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Autore: lili1741    28/05/2008    3 recensioni
"Volevo sapere quale anima era quella che aveva il privilegio di celarsi dietro a un aspetto così sublime." 1683. Eugenio di Savoia conosce il bellissimo principe di Montpensier, detto "la poupée", la bambola. Ma anche chi sembra un angelo può causare enormi sofferenze... Leggete e recensite, mi farebbe molto piacere!
Genere: Romantico, Malinconico, Drammatico | Stato: completa
Tipo di coppia: Shonen-ai
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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prova

Giocavo a carte. Bevevo. Mi divertivo come chi per anni non ha fatto altro che recitare "padrenostri" e ricevere frustate, e finalmente assapora la Libertà. Avevo diciannove anni e per me allora la libertà consisteva in bere, dilapidare il mio già esiguo patrimonio ai tavoli da gioco delle feste dei nobili, frequentare turpi compagnie che aumentavano la riprovazione che gravava sulla mia famiglia a causa dei passati intrighi di mia madre, allora in esilio in Belgio.

Mi stordivo per dimenticare che il mio destino l'avevano deciso mia nonna e mia zia due anni prima, facendomi prendere i voti da sacerdote, senza tenere in alcuna considerazione ciò che volevo fare io.

Da sobrio, le loro voci acute e stridule echeggiavano continuamente nelle mie orecchie: Eugène, questa è la tua unica possibilità di combinare qualcosa nella vita. Sei gracile, quasi femmineo per via di quei tuoi capelli biondi e lunghi. Hai le spalle storte. Di nobile hai solo il cognome, de Savoie. Tua madre, quella sgualdrina, ha rovinato la nostra famiglia. Che altro potresti fare, se non il prete?

Ma dopo qualche bicchiere di vino rosso, di quello dolce e forte, mi sentivo libero di immaginare un futuro da condottiero, generale dell'esercito di Re Luigi XIV, onorato e riverito come un principe.

Quindi bevevo tutte le sere come se dovesse essere l'ultima giornata di festa della mia vita, e quella sera a palazzo Polignac non faceva eccezione. Incitato da mio cugino Armand, puntavo a carte i gioielli di mia madre, che un tempo le aveva donato il Re in persona, e mentre contemplavo per l'ultima volta quei lapislazzuli grandi come uova di quaglia passarmi tra le mani, ascoltavo il commediografo Dancourt, che recitava un suo componimento satirico sui paggi della corte di Francia.

Fu allora che nella grande sala delle feste dei Polignac entrò un giovane poco più grande di me, accompagnato da uno strano silenzio di reverenza e da qualche cenno di saluto. Pensai, commettendo così il peccato di bestemmia, che fosse un angelo. Nessuna definizione più profana gli si adattava. La sua pelle era candida come la porcellana, i suoi capelli lunghissimi e neri erano inanellati in riccioli che ricordavano le onde del mare di notte, i suoi occhi erano castani chiari, ricchi di riflessi verdi come un bosco incantato. E i suoi lineamenti... il suo viso da bambola mi ricordò la perfezione delle orazioni latine su cui tanto avevo faticato durante gli anni di studio.

La sua bellezza era capace di docere: un monito costante del fatto che, benché i beni terreni siano fuggevoli, la loro vanitas sia in grado di catturare le nostre anime peccatrici con la forza di una tempesta.

Che fosse nato per delectare era fuor di dubbio. La grazia con cui sorrideva, l'armonia del suo aspetto e lo sguardo con cui tutti i presenti tacitamente lo lodavano ne erano le prove più evidenti.

Ma non avevo incontrato mai nessuno prima di allora che fosse in grado di movere! Quel giovane sì, era dotato di una bellezza commovente, che faceva venir voglia di idolatrarlo come una divinità, o di pregare Iddio che lo facesse addormentare per sempre come Endimione, perché la sua bellezza non dovesse mai sfiorire.

"Chi è?" chiesi, stordito da quella apparizione e dal vino, ad Armand.

"Il principe Louis-Honoré de Bourbon-Montpensier. Dicono sia uno dei giovani più belli di Francia. Quella accanto a lui è la sua amante." rispose, indicando una graziosa damigella a cui egli dava il braccio.

Non aveva alcuna importanza. Che avesse pure un'amante, fosse anche Venere in persona. Che avesse pure una moglie. Io dovevo parlagli, o non avrei avuto pace. Volevo sapere quale anima era quella che aveva il privilegio di celarsi dietro a un aspetto così sublime. Volevo ascoltare la voce con cui dava corpo ai suoi pensieri. Volevo sapere se un essere così perfetto potesse soffrire, e per quali ragioni.

Mi alzai, barcollando appena, dal tavolo da gioco, e salutai per sempre la collana di lapislazzuli. Con un coraggio che solo il vino mi sapeva dare, facendomi dimenticare il mio aspetto scialbo e ben lungi dall'essere divino, mi recai a salutare il principe di Montpensier.

  
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