CAPITOLO 5: RICORDI
Elsa
era ancora chiusa nel suo studio, seduta dietro ad una
scrivania piena di fogli e libri contabili, quado il Sole
tramontò dietro le
montagne di Arendelle. Il tè che aveva chiesto ad una
cameriera qualche ora
prima, era rimasto ignorato su un angolo del tavolo, fino a diventare
freddo.
Aveva mangiato solo due biscotti alla vaniglia che accompagnavano il
tè, ormai
imbevibile.
Ormai
stanca si stropicciò gli occhi con l’indice e il
pollice, e cominciò a mettere un po’
d’ordine, prima di scendere a cena.
Un
rumore ovattato di passi che si allontanavano, le giunse
dalla porta. Si alzò curiosa di scoprire a chi
appartenessero e fece giusto in
tempo ad aprire la porta, che vide sparire dietro l’angolo
del corridoio le
trecce rosse di Anna.
Si
chiuse la porta alle spalle e
in silenzio seguì la sorella: per quel giorno aveva chiuso
con gli affari di
stato, era ora di dedicarsi alle cose davvero importanti.
Anna
aveva passato un pomeriggio speciale con Kristoff,
camminando sottobraccio tra le strade affollate di Arendelle, senza una
destinazione precisa, felici solo di stare insieme, parlando di tutto e
di
niente; ed ora, dopo averlo salutato alle porte del palazzo, non voleva
rintanarsi nella sua stanza o nella biblioteca, nel silenzio. Aveva
così tanta
voglia di muoversi, di saltare, correre e addirittura cantare, che non
poteva
stare ferma in un posto solo. Quell’uscita con Kristoff
l’aveva caricata come
un giocattolo a molla…sarebbe potuta andare avanti a
camminare nei corridoi
fino allo sfinimento, finché il sonno non l’avesse
fermata.
Ma
qualcosa, prima della
stanchezza, le tolse il sorriso, costringendola a fermarsi.
Elsa
osservò Anna gironzolare saltellando per il castello
con un’aria trasognata sul volto, senza che si accorgesse di
essere spiata. La
principessa si muoveva quasi a passo di danza sui tappeti, che si
estendevano
apparentemente infiniti sul pavimento, mentre la gonna colorata le
svolazzava
attorno alle caviglie; giurò di averla sentita cantare e si
beò di quel suono
lieve e melodioso, mentre la sorella continuava a camminare spedita
senza una
meta apparente, inchinandosi ogni tanto ai dipinti che decoravano le
pareti dei
corridoi del castello e annusando i bouquet posti qui e li. La regina
non poté
fare a meno di trattenere una risata: Anna era davvero di buon umore, e
sospettava che ci fosse lo zampino di un certo tagliatore di ghiaccio
di sua
conoscenza, e questo non poteva che riempirla di gioia.
Continuò
a starle a qualche passo di distanza, finché lo
stomaco non cominciò a reclamare e decise di saltare allo
scoperto; ma qualcosa
la trattenne: Anna si era fermata davanti ad una porta grande e di
legno scuro,
immobile, a fissare i pomelli d’ottone con uno sguardo
strano.
Elsa
non comprese cosa la
sorella stesse facendo, fin quando non realizzò dove si
trovavano. E allora
tutto le fu chiaro.
Anna
fissava la sua immagine distorta riflettersi nei
pomelli lucidi, senza sapere cosa fare: qualcosa la bloccava.
Era
da tanto che non passava lì, anzi, di solito evitava
volutamente di avventurarsi in quella parte del castello. Ma quel
giorno il suo
fatale girovagare, l’aveva portata lì, come una
sorta di crudele contrappasso
per la felicità che provava in quel momento.
Quella
porta dava su una parte del suo passato recente così
dolorosa,
da farle ancora sanguinare il cuore. Dietro quel legno scuro
c’erano gli ultimi
momenti di vita quotidiana dei suoi genitori, prima che il cupo mare
del nord
se li portasse via.
Avvicinò
tremante la mano al pomello e girò piano, per
aprire: una folata di profumo alla lavanda le pizzicò il
naso e le riportò alla
mente il ricordo di mille abbracci consolatori. La lavanda era
l’essenza della
madre, il profumo che la cullava quando era triste, era un odore che
riusciva a
calmarla.
Dentro tutto era
rimasto come l’ultima volta che i genitori avevano varcato la
soglia di quella
stanza: uno spaccato di intimità cristallizzato nel tempo.
Lo
spiraglio che aveva aperto, lasciava entrare la fioca
luce delle numerose candele che illuminavano il corridoio, facendo
apparire la
stanza come un luogo lontano dal tempo, sacro e quasi effimero.
Varcò
titubante la soglia, muovendo pochi passi,
avvicinandosi al letto a baldacchino che si ergeva al centro della
camera:
allungò una mano verso una delle colonnine di sostegno, dove
si attorcigliava
morbida una tenda damascata, e vi si aggrappò con tutte le
sue forze,
sopraffatta dai troppi ricordi.
Chiuse
per un istante gli occhi e dietro le palpebre serrate
cominciarono ad affollarsi i ricordi di notti di incubi e mattine
festose
passate in quella stanza, lì, dove ora incombeva solo la
triste presenza
dell’assenza.
Lì,
in quello stesso luogo, li aveva abbracciati per
l’ultima volta, con la speranza che li avrebbe rivisti
presto. Invece non era
andata così: si era ritrovata di nuovo sola con se stessa;
la realtà della
morte dei suoi genitori si era fatta prepotentemente strada tra i suoi
sogni di
ragazzina, distruggendoli inesorabilmente.
Riaprì
di scatto gli occhi, riabituandosi alla poca luce e
scorse con la coda dell’occhio il dipinto di famiglia.
Non
era un’immagine ufficiale, come ad esempio il ritratto
del padre in alta uniforme e con i sigilli reali, appeso nello studio
di Elsa;
no, era un ritratto vero, che più che rappresentare persone,
ritraeva il forte
legame che le univa, nonostante tutto.
Ricordava
che la madre aveva tanto insistito per farlo, ed
era stato in quell’occasione che aveva rivisto Elsa dopo
tanto tempo,
trovandola cambiata, scostante, altera, chiusa dentro i suoi freddi
silenzi.
Li
ritraeva insieme, stretti l’uno all’altra, come una
famiglia normale, come se non ci fossero mai state porte chiuse o
segreti
inconfessabili: lei con una mano poggiata su quella della madre e Elsa
aggrappata al braccio del padre, come se fosse l’unico
elemento sicuro e
stabile in quel mondo.
Si
avvicinò al dipinto, con gli occhi puntati sulle figure
regali dei suoi genitori. Rimase a guardarli per secondi, attimi
infiniti che
in quella stanza si dilatavano oltre il tempo e lo spazio. Oltre anche
la
morte. Fu come riaverli accanto: gli occhi luminosi del padre e il
sorriso
dolce della madre, così reali da sembrarle veri.
Allungò
una mano verso l’immagine. Rimase ferma a mezz’aria
per un istante prima di posarsi sulla tela ruvida,
sull’intreccio di mani che
univano le sue a quelle della madre. Un groppo in gola le
impedì per un momento
di respirare e non poté trattenere oltre le lacrime che le
pungevano agli
angoli degli occhi. Rivoli argentei le scivolarono silenziosi lungo le
guance
rosee, prima di lanciarsi nel vuoto e caderle sul vestito.
Cominciò a
singhiozzare sommessamente, quasi temendo di spezzare il silenzio
immobile di
quel luogo.
Poi
diede voce ai suoi pensieri.
Elsa
era rimasta immobile sulla soglia a fissarla, con il
cuore che le si accartocciava pian piano nel petto. Non aveva mai visto
quel
lato di Anna, sempre allegra e solare, pronta a tutto. Si rese conto di
come la
sorella, quella bambina che era cresciuta a suon di no, sussurrati a
denti
stretti dal buco di una serratura, avesse imparato a nascondere dietro
una
facciata di finta sbadataggine le proprie emozioni.
Guardando
a fondo dentro di sé, Elsa capì di essere stata
non solo l’origine della tristezza di Anna, ma anche la causa
del cambiamento
della sorella. Faceva di tutto per nasconderlo dietro sorrisi luminosi
e
battute di spirito, ma in quel momento, nella quiete di quella stanza,
pensando
di essere sola, dava libero sfogo ai propri sentimenti.
Elsa
sapeva che quella era la vera Anna, quella che aveva
voluto proteggere da se stessa, ma che in realtà aveva solo
distrutto. La
facciata che la sorella si era costruita, era perfettamente uguale a
quella
della bambina spensierata e cocciuta che era stata un tempo. Ma in
quell’involucro
fragile che era il suo cuore, con la potenza di un’onda
anomala, si davano
battaglia spiriti opposti: da una parte c’era una
principessina felice e dall’altra
c’era la piccola Anna, costretta a crescere troppo in fretta,
alla ricerca
delle attenzioni di genitori troppo impegnati a salvare dalla follia
l’altra
figlia.
La
regina era ormai sul punto di andarle incontro e
stringerla a sé, quando sentì la sorella dire
qualcosa.
-“
N-non voglio più rimanere da sola… non voglio
più dire
addio a nessuno.”- Anna stringeva il pugno sulla tela, mentre
teneva il viso
basso, affondato nel petto. I singhiozzi le scuotevano le spalle esili
e
sembrava che da un momento all’altro potesse andare in
frantumi.
Elsa
entrò nel cono di luce e la sua ombra si stagliò
imponente nella stanza. Anna trasalì spaventata, senza
voltarsi: si asciugò le
lacrime e si girò a guardarla, con un sorriso stampato in
volto.
-“Ciao
Elsa, che ci fai da queste parti?”- l’ombra della
sera nascondeva gli occhi rossi della principessa, ma niente poteva
attenuare
il tono malinconico della sua voce.
Elsa
non le rispose e le corse incontro, abbracciandola.
-“Scusami
Anna, scusa per tutto il male che ti ho fatto, per
tutte le porte sbattute in faccia, per tutti i silenzi dietro i quali
mi sono
nascosta…scusa.”- Elsa aveva cominciato a
piangere, mischiando le proprie
lacrime con quelle di Anna, che era rimasta basita da quel contatto
inatteso ma
desiderato a lungo.
Dopo
la faccenda dell’inverno perenne, Elsa non si era mai
scusata per tutti gli anni di isolamento in cui aveva costretto anche
Anna, e
quando le saltava in mente di farlo, era sempre il momento sbagliato;
ma quel
luogo e quel preciso istante di debolezza, le diedero la forza di
parlare.
-“
Non sarai mai più sola, Anna. Non sarai costretta a dire
addio a nessuno, finché ci sarò io.
Starò sempre con te, sarò la tua ombra se
vorrai, ma ti prego, non piangere.”- Elsa la teneva per le
spalle e la guardava
pian piano calmarsi sotto il suo tocco freddo, senza lamentarsi.
Dopo
interminabili minuti di silenzio, Anna le rivolse uno
sguardo strano, a metà fra lo sconcertato e lo scherzo:
“Non dirai mica sul
serio, vero? Sarebbe da psicopatici, intendo il fatto di diventare la
mia
ombra. Io ho bisogno della mia
intimità…”-
-“Oh
Anna…”- Elsa rise di cuore
–“Grazie!”
-“Per
cosa?”-
-“Per
essere te…”
Anna
si allontanò di qualche passo, tendendole la mano:
“Non
preoccuparti, ci sarà il modo di ringraziarmi, prima o poi!
Insomma hai da
farti perdonare parecchie cose, non puoi certamente riparare tutto con
un
abbraccio e un’affermazione del genere.”
Elsa
afferrò la mano tesa e la spintonò:
“Farò qualunque
cosa tu voglia, non dovrai far altro che chiedere.”
-“Oh
beh, allora se la metti così avrei una richiesta: dopo
tutto questo”- indicò lo spazio tra di loro
-“avrei bisogno di una tonnellata
di cioccolato per recuperare il buon umore di qualche ora fa. Per
cominciare
andrebbero bene quei cioccolatini che tieni sul comodino vicino al
letto,
quelli che ti fai arrivare dalla Francia e che non vuoi condividere con
me…”
-“E
tu come fai a …Aspetta, d’accordo, dopo cena ti
aspetto
in camera mia.”- Elsa chiuse la porta dietro di sé.
-“Ci conto,
allora.”
NDA: No Comment! Capitolo inutile che non aggiunge nulla alla trama, ma che è uscito così di getto, prepotentemente dalla mia testa, e si è fissato sulla pagina di word.Sono rimasta un po' davanti al pc, indecisa se postarlo o meno, e alla fine l'ho fatto, tanto per rovinarmi. Capirò se qualcuno vorrà maledirmi per avervi fatto aspettare per un capitolo…così! Accetterò i pomodori e i vari ortaggi che vorrete virtualmente lanciarmi… Addio.
ps: Anna altamente ooc!