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Autore: afterhour    05/01/2014    9 recensioni
Sakura Haruno aveva una meta precisa nella vita, diventare ricca, e per questo non intendeva perdere tempo frequentando poveracci e perdenti.
Non che avesse niente di personale contro di loro, o contro Sasuke Uchiha (a parte il fatto che assieme a tutti i ragazzi del quartiere era sospettato di avere messo incinta sua sorella, un crimine orrendo che non avrebbe perdonato mai), era solo che aveva tutto pianificato.
Ma il destino ha uno strano modo di prendersi gioco di noi, dei nostri piani e delle nostre certezze.
AU OOC, triangolo: SasuSakuSaso
Genere: Commedia, Romantico | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Akasuna no Sasori, Sakura Haruno, Sasuke Uchiha | Coppie: Sasuke/Sakura
Note: AU, OOC | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Nessun contesto
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Eccomi qua, a mo' di befana...e a chi non li ho ancora fatti auguri di buon anno in ritardo, spero che il 2014 porti a tutte qualcosa di buono!

In quanto al capitolo, ho corretto e ricorretto alcune parti e ancora non sono contenta di come sono venute fuori, ma sono stanca di rileggere, per cui buona lettura (spero).



10.





Avevo perfino mandato mia sorella a fare la spesa per non rischiare di incontrarlo.
Non era che non avessi voglia di vederlo, anzi, il mio corpo era lì che moriva dalla voglia di vederlo ancora, di toccarlo… e altro.
Almeno tre volte al giorno.

Ma era troppo pericoloso ed io ero troppo confusa e spaventata per confrontarmi con lui.

Magari uno psicologo avrebbe tirato fuori che in me c’era ancora una bambina traumatizzata dalla sparizione del padre amatissimo (perché davvero lo avevo amato molto), o altre banalità simili, ma qualunque fosse il motivo, anche solo il mio egoismo, quel trasporto che avevo avvertito, quelle emozioni, quel desiderio profondo di fondermi con lui, mi facevano paura.
Non potevo lasciarmi andare, dovevo mantenere il controllo, non potevo essere così vulnerabile, non potevo.

In facoltà avevo nascosto il collo segnato con una sciarpa ed avevo mentito ad Ino dicendole che non era successo niente, e dato che lei si era divertita tantissimo (credo avesse un mezzo inciucio con il bassista) ed era ancora tutta elettrizzata, non indagò più di tanto: al momento voleva convincermi ad organizzare un’altra serata con il gruppo, magari con qualche altra amica, il resto non le interessava. Nell’intervallo tra le lezioni poi aveva raccontato un po’ a tutti della serata, e a quanto pareva la mia popolarità era salita vertiginosamente, per assurdo proprio perché vivevo in quel quartiere e conoscevo la gente del posto.
L’ironia della sorte.

Le avevo assicurato che avrei organizzato qualcosa, ma sapevo perfettamente che si trattava di una bugia.

Nel frattempo il venerdì pomeriggio si avvicinava e non sapevo bene come avrei reagito nel rivederlo, una parte di me era terrorizzata, ma non ero così cieca da non capire che una parte di me non vedeva l’ora.

La situazione era precipitata mercoledì, quando Sasori mi aveva detto che la sera successiva mi sarebbe venuto a prendere fuori dal negozio di fiori, aggiungendo che si sarebbe fermato in albergo quella notte.
Sapevo cosa significava, e nella confusione in cui mi dibattevo pensavo che forse era un bene, che magari se avessi scoperto che tra noi due c’era un’ottima intesa sessuale avrei potuto archiviare l’esperienza con Sasuke, o qualcosa di altrettanto poco logico e vagamente patetico, fatto sta che lo aspettai piena di trepidazione, come se potesse salvarmi, da me stessa probabilmente, neanche potesse essere un’altra persona a farlo, e non io.

In un eccesso di prudenza avevo coperto con il fondotinta i rimasugli sbiaditi dei segni che mi aveva lasciato Sasuke (eravamo stati un po’ rudi), ombre impercettibili che probabilmente potevo vedere solo io, ma era quello il punto, li vedevo, e non volevo ricordare.
Mio malgrado di quando in quando me li controllavo, un po’ ossessivamente, ed ero andata a lavorare con un’agitazione addosso che non era solo eccitazione, che non era per niente eccitazione.

Uscita dalla fioreria lo avevo trovato lì ad aspettarmi, ed ero stata felice di vederlo, quasi sollevata, e ancora più felice nel rendermi conto di provare queste reazioni positive, se la cosa aveva un qualche senso.

Non aveva la macchina dell’altra volta, ma una berlina scura altrettanto appariscente e costosa, e sprofondai nel sedile di pelle sentendomi un poco più a mio agio.

Mi portò a fare un lungo giro in macchina e man mano che uscivamo dalla città mi rilassai sempre di più, ed era bello che a volte mi prendesse la mano e la stringesse con la sua, e stavo così bene ora, semi appisolata su quel sedile così comodo, con il tepore che mi cullava, che dimenticai Sasuke e tutte le complicazioni che portava.
Era lui il problema, solo lui, perché tutto il resto era perfetto.

Ascoltai Sasori che mi spiegava la differenza di guida tra questa macchina e la porche dell’altra volta, elencandomi i pregi e difetti delle due, e quasi mi vedevo già più avanti negli anni, una signora serena e sicura di sé, con lui che mi raccontava di come era andato il lavoro e mi chiedeva consigli.
Avrei potuto abituarmici, sì, avrei potuto farlo felice, magari essere un pochino felice anch’io, chissà.
Davvero.

Da qualche parte dentro di me c’era quella stupida vocetta importuna che mi sussurrava che era solo una bugia, che quello che provavo ora era tutto in superficie, che non c’era un briciolo di sentimento, di cuore, tantomeno passione, ma in quel momento non mi veniva difficile ignorarla, che importava in fondo, il cuore era solo un organo che pompava sangue e la passione durava quel che durava…e in quanto all’amore, non sapevo neppure cosa significasse veramente questa parola.
In fondo cos’era esattamente questa cosa di cui si sentiva parlare così spesso e assomigliava così tanto ad un gioco di ruolo?
Neppure sapevo se concretamente esistesse, anzi, ero piuttosto scettica, pareva più una favoletta per adolescenti romantiche, quelle che inseguono questo sogno puerile e poi un giorno si ritrovano amareggiate, inasprite dalla fatica del vivere quotidiano, e stanche di quell’idiota che una volta faceva loro battere il cuore, chissà perché.
Sempre se l’idiota non scappa prima, come era capitato a mia madre, a noi.

Mi adagiai sulla calma provvisoria che avvertivo ora in presenza di Sasori, nella tranquillità che rappresentava, e stavo bene, sì, stavo abbastanza bene: con lui non c’erano incognite, né paure, ero perfettamente in controllo, e il tempo passato assieme scorreva tutto così semplice e lineare, senza sussulti emotivi, c’era solo una punta d’ansia che mi chiudeva un po’ la gola, come un rumore di sottofondo di cui non ero quasi consapevole.

Cenammo in un ristorante in collina da cui si scorgeva un panorama mozzafiato.

Sbocconcellai appena, non avevo proprio fame, in compenso bevvi diversi bicchieri di quel vino bianco che sapevo costare circa metà della pensione di mia madre e che forse era un po’ sprecato per un’ignorante come me; nel contempo osservavo Sasori tentando di guardarlo con gli stessi occhi interessati che avevano un paio di signore sedute ai tavoli vicini.
Non era niente male, anzi, dovevo sentirmi orgogliosa di essere lì con lui, era proprio un bel tipo, no?!, con dei bei lineamenti regolari, forse un po’ fanciulleschi, ed un look perfetto, anche troppo formale, non che avessi niente contro le cravatte, soprattutto quelle firmate, quelle che valevano almeno quanto l’altra metà della pensione di mia madre per spiegarsi.
Che per la gente ricca equivaleva circa agli spiccioli che rimangono in tasca e di cui ci si dimentica.

La cena volgeva già al termine e bevvi un ultimo bicchiere di prosecco dopo aver assaggiato appena i dolce, ora un po’ nervosa.

Al ritorno, in macchina, lo avevo lasciato parlare senza intervenire più di tanto, insonnolita, eppure non riuscivo a rilassarmi interamente, una tensione crescente me lo impediva, e non appena scesa il sonno mi era passato di colpo.

Come prevedevo finimmo nella sua stanza, e proprio come immaginavo l’albergo era meraviglioso, la stanza un sogno, luminosa ed essenziale come andava adesso, il letto così grande e confortevole che era un lusso sdraiarcisi sopra.
Ed io ormai ero in ballo e mi toccava ballare, era quello che volevo, no?!

Non mi sentivo ancora molto lucida, il che era un bene, e lasciai che mi baciasse.

 - Non vedevo l’ora – mi confessò all’orecchio subito dopo, accarezzandomi la schiena.

Ero confusa, agitata, la testa mi girava, e c’era una parte di me che si sentiva scioccamente lusingata, ma ce n’era un’altra, che tentavo invano di sopprimere, che sembrava incredula, come se mi vedessi dal di fuori e non capissi bene cosa ci facevo lì.

Ciò nonostante non era così male mentre mi baciava ancora e non pensavo a niente, e dopo, quando finimmo sopra quel letto enorme, ci avevo provato davvero, con tutte le mie forze, e nemmeno potevo dire che non ci avesse provato lui, eppure ero arrivata ad un certo punto che non mi importava nulla, solo che finisse il prima possibile, tanto che per salvare il salvabile avevo finto un orgasmo che ero ben lungi dal provare, e neanche troppo bene secondo me, ma probabilmente gli era bastato, ai maschi basta davvero poco per illudersi di essere stati bravi.
Non che fosse colpa sua, ero io che non andavo quella sera.

Avevo continuato a fissare il soffitto immacolato mentre mi stringeva a sé, ed ero rimasta sdraiata accanto a lui senza riuscire a cacciare l’amarezza, e con una voglia matta di correre a casa e farmi una doccia.

Mi sentivo sporca, e una specie di puttana, e se un paio di mesi prima qualcuno mi avesse detto che sarei andata a letto con due uomini diversi nel giro di pochi giorni gli avrei dato del matto, ma ero qui, proprio io, e non provavo niente se non una stanchezza enorme.

Dormii poco o niente e mi svegliai prestissimo.

Diedi un’occhiata a Sasori leggermente disgustata, avevo la nausea, e dopo essermi vestita in tutta fretta gli lasciai un messaggio con scritto che avevo dovuto passare per casa a cambiarmi prima di andare a lezione, che non mi andava di svegliarlo dal momento che dormiva così beatamente, ma mentre posavo il biglietto sul comodino, vicino al suo costosissimo orologio, mi chiedevo se era davvero questo ciò che volevo, e non riuscivo a rispondermi.
Forse ero solo stanca.

Uscii dall’albergo di soppiatto e presi la metropolitana che era ancora buio, circondata da gente che andava al lavoro presto, brava gente che probabilmente aveva una famiglia alle spalle e mica aveva tempo per le mie seghe mentali e le mie squallide tresche, ma una volta arrivata invece di andare a dormire almeno un paio d’ore come mi sarebbe convenuto, feci una pazzia e proseguii fino a casa di Sasuke.
Non c’era nessuno in giro per il quartiere, era ancora molto presto, e dato che quell’idiota aveva lasciato la porta aperta entrai senza dover neanche bussare.

Non proveniva un suono da lì dentro, evidentemente stava ancora dormendo, e una volta abituata alla luce scarsa dell’alba che ora filtrava dalla finestra, mi mossi il più silenziosamente possibile e mi fermai sulla soglia della camera, a guardarlo, ed era così bello mentre dormiva che mi veniva da piangere, il che era ridicolo oltre che un poco inquietante.
Dovevo essere davvero stanca.

Mi avvicinai e mi protesi verso di lui.
Nel sonno sembrava così giovane, così incorrotto, e senza pensare gli accarezzai il volto, lì, sulla fronte, dove aveva la cicatrice.

 - Cosa fai qui – mormorò dopo aver socchiuso gli occhi, era quasi adorabile con quell’aria assonnata.
Quasi.

 - Avevo bisogno di vederti – ammisi sedendomi sul bordo del letto.

 - Ho sonno –

Stronzo.

 - Sei arrabbiato con me? – replicai accarezzandogli i capelli.

 - Abbastanza –

 - Perché ti sei sentito usato? –

 - Abbastanza –

Mi scostò la mano, adesso aveva gli occhi ben aperti, e mi scrutava.

 - Credevo a voi maschietti non importasse –

 - Pffh…Nemmeno ti rispondo –

 - Sono io o ti importa in generale? –

 - …non so neanche che cazzo stai dicendo –

In effetti non lo sapevo neppure io.
Sospirai e gli accarezzai ancora i capelli.

 - Posso baciarti? – chiesi.

 - No –

Avevo mezza idea di farlo lo stesso, avevo bisogno di sentire le sue labbra, invece mi chinai ed appoggiai il naso sull’attaccatura del collo ad inalare il suo odore, deliziata.

 - Sai il tizio che ti dicevo? – mormorai.

Non rispose.

 - L’ho visto prima –

 - Brava…e cazzo ci fai qui –

Stronzo.

 - Non capisci niente…è che…non lo so ma…non è come pensavo –

Mentre parlavo mi ero adagiata a metà su di lui, e stavo così bene ora che mi veniva da lasciarmi andare, e quando mi fece posto sulla sua spalla allargando il braccio mi strinsi ancora di più a lui, in cerca di protezione, e di risposte.

 - E’ colpa tua – mormorai, sapevo io di cosa.

 - Hn –

 - Facciamo la strada insieme, oggi, dopo il lavoro? –

Non mi rispose, ma lo presi per un sì, o almeno un forse, i no li diceva sempre forte e chiaro.

 - Posso baciarti adesso? – provai ancora.

 - No –

Suonava deciso, per cui, rassegnata, mi accoccolai meglio sul suo petto, il volto sul suo collo, e dopo aver sollevato le gambe ed essermi stesa semisdraiata addosso a lui chiusi gli occhi, al sicuro tra le sue braccia.

- Aspettami domani, ti prego – sussurrai.

Rimasi così, aggrappata a lui in cerca di calore e con il naso sull’attaccatura del suo collo, fino a quando non mi addormentai.

Mi svegliai che il sole era alto, avvolta in una coperta che Sasuke doveva aver sistemato sopra di me, e che mi scaldava.
Ero sola.
Se ne era già andato via.

Repressi la delusione, in fondo era meglio così, e rimasi ancora un poco sul suo letto, avvolta dal suo odore che ancora permaneva, gli occhi inspiegabilmente colmi di lacrime.

Avevo solo bisogno di dormire, tutto qui.
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Lo so, lo so, Sakura è stata davvero stupida, per usare un eufemismo, e spero che adesso non mi lanciate qualche oggetto contundente, metaforico ovviamente...a parte gli scherzi, sono davvero curiosa di sapere cosa pensate del capitolo!

   
 
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