Otto gennaio: 5 a.m.
Si levano i fumi alborei;
gorgoglia placidamente il bollitore,
mentre le ossa scricchiolano tra il dolce raso satinato
e la tenera carne si tende per la stanchezza.
I postumi dell’ennesima notte insonne
s’intingono nel profumo speziato
delle pagine di poesie d’amore macinate
e nelle punture dell’accogliente inferno invernale.
L’acqua sobbolle, la tazza è già
sul tavolo di resina; si versano le fiamme liquide
e il filtro annega.
Strofinio di mani polverose,
il cielo immobile è in travaglio:
e il silenzio geme prima dell’alba.
“Già in piedi?”
“Mhm avevo troppo freddo a letto. Da solo.”
“Vuoi una tazza di tè?”
“Volentieri. Perché non sei rimasta?”
“Io non me ne sono mai andata; sono ancora qui, no?”
“Mhm avevo troppo freddo a letto. Da solo.”
“Vuoi una tazza di tè?”
“Volentieri. Perché non sei rimasta?”
“Io non me ne sono mai andata; sono ancora qui, no?”
*