Tre gennaio: visita al museo.
“Non ti piacciono i musei?”
“I musei, sì, sono le persone che non riesco a tollerare; sono troppo rumorose”
“Ma se non vola una mosca, qui dentro. Sei pallida, vuoi un tè caldo?”
“Ma non li senti tu?”
“Sentire cosa?”
“Tutti questi pensieri altrui.”
“I musei, sì, sono le persone che non riesco a tollerare; sono troppo rumorose”
“Ma se non vola una mosca, qui dentro. Sei pallida, vuoi un tè caldo?”
“Ma non li senti tu?”
“Sentire cosa?”
“Tutti questi pensieri altrui.”
E’ un senso di stordimento
che toglie il fiato: lo cattura, lo ghermisce
e quasi soffochi tra tutti i pensieri della gente attorno a te.
Braccia, mani, gambe a contatto;
parole che rimbombano nella scatola cranica,
si espandono nelle cellule adiacenti,
poi nei muscoli, nelle ossa
e infine nella cute delicata, tenera, indifesa.
Percepisci i meccanismi immaginari dell’organismo;
gli sbuffi annoiati,
l’attesa logorante,
il fruscio secco degli abiti caldi,
i sussurri dei bambini,
gli spasmi degli anziani,
l’alito fumante degli adulti.
Tutto riecheggia senza fine in te,
di continuo,
ancora e ancora.
E’ emicrania.
*