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Autore: hiccup    07/01/2014    3 recensioni
“Anno nuovo, vita nuova, giusto?”
“Speriamo siano trecentosessantacinque giorni unici, emozionanti, miei. Non chiedo altro”
“Si inizia oggi; con questo sole aranciato e con questo sguardo stanco, ereditato dal passato.”
[365 poesie per 365 giorni]
Genere: Generale, Introspettivo | Stato: completa
Tipo di coppia: Nessuna
Note: Raccolta | Avvertimenti: nessuno
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Sette gennaio: prima chiamata.
 



 
“Mia cara, sono la Dottoressa X,
 volevo solamente sentire come stavi e farti gli auguri di Buon Anno.
Quando senti questo mio messaggio, solo se vuoi naturalmente, richiamami.”
 
 


Ci sono alle spalle tanti anni di delusioni,
di lacrime rabbiose e singulti dolorosi,
di eclatanti fallimenti e dementi sguardi
disgustati, impietositi;
diciannove inverni di tentativi, di risalite
- il sorriso più bello disegnato su labbra infantili –
di ricadute e di guerre perse
- gli stendardi variopinti delle proprie promesse lacerati,
bruciati dal fuoco della sconfitta -.
 
Hai perso più e più volte l’agognata speranza;
non sono sola, posso ancora riuscirci, sussurravi
tra la veglia crudele e l’incantevole sogno,
in balbettii nervosi, smorzati dalla Creatura Nera
- ha ingoiato lei le tue dolci parole affusolate;
le ha divorate, masticate per giorni, mesi, anni –
 
E ora l’emozione è troppa:
la melodia che scricchiola nell’aria, la voce registrata
che t’invita a fare un passo in avanti, a combattere.
 
L’emozione è tale che le mani sussultano,
vacillano le gambe, la testa vortica pericolosamente
e ogni cosa sbiadisce, si appanna
- come vapore sullo specchio –
 
La chiamata dura un minuto e zero secondi esatti:
un tempo corto ed eterno; interminabile,
eppure le parole escono, recalcitranti,
fluiscono tra gli incisivi senza remore,
rotolano poi tra le labbra.
 
Parlo; sono mie quelle parole che tintinnano
tra i miasmi della paura superata?
E’ la mia voce.
 
(Sette gennaio duemilaetredici
Ore quindici e cinquantaquattro
In una piazzetta
Ho i libri che gravano sulla schiena
E la bocca arida d’azzardo:
La mia prima chiamata.)
 
E’ una vittoria
minuscola
ma l’ambrosia divina si mesce
nella coppa dorata con delizioso gaudio.
 




 
 *
 




 
Note:
 
Temo che in questa poesia delle note siano decisamente necessarie, ma sarò breve e concisa questa volta.
Immagino che questi versi, ad occhi diversi da quelli della sottoscritta, possano apparire senza senso, visto che sembrano parlare di qualcosa di indefinito e di troppo personale e soggettivo.
 
Sostanzialmente la protagonista della poesia – l’io narrante, se così vogliamo chiamarlo, -  è afflitta da balbuzie fin da quando era una bambina; ora ha quasi vent’anni, ha vissuto diciannove anni cadendo e rialzandosi ogni volta, lottando fino all’ultimo respiro per riuscire a parlare come tutte le altre persone “normali”, ha perso la speranza più e più volte, ritrovandola però successivamente nel sostegno delle persone che l’hanno attorniata.
Il punto centrale è questo giorno – il sette gennaio – nel quale la protagonista riceve e perde una chiamata da parte della propria terapista, la quale la invita a richiamarla gentilmente, non appena sente il messaggio registrato in segreteria.
La protagonista quindi è combattuta tra le sconfitte del passato, la sfida del presente e la possibilità di vittoria del futuro. Decide tuttavia di mettersi in gioco e provare a chiamare la terapista, ci riesce con sua somma sorpresa ed incredibilmente le parole riescono a fluire più o meno bene.
Nonostante le difficoltà riesce a parlare e ha sentire la “propria” voce. Immaginate perciò la sua gioia quando riesce a telefonare per la prima volta ad una persona semi sconosciuta, ad una persona fuori dal circolo famigliare. E’ una piccola, ma importantissima vittoria.
Sono consapevole che ai più il fatto che una diciannovenne non abbia mai telefonato a nessuno possa sembrare ridicolamente assurdo, ma cercate di vederlo attraverso un’ottica diversa; anche le cose più insignificanti e stupide per qualcuno possono rivelarsi veri e propri scogli.
L’ultima strofa fa riferimento all’ambrosia, il nettare delle divinità greche, e la coppa d’oro si riferisce ad una statua di Antonio Canova, l’Ebe, la coppiera degli dei. Mi piaceva l’idea di poter dare un riferimento di “vittoria” e “grazia” a quest’impresa semplice. Ecco tutto.
Perdonate il lato nonsense e di difficile interpretazione di questa poesia; le prossime poesie saranno migliori, promesso.
 
Grazie a voi, che mi seguite e che perseguite nella lettura di questa raccolta senza pretese. Un bacione grande,
 
hiccup
 

 
  
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