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Autore: Tomi Dark angel    09/01/2014    2 recensioni
Ambientata durante l'episodio "L'ultimo Signore Del Tempo", dove qualcuno di molto caro al nostro Dottore si ripresenta ai suoi occhi... ma qualcosa adesso è cambiato.
Dal testo: -Quando usai il TARDIS per raggiungere questa epoca mi accorsi che esso conservava ricordi di un contatto, di qualcosa che non sarebbe dovuto accadere. Era nata una strana creatura che la natura stessa non ha mai saputo concepire e io riuscii a trasportarla qui grazie al Vortice del Tempo. Invertii il flusso temporale, aprii una breccia in un’altra era, in un’altra dimensione. Rischiai un buco nero ma alla fine, lei era lì, ed era bellissima…-
-Maestro, che cosa hai fatto?-
Genere: Generale, Romantico | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Doctor - 10, Rose Tyler, Un po' tutti
Note: What if? | Avvertimenti: nessuno
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A volte respirare, andare avanti, fa male più di ogni altra cosa. È un obbligo che si collega al terrore di porre fine ad ogni cosa, al semplice battito cardiaco che, caino, procede nelle sue lente pulsazioni.
Rose Tyler respira, trema di un terrore assoluto che scorre avvelenato nel suo corpo. Ne avverte il peso, si sente schiacciata, non riesce neanche ad alzarsi. Giace abbandonata da due giorni, rannicchiata sul letto o sotto la doccia aperta, tanto che le coperte non hanno mai il tempo di asciugarsi. Ha chiuso a chiave la porta, si sente in trappola e indifesa ogni volta che il Dottore bussa e cerca di parlarle attraverso il pannello spesso che soltanto Rose può aprire. Non ce la fa. Non può guardarlo negli occhi e sentirsi morire al pensiero di essere diversa al punto da ospitare qualcosa, forse un abominio nel ventre.
In aggiunta alla debolezza psicologica che poco a poco la invade, qualcos’altro striscia in lei come macabro malanno pronto a sottrarle il respiro nei rari momenti di pace e sonno. All’improvviso e con sempre maggior frequenza, Rose si sente male, sputa sangue e subito il suo corpo si ricopre di un velo sottile di luce dorata, che pulsa come un timer ticchettante, volto a contare gli ultimi secondi di resistenza prima dell’esplosione.
Rose vorrebbe parlarne con qualcuno, sentirsi meno sola, ma più il tempo passa, più la realtà dei fatti la sovrasta al punto da schiacciarla ancora di più: non c’è nessuno al suo fianco, né ci sarà in futuro. Il Dottore è nient’altro che mero sogno al quale lei, pallida imitazione di una Rose passata, si aggrappa per non consumarsi nella sua stessa miseria. Si sente meglio non appena ode la sua voce, le pare di respirare al solo sentirlo lì, al suo fianco, ma ogni calore scompare quando lui ammutolisce e si allontana. Non sa Rose che il Dottore non è mai andato via. Non sa che passa le sue giornate appoggiate allo stipite della porta, paziente, vegliante. Attende in silenzio, con calma, senza invadere i suoi spazi. Non sente la bassa risata del Maestro che gironzola intorno alla console senza poter premere alcun tasto. Attende. Attende che lo stato d’impasse cessi, e allora potrà ridere e sentirsi realizzato dalla sua ultima opera d’arte.
 
È notte fonda quando Rose cede del tutto. Tre giorni, forse quattro di silenzio, dolore e forzata prigionia. Si guarda allo specchio di sfuggita, e tutto ciò che scorge sono occhiaie violacee, sguardo privo di luce, pelle sottile e pallida come di porcellana rovinata. Ha perso troppi chili, si sente svuotata. Eppure, il battito al suo interno prosegue, cresce.
Raggiunge zoppicando la porta, la apre con cautela, senza sapere che la fortuna ha saputo aiutarla, stavolta: il Dottore si è allontanato poco prima, trascinato via da Jack che ha voluto costringerlo a mangiare qualcosa.
Rose avanza, striscia per i corridoi come spirito inquieto, fino alla cabina della console, ove trova il Maestro, intento a lanciare una pallina da tennis contro il muro per poi riafferrarla con precisione impeccabile. Non si volta quando lei entra, non la degna di uno sguardo.
-Ce ne hai messo di tempo per usci…-
Ma la pallina gli sfugge di mano, il corpo di Rose, improvvisamente attivo come arti di lupo in caccia, schiaccia il Maestro al suolo. Lei gli pianta un ginocchio sull’inguine, gli stringe i polsi e li inchioda al pavimento. Lui ride.
-Attenta, che la mia ex moglie potrebbe essere gelosa! Non sapevo che avessi certi pensieri su di me!- esclama realizzato, ma Rose preme il ginocchio sul suo inguine, lo fa gemere di dolore e sbarrare gli occhi. Il tempo degli scherzi è finito, le risate non aiutano più: adesso è la meraviglia, quella vera ad agguantare il Maestro quando si specchia negli occhi d’oro purissimo di Rose, della sua creatura. Nella sua sciattezza, appare comunque magnifica, lupo dominante che si erge sovrano sul branco di semplici quadrupedi ubbidienti. –Oh, sei così bella.-
-Da quanto è così?- ringhia invece lei, il viso a pochi centimetri dal suo. Il Maestro si lecca le labbra.
-Oh, da parecchio. La pancia non si è gonfiata, è vero, ma non è necessario. È il tuo potere a nutrire il… bambino… e sappi che manca poco ormai. Sorridi, sarai madre!-
Ma Rose fa scattare il ginocchio, preme con forza sull’inguine del Maestro e lo fa gemere di dolore.
-Di chi è?! Rispondi!-
Ma il Maestro ride e piange lacrime di dolore, sembra perdere il senno. –Scappa, piccola gazzella! Scappa via! Sei tu a portare il nostro futuro in grembo!-
E allora Rose sbarra gli occhi, interpreta quelle parole come la peggiore delle maledizioni. Lui voleva ricreare una nuova Gallifrey, un nuovo pianeta gemello al suo simile deceduto. Ma una Gallifrey, ha bisogno della sua gente per risultare tale, per tornare ad essere abitata da Signori del Tempo. E quale Signore del Tempo potrebbe risultare migliore di un nascituro incrociato con la figlia del tempo stesso?
È del Maestro, il bambino. E questo spezza l’ultima resistenza, l’ultimo briciolo di razionalità che Rose più volte ha sentito scricchiolare di fragilità. Balza in piedi, indietreggia, cade. Si afferra la testa tra le mani e urla a pieni polmoni prima che un nuovo attacco di dolore la invada, facendola contorcere al suolo, sputare sangue, vomitare succhi gastrici. Sente il polso sbattere contro la base della console con tanta violenza da rompersi di netto come fragile arto di porcellana.
Quando l’attacco finisce, Rose ansima, non riesce più a muoversi. Lacrime di sangue le attraversano il viso mentre lei muove appena la testa per guardare stordita il Maestro, e ciò che vede le pare più strano dell’ultimo attacco subito. C’è paura adesso nei suoi occhi. Lo vede sbarrare le palpebre, stringere i pugni così forte da conficcarsi le unghie nei palmi. Suda. Il Maestro ha… paura.
-Aiutami… ti prego.- riesce a biascicare lei mentre la difficoltà di respirare le conferma che qualcosa non và nella cassa toracica. Deve essersi incrinata una costola, il cuore batte a mille nell’ultima, faticosa resistenza. Rose non ce la fa più, ma il suo ultimo pensiero và a lui, alla piccola creatura che cresce nel suo ventre. Non ha mai pensato realmente alla possibilità di considerare quel bambino diversamente da una maledizione. È una vita, nuovi occhi e nuova specie che potrebbe rinascere, andare avanti e non lasciare più solo il suo Dottore. Sorriderebbe di nuovo, e quasi può sentirlo, il suo sollievo, la sua assenza di solitudine. Sarebbe felice, ogni cosa andrebbe al suo posto.
E lei? Non ha importanza.
Tende una mano verso il Maestro, lo vede incespicare all’indietro, lontano dal volto che incarna le sue colpe.
-Salva lui…- mormora Rose, tossendo sangue. –Salva lui, abbi pietà… abbi pietà, ti prego… per favore…-
Sono le suppliche di una madre che toccano l’udito del Maestro, suppliche di donna morente. Gli ricordano la sua famiglia, l’ultima volta che l’ha vista. Quando era bambino e già udiva il suono dei tamburi, sua madre passava le notti a consolarlo, a dirgli che sarebbe finito tutto, prima o poi. Non ha mai perso la speranza, e adesso, dinanzi a quegli occhi così simili a quelli di sua madre, il Maestro sa che le ultime preghiere dei suoi genitori erano per lui. Loro credevano, lui no… ma forse è il momento di iniziare, il momento di rimediare per quel poco che gli è concesso.
Avanza lentamente verso il corpo sanguinante del suo esperimento. Detesta il sangue, e quella ragazza ne è coperta come di un macabro drappo rossiccio. Non era previsto che si riducesse così, non era previsto che non sopportasse il potere da Lupo Cattivo. Il Maestro si stupisce che la gravidanza non sia interrotta, con lei ridotta in quello stato pietoso.
-Non posso aiutare il bambino.- ammette infine, vergognoso. Per la prima volta si sente incapace, debole dinanzi a tanto dolore che pare soverchiare ogni cosa, ogni angolo.
-Và a c… cercarlo. Trova il Dottore.- mormora Rose, esangue. –Non resisterò a… lungo.-
E il Maestro non sa cosa lo fa annuire, quale forza lo spinga ad alzarsi e lasciare il TARDIS con mani ancora sporche di sangue e il dubbio che, in confronto alla terribile visione di quegli occhi di madre morente, forse il suono dei tamburi non era così male.
Rose ansima, rotola faticosamente di lato, accompagnata dallo scricchiolio di ossa rotte e costole incrinate. Tocca con dita tremanti la console, mentre lacrime di dolore e paura le scivolano sul viso, tradendo l’umana debolezza che sente strisciarle sul corpo. Sente un leggero brivido, il segnale che identifica il debole collegamento che li lega. Il TARDIS attende, ascolta.
-Per favore.- mormora lei. –Dammi solo la forza. Dammi la forza per non spezzargli il cuore… non lasciare che mi veda così.-
Il Maestro è ormai fuori, lei è sola. Può andare, ma ha bisogno del TARDIS, dell’aiuto donatole da quel piccolo collegamento che per lei può essere puro miracolo o dannata maledizione. Perciò attende, lascia che il TARDIS decida, mentre ancora ricorda della volta in cui il Dottore le disse che i Signori del Tempo allevavano le loro navicelle anziché costruirle. Rose vuole crederci, sente che è vivo. Vuole darsi un’ultima speranza.
Dio, se un Dio esiste, raramente ascolta le preghiere. A volte volta il capo dall’altra parte, chiude gli occhi, ignora. Ma stavolta, non è così: stavolta è la pietà ad esercitare il suo volere. Una scarica di energia la attraversa, placa i dolori che la scuotono di convulsioni. Improvvisamente tutto finisce, Rose può respirare di nuovo e, anche se la cura momentanea è incarnata dallo stesso fattore che la sta consumando, si rialza grata e accarezza il TARDIS con riconoscenza.
Con fatica e stanchezza si dirige verso la sua stanza, si sfila i vestiti zuppi di sangue e li nasconde sotto il letto. Ci mette un po’ a ripulire tutto, a ripulire se stessa, mentre la stanchezza pregnante avanza, appesantisce i suoi arti di giovane donna. Vorrebbe dormire, ma teme gli incubi.
-ROSE!!!- Il Dottore si catapulta nel TARDIS quasi sfondando la porta, il lungo cappotto marrone svolazzante come un buffo mantello. Rose lo guarda, incrocia con un debole sorriso il suo sguardo traboccante d’ansia e paura mai visti. Ha temuto per lei, ha gli occhi lucidi a causa sua.
Subito Rose si sente meglio, rinata in quello sguardo d’emozioni sincere e sollievo palese quando agli occhi del Dottore ogni cosa appare apposto. In due grandi falcate la raggiunge, la stringe in un abbraccio che urta le ossa sporgenti del corpo martoriato di lei e quasi la fanno gemere. Tuttavia, il dolore non è niente adesso che il profumo del suo Dottore lava via il puzzo del sangue, adesso che il suo respiro pulito sostituisce il rarefatto del respiro di lei. Il Dottore è rinascita, e lei rinata si sente.
-Ho avuto paura.- ammette lui, tremante di debolezza che non vergogna di mostrare al tatto della sua Rose, di colei che aveva temuto di perdere. Adesso che la può toccare, respirare il suo respiro, il Dottore si sente meglio e sorride di nuovo. Tocca le costole sporgenti, strabuzza gli occhi, ma si sforza di sostituire la preoccupazione crescente che prova con un sorriso sbarazzino, quello che Rose ama tanto. –E queste cosa sono? Non va bene, signorina! Adesso si mangia, non voglio sapere niente!-
Il Dottore la fa sedere e Rose si perde alla vista del suo Dottore che gironzola per il TARDIS, saltellando come una gazzella. Ha lanciato il cappotto per terra, ma lei lo raccoglie e ci si avvolge, assaporando il calore che tanto ama. Si bea della sua voce, della sua presenza. Al suo interno, il pulsare lento di due cuori in aggiunta al suo la tranquillizza, non pare più così terribile.
Forse potrebbe dirlo al Dottore, forse lui non la vedrebbe come un mostro. Forse…
-Eccoci qui!- esclama Martha, catapultandosi nel TARDIS con tanta irruenza che Rose sussulta e la fissa come un animale braccato. Lei abbassa lo sguardo, imbarazzata. –Scusa, non volevo…-
-Martha, togliti di mezzo!- esclama Tish alle sue spalle. Entra carica di buste, accompagnata da Jack e dall’intera famiglia Jones, una folla non indifferente che lascia Rose di stucco. Il Dottore è subito al suo fianco, le stringe una mano.
-Martha, non siete un po’ troppi?- dice, preoccupato per la reazione che potrebbe avere la sua compagna. La signora Jones si acciglia, appoggia le mani sui fianchi, le borse penzolanti ai polsi.
-Oh, per l’amor del cielo! Non pretenderai che lasci morire di fame questa ragazza, vero? Non mi fido del tuo giudizio, Dottore: sei capace di distrarti per inseguire una farfalla, e lei ha bisogno di attenzioni. Perciò, togliti di mezzo, oppure…-
Il cappotto del Dottore scivola, cade a terra. Il riflesso di lunga chioma dorata scivola sui loro volti stupefatti, due braccia sottili avvolgono la signora Jones con riconoscenza. Davanti agli occhi di tutti, Rose cerca il contatto di qualcuno che non sia il Dottore, ringrazia silenziosamente le parole di colei che si comporta come una madre. Le ricorda tanto Jackie, e questo la rende fragile, ma meno restia ad accostarsi. Ed è quando la signora Jones ricambia l’abbraccio che Rose sorride e la guarda negli occhi.
-Allora, mangiamo?- dice la donna, facendo l’occhiolino. Ha gli occhi lucidi, ma tenta di nasconderli. Rose annuisce, e tenendola per mano la trascina in cucina, scivolando tra i corridoi del TARDIS senza perdersi mai. Quella è casa sua ormai.
Il fracasso che quella piccola folla di gente costruisce mentre ognuno si occupa di apparecchiare o di cucinare quanta più roba possibile non è invadente, trasmette calore e sollievo. Rose se ne sente avvolta, ed è guardando tutti quei volti familiari che un altro tassello scivola al suo posto, ricostruisce una porzione appena più grande di umanità che credeva di aver perso. Ride quando Martha e suo fratello cominciano a contendersi una fetta di polpettone, che prontamente viene sottratta da Jack, che si diverte ad andare in giro con un coltello piantato al centro del cranio. Lo trova divertente, ma la signora Jones sembra l’unica a non ridere.
Una mano le afferra il polso, la sbilancia all’indietro. Rose cade in braccio al Dottore, si trova avvolta nel suo lungo e largo cappotto. Si sente a casa, si sente bene, e glielo fa capire con un piccolo, innocente bacio sulla guancia.
-Grazie.- dice, poco prima che la sua pelle cominci a rilucere d’oro. Il Dottore la guarda, la trova bellissima. Un piccolo sole personale, un’indispensabile fonte di calore dalla quale non si separerebbe mai.
La porta si apre all’improvviso, tutti si voltano verso l’entrata dove il Maestro sta immobile, indeciso. Fissa Rose come se non credesse ai suoi occhi, pare non capire, ma lei non ha la forza per spiegargli.
-Che ci fai qui?- ringhia Tish, stringendo forte un coltello. Lui scrolla le spalle e si volta per andarsene.
-Fermo lì!-
Rose lo raggiunge senza esitazioni, si ferma a pochi centimetri da lui. È più bassa, e avvolta com’è in quel cappotto enorme sembra una bambina dinanzi a un gigante. Lo fissa per qualche istante, e il Maestro scorge nuovamente in lei l’impronta della madre che non sarà mai. Sta troppo male, è un segreto che custodiscono entrambi, che li lega, e per qualche motivo, Rose sa che il Maestro non saprà tradirla. Per questo sorride, si allunga per prendergli una mano. Il Maestro sbarra gli occhi, fissa come ipnotizzato il piccolo arto smagrito e pieno di cicatrici che tocca la sua pelle d’aguzzino, la stessa che le ha procurato quelle ferite.
-Resta con noi.- dice Rose con un sorriso. Il Maestro fissa le espressioni sbigottite alle spalle di lei, ma non se ne cura. Negli occhi di Rose vi è qualcosa di più che semplice odio. Adesso c’è complicità, dolcezza di madre che al Maestro continua a ricordare la sua famiglia. È forse per questo che accetta con un cenno, senza proteste e recalcitri. Si lascia guidare a capotavola, Rose siede al suo fianco e continua a stringergli la mano come per infondergli coraggio.
È il Dottore il primo a muoversi, a sciogliere quello stato d’impasse. Siede al fianco di Rose, sorride al Maestro senza rancore e annuisce.
-Bentornato.- dice soltanto, e in un istante Jack è all’altro lato del Maestro, lo guarda per qualche istante e senza parlare si siede. Tutti lo imitano, formano un complesso perfetto di famiglia bizzarra, costruita faticosamente. Ognuno di loro è un pezzo importante, una punta di diamante che costruisce il più prezioso dei tesori.
Dopo poco, anche il Maestro si lascia sfuggire piccoli e fugaci sorrisi. Non si sente a casa, non lo sarà mai, ma forse… forse qualcosa di buono in tutto questo c’è. Saranno sempre nemici, ma per lui è come cenare al banco dei vincitori, che, deve ammetterlo, sono loro. Almeno, per ora. Intanto, Rose Tyler preme una mano sul ventre e combatte in silenzio il male che accresce in lei.
Tic toc, e il tempo scivola via.
 Tic toc, nuovo rintocco, maggiori i minuti sottratti alla gentile concessione che gli ultimi rimasugli di vita concedono.
Tic toc, tic toc...
 
Continua……………………………………………………………………………
 
Angolo dell’autrice:
Ultimo… avevo ditto ultimo capitolo. No, Dottore, vai a quel paese! Non posso credere che tu mi abbia fatta ubriacare e firmare un accordo dove promettevo un capitolo in più! E FAI SPARIRE TUTTI QUEGLI ALIENI DA CASA MIA!!!
Doctor: non posso, sto vincendo il torneo di poker con gli Ood! Stanno cominciando a giocarsi il cervello dopo aver perso i loro ultimi spiccioli, la cosa mi preoccupa… ah, e attenta agli indigeni nascosti nella tua stanza. Stanno organizzando qualche rito vodoo che credo necessiti di una vittima… no, tranquilla! Ci ho già pensato io!
Non ti chiedo chi è la povera anima… ehm, torniamo a noi. Dunque, stavolta passo ai ringraziamenti brevi perché altrimenti mi dilungo di nuovo e farete prima a invecchiare piuttosto che a finire di leggere. Ringrazio di cuore e dedico il capitolo a coloro che hanno consentito il continuo di questa piccola schifezz… storia. Grazie a voi ritrovo sempre quel po’ di fiducia in me stessa che viene spesso a mancare. Ogni vostro commento ha aiutato la crescita di questo capitolo, e… sì, insomma… spero di non aver fatto guai. Specialmente col Maestro, che ho modificato un po’, ma posso dire a mia difesa che ormai il suono dei tamburi nella sua testa non c’è più, quindi riesce a ragionare un po’ più lucidamente… per ora. Grazie infinite a:
Kimi o Aishiteiru
Tony Stark
Bbpeki
A voi la dedica e un fortissimo abbraccio virtuale!

Tomi Dark Angel
  
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