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Autore: orphan_account    06/01/2014    60 recensioni
Ero a pezzi, fisicamente e mentalmente. Stavo cercando disperatamente di dire quello che pensavo, ma la mia gola era chiusa e non riuscivo a respirare dal dolore: "A-Avete la minima idea di quello che ho dovuto sopportare? Di quello che ancora sopporto, tutti i giorni?"
Li guardai con sfida. Due di loro era chiaramente confusi, come se non avessero la minima idea di cosa stessi parlando. Liam e Niall, invece, abbassarono lo sguardo.
[...]
"Per favore, Taylor! Lasciati aiutare." Liam mi stava supplicando, ma i suoi occhi non riuscivano a scollarsi dalle mie braccia. Niall era così disperato che per poco non si metteva a piangere. Dieci minuti dopo questo teatrino mi abbandonai alle lacrime, lasciandomi scivolare lungo il muro del bagno.
Basta, ora basta.
Srotolai le bende bianche e voltai le braccia verso di loro.
E proprio in quel preciso istante, la porta si aprì, e Zayn entrò nella stanza. No, lui no. Lui non doveva vedere i tagli, non potevo permetterlo.
I suoi occhi saettarono verso le mie braccia scoperte, e la sua espressione cambiò di colpo.
[Gli aggiornamenti sono molto lenti. Siete avvertite.]
Genere: Angst, Drammatico, Triste | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Nuovo personaggio, Un po' tutti, Zayn Malik
Note: AU, OOC | Avvertimenti: Contenuti forti, Tematiche delicate, Violenza
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POV Gary:

17 settembre 16:35
Non mi ricordavo il momento esatto in cui aveva cominciato ad insinuarsi il dubbio nella mia mente. Forse alle medie, forse anche prima. Mi sembrava di non riuscire nemmeno a richiamare a mente la mia vita prima della grande rivelazione. C'erano giorni in cui mi sentivo come se fossi stato omosessuale per tutta la mia corta esistenza, come se tutti i giorni mi fossi svegliato con il solo ed unico scopo di andare a scuola e farmi pestare da i ragazzi più grossi di me. C'erano mattine in cui il solo pensiero di quella tortura mi faceva venir voglia di tornare sotto l'abbraccio caloroso ed invitante del piumone, che mi teneva stretto e al sicuro come una madre, o un amante.
Alcuni giorni facevo davvero così, preferendo una nota sul registro per un'assenza non giustificata ai lividi, mentre altre volte mi facevo forza e, guardando il mio riflesso acciaccato e maculato riflesso nello specchio, mi dirigevo verso la scuola a testa alta, immaginando folli scenari in un futuro impossibile mentre mi colpivano a sangue, solo per distrarmi.
Ma quella mattina mi ero svegliato con la triste insensibilità di chi sa di avere le ore contate.
Era finalmente giunto il giorno in cui mi ero prefissato di farla finita con tutte le scuse, tirare fuori tutto il mio poco coraggio, ed ammettere a Louis che mi ero preso una cotta per lui.
Era passata già più di una settimana da quando Ross aveva ideato quello che ora mi sembrava uno stupidissimo piano, e ogni giorno, da una dannata settimana, non trovavo mai la forza di farlo davvero, rimandavo sempre al giorno dopo. Ma con ogni nottata che passavo a pensarci su, sembrava diventare sempre più impossibile mettere in atto quell'assurdità.
Quel giorno il mio stomaco stava piroettando furiosamente nel mio stomaco, in preda a spasmi improvvisi e debilitanti che mi colpivano ogni qual volta il mio treno di pensieri si ritrovava a riguardare Louis. Il che era abbastanza spesso.
Per non parlare di quando lo vedevo di persona, e il mio stomaco si restringeva al punto che mi sentivo come se mi stessero pugnalando alla pancia, come tante farfalle dalle ali affilate come rasoi. L'ansia era arrivata a livelli così cosmici che mi sentivo la testa leggera come mai prima, incapace di pensare e comprendere. Quell'agitazione nervosa doveva essere chiaramente dipinta sul mio viso perché, non appena mi lasciai cadere al tavolo dove erano già seduti tutti meno Zayn e Taylor, Ross mi lanciò uno sguardo preoccupato, gli occhi scuri, quasi neri nella pessima illuminazione dei neon, che seguivano ogni mia mossa.
“Non hai fame?” domandò poi, appoggiandomi una mano sulla spalla, che però scrollai subito di dosso, quasi infastidito dal contatto. Le sue labbra si serrarono dolorosamente strette, ma non disse nulla.
“No grazie, non mi sento troppo bene.” risposi, cercando di sorridere, ma fallendo miseramente. Avevo la brutta impressione che qualunque genere di ingestione di cibo sarebbe finita con una visita al gabinetto.
Non riuscii a fare a meno di notare che, mentre per tutta la durata del pranzo Ross si era girato periodicamente a guardarmi, Louis non aveva più incontrato il mio sguardo dopo l'iniziale saluto.
E nonostante ci fosse una fitta di dolore all'altezza del mio petto, che diventava sempre più forte con ogni momento che Louis non incontrava il mio sguardo, per un attimo non riuscii a fare a meno di pensare che non faceva poi così male.
Quando lo fermai, poco prima della penultima ora, chiedendogli se potevamo incontrarci nel parcheggio dopo la fine della scuola, lui si limitò ad annuire con un largo sorriso, mandandomi completamente in tilt il cervello.
Avrebbe dovuto essere proibito essere così belli, così dannatamente eterei come Louis.
L'ultima campana del giorno suonò fin troppo presto, portando con sé l'ennesima fitta di terrore cieco al mio stomaco vuoto.
Raccolsi i miei libri con lentezza, trascinando i piedi mentre mi dirigevo fuori dalla classe e in mezzo al corridoio affollato. Avrei dovuto fare più attenzione forse, a chi mi stava attorno, ma era come se avessi cancellato tutto ciò che mi stava attorno nella mia paura.
Fu per questo che il braccio che mi tirò bruscamente di lato venne come un'inaspettata e totalmente non richiesta sorpresa, facendomi sfuggire una specie di acuto guaito.
La stretta ferrea non si allentò minimamente, serrandosi anzi più fortemente attorno al mio braccio e trascinandomi verso un bagno vicino, nel mentre sbattendo il mio fianco contro lo stipite della porta. Nessuno nel fiume di gente che si stava dirigendo fuori dalla scuola si accorse di me, o forse non se ne preoccupò, nemmeno quando la botta mi fece gemere raucamente per la fiammata di dolore improvviso che divampò lungo il mio fianco.
Un paio di ragazzi vicini girarono la testa al suono, ma non appena videro che ero solo io tornarono a chiacchierare tra di loro, ridendo come se non avessero visto nulla.
La mano che mi aveva tirato prima strinse ancora più forte rispetto a prima, ed ero sicuro che avrebbe lasciato un brutto livido, uno di quelli che non sparivano per settimane.
Un altro strattone mi fece ruzzolare all'interno del bagno, scivolando sul pavimento sporco di carta e urina. Da quella posizione sottomessa riuscivo a vedere perfettamente i due ragazzi, membri della squadra di nuoto se la memoria non mi ingannava, e i loro ghigni soddisfatti.
Nonostante il mio cervello si stesse ribellando molto vocalmente al pensiero di un altro pestaggio quando ancora i lividi del precedente mi marcavano ancora il corpo, nascosti sotto un ricco strato di fondotinta, c'era un piccolo angolino della mia mente che stava facendo i salti di gioia all'interruzione.
Per tutta la giornata non avevo fatto altro che disperarmi, aggrapparmi a qualsiasi scusa possibile per non andare all'incontro con Louis. La verità era che il panico e la paura di venire respinto mi avevano asfissiato nella loro stretta, impedendomi di sciogliere i miei muscoli tesi dalla tensione anche solo per un istante. Mi sembrava quasi impossibile anche solo respirare tanta era la pressione che mi sentivo addosso.
Ed era proprio per questa ragione, anche se il pavimento mi stava sporcando i vestiti e riuscivo quasi a sentire il dolore fantasma dei colpi di Mark che si imprimeva sul mio corpo, che quella tappa inaspettata era quasi gradita. Se fossi stato fortunato avrebbero impiegato abbastanza tempo da fare in modo che Louis se ne andasse, stanco di aspettarmi.
Ma questo genere di speculazioni erano inutili quando c'erano due scimmioni pronti a pestarmi fino allo svenimento. O finché non si fossero stancati, qualunque cosa venisse prima.
Quando uno dei due tirò indietro la gamba, preparandosi a colpirmi, mi tirai indietro con una spinta delle braccia, evitando per un soffio il calcio diretto al mio addome. Non che sarebbe servito a qualcosa, se non a farli arrabbiare di più.
Dopo aver giocato al gatto e al topo con me per qualche minuto i due nuotatori si stufarono di giocare con il loro cibo. Uno mi afferrò da dietro, piegandomi le braccia in una posizione particolarmente dolorosa, mentre l'altro mi colpiva lo stomaco ormai scoperto. Il dolore era assurdamente intenso contro i tessuti morbidi della mia pancia. Era come se le sue scarpe da ginnastica mi stessero lacerando la pelle, gli organi, l'orgoglio, lasciandomi incapace di fare più che gorgogliare con ogni calcio, il fiato rubato dalle fitte di pura agonia che si irradiavano dal punto di contatto verso l'esterno.
Il dolore mi accecava, mi assordava, mi impediva di pensare o di urlare, di sentire i colpi sul mio corpo al di sopra del rumore del mio cuore che batteva impazzito contro la sua gabbia in un folle tentativo di liberarsi. Il mio mondo si restrinse al sangue che scorreva nelle mie vene e ai sussulti di dolore ogniqualvolta un calcio andava a segno.
Riuscii a riprendere il respiro solo quando i due fecero cambio, sempre sghignazzando tra di loro. Alle mie orecchie il mio respiro spezzato, somigliante ad un rantolo moribondo, era più rumoroso delle grasse risate dei due, più forte degli schiamazzi dei ragazzi che attraversavano il corridoio verso l'uscita, ignari o indifferenti alla mia sofferenza. Le mie braccia furono spinte di nuovo all'indietro, in quella scomoda posizione, facendomi emettere un gemito di dolore e poi mordermi il labbro per evitare di lasciarmene sfuggire un secondo.
I calci ripresero a cadere su di me come gocce di pioggia acida, sempre più dolorose della precedente, tanto che c'erano momenti in cui volevo solo urlare, dimenarmi, appallottolarmi in posizione fetale e far finire il tormento. Ma le mie braccia erano bloccate, le mie gambe si stavano atrofizzando con il peso di un piede sopra e la mia mente stava impazzendo, rifiutandosi di pensare scappando in una dimensione dove nulla poteva farmi del male.
E poi finì. Così, senza un attimo di preavviso, senza alcuna indicazione. Un momento mi stavano pestando e quello dopo erano usciti dal bagno, lasciandomi sul pavimento a recuperare il fiato. Quando, dopo un lentissimo quarto d'ora, il dolore era diventato così presente e abitudinario da sentirmi insensibile, mi rialzai a fatica, staccando un pezzo di carta igienica appiccicosa che si era attaccato ai miei jeans. Con un sospiro che mi fece bruciare lo stomaco raccattai lo zaino dall'angolo in cui era finita, schioccando la lingua contro il palato in agitazione quando notai la macchia di bagnato sul fondo. Con un po' di fortuna era solo acqua, ma l'odore acre lasciava poco spazio per la speranza. Non trovai nemmeno il coraggio di guardarmi allo specchio, troppo spaventato di cosa avrei visto se avessi sollevato leggermente la maglietta stropicciata e sporca.
Spalancai la porta del bagno, affrettandomi verso l'uscita per non avere altri brutti incontri, non volendo altro che tornare a casa, accucciarmi sotto le coperte e piangere. Ma non appena uscii dal portone, scendendo le scale a due a due, intravidi una familiare testa mora vicino alla fermata dell'autobus. Mi bloccai di scatto, osservando con crescente orrore mentre Louis si girava nella mia direzione, non lasciandomi il tempo di spostarmi.
I suoi occhi si illuminarono allegramente quando mi vide, la bocca tirata in un sorriso spensierato e una mano alzata in saluto.
Per un lungo istante rimasi incantato, bloccato in un istante che avrei voluto durasse per sempre, preso dall'osservazione della bellezza di Louis. Poi il passaggio di una macchina dietro di lui ruppe l'incanto. Con un altro sospiro pesante, e conseguente fitta di dolore, mi feci strada verso di lui, stirando le labbra in una specie di sorriso tremolante.
“Gary.” mi salutò, allungando un braccio per darmi una pacca sulla spalla.
In quel singolo secondo cristallino soffocai sotto una montagna di emozioni contrastanti, da una parte la paura folle che mi faceva sudare le mani tremanti e battere il cuore, dall'altra la vivida sensazione di coraggio dovuta all'adrenalina.
Prima che quel breve impeto di coraggio potesse sparire nel nulla feci un respiro profondo, mi alzai in punta di piedi e lo baciai. Le sue labbra erano asciutte e fresche contro le mie, che al contrario erano bollenti e morsicate a sangue dalla tensione, ma troppo immobili. Mi premetti con più forza contro di lui, disperato per un qualsiasi segno che stesse per ricambiare il bacio. Passarono due secondi, o forse due ore, era difficile dirlo, senza che mi muovesse di un millimetro. E poi, quando ormai gli occhi mi pizzicavano per le lacrime e mi ero rassegnato ad essere brutalmente respinto, cominciò a muovere piano le sue labbra contro le mie. C'era un fuocherello caldo nel mio basso ventre, che mi accarezzava dentro con le sue lingue di fuoco, espandendo il delizioso calore; le nostre labbra si stavano malleando assieme, creando un ritmo lento e dolce, incredibilmente innocente. E fantastico, era decisamente fantastico.
Mi sarebbe piaciuto durasse in eterno, ma dopo troppo poco tempo Louis mi appoggiò le mani sulle spalle, spingendomi delicatamente all'indietro e allontanando i nostri volti. Per qualche tempo tutto quello che riuscimmo a fare fu guardarci negli occhi senza espressione. Poi Louis si passò la lingua sulle labbra, quasi invisibilmente arrossate, attirando in modo inevitabile la mia attenzione.
“Gary?” domandò alla fine, lasciando cadere le sue braccia lungo i fianchi, espressione ancora illeggibile.
Mi tirai ancora più indietro, socchiudendo gli occhi mentre aspettavo un colpo che non arrivava. Saltai in aria con un sussulto quando Louis mi appoggiò una mano sul braccio, arrossendo di botto quando la sua espressione si addolcì.
“Gary?” chiese ancora, il tono di voce comprensivo e pacato.
Aprii cautamente gli occhi, solo per incontrare il suo lieve sorriso e i suoi pacifici occhi azzurri.
“Avanti Gary, ti riaccompagno a casa. Possiamo parlarne in macchina.” disse quando fu chiaro che non avrei detto niente, guidandomi attraverso le poche macchine rimaste nel parcheggio verso la sua ammaccata macchina, aprendomi la portiera e spingendomi verso il sedile del passeggero.
Anche se avessi avuto qualche remora a restare in macchina con lui, chiuso in quello spazio minuscolo assieme a lui, la lieve pressione delle sue mani sulle mie scapole mi fece barcollare all'interno della macchina, ancora rintontito dal sapore di Louis sulle mie labbra. Qualche istante più tardi scivolò con grazia melliflua di fianco a me, rivolgendomi una altro sorriso tranquillo prima di mettere in moto e uscire dal parcheggio della scuola.
Per qualche minuto regnò un silenzio di tomba, facendomi dimenare silenziosamente nel sedile, giocherellando con le mie dita per il timore e l'imbarazzo.
“Allora,” disse alla fine Louis, schiarendosi la gola, “come mai hai deciso di...”
Le mie guance si infiammarono quando Louis lasciò la frase in sospeso, alzando una mano dal cambio per agitarla nello spazio vuoto tra di noi, cercando di far capire quello che intendeva a gesti. L'umiliazione mi lasciò incapace di parlare, ma Louis non parve offeso dalla mancanza di una risposta, perché qualche secondo dopo riprese a parlare, questa volta più velocemente, come se volesse farla finita il più in fretta possibile.
“Non che sia un problema! Non voglio che tu pensi che io sia arrabbiato o schifato, anzi, sono onorato di piacerti. Mi piacerebbe solo sapere come mai hai deciso di farti avanti proprio ora.”
Scrollai le spalle, ricacciando indietro un'altra ondata di imbarazzo prima di rispondere anche se non riuscii ad impedirmi di arrossire nuovamente: “Mi piaci, Louis. Volevo sapere se magari c'era una possibilità che il mio sentimento potesse essere ricambiato.”
La sua testa si girò violentemente verso di me, la bocca leggermente dischiusa, e in quel momento non avrei voluto nulla di più che chiudere lo spazio tra noi due e baciarlo ancora. Al pensiero i muscoli del mio stomaco si contrassero, portando però un'ondata di dolore alla mia pancia che mi fece impallidire. La macchina sbandò di lato, e Louis fu costretto a riportare lo sguardo sulla strada per non farci schiantare.
Quando parlò di nuovo la sua voce era più dolce: “Gary...” fece un respiro che non prometteva nulla di buono per me, e le sue dita strinsero così forte il volante che le sue nocche diventarono bianche.
Chiusi gli occhi, pronto per essere respinto.
“Io- io non so davvero cosa dire.” ammise, la su voce ricca di così tante emozioni diverse che non riuscii nemmeno a cominciare a sbrogliare.
Annuii, facendomi forza: “Non ti preoccupare, capisco perfettamente.”
Gli lanciai un'occhiata veloce, giusto in tempo per vederlo mordersi il labbro: “É solo che... Non so, non sono mai stato con un maschio prima d'ora, non saprei proprio cosa fare.”
Non era un rifiuto secco, cosa per cui mi sentii tremendamente sollevato.
Il fiato mi si incagliò in gola per un secondo: “Cosa ne dici di provare? Non chiedo tanto, un solo appuntamento, e poi vedi tu se ti va di continuare.”
Una delle sue mani passò dal volante al sul mento, grattandoselo lentamente con un cipiglio confuso: “Io non sono gay, Gary. Non lo sono mai stato e mai lo sarò. Non ho nulla contro chi lo è, sia chiaro, ma non è una cosa che fa per me.”
Mi lasciai cadere contro il sedile, sentendo i muscoli che si rifiutavano di restare tesi, che si afflosciavano come se fossi senza ossa. Il mio stomaco aveva ripreso a bruciare come se fosse in fiamme, non piacevolmente come prima, ma più come se si fosse scatenato un inferno infuocato dentro di me. Il mio cuore si stava agitando come un topolino in gabbia, stringendosi dolorosamente nel mio petto.
Tutti i sogni ad occhi aperti che avevo fatto, che vedevano me e Louis in diversi contesti (più di una volta erano camere da letto), uno più follemente impossibile dell'altro, si spezzarono in un solo istante. Dovetti guardare fuori dal finestrino per non fargli notare come mi si erano riempiti gli occhi di lacrime, pronte a cadere con la minima pressione. Il nodo che si era formato nella mia gola era così ingombrante che mi limitai ad annuire, troppo spaesato ed abbattuto per ribattere.
Louis non disse nulla, appoggiandomi una mano sulla spalla in un gesto di conforto, rilasciando ondate di imbarazzo e tensione dalla postura del suo corpo.
Guidò per un po' in silenzio, attraversando con la sua guida incosciente tutto il quartiere di medio-alto reddito e poi nel mio, decisamente più povero.
Louis si schiarì nuovamente la gola, non guardandomi negli occhi, ma con le guance tinte di un rosa acceso: “Senti, io- io posso provare, se vuoi.” si girò verso di me mentre fermava la macchina davanti al mio vialetto. La mia testa si girò così velocemente che mi scrocchiò il collo, incredulità dipinta chiaramente sul mio volto, dalla bocca semiaperta alle sopracciglia così inarcate che quasi raggiungevano l'attacco dei capelli.
“Cosa?” domandai, sicuro di non aver capito bene.
Louis sbruffò leggermente mentre spegneva il motore, alzando gli occhi al cielo per un breve istante: “Hai capito bene. Insomma, quanto diverso può essere dal portar fuori una ragazza?”
Il mio stupore quasi si triplicò, e non potei fare altro che sbattere le palpebre.
Louis sorrise leggermente, piegando la testa di lato: “Cosa ne dici di andare al cinema settimana prossima? Dovrebbe uscire un film che volevo davvero andare a vedere.”
Il groppo nella mia gola sembra essere cresciuto ancora di più, il mio cervello spento in vista di quella che doveva essere la risposta più inaspettata di sempre. Nonostante avessi trovato il coraggio di dichiararmi non avrei mai pensato davvero che avrebbe risposto di sì, sotto tutti gli strati di dolce illusione di cui mi ero circondato.
Poi mi accorsi che Louis stava ancora aspettando una mia risposta e mi affrettai ad annuire, prima che cambiasse idea, rispondendo che, sì, certo, mi sarebbe piaciuto andare al cinema con lui.
“Perfetto, allora domani fammi sapere che giorni hai liberi e ci mettiamo d'accordo. Ora faresti meglio ad andare, sono sicuro che ti stanno aspettando.”
“Hai ragione. Grazie per il passaggio e... anche per tutto il resto.” risposi, sentendomi tremendamente impacciato a confronto con lui.
Scivolai fuori dalla macchina e mi diressi verso la porta di casa, morendo dalla voglia di girarmi un'ultima volta per ammirare Louis, ma avendo troppa paura di sembrare appiccicoso.
“Ah, Gary.” mi richiamò lui, la testa che sporgeva dal finestrino, un'espressione seria sul volto.
Mi girai verso di lui, grato per quella possibilità di non dover interrompere la mia contemplazione della sua perfezione.
“Non ti prometto nulla, sappilo.”
Ci guardammo negli occhi per un lungo istante, e mi sembrò quasi che tra di noi passasse una comunicazione silenziosa. Apparentemente Louis non fu soddisfatto da quello che trovò nel mio volto, perché mi fece cenno di avvicinarmi.
“Sai, quando ero piccolo mia madre mi diceva sempre che solo perché non vedevo una cosa non significava che non ci fosse. Pensa alle giornate di pioggia, quando il cielo è una nuvola unica. Credi che in quei giorni non sorga il sole?”
“Cosa stai cercando di dire?” domandai, perplesso.
Louis scrollò le spalle, rivolgendomi un sorriso stretto e vagamente preoccupato: “Penso che se tu stia cercando qualcuno che ci tenga a te dovresti guardare più vicino a te.”
Poi tirò la testa di nuovo dentro la macchina e, stiracchiando pigramente gli angoli delle labbra in un sorriso felino, alzò una mano in saluto prima di sfrecciare lungo la strada e girare l'angolo, sparendo dalla mia visuale.
Rimasi fermo in mezzo al vialetto di casa, con lo stomaco che pulsava ad intervalli regolari, perso a guardare una strada vuota e cercare di dare un senso alle sue ultime parole.

 

Angolo dell'autrice:
Ok. Ok. Ho finito il capitolo 20. Consideratelo un regalo di Natale in ritardo.
Innanzitutto vorrei scusarmi con tutte voi lettrici che avete aspettato così pazientemente (e non xD) per questo capitolo. Le ragioni sono svariate, ma principalmente cercare di gestire la scuola, i compiti e il lavoro (sì, il lavoro) ha succhiato via tutto il mio tempo. Poi ci si sono messi i parenti, gli amici e alla fine non sono mai riuscita ad aggiornare. Ma comunque la prossima volta che ci impiego così tanto siete invitate a mandarmi un messaggio per dirmi di darmi una mossa.
Poi mi voglio scusare per la cortezza di questo capitolo, che, pur non essendo uno dei più brutti, non è nemmeno uno dei più brillanti. Penso di averlo riscritto almeno sei volte prima di essere contenta xD
Terzo, oggi è il mio compleanno quindi vi chiedo di essere misericordiose con me e di non riempirmi di insulti per il ritardo. Non vi chiederò di recensire, perché dopo questo immenso ritardo non me lo merito.
Quarto, QUESTA STORIA NON VERRÀ MAI ABBANDONATA. Se persistete nel mandarmi messaggi/recensioni con il solo scopo di insultarmi per i ritardi negli aggiornamenti, procederò ad ignorarvi.
Quinto, cercherò di rispondere a tutte, ma potrebbe volerci del tempo. Grazie mille a tutti quelli che hanno recensito lo scorso capitolo, siete in tantissime e mi rendete l'autrice più felice del mondo.
Grazie infinite a tutti,
Ele
P.S. Il capitolo non è ancora stato betato, perché non volevo farvi aspettare ancora di più. Quando lo avrà riletto la mia beta questo messaggio sparirà.

 
   
 
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