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Autore: Kitri    06/01/2014    14 recensioni
Che parole impegnative per una ragazzina immatura di appena sedici anni! Ma allora lei ne era convinta e, dopo dieci anni, con l’esperienza, poteva confermare che quello che provava era davvero amore. [...]
«Non ti dimenticherò mai» gli aveva detto prima di scappare via.
Quella era stata l’ultima volta che lo aveva visto.
Un ritorno improvviso e qualcosa lasciato in sospeso anni prima. Il Natale riuscirà a compiere la sua magia?
Genere: Romantico | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Un po' tutti | Coppie: Mamoru/Usagi
Note: AU, Lemon, OOC | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Nessuna serie
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Terza Parte
 
Era la mattina della Vigilia di Natale e, nonostante il freddo pungente e il vento gelido che sferzava la pelle, le strade del centro pullulavano di gente alla ricerca del regalo dell’ultima ora.
Usagi si fermò e, pensierosa, alzò lo sguardo verso il cielo plumbeo, che minacciava un’altra abbondante nevicata. Si alitò sulle mani congelate, nonostante i guanti di lana, e si strinse ancora di più nel suo cappotto, riprendendo, poi, a camminare intirizzita, in quel frenetico via vai di persone.
Quando si voltò per imprecare contro l’ennesimo passante distratto, che l’aveva spintonata malamente, la sua attenzione fu catturata dai colori caldi di una vetrina, pazientemente decorata con rami di abete e ghirlande di vischio. Rimase per qualche minuto a osservare tutti quegli articoli di ottimo artigianato, che facevano bella mostra di sé dietro il vetro, dai vari oggetti in legno ai piccoli accessori di arredamento, tutti accuratamente rifiniti. Incuriosita, decise di entrare a dare un’occhiata da vicino.
La proprietaria la salutò con un sorriso cortese, invitandola ad accomodarsi.
Era una bottega piccola, ma calda e accogliente, e Usagi, davanti alla parete interamente dedicata a ninnoli e decorazioni natalizie, rimase letteralmente incantata, prendendo nota tra sé di tornarci l’anno successivo per acquistare nuovi addobbi.
La vecchia proprietaria, con il suo abile fiuto per gli affari, notò subito che l’attenzione della cliente si era focalizzata su un oggetto in particolare. Così, con cautela, prese la boule de neige dalla mensola, caricò il carillon e, roteando il polso con un gesto deciso, fece vorticare la finta neve al suo interno.
«Questo è un oggetto unico» disse, posandola tra le mani di Usagi.
Una musichetta natalizia prese a diffondere le sue dolci note, mentre la statuina all’interno della palla di vetro girava su se stessa, danzando tra i fiocchi di neve. Usagi sorrise.
Quello era il regalo perfetto per Mamoru: non troppo personale, né impegnativo, ma sicuramente qualcosa che avesse un valore simbolico, qualcosa che gli avrebbe parlato di lei ogni qualvolta vi avesse posato lo sguardo. Sarebbe costato un bel po’, ma decise che ne valeva la pena per un oggetto così bello e purché Mamoru avesse un ricordo particolare di lei e dell’unica notte che avevano trascorso insieme.
«Lo prendo!» esclamò decisa, senza neanche chiederne il prezzo.
E pochi minuti dopo, uscì da quel negozietto tutta sorridente, stringendo tra le mani un piccolo pacchetto rosso, convinta di aver fatto la scelta giusta.
 
La mattina seguente a quella magica notte, Usagi e Mamoru si erano svegliati abbracciati, come se fosse la cosa più naturale del mondo, e avevano di nuovo fatto l’amore, con dolcezza e passione.
Poi, lui aveva preparato la classica colazione americana, pancakes, succo d’arancia, caffè e uova strapazzate, e lei, pur apprezzando l’intimità di quel gesto, non aveva saputo trattenersi dal prenderlo in giro, per tutto il tempo, per come le sue abitudini si fossero completamente “americanizzate”.
«Bleah! Uova di prima mattina! Ma come fai?» aveva esclamato sorseggiando il caffè, mentre lui mangiava con gusto.
Mamoru aveva riso forte davanti alla sua avversione per le uova a colazione.
«Ho bisogno di parecchie energie!» le aveva poi risposto, lasciando trapelare le proprie intenzioni dal tono malizioso della voce.
E, in men che non si dica, si erano ritrovati stesi sul divano, di nuovo nudi, a consumare la forte passione che li divorava.
Prima di andare via, Mamoru l’aveva salutata con un bacio dolce e affettuoso, dicendo che si sarebbero sentiti presto.
Scene di vita quotidiana di una giovane coppia innamorata, avrebbe pensato chiunque vedendoli da fuori, ignorando che tutto, invece, era finito non appena lui aveva messo piede fuori da quella casa.
Infatti, Mamoru l’aveva cercata, più e più volte, ma Usagi non aveva mai risposto alle sue chiamate, ignorando anche i messaggi, fino a quando, alla fine, dopo svariati tentativi, lui non si era arreso.
Non che fosse pentita, anzi, pensava che quella fosse stata la notte più bella della sua vita e che non l’avrebbe mai dimenticata. Ma era innamorata di Mamoru, lo era sempre stata e, anche se aveva accantonato quel sentimento per un po’, nulla era mai cambiato da allora. Se ne era resa conto, definitivamente, tra le sue braccia e, non volendo illudersi che potesse esserci un futuro per loro, aveva deciso di porsi dei freni e di evitare di vederlo, o anche solo sentirlo, per non cadere in tentazione.
Se una sola notte, seguita da quei momenti di intima complicità, aveva lasciato un segno indelebile nel suo cuore, una seconda avrebbe segnato la via del non ritorno e una terza addirittura l’avrebbe uccisa.
Però, si era ripromessa che lo avrebbe rivisto una volta soltanto, non appena lui fosse pronto per tornare in America, ma solo per dirgli addio. Non poteva lasciarlo andare così, senza neanche salutarlo. Sempre che lui fosse ancora felice di vederla un’ultima volta, dopo il modo infantile in cui si stava comportando, senza dargli neanche una motivazione adeguata.
La notizia che la villa era stata venduta e che Mamoru sarebbe partito subito dopo Natale, arrivò proprio il giorno prima della Vigilia. Il momento dei saluti era giunto con dieci giorni di anticipo rispetto a quanto si aspettasse.
Quando Makoto le aveva telefonato per informarla, per un attimo il cuore di Usagi aveva smesso di battere, mentre gli occhi già cominciavano a inumidirsi.
“Non essere stupida, lo sapevi - si ammonì silenziosamente - Ma meglio così! Prima se ne andrà e prima finirà questa storia!”.
E, mentre si sforzava di sorridere, con la mano si asciugò l’unica lacrima che era riuscita a scivolare giù, lungo la sua guancia.
La stessa mattina della Vigilia, svegliandosi, aveva preso la decisione di partecipare alla festa alla villa di Mamoru. Lo avrebbe salutato in quell’occasione, proprio come dieci anni prima, ma questa volta sarebbe stato per sempre.
Così si era vestita, e con lo spirito risoluto di chi si appresta a chiudere una parentesi della propria vita, era andata in centro a comprare un abito nuovo da indossare quella sera e un regalo per lui.
 
Mamoru si versò da bere e si guardò intorno. Le luci forti del lampadario di cristallo e il brusio fitto e sottile dei vecchi amici presenti riempivano il grande salone centrale, creando un gradevole clima festoso Un gigantesco albero addobbato di tutto punto e posto accanto alla finestra, dominava la stanza con i suoi colori intermittenti, mentre le decorazioni sparse erano una gioia per la vista. Il camino acceso, poi, era il tocco di classe che rendeva l’atmosfera più intima e piacevole. Mamoru pensò che le ragazze avessero fatto davvero un bel lavoro, ma ricordandosi di come Usagi aveva decorato in poche ore la caffetteria di Motoki, si disse che, in quella stanza, mancava visibilmente il suo tocco artistico.
Trasalì, cercando di mandar via l’ennesimo pensiero su di lei. Erano giorni che in ogni istante, qualunque cosa gliela ricordasse. Ma l’immagine di come gli si era donata quella notte era difficile da mandar via. Non riusciva a togliersi dalla mente come l’aveva vista la mattina dopo, con addosso solo la camicia che gli aveva rubato e le gambe nude, piegate sulla sedia, i capelli scompigliati e gli occhi azzurri che gli lanciavano occhiate maliziose oltre il bordo della tazza, mentre lo prendeva in giro per le uova, spingendolo a perdere la lucidità per l’ennesima volta.
Mamoru nutriva dei sentimenti nei confronti di Usagi, ma solo tra le sue braccia aveva compreso di essere innamorato di lei da sempre, nessuna gli aveva mai toccato le corde giuste, così come aveva saputo sempre fare lei.
L’aveva cercata per giorni, pur di placare il suo profondo desiderio, ma Usagi era stata ben più saggia e razionale di lui, comprendendo che non avevano futuro.
Passare altro tempo insieme, benché lo desiderasse, significava imboccare un vicolo cieco: avevano colto l’attimo, si erano goduti il momento, ma perseverare era decisamente una scelta pessima. Così, a malincuore, aveva accettato la decisione della ragazza e non aveva fatto altre pressioni.
Eppure c’era sempre la costante malinconia che lo seguiva, come una compagna fidata, da quando aveva messo piede a Tōkyō. I ricordi di infanzia e dei momenti felici, la sensazione di non sentirsi solo, come invece succedeva sempre da dieci anni a quella parte, i vecchi amici e, soprattutto, Usagi lo avevano destabilizzato.
Ma la vita quotidiana lo attendeva e, nonostante fosse profondamente combattuto, aveva rifiutato di rifletterci sopra, dando per scontato di non riuscire a immaginare qualcosa di diverso da New York, dal suo lavoro di sempre e dalle sue abitudini americane.
Così, aveva accelerato la vendita della villa, cedendola a un prezzo nettamente inferiore rispetto a quello stimato, pur di scappare via dal Giappone e da quella sensazione di instabilità che lo attanagliava.
L’amore per Usagi e i ricordi avevano proprio fatto un bel lavoro su di lui, ma non avrebbe ceduto. Adesso era decisamente in tempo per tornare indietro, anche se con qualcosa di ben più intimo e profondo che lo avrebbe accompagnato per sempre.
Pensò con amarezza che, forse, non l’avrebbe neanche salutata, sicuro che alla festa non sarebbe venuta. Con forza strinse il pacchettino, che teneva nella tasca della giacca e che non le avrebbe mai potuto dare. E, per non lasciarsi andare ai sentimentalismi, si convinse che non vederla sarebbe stato sicuramente più facile che dirle di nuovo addio.
Ma, proprio mentre giungeva a queste pratiche conclusioni, Usagi fece il suo ingresso nell’enorme salone e, quando i loro occhi si incrociarono, Mamoru dimenticò immediatamente la razionalità e tutto ciò che era giusto o sbagliato.
Era bellissima in quell’abito rosso e la sua solarità riempiva la stanza intera, come se prima, invece, fosse vuota senza di lei. E il sorriso timido e quasi impacciato che gli riservò ebbe il potere di farlo sciogliere.
«Ciao» gli disse la ragazza avvicinandosi a lui.
Mamoru la scrutò a fondo, perdendosi nei suoi occhi azzurri.
«Credevo che non saresti venuta» confessò.
Usagi sembrò imbarazzata, comprendendo l’allusione.
«Beh … vedi … ecco … a tal proposito io volevo scusarmi per come … per come mi sono comportata, è solo che … ».
Ma Mamoru non le fece finire il discorso. Con delicatezza le accarezzò una guancia, facendola fremere e arrossire.
«Non ti devi scusare, Usako. Hai avuto i tuoi motivi, che io condivido».
A quelle parole e al modo calmo, quasi distaccato, in cui le pronunciò, Usagi sussultò.
Non voleva una scenata, certo, ma che lui non avesse niente da ridire a riguardo era sinonimo di totale disinteresse nei suoi confronti.
Già era difficile dirgli addio, ma scoprire che, per lui, quella notte non aveva significato niente rendeva tutto ancora più penoso.
Si diede della stupida. Perché aveva agito dando per scontato che lui provasse qualcosa e per avergli preso un regalo, come ricordo di qualcosa che era stato già dimenticato.
Tutto si ripeteva esattamente uguale a dieci anni prima. Ma, stavolta, non gli avrebbe di nuovo confessato che lo amava, non gli avrebbe permesso di prendersi di nuovo il suo amore, di accartocciarlo e gettarlo via come immondizia.
Abbozzò un finto sorriso e annuì.
«Vado a cercare le mie amiche» disse fredda, congedandosi da lui, senza neanche attendere la sua risposta.
Non gli avrebbe permesso di ridere di lei, si sarebbe comportata come se non gliene fregasse niente. Non gli avrebbe fatto capire che era ancora la ragazzina innamorata di anni prima. Dopo la sua partenza, avrebbe avuto giorni interi per piangere, ma adesso no, non davanti a lui.
 
Ecco la Usagi scontrosa che conosceva, pensò Mamoru. Era arrivata tutta sorridente e, adesso, era di nuovo sfuggente, quando non gli lanciava da lontano occhiate rabbiose.
L’aveva vista trasalire alle sue parole, ma cosa aveva detto di male?
Era stato calmo e accondiscendente, invece di rimproverarle il modo infantile in cui l’aveva liquidato, dopo quello che avevano condiviso. Aveva dovuto arrivarci da solo, senza neanche sentire le sue motivazioni, e, nonostante lui avesse compreso e fosse d’accordo con lei, adesso Usagi faceva di nuovo la bambina, relegandolo in un angolo.
Ma lui non ci stava. Non voleva passare per l’uomo insensibile, che si era approfittato di lei. L’avrebbe affrontata, avrebbero chiarito e si sarebbero detti addio da persone mature, assumendosi ciascuno le proprie responsabilità.
Attese il momento in cui era distratta, girata verso il tavolo del buffet. Con decisione le si avvicinò e, afferrandola per un braccio, prese a trascinarla fuori dal salone, lontano dagli occhi indiscreti che, in quel momento, li stavano fissando curiosi.
«Ma sei impazzito? Lasciami!» gridava Usagi.
Ma lui neanche la sentiva.
«Che cosa vuoi? Mamoru, sto parlando con te! Rispondi!» continuava a urlare, mentre, inutilmente, cercava di divincolarsi dalla sua presa.
La condusse al piano superiore, nello studio, ormai quasi vuoto, che un tempo era appartenuto a suo zio Masao, e solo quando si fu richiuso la porta alle spalle, appoggiandovisi con tutto il suo peso, la fissò minaccioso e cominciò a parlare.
«Non mi piace come ti comporti. Come se fosse solo colpa mia!» la rimproverò.
Colpa. Adesso erano giunti, addirittura, a dover stabilire di chi fosse la colpa.
Usagi sbuffò e mentì.
«Siamo adulti – rispose, nascondendo la delusione – Non è colpa di nessuno».
«E perché ti comporti come se fossi il bastardo approfittatore della situazione?».
“Perché io ti amo e a te, invece, non interessa niente di me” pensò la ragazza, ma incrociando le braccia sul petto, restò, invece, in silenzio.
Mamoru era infastidito da quell’atteggiamento. Quando faceva così era sempre la stessa Odango di un tempo.
«Usagi, - disse marcando la pronuncia del suo nome - sei tu quella che non ha risposto alle mie telefonate, senza darmi neanche una misera spiegazione. Ci sono arrivato da solo alla conclusione che non volessi vedermi più. Ti sembra un atteggiamento da persona adulta?».
«Certo che lo è! Ho guardato in faccia la realtà, invece di continuare a fingere, come avresti voluto fare tu».
«Perché? Perché non abbiamo un futuro?».
«Non è forse così?» chiese la ragazza, chinando il capo di lato e scrutandolo a fondo.
Mamoru incassò il colpo in silenzio e annuì.
Usagi esibì un sorriso tirato per nascondere le lacrime. Quando lui l’aveva trascinata via in quel modo, solo per parlarle, aveva quasi sperato che stesse per dirle che non partiva più. Ma, invece, continuava a dimostrare che di lei non gliene fregava niente, preso solo dal dimostrare di chi fosse la colpa, pronto a lavarsene le mani pur di uscirne con la coscienza pulita.
Ancora una volta delusa, gli voltò le spalle e si avvicinò alla finestra, perdendosi a osservare il giardino imbiancato.
Restarono così, in silenzio, per un po’, mentre in sottofondo giungevano, dal piano inferiore, le voci e le risate degli amici.
Mamoru fece scorrere lo sguardo su quella figura snella, soffermandosi sul profilo del viso e sull’espressione delusa di quegli occhi, che non avevano mai saputo mentire.
Usagi stava soffrendo e lui, che la amava, si stava comportando da vero idiota.
Prese la scatolina, che custodiva gelosamente nella tasca della giacca, e le si avvicinò.
Sentendolo alle sue spalle, Usagi si voltò e abbassò lo sguardo su quel pacchettino che lui le stava porgendo, poi sollevò gli occhi nei suoi, chiedendogli, in silenzio, cosa significasse.
«È un regalo per te – spiegò Mamoru – Voglio che tu abbia qualcosa che ti ricordi di me e di quello che abbiamo condiviso. È stato poco tempo, è vero, ma per me è stato comunque bellissimo».
A quelle parole, il cuore di Usagi prese a battere furiosamente.
Forse aveva frainteso, forse a Mamoru interessava almeno un po’di lei, se gli premeva che avesse un suo ricordo Non la amava, questo lo sapeva già, ma, per lo meno, non avrebbe gettato un momento così intenso nel dimenticatoio.
Senza dire una parola, Usagi prese il pacchettino e lo aprì.
I suoi occhi brillarono per la gioia e il respiro le si bloccò, quando vide il contenuto e ne comprese il significato: una collanina con un ciondolo a forma di cristallo di neve.
«Ti aiuto a metterla» disse Mamoru, prendendole dalle mani tremanti il gioiello, per allacciarglielo sulla nuca.
«Grazie» disse lei sorridendo, guardandolo negli occhi.
Mamoru fece un lungo sospiro e la accarezzò.
«Non dimenticherò mai di averti vista volteggiare sotto la neve. È la cosa più bella che abbia mai visto e …» stava quasi per dirle che era innamorato di lei e che lo aveva capito tra le sue braccia, ma si rese conto, giusto in tempo, che quelle parole non avrebbero avuto senso, come dieci anni prima, visto che la decisione era già presa da tempo.
« … niente … spero che rimanga anche a te lo stesso ricordo» aggiunse, invece.
Usagi sorrise e, non riuscendo più a trattenersi, si slanciò verso di lui, gli avvolse le braccia al collo e lo baciò, con tutto l’amore che nutriva nei suoi confronti e tutta la tristezza per ciò che stava per perdere.
Mamoru ebbe solo un attimo di esitazione, poi l’accolse tra le sue braccia e trasformò quel bacio in qualcosa di più profondo e travolgente, che non poteva più aspettare.
Con le labbra scese lungo la gola di Usagi, fino a fermarsi sulla scollatura, mentre con le mani le accarezzava la schiena, cercando poi la cerniera del vestito, che gli consentisse di liberarsi, quanto prima, degli strati di tessuto che separavano la loro pelle.
Usagi ansimò tra le sue braccia, sotto il tocco sensuale delle labbra e delle mani di Mamoru, che lambivano il suo corpo con delicatezza, come fosse qualcosa di estremamente prezioso.
Una notte aveva lasciato un segno indelebile, due avrebbero segnato la via del non ritorno e tre l’avrebbero uccisa, si ripeté Usagi mentalmente. Ma, considerando la situazione, non avevano la notte a disposizione. Mezz’ora non avrebbe aggiunto o tolto niente a ciò che provava, se non un’ultima breve parentesi di felicità prima dell’inevitabile.
Così si abbandonò a lui e, mentre il suo vestito rosso cadeva, arrotolandosi ai suoi piedi, anche la giacca e la camicia di Mamoru cadevano sul pavimento.
 
Prima di tornare al piano di sotto, Usagi lo aiutò con il nodo alla cravatta e gli sistemò la giacca sulle spalle.
«Aspetta» la trattenne Mamoru. Le ravviò dietro l’orecchio una ciocca di capelli che cadeva sul viso e con i pollici le tolse delle sbavature nere sotto agli occhi.
«Ecco fatto!» esclamò, non appena ebbe finito. Non voleva che gli altri la vedessero così scarmigliata, nonostante fosse bellissima, e intuissero come avevano trascorso l’ultima ora. Anche se qualche idea potevano già essersela fatta, visto che erano spariti entrambi per un bel po’.
Stava per aprire la porta e uscire, quando Usagi richiamò la sua attenzione.
«Ho anche io un regalo per te» disse, aprendo la borsa ed estraendone un pacchettino rosso.
Mamoru, stupito, lo prese e sorrise, ma prima che potesse aprirlo, la ragazza lo fermò.
«Aspetta, non aprirlo! Fallo quando sarai già partito».
Il ragazzo notò la malinconia negli occhi di lei e annuì. Poi l’abbracciò forte.
«Prometto che ti scriverò delle email, Usako» disse, sciogliendosi dall’abbraccio e perdendosi nell’azzurro dei suoi occhi.
Usagi sorrise e scosse la testa.
«Non devi! Non fare promesse che non manterrai, non rendere tutto più difficile!».
Poi si alzò sulle punte, allungandosi verso di lui, e gli posò un bacio sulle labbra.
«Stammi bene, Mamo-chan!».
E prima che le lacrime prendessero a scendere per quell’addio anticipato, uscì dalla stanza e poi lasciò la villa, evitando chiunque incrociasse il suo percorso.
«Addio, mia piccola Usako» bisbigliò Mamoru, ancora in cima alle scale.
 
«I passeggeri del volo Clouds Airlines, delle ore nove, diretto a New York, sono pregati di recarsi all’imbarco».
 
La voce metallica dell’altoparlante rimbombò nella sala d’attesa.
Mamoru prese la borsa ai suoi piedi, che aveva sbadatamente lasciato aperta, e tutto il contenuto si riversò sul pavimento. Rimise tutto a posto, imprecando tra sé, ma tentennò sul pacchetto rosso, che per volere di Usagi non aveva ancora aperto.
Lo girò e lo rigirò tra le mani, pensieroso. Poi, guardò l’orologio e si disse che poteva concedersi un altro paio di minuti, prima di andare al Gate. La curiosità lo stava divorando e lei non avrebbe mai saputo che aveva infranto la promessa.
Con un gesto secco, strappò la carta e aprì la scatola.
L’oggetto che si ritrovò davanti lo fece sorridere, anche se un velo di malinconia gli stringeva  il cuore come una morsa.
Caricò il carillon e roteando il polso fece vorticare la neve al suo interno. Un’unica immagine gli tornò alla mente, la bellezza e l’innocenza di Usagi che danzava tra i fiocchi di neve.
Si alzò e guardò, attraverso l’enorme vetrata della sala d’attesa, lo skyline di Tōkyō che riempiva l’orizzonte.
Si perse in mille pensieri che percorsero la sua mente in pochi minuti.
E, improvvisamente, capì.
 
Usagi si era alzata prestissimo quella mattina, o meglio, non aveva chiuso occhio tutta la notte, se non per un paio di ore, durante le quali non aveva fatto altro che brutti sogni.
Aveva fatto una lunga doccia, per lavare via la tristezza, promettendo a se stessa, che non avrebbe pianto per qualcosa che sapeva bene, dal principio, come sarebbe andata a finire.
Andò in cucina a prepararsi un caffè e un’abbondante colazione, per cominciare bene la giornata, e guardò l’orologio. Erano quasi le nove. A quest’ora l’aereo di Mamoru era già pronto per il decollo.
Forse avrebbe dovuto chiedere alla sua compagnia aerea di lavorare quel giorno e coprire la tratta Tōkyō – New York. Altre tredici ore con lui le sarebbero bastate. Già, ma a che sarebbe servito?
Forse poteva andare a trovarlo non appena avesse viaggiato per gli Stati Uniti.
Scosse la testa. Neanche per sogno!
Gli aveva chiesto di non sentirsi più, neanche tramite email, perché mai avrebbero dovuto vedersi?
Il capitolo Mamoru era chiuso. Ci erano voluti dieci anni, ma adesso era definitivamente chiuso. Fece uno sforzo e prese a sorseggiare il suo caffè.
Mentre, seduta sul divano, si arrovellava il cervello con questi pensieri, il campanello suonò, in maniera piuttosto insistente.
Solo Minako poteva avere un’insistenza del genere, pensò Usagi infastidita.
«Arrivo!» gridò, mentre lentamente andava ad aprire, pensando di non avere voglia di vedere nessuno, e, soprattutto, di sorbirsi l’esuberanza e le chiacchiere di Minako.
Ma lo stupore, quando aprì la porta, la travolse. Non era la sua amica chiacchierona.
«Cosa ci fai qui?» chiese, non appena riuscì a parlare.
Mamoru era lì fuori, vestito di tutto punto, con la valigia ai suoi piedi e la boule de neige, che gli aveva regalato, tra le mani.
Le sorrideva, in una maniera dolce e tenera, che Usagi non ricordava di aver mai visto in lui.
«Ho cambiato idea» le disse.
Usagi non parlò, aspettando di sentire da lui quello che sperava stesse per dire.
«Questa mi ha fatto cambiare idea» aggiunse lui, mostrandole la palla di vetro.
«La boule de neige?» chiese la ragazza perplessa.
Mamoru scosse la testa.
«No, tu e il significato che c’è dietro il tuo regalo».
«Non capisco, che vuoi dire?» domandò ancora Usagi, cercando di mantenere la calma e ignorando le capriole del suo cuore dispettoso.
Mamoru fece un lungo respiro, prima di cominciare a parlare tutto d’un fiato.
«Ho chiamato l’agenzia immobiliare. Ho detto che c’è stato un ripensamento e che non ho intenzione di vendere la villa. Poi, ho chiamato il mio ospedale e ho fatto richiesta di trasferimento. Se tutto va bene, il mese prossimo lavorerò in uno degli ospedali di Tōkyō e potrò anche completare il mio progetto di ricerca, continuando a collaborare con New York. E infine, ho deciso di fare la cosa più importante, venendo qui da te».
Usagi piegò il capo, confusa, chiedendogli altre spiegazioni.
Mamoru si prese ancora un attimo, poi rispose.
«Sposami!» le disse, senza troppi giri di parole.
A quella richiesta, Usagi si sentì quasi svenire. Non poteva essere uno scherzo! Forse, semplicemente non aveva capito bene.
«Non ho capito. Puoi ripetere?» chiese titubante.
Il ragazzo sorrise, le si avvicinò e le prese le mani tra le sue, posando un bacio in ciascuno dei due palmi.
«Ho detto sposami!» ripeté con la stessa determinazione di poco prima.
Usagi sentiva che il suo cuore stava per scoppiare, ma ancora non riusciva a credere che Mamoru stesse parlando sul serio. Doveva essere su un volo per New York e, invece, era davanti a casa sua a chiederle di sposarlo. Impossibile!
«Mi prendi in giro?».
«Non sono mai stato più serio di così».
«Ecco, io … ».
Ma Mamoru non la fece parlare.
«Ti amo, Usako, e non potevo andarmene un’altra volta senza dirtelo» le disse con gli occhi lucidi.
«Vuol dire che … ».
«Vuol dire che ti ho sempre amato, ma sono stato un codardo dieci anni fa. Te lo ripeto, ti amo, Usako, vuoi sposarmi?». E la presa sulle mani di lei si fece ancora più stretta.
Usagi diventò improvvisamente seria.
«Non mi hai chiesto se anche io ti amo».
Mamoru ebbe un sussulto, non poteva essersi sbagliato in questo modo.
«Mi ami?» chiese titubante, temendo una risposta negativa.
A quel punto, leggendo la paura negli occhi del ragazzo, Usagi capì che era sincero e le gambe presero a tremarle. Nei suoi sogni questo momento non sarebbe stato di certo più romantico di com’era realmente. Gli si gettò al collo, con tutta la foga possibile e cominciò a piangere, ma questa volta di felicità.
«Sì, ti amo, Mamo-chan e sì, voglio sposarti» urlò tra i singhiozzi.
E un lungo e appassionato bacio suggellò quel lieto fine, che finalmente si realizzava dopo dieci anni.
 
 
Un anno dopo …
Da lontano, Mamoru osservò sua moglie, che rideva con le amiche.
Era uno spettacolo! Con i suoi sorrisi Usagi gli riempiva le giornate e il cuore.
Era l’uomo più felice del mondo, accanto a lei. Felice di averla come compagna di vita, felice di averlo capito in tempo e di essere tornato a riprendersela. E, adesso, la loro felicità sarebbe raddoppiata.
Le si avvicinò e, avvolgendole le spalle con un braccio, le baciò la fronte. Con l’altra mano, poi, prese ad accarezzarle la pancia, che si faceva via via sempre più grossa e tonda.
«Ha già scalciato due volte» disse la futura mamma.
Mamoru sorrise, pensando che sua figlia sarebbe stata proprio un bel peperino.
«Non vedo l’ora che nasca» affermò.
«Anche io. Chissà come sarà!» si chiese Usagi.
«Bella come la sua mamma» commentò Mamoru, stringendole la mano, con la quale si accarezzava il pancione.
«Siete sotto il vischio, siete sotto il vischio!» urlò, all’improvviso, Minako, proprio come aveva fatto un anno prima, interrompendo quel momento di dolce intimità.
Usagi e Mamoru alzarono lo sguardo sulle loro teste.
«Che dici, la accontentiamo?» chiese Usagi divertita.
Mamoru annuì.
«L’anno scorso ci ha portato fortuna, quindi, direi proprio di sì».
E si sorrisero, prima di avvicinare le labbra e baciarsi sotto quel ramoscello, che aveva dato il via alla loro storia d’amore e a una lunga serie, in futuro, di tradizionali baci natalizi.
 


E con le festività natalizie si conclude anche la mia storia a tema (sono stata precisissima, come avevo promesso!). Volevo ringraziare tutte voi per il riscontro positivo che ho avuto e che sinceramente non mi aspettavo. Grazie davvero! Per le recensioni, per aver inserito la storia tra le preferite/ricordate/seguite, per aver inserito me tra le autrici preferite (lusingatissima!) o anche solo per avermi dedicato mezz'ora del vostro preziosissimo tempo. Un bacio a tutte e di nuovo buon anno. Vi aspetto con la mia "vecchia" storia che tornerà a breve.
  
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