, non so… Oh,
accidenti, è tutto confuso. Ma tu lo conosci, saprebbe convincere…”
Mi interrompe con una mano.
“Ricordi quello che mi hai detto
ieri sera sul ponte?”
“No, assolutamente. Ti ho detto
che non sono…”
Mi ferma di nuovo.
“Sei innamorata di Harm?”
La domanda mi gela. Perché mai mi
chiede proprio una cosa simile?
“Non vedo cosa c’entri questo
con…”
“Rispondimi”.
“Esco con un altro uomo. Si
chiama…”
“Clayton Webb. Sì, lo so. Ma non
ti ho chiesto questo”.
“Come lo sai? Te ne ha parlato
Harm? Perché?”
“Sto aspettando la tua risposta…”
“E a cosa ti serve la mia
risposta?”
“Per capire… se quello che mi hai
raccontato è la verità o se Harmon Rabb è improvvisamente impazzito”.
“E’ inutile, gliel’ho detto che
non mi avresti creduta…”
“Non ho detto questo. Ma devo
esserne certa. Quello che mi chiedete di fare –volare con te se non sei
Harm- se
permetti richiede una discreta dose di pazzia… voglio decidere con
consapevolezza”.
“Continuo a non capire la
domanda”.
“Tu rispondi. So io perché ti ho
chiesto proprio quello. Ma voglio la verità”.
“E come sai che sarà la verità?”
“Tra un pilota e il suo secondo
occorre la massima fiducia. Se non esiste, non voleremo mai assieme…”
Ha colpito nel segno. Il tenente
Hawkes, oltre ad essere un bravo RIO, è anche una donna decisa e di
idee molto
chiare.
“Sì…”
“Sì, sei innamorata di Harm?”
“Sì”.
“E allora perché esci con Webb e
non stai con lui?”
“Lui non è innamorato di me. Mi
vuole solo quando ho un piede fuori dalla porta… solo allora si ricorda
di me.
E poi non sopporta un milione di miei difetti, continua a
rinfacciarmeli… e io
non sopporto i suoi”.
“Ed è per questo che vuoi pilotare
un aereo da un milione di dollari pur avendo il terrore di salirci
sopra?
Perché non lo sopporti?”
“Gliel’ho promesso. Se lui uscirà
con Webb…”
“Harm che esce con Webb? Come
vorrei essere lì, a vederlo!”
“Anch’io…” sorrido assieme a lei
all’idea. Poi mi rendo conto di quello che ha appena detto.
“Allora mi credi?”
Mi guarda per un momento, indecisa.
“Chiama Harm, voglio parlare un
attimo con lui”.
Obbedisco all’istante e compongo
il mio numero di cellulare. Quando rispondi, ti spiego brevemente
quello che è
successo (tralasciando ovviamente la domanda di Skates e, soprattutto,
la mia
risposta) e te la passo.
La sento salutarti e restare in
silenzio, mentre ascolta quello che le stai dicendo; poi sento che ti
domanda
di dirle quello che le hai detto ieri sera sul ponte.
Non riesco a captare la tua
risposta… comincio ad essere curiosa di questa vostra conversazione,
che pare
essere decisiva perché lei creda a tutta questa assurda vicenda.
La vedo sorridere alla tua
risposta; poi si volta a guardarmi e, prima di salutarti, la sento
dirti una
frase.
“A proposito della nostra
scommessa, Harm… ho verificato e l’ho vinta io”.
Non capisco quello
che sta succedendo tra voi…
neppure quando ti sento quasi urlare dall’altro capo del telefono.
“Quale delle due?”
Skates sorride, ma non ti
risponde. Chiude la telefonata, guarda l’orologio e mi dice, prima di
uscire:
“Ti aspetto sul ponte, Mac, tra
dieci minuti. Infilati la tuta e prendi il casco… puoi metterlo prima
di salire
sull’aereo”.