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Autore: Serpentina    09/01/2014    8 recensioni
Lei: ha deciso di dedicarsi anima e corpo al lavoro, nonostante una migliore amica determinata a ravvivare la sua vita sentimentale, "più piatta dell'elettrocardiogramma di un cadavere". Dopo una cocente delusione, ha deciso di fare suo il mantra: "segui il cervello, perchè il cuore non ti porterà mai da nessuna parte".
Lui: strenuo sostenitore del motto "segui il cervello, perchè il cuore non ti porterà mai da nessuna parte". Il suo obiettivo è fare carriera, non ha nè tempo, nè voglia di perdersi dietro ai battiti di un organo che, per lui, serve soltanto a mandare in circolo il sangue.
Così diversi, eppure così simili, si troveranno a lavorare fianco a fianco ... riusciranno a trovare un punto d'incontro, o metteranno a ferro e fuoco l'ospedale?
Nota: il rating potrebbe subire modifiche.
Genere: Commedia, Romantico, Slice of life | Stato: completa
Tipo di coppia: Het, Shonen-ai
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Contesto generale/vago
Capitoli:
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- Questa storia fa parte della serie 'United Kingdom of Faith'
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Mi presento: sono Serpentina, scrittrice dilettante (e allo sbaraglio). Cronologicamente questa è la mia prima storia; l'avevo abbandonata per mancanza di ispirazione e di tempo, dedicandomi ad altro (non fate Medicina se volete avere una vita, non mi stancherò mai di ripeterlo!), finchè, un bel giorno, l'ispirazione e l'entusiasmo sono magicamente ricomparsi, e ho deciso di riprendere in mano la mia "creatura".
Non voglio annoiarvi oltre, non dico altro, se non: buona lettura!

 
Ad AryYuna, cla madrina di Faith, grazie per la "spintarella" a scrivere e condividere le mie storie
A Elev, Amelia S, Bijouttina, topoleone e RosaEmme93, che con il loro sostegno mi hanno spinta a continuare a scrivere




La cosa più bella di un viaggio è il ritorno a casa ... o forse no



“La persona che parte per un viaggio, non è la stessa persona che torna".
Proverbio cinese


 

Il mondo è bello perché vario, una tavolozza variopinta dei colori più svariati. Tra questi, un guazzabuglio di nome Faith Beatrice Irving. A una prima occhiata poteva apparire come l'emblema della normalità: non era particolarmente bella, non secondo i canoni moderni di bellezza femminile, né dotata di particolari talenti; possedeva tuttavia "celluline grigie" della migliore qualità, un'indole tendenzialmente altruista e (fin troppo) accomodante, una lingua biforcuta con chi non le andava a genio (il 99% dell'umanità), un temperamento incostante, la pretesa di avere sempre ragione e un ottimo intuito, che le era valso la reputazione di donna saggia e la convinzione di potersi immischiare impunemente negli affari altrui (in special modo negli affari di cuore).
Questo peculiare miscuglio di pregi e difetti, malamente mescolati a creare una vera e propria contraddizione vivente, era anche patologicamente incapace di prendere decisioni che la riguardassero in prima persona: navigava attraverso la vita secondo corrente, con placida passività.
A riprova della sua perenne indecisione (o incoerenza, che dir si voglia), Faith aveva faticato a trovare la propria strada: sin dalla tenera età, aveva evitato il più possibile di pensare al futuro, perché, si sa, "del doman non v'è certezza", e non accettava l'idea che nella vita il caso la facesse da padrone. Di una sola cosa era certa: la sua professione ideale prevedeva la pressoché totale assenza di turni notturni e festivi, un orario comodo, che le consentisse di mantenere un'attiva vita mondana e sociale, e - soprattutto - contatti umani ridotti all'osso.
Appesa quindi al chiodo l'idea di dedicarsi all'arte medica, seguendo le orme dei genitori, aveva cambiato risposta alla fatidica domanda "cosa vuoi fare da grande?" con cadenza triennale: a tre anni aveva dichiarato che avrebbe fatto la cubista (nella sua ingenuità infantile identificava le cubiste con le ballerine di danza classica); a sei, affascinata dalle figure di Indiana Jones e Sidney Fox, che sarebbe diventata un'archeologa; a nove, che si sarebbe unita a un circo come donna-cannone; a dodici che sarebbe diventata astronauta, e a quindici che avrebbe passato il resto della vita in un laboratorio (preferibilmente insieme alle sue migliori amiche, Abigail Venter e Bridget Mc Duff, le sue sorelle non consaguinee, le uniche che riuscissero a tollerare i suoi sbalzi d'umore). 
La svolta inaspettata era giunta in un'afosa giornata di giugno. La diciottenne Faith, neo-diplomata con lode, non aveva fatto in tempo a congratularsi con se stessa per l'eccellente risultato ottenuto, che il panico per il nebuloso futuro l'aveva attanagliata: che ne sarebbe stato della sua vita? Prendere decisioni non era mai stato il suo forte, ma quella volta non poteva esimersi dal prenderne una, per di più fondamentale. 
Il caso aveva voluto darle una mano, sotto forma di incontro casuale con colei che, un giorno, sarebbe divenuta il suo capo, la professoressa Astrid Eriksson.
"Segui il cervello, il cuore non ti porterà mai da nessuna parte". Poche, lapidarie parole, che avevano colpito profondamente Faith, al punto da spingerla verso una decisione prettamente razionale: rivalutare l'arte medica. Tutto ciò che desiderava da una professione erano sicurezza economica e stimoli intellettuali, e, sebbene il percorso per fregiarsi del titolo di dottoressa in Medicina fosse lungo e irto di ostacoli, le prospettive di carriera erano delle più rosee: le malattie sarebbero esistite fino a quando ci fosse stata vita sulla Terra, perciò il lavoro era assicurato; inoltre, era sicura che avrebbe guadagnato abbastanza da potersi permettere quello stile di vita senza privazioni al quale non voleva disabituarsi.
Dopo un lungo e faticoso percorso, non privo di intoppi come di soddisfazioni, era stata colta alla sprovvista da un'ennesima batosta; sfiancata da tante battaglie e col cuore spezzato, era fuggita da tutto e tutti per ritrovarsi.
–Casa dolce casa- sospirò, storcendo il naso al brulicante viavai della sua città natale. 
La vacanza aveva sortito l'effetto sperato: la "pausa dall'umanità", come l'aveva definita, le aveva dato il tempo di sanare le sue ferite e trovare la forza necessaria ad affrontare il ritorno in una casa allo stesso tempo troppo vuota e troppo piena (di ricordi).
–Buongiorno, dottoressa!
La destinataria del saluto si riscosse dalle proprie riflessioni e rispose, faticando a mantenere un tono inespressivo.
–Buongiorno a voi, signore! Vi ringrazio per il riguardo, ma al di fuori dell'ospedale sono Faith. Soltanto Faith.
"Per l'amor del cielo, ci manca che si sparga la voce e i vicini vengano a cercarmi a casa per consulti last minute!".
–Ooh, scusaci, cara, è la forza dell'abitudine- squittì Mrs. Wolf, una delle tre anziane signore che l'avevano salutata.
"Cara lo dici a tua sorella".
–Che bella abbronzatura!- trillò Mrs. Norris, la più anziana e pettegola del trio.  –Ma quel vestito ... niente da dire sul tessuto, ma, cara, non ti valorizza! Fidati, ho fatto la sarta per quasi trent'anni! Il colore ti fa sembrare anemica, e poi la forma … uh, che orrore! Per te ci vogliono forme strette sul seno e morbide sui fianchi. Qualcosa stile impero, ad esempio. Senza contare la lunghezza: assolutamente inappropriata per una brava ragazza come te! Se esponi tutta quella mercanzia, rischi di ricevere attenzioni non gradite! La cara Rose sa come ti conci?
"Quale donna sana di mente e autosufficiente si fa vestire dalla madre a ventisette anni suonati?"
Faith si limitò ad un pigolio imbarazzato: se era tipico dell'adolescenza il conflitto madre-figlia, allora lei non aveva ancora smesso di esserlo; voleva bene a sua madre e sapeva, nel profondo, che perseguiva unicamente il suo bene, ma non sopportava i continui tentativi di programmarle la vita, manco avesse cinque anni. I litigi erano all'ordine del giorno, spesso più volte al giorno, ed era sicura che, quando aveva deciso di cercarsi un nido tutto suo, la felicità di suo padre nel non dover più assistere - e fare da paciere - ai loro battibecchi aveva eguagliato il dispiacere che attanaglia quasi sempre un genitore quando i figli spiccano il volo.
–Griselda, la dottoressa è una donna adulta, non ha certo bisogno dell'aiuto di sua madre per vestirsi la mattina- la interruppe Mrs. Wolf.
Faith emise un sospiro di sollievo, ringraziando mentalmente il buon senso di Mrs. Wolf, che la smentì aggiungendo –Inoltre, per tua informazione, non poteva non mettersi questo abito, è un regalo di quel suo amico, quel tipo dissoluto che compare spesso sulle riviste scandalistiche. E' andato a prenderla all'aeroporto e le ha offerto il pranzo da "Titò" o qualcosa del genere...
"Non osare offendere il mio amico Brian, vecchia arpia pettegola!".
–L'ho saputo dalla nipote del padrino di mio figlio, che lavora all'aeroporto, la cui sorella, guarda caso, lavora proprio in quel ristorante- proseguì col suo monologo Mrs. Wolf.
"Non è possibile! Sono circondata! Peggio che in The Truman Show! Quasi quasi me ne torno in Grecia, oppure scappo in qualche remoto angolino del Nepal dove internet non è ancora arrivato!"
–Gentile da parte sua, non è vero?- aggiunse Mrs. Wolf, ignorando l'espressione allibita  comparsa sul volto della giovane, –Ma tu non cedere alle sue lusinghe; uno che va ogni sera con una donna diversa non ti merita! Chiaro?
La giovane donna sospirò una seconda volta, aggiustandosi lo zaino sulle spalle, e trattenne a stento una risata: in verità anche lei, in un impeto di follia adolescenziale, era caduta per un breve periodo nella rete di Brian. A sua difesa, all'epoca era (più) giovane e inesperta, e lui era stato il suo primo, bellissimo, ragazzo, che aveva inevitabilmente elevato su un piedistallo. Una storia destinata al fallimento: è decisamente pericoloso, per un'adolescente alle prime armi, operdere la testa per un ragazzo - per citare sua nonna Beatrice - "patologicamente incapace di tenerlo nei pantaloni". Come prevedibile, dopo qualche mese aveva scoperto di non avere l'esclusiva; quel che era peggio, aveva scoperto che Brian aveva dimenticato di informarla di un dettaglio insignificante: l'essere già impegnato. Fortunatamente, a lenire il suo senso di colpa per aver contribuito a porre un paio di corna sulla testa di una poveretta che sicuramente non lo meritava aveva provveduto la scoperta che il tradimento era reciproco. Dopo un periodo di catarsi, seguito alla scoperta che Brian negli affari di cuore era un "libero agente", assolutamente incapace di darle l'amore esclusivo e totalizzante che agognava, aveva realizzato di non volerlo escludere dalla sua vita; a dispetto dei pronostici, la loro amicizia si era rivelata salda e duratura: Brian aveva bisogno di una presenza femminile nella sua vita che non fosse sua parente e/o lo volesse portare a letto, e Faith aveva bisogno di una persona estroversa che la "svegliasse" un po'.
–Non sei andata in vacanza con lui, vero?
–Sono partita da sola- rispose stancamente.
Come previsto, le tre, che aveva soprannominato "le Parche", ispirandosi ai personaggi della mitologia greca, che da piccola aveva preferito alle fiabe, le rivolsero occhiate di comprensione mista a compassione.
E lei non sopportava di essere compatita.
–Ooh, povera cara! Partire da soli dev'essere così triste!- chiocciò Mrs. Wolf. –Spero che, almeno, tu abbia trovato compagnia sul posto. C'è qualche uomo di cui dovremmo venire a conoscenza?
"Credo che terrò la vagina incerottata per i prossimi dieci anni, e, comunque, non lo verrei a dire a voi comari!"
–No. Nessuno.
–Ooh, che peccato. Ma non buttarti giù: sei una ragazza graziosa e hai un ottimo lavoro, troverai presto la persona giusta per te.
"Dio, quanto le odio! So perchè mi stanno addosso: le altre due single del palazzo si sono sposate, l'ultima due mesi fa, perciò, secondo loro, adesso tocca a me. Col cazzo!"
–Ezra, hai dimenticato di chiederle dov'è andata! Dove sei stata, cara?
–In Grecia- rispose la più giovane con una scrollata di spalle: era stanca, il bagaglio pesante e bramava più che mai una doccia fredda e un sonnellino.
–Ooh, Grecia! L'ideale, per tre settimane di mare!- sentenziò Mrs. Fox, i cui lineamenti rendevano ragione del cognome: aveva, infatti, viso lungo, mento e naso appuntiti e occhi marroni piccoli e furbi.
–Nonchè per divertirsi- aggiunse Mrs. Norris. –Spero ti sia divertita, cara.
Si scambiò uno sguardo d'intesa con le altre due.
–Mi sono divertita a modo mio- replicò, mantenendosi vaga, quindi entrò nel palazzo e corse a casa.
Una volta lavato via il sudore e fatto un riposino, fece una telefonata, si cambiò e scese. Era in procinto di aprire il cancello d'ingresso, quando una voce stridula e, purtroppo, familiare, la bloccò.
–Di nuovo in giro, dottoressa? Sei appena tornata!
La giovane si voltò, faticando a celare una profonda irritazione, e, come previsto, vide, seduta alla solita postazione -una comoda poltroncina stile coloniale su un balcone al primo piano-, Mrs. Norris.
–Ci riposiamo tutti ... dopo morti- rispose col consueto umorismo macabro, salutò con la mano e se ne andò.

 
***

Golfschläger von Uther, periferia di Berlino

-Scheiße!- esclamò un uomo sulla trentina, strusciando furente i piedi sull'erba, mentre osservava la pallina bianca scivolare nella sabbia del bunker.
"Tiro di merda! Pallina di merda! Odio il golf! E odio mio padre: come gli è venuto in mente di portarmi qui?"
D'altronde, con che coraggio avrebbe potuto negare al proprio genitore un pomeriggio insieme, sapendo che non lo avrebbe visto per diversi mesi?
Per questo si trovava lì, in quel golf club pieno di snob tronfi e ragazzine che davano un significato tutto nuovo all'espressione "andare in buca". Non ricordava di essere mai stato così esplicito, a quell'età. In effetti, non ricordava di essere mai stato esplicito: erano sempre state le ragazze a provarci con lui, non viceversa, e la consapevolezza che il loro interesse era riservato pressochè esclusivamente al suo aspetto aveva ridotto di molto la sua considerazione del genere femminile.
"Avessi almeno fatto un tiro decente!", pensò: la sconfitta gli bruciava parecchio, essendo abituato ad essere il migliore in qualunque campo si applicasse.
-Che ti serva da lezione, lieber Sohn: mai sfidare il quattro volte campione del club; anche se ti impegni al massimo ti farà comunque mangiare il green.
–Non ridere, per favore!- gnaulò il figlio, aggrottando la fronte in un misto di frustrazione e concentrazione; non era abituato alla sconfitta, il che rendeva il fisiologico senso di frustrazione del perdente ancora più insopportabile.
Entschuldigung- replicò il padre, ridacchiando sotto i baffi, poi, non riuscendo a trattenersi, aggiunse –Credevo che qualcuno capace di tuffarsi dalla scogliera di Acapulco e dalla cascata del Salto Angel avrebbe ritenuto una partitella a golf una passeggiata.
–Perdonami se non amo il golf quanto te, papà. Preferisco gli sport estremi: avere regole da seguire mi impedisce di sfogarmi.
–E' incredibile che qualcuno con questa filosofia riesca a resistere otto ore al giorno dietro a un microscopio- asserì l'uomo di mezza età.
-E' incredibile che qualcuno abituato a viaggi scomodi e cibi ai limiti del commestibile possa amare uno sport noioso e statico come il golf.
–Forse è proprio per questo che mi piace: mi muovo troppo, è bello rilassarsi e pensare solo allo swing della mazza- ignorò il risolino del figlio alla parola "mazza" -A che ora hai detto che hai l'aereo?
–Domattina alle undici- rispose il figlio. –Dovrei atterrare intorno alle due a Gatwick. Verrà a prendermi Xandi.
–Bene.
–Puoi dirlo forte: i taxi a Londra costano un occhio della testa, e di occhi ne ho soltanto due!
–Strano che tua madre manchi all'evento, quando eravamo sposati non perdeva occasione per lamentarsi della mia magrezza e sciatteria, ogni volta che tornavo da un viaggio- commentò l'altro.
–Non mi dispiace più di tanto: voglio bene alla mamma, ma va presa a piccole dosi, altrimenti rischio di cedere alla furia omicida, e una condanna per matricidio nuocerebbe irrimediabilmente alla mia brillante carriera in ascesa!- sospirò il figlio.
–E' stata gentile la professoressa Eriksson a informarti del concorso per ricercatore al Queen's Hospital. Non molti avrebbero puntato su qualcuno così giovane, anche se promettente.
–La proffa sa riconoscere chi ha stoffa, e io, senza falsa modestia, ne ho da vendere! Non a caso, ho ottenuto il posto.
–Contento di tornare a casa? Scommetto quello che vuoi che quell'impicciona di tua madre sta già cospirando per sistemarti! E' ora che tu metta la testa a posto, Kind!- scherzò l'uomo in una perfetta imitazione della ex moglie.
–Dovreste chiarire, voi due, avete un rapporto che definirlo infantile è farvi un complimento. No, non guardarmi così, sai che ho ragione. Ho smesso da anni di coltivare l'illusione che tu e la mamma sareste tornati insieme - non funzionavate insieme, siete più felici adesso, è un dato di fatto - ma un faccia a faccia è d'obbligo: tu potresti scusarti per essere stato poco presente e averle tirato contro il suo servizio da tè Wedgewood preferito prima di tornare in Germania, e lei per essere stata dittatoriale e soffocante e per averti tirato contro il servizio di piatti che nonna Marthe aveva salvato dai bombardamenti, durante la guerra.
–Sai che non accadrà mai, vero?
Per tutta risposta, l'altro diede un colpo feroce alla pallina, che finì dritta nel laghetto.
-Qualcosa mi dice che vincerò la partita- soffiò sornione il padre.
"Scheiße!"

 
***

A centinaia di chilometri di distanza, nella vecchia, inossidabile Inghilterra, due amiche cercavano sollievo dal caldo nel fresco condizionato di un bar elegante, sorseggiando tè freddo.
Una di loro teneva in braccio una bambina di sedici mesi, mentre, con la mano libera, giocherellava con la cannuccia.
La bimba, irritata dalla mancanza di attenzioni, si agitava di continuo, esasperando sua madre, che si domandava cosa avesse bevuto quando aveva deciso di portarsela dietro.
L'amica della donna, non particolarmente amante dei bambini, si limitò a rivolgerle un'occhiata compassionevole, prima di controllarsi il trucco nella parete a specchio del locale.
–La tua telefonata mi ha molto sorpreso, Bridget- esordì la prima, curvando le labbra in un sorriso tirato. –Credevo che, nonostante il divorzio imminente, saresti rimasta in Spagna... dopotutto, l'estate inglese non è minimamente paragonabile a quella di Formentera.
–Dovevo staccare la spina- rispose l'altra. –Sai, nell'ultimo periodo l'avvocato del mio quasi ex marito mi è stato vicino... molto vicino... in pratica mi ha dato quello che, se l'avessi ottenuto da mio marito, avrebbe evitato il divorzio, ma stava diventando insistente, e sparire senza preavviso è il miglior modo per far capire al tuo ultimo "giocattolino" qual è il suo posto.
–Giocattolino?
–Ino!- trillò la bimba, immaginando stessero parlando di un giocattolo da regalarle.
–Uuh, qualcuno vuole che la mamma le compri una bambola nuova, magari parlante- cantilenò Bridget, sorridendo alla piccola, che ricambiò, annuendo vigorosamente.
–Non metterle in testa idee del genere, B, non voglio che venga su viziata- la rimproverò l'amica. 
–Non ti scaldare, Ab, o inizierai a sputare fuoco! Se avessi amato tutti gli uomini con cui sono andata a letto, Abby cara, ora avrei il cuore a pezzi. Ma non rinuncio alla speranza di trovare quello giusto, prima o poi, un marito con cui invecchiare. Deve esistere la mia anima gemella, da qualche parte là fuori!
–Non demordere, B, la quarta volta è quella buona- replicò Abby con evidente sarcasmo. Era una strenua sostenitrice della concezione tradizionale di famiglia, quindi disapprovava di tutto cuore la condotta spregiudicata, i matrimoni facili e gli ancor più facili divorzi dell'amica. Conosceva Bridget dai tempi del liceo, e la longevità della loro amicizia la faceva sentire legittimata ad immischiarsi nella sua vita privata, superando, a volte, i limiti dell'invadenza.
"Perchè si ostina a darsi via così? Ha tutte le carte in regola per trovare un buon marito, mettere su famiglia... perchè non pensa a sistemarsi?", pensava, digrignando i denti per non esprimere a voce alta i propri pensieri. "Abbiamo la stessa età ed è già stata sposata tre volte! Senza contare tutti i 'giocattolini'."
–Non sei divertente, Ab.
–Io sono sempre divertente- replica Abigail, poi aggiunge, solleticando la figlia –Vero, amore, che la mamma è divertente?
–Gnò- rispose la piccola.
–Oh, Kaori, se non avessi il rossetto ti darei un bacio!- esclamò Bridget, per poi chiederle  –Per inciso... senza offesa, ma... che razza di nome è Kaori?
–B, è dai tempi del liceo che ripeto che voglio almeno tre figli e avranno tutti nomi con la K!
–Esistono altri nomi con la K: Karen...
–Banale
–Kylie.
–Neanche per sogno!
–Kimberly, allora!
–Questo sì. Quando e se Kaori dovesse avere una sorellina, la chiamerò Kimberly. Grazie dell'idea.
–Hai avuto una figlia poco più di un anno fa, e già pensi di allargare ulteriormente la famiglia?  Tu estás  loca!- commentò Bridget. Secondo lei Abby, sposandosi e mettendo al mondo una figlia a venticinque anni, aveva rinunciato agli anni migliori della sua vita, anni che lei, invece, non avrebbe sprecato per nulla al mondo. Scrollò le spalle e aggiunse, con studiata nochalance, –A proposito di chicas locas, hai avuto notizie di... Tu-Sai-Chi?
–Dunque, vediamo... L'ultima che ho sentito è che ha lasciato questo mondo per mano di Harry Potter nella Battaglia di Hogwarts- rispose Abby con un sorrisetto sardonico.
–Molto spiritosa. Davvero. Seriamente, Ab...
–Non so dove si sia cacciata Faith, ok?- sbraitò l'altra punta sul vivo. –Sono preoccupata- aggiunse, fissando il fondo del bicchiere mezzo pieno.
Nada de nada?
–No, per questo sono preoccupata. Dopo ... tu-sai-cosa ... era talmente depressa che non ho battuto ciglio quando Demon le ha regalato un biglietto VIP per il Potterfest; ci sarebbe stato anche lui, l'avrebbe tenuta d'occhio.
–E l'ha fatto?
–Sì. Al ritorno, però, si è chiusa di nuovo in casa ad autocommiserarsi...
–Mami! Guadda!- strillò Kaori.
–Non adesso, Kaori.
–Ma mami!
–Niente ma, Kaori. Dopo.
La bambina, imbronciata, si rimise a sedere, a braccia conserte.
–Si sarà ritirata in eremitaggio per studiare. Non mi sorprenderebbe, è così tipico di lei!- esclamò Bridget, arricciando il naso.
–Faith è sempre stata una secchiona della peggior specie- commentò Abigail.
–Come non hai fatto che ripeterle dal primo anno di liceo. Al suo posto, ti avrei già mandata a quel paese o in qualche località più volgare!- le fece notare una sghignazzante Bridget. –Comunque non mi preoccuperei, Faith non è nuova a colpi di testa. Pensa a Cyril!
–Non pronunciare quel nome in mia presenza! E' tabù! Giuro, se lo avessi davanti lo torturerei fino a fargli invocare la morte, per aver fatto soffrire Faith! Anche lei, però, non scherza. Stavolta ha oltrepassato ogni limite! E' partita senza avvisare nessuno, nemmeno i suoi genitori. L'ho saputo dalle vicine, pensa!
–Quelle tre arzille vedove ficcanaso che giocano a bridge il venerdì sera? - chiese Bridget, sorridendo al ricordo delle anziane rompiscatole.
–Esatto- rispose Abby. –Quella sciroccata è praticamente fuggita senza lasciare traccia, se non  una cartolina inviata da Budapest a sua madre; la povera Rose ha quasi avuto un infarto. Quando mi ha telefonato era in lacrime, pensa! Faith sa essere veramente senza cuore!
–Avrai modo di riversarle addosso il tuo rancore non appena rimetterà piede su suolo inglese, il che dovrebbe accadere prima di quanto immagini.
Abigail, per lo shock, rovesciò il bicchiere.
–Come lo sai?- chiese, cullando la piccola, che piangeva per il vestitino bagnato.
–Diciamo che conosco un tizio...
–Con "conoscere", intendi che ci sei andata a letto, Bridget?- chiese Abigail, tappando le orecchie di Kaori.
–E' un dettaglio di nessuna importanza, Ab- rispose l'amica con una mezza smorfia che fece intuire ad Abigail che aveva indovinato. –Come stavo dicendo, prima che mi interrompessi con domande inutili, conosco questo tizio, che conosce un altro tizio, che conosce un investigatore privato. Ho qui un resoconto dettagliato degli spostamenti della nostra latitante- aggiunse, pavoneggiandosi. Lei, Faith e Abigail erano un trio estremamente competitivo; capaci di fare lavoro di squadra, se necessario, non rinunciavano al piacere di primeggiare alla prima occasione. –Faith ha lasciato Londra il tredici agosto, diretta a Firenze, dove è rimasta due giorni, prima di partire per l'Ungheria in compagnia di una cugina, Bianca. Una settimana più tardi, è volata, da sola, in Grecia, dove si trova attualmente. Credo. Purtroppo, da tre giorni a questa parte quell'incompetente ha perso le sue tracce. Le ultime foto che ho ricevuto la ritraggono in un locale di Skiàthos a bere Ouzo e ballare il Tresacchi.
–Sirtaki, Bridget- la corresse l'interessata, incenerendola con lo sguardo. –E grazie per avermi fatta pedinare.

Nota dell'autrice:
Spero vi sia piaciuta questa introduzione ai personaggi. Per entrare nel vivo della storia dovrete aspettare un po' (pochissimo, ve l'assicuro!): credo che i protagonisti vadano presentati al meglio, quindi ho riservato un capitolo a ognuno di loro.
Confesso: ho usato, e userò, Google translator per le traduzioni in tedesco. Perchè mi sono ostinata a scegliere una lingua che non conosco? Non lo so. So solo che, quando ho creato Lui, l'ho immaginato tedesco (o meglio, di origini tedesche) e non ho voluto cambiare idea. Ebbene sì: non ho voluto rivelare il suo nome, ma nella scena al golf club fa la sua comparsa il protagonista maschile, che conoscerete in tutto il suo germanico splendore nel prossimo capitolo.
Grazie per aver dedicato qualche minuto del vostro tempo alla mia "creatura". Se vi va, lasciate una recensione, i complimenti sono bene accetti quanto le critiche (costruttive). Non mordo, giuro! XD




 
   
 
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