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Autore: imago    02/01/2014    1 recensioni
Stefano è morto migliaia di volte da quando ha smesso di vivere. Ma la prima volta – congetturata, pensata, ideata, smontata, rimodellata migliaia di volte – è un segreto fra lui e il solo testimone presente quel pomeriggio inoltrato di gennaio. Un segreto fra lui e il mare.
Prima classificata al "Character death contest! (Slash)" di Dollarbaby | Vincitrice del "Premio linguaggio"
Genere: Drammatico, Romantico | Stato: completa
Tipo di coppia: Slash
Note: Lime | Avvertimenti: Tematiche delicate
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Il mare riposa senza tempo cullato dal venticello primaverile. Le onde sospirano, cantano sottovoce una litania in cui risuona l’eco mite e clemente di ciò che è sempre stato, un senso di malinconica immutabilità.

Il mare non cambia. Cambia chi siede sulla costa a guardarlo.

Sono passati tre lunghi anni dal giorno terribile in cui ho saputo che te n’eri andato. Era il periodo del mio soggiorno di studio all’estero. Non riuscivo a mettermi in contatto con te da più di un mese e non conoscevo nessuno che ti conoscesse, finché un pomeriggio, colto da una strana intuizione che mi faceva vibrare di panico sommesso, cercai il tuo nome su internet. E i titoli in cima ai risultati del motore di ricerca mi succhiarono l’aria dai polmoni sostituendola con un senso di mancamento sbigottito, l’impressione del vuoto che si apre sotto i piedi nell’attimo in cui inizi a precipitare.

Stefano non c’è più: il mare restituisce il corpo, annegato nella notte di ieri” – 24/gen/12

Ancora mistero attorno alla morte del diciannovenne trovato senza vita in riva a...” – 24/gen/2012

Probabile suicidio quello del ragazzo di 19 anni...” – 25/gen/12

Oggi l’addio a Stefano, il paese commosso partecipa ai funerali” – 25/gen/12

Un’altra giovane vita ci ha lasciati” – 29/gen/12

In ricordo di Stefano Basile” – 10/feb/12

Scorrevo i titoli con sgomento, le parole sciamavano nella mia testa come voci indistinguibili in un brusio crescente, l’incredulità mi pulsava nelle tempie e ogni battito era una stilettata di dolore cieco dentro al petto. I miei occhi sgranati nell’orrore si posavano sulle foto che corredavano gli articoli del giornale locale, su quei ritagli di schermo che restituivano con esattezza l’immagine del tuo viso ma non la vita che da quel viso se n’era andata. Il sorriso che conoscevo, il sorriso che amavo, il sorriso che avevo tante volte baciato... non c’era più. A testimonianza del tuo passaggio fugace sulla terra restavano solo i pixel che componevano l’immagine sullo schermo, unico residuo di una breve e transitoria esistenza già sommersa dal corso indifferente del tempo.

Provo una fitta di vertigine al pensiero che la tua vita stroncata non conoscerà mai l’età adulta, e tu non invecchierai, e i giorni, sommandosi agli anni, non ti ruberanno la giovinezza inesperta immortalata nel fiore di diciannove stupidi anni.

Il mio cuore non si dà pace, perché non c’è pace nell’idea che si possa scegliere di morire avendo appena cominciato a vivere. Mi tormento nel proposito vizioso di ricostruire con meticolosa, straziante cura dei dettagli cosa stessi facendo io mentre tu, a mia insaputa, chiudevi gli occhi per sempre. Come se determinare l’esatto rigo del libro di letteratura francese che stavo studiando nell’istante in cui l’acqua irrompeva a fiotti nei tuoi polmoni potesse svelarmi l’arcano della tua morte.

Perché, Stefano? Cosa ti tenevi dentro?

Ispiro l’aria che sa di sale e di rimpianti per le domande che non avranno risposta.

Ti immagino seduto qui, su questi stessi scogli, poco prima di buttarti. Vedo la tua figura infagottata nella tuta, con le gambe raccolte fra le braccia, proprio su questa roccia piatta dove siedo adesso, idealmente accanto a te. L’immagine costruita dalla mia mente nel corso delle notti insonni è così reale che posso quasi immaginare di toccarti, di prenderti per le spalle e trattenerti qui, sulla sponda della vita, prima del salto, e poi abbracciarti e cullarti e ascoltarti piangere tenendoti stretto per tutto il tempo che ti fosse servito, anche tre lunghi anni, se necessario. E il presente ci troverebbe ancora qui, ma tu saresti reale.

Le onde continuano a sussurrare il loro commiato. Mi lascio rapire dalla vista del mare infinito, mi perdo in tutto quel blu costellato di sfumature cangianti che sembrano restituirmi l’illusione del tuo sguardo.

Prendo dallo zaino una pagina sfilata dal libro che mi hai prestato una volta, prima che partissi, dicendo che era il tuo preferito. Alcune righe sono sottolineate dal tratto sbiadito di una matita blu che ora tende all’azzurro. Sfioro quelle linee non proprio drittissime immaginando la tua mano mentre le tracciava. Mi chiedo se, invitandomi a leggerle, non volessi già comunicarmi qualcosa.

Piego il foglio a barchetta, mi alzo, mi avvicino al punto più basso dello scoglio e mi chino verso il mare, porgendo alle onde la piccola imbarcazione di carta, che veleggia per un po’ sul filo dell’acqua. La guardo allontanarsi e solcare il tuo sguardo riflesso nel mare come se, da lì, potesse raggiungerti.

 

Ciao, Sté.

 

Perché nessuno possa dimenticare di quanto sarebbe bello se,
per ogni mare che ci aspetta, ci fosse un fiume, per noi.
E qualcuno – un padre, un amore, qualcuno – capace di prenderci per mano
e di trovare quel fiume – immaginarlo, inventarlo – e sulla sua corrente posarci,
con la leggerezza di una sola parola, addio.
Questo, davvero, sarebbe meraviglioso. Sarebbe dolce, la vita, qualunque vita.
E le cose non farebbero male, ma si avvicinerebbero portate dalla corrente,
si potrebbe prima sfiorarle e poi toccarle e solo alla fine farsi toccare.
Farsi ferire, anche. Morirne. Non importa. Ma tutto sarebbe, finalmente umano.
Basterebbe la fantasia di qualcuno
 un padre, un amore, qualcuno.
Lui saprebbe inventarla una strada, qui, in mezzo a questo silenzio,

in questa terra che non vuole parlare.
Strada clemente, e bella.
Una strada da qui al mare.

 

(Oceano Mare – A. Baricco)

 






  
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