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Autore: Luu    10/01/2014    4 recensioni
[Le mani tremavano e gli occhi guardavano ciò che la mente non riusciva a comprendere. L’aveva uccisa, aveva ucciso la sua Bulma…]
In questa fiction, ambientata un anno dopo la sconfitta di Majin Bu, Vegeta è tormentato da incubi insopportabili che lo porteranno, con l'aiuto di un coraggioso dottore, a riflettere sulla sua vita passata e sull'importanza di quella attuale... Non aggiungo nient’altro se non un invito a leggere questa storia un po’ improvvisata, ma piena di significato ^^ Buona lettura
Genere: Angst, Introspettivo, Sentimentale | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Bulma, Nuovo personaggio, Trunks, Vegeta
Note: nessuna | Avvertimenti: Contenuti forti
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Capitolo 3

-Vegeta! Vegeta!!! Lasciami!! Sono io, Bulma!!!-.
Aveva sbarrato gli occhi percependo una voce familiare accompagnata da un pugno, che il suo torace di marmo avvertì come una leggera carezza e ciò che vide lo lasciò inorridito. Il suo corpo sovrastava quello della moglie e le sue mani stringevano il suo esile collo, inumidendole gli occhi.
-Bulma!!- lasciò la presa con uno scatto che rasentava la disperazione. Il sogno era stato così realistico da avergli fatto credere che sua moglie fosse il nemico.
La turchina prese a massaggiarsi il bruciante rossore provocato dalle forti mani del marito e, notando la sua espressione sconvolta, cercò di calmarlo come meglio poteva.
-Tesoro, tranquillo. Sto bene, ti sei svegliato non appena hai sentito la mia voce- ma Vegeta non riusciva a togliere gli occhi dalla lesione sul collo di lei. Le aveva fatto del male e non poteva perdonarsi per quel gesto rude, non poteva far finta di nulla quando il suo cuore batteva all’impazzata ricordandogli che avrebbe anche potuto… ucciderla. Scosse la testa per scacciare quell’orribile pensiero e guardò negli occhi la sua donna, ancora visibilmente turbata dalla situazione.
-Bulma, mi… dispiace- la voce uscì flebile dalla gola del saiyan e con la mano ancora tremante, accarezzò la candida guancia di sua moglie.
-Non fa niente, amore mio. Ti ho già detto che sto bene- Bulma sorrise e lo baciò a fior di labbra per tranquillizzarlo. Il saiyan la strinse a sé, accarezzandole la nuca e sussurrandole nuovamente le sue scuse.
Quando si separarono, Vegeta si alzò dal letto ed uscì dalla camera per andare a prendere un bicchiere d’acqua. Improvvisamente l’aria in quella stanza era divenuta irrespirabile.

Non appena raggiunse la cucina, avvertì un freddo pungente ed imprecò contro se stesso per la sua dannatissima abitudine di girare perennemente a torso nudo e di non ascoltare mai le raccomandazioni di sua moglie. Era ancora notte, guardò l’orologio digitale appeso al muro: segnava le 4.00, si rese conto di aver dormito solo un’ora ed il suo organismo ne stava risentendo.
Avvertiva una debolezza insolita ed il mal di testa era notevolmente peggiorato, a causa dell’orribile risveglio di poco prima. Continuava a percepire quella terribile sensazione di impotenza, la malattia lo stava facendo a pezzi ed il nervosismo per quell’umiliante situazione, non faceva che inasprire le sue pessime condizioni. Fece qualche passo, ma lo sguardo iniziò ad offuscarsi ed i suoi movimenti si fecero più lenti, come se le gambe non fossero in grado di reggere il suo possente corpo ulteriormente. Riuscì a raggiungere il soggiorno barcollando e si sdraiò sul divano, dove trovò una pesante coperta di lana, con la quale avvolse il suo corpo rovente. Le palpebre si abbassarono e cadde di nuovo in un sonno profondo.

La belva continuava a morderlo, a graffiarlo lacerando la sua carne e lui si sentiva impotente, incapace di reagire. Ma poi gli artigli divennero pugni e la belva mutò in un altro essere, in un essere che non si sarebbe mai aspettato di vedere, l’essere che in quel momento temeva di più in assoluto. Se stesso. Si rivedeva su quel pianeta ai confini dell’universo. Un pianeta come tanti, pieno di inutili alieni che meritavano di morire per mano del grande principe dei saiyan e lui, in quel momento, era uno di quegli alieni: quel piccolo essere che tempo fa gli aveva implorato pietà con gli occhi colmi di lacrime e che lui aveva martoriato fino alla morte, ghignando sadico ad ogni colpo ed urlandogli quanto fosse inferiore ogni volta che lo vedeva sputare densi grumi di sangue viola. Ed ora lui era lì a subire la sua stessa ira, a sentire i propri pugni sulla pelle e ad ascoltare la sua stessa voce che sprezzante lo umiliava senza ritegno. E si rese conto di che razza di bastardo fosse stato…

Si era ridestato da quell’incubo bruscamente e, come al solito, il suo respiro affannoso palesava il battito frenetico del suo cuore.
-Merda!- aveva ringhiato tra sé.
Si alzò dal divano e, con un’eccessiva fatica, riuscì a raggiungere la porta del bagno, sulla quale appoggiò la fronte, prima di abbassare la maniglia ed entrare.
Guardò il suo riflesso nello specchio sopra il lavandino: aveva una pessima cera. Il suo sguardo spento era contornato da profonde occhiaie scure, messe in risalto dal pallore di quel viso divenuto troppo magro. Aprì il rubinetto per rinfrescarsi e bevve un sorso d’acqua per togliere quel costante sapore di amaro dalla bocca, senza però ottenere grandi risultati.
-Che schifo...- poggiò la schiena sulle fredde mattonelle e scivolò sulla parete fino a sedersi per terra.
-Come mi sono ridotto… il grande principe dei saiyan sconfitto da uno stupido malanno- con il dito fece girare il rotolo della carta igienica appeso a pochi centimetri dal suo volto –seduto accanto al cesso… a parlare da solo- sorrise tra sé consapevole di aver cominciato a delirare.
Chiuse gli occhi un istante e quell’attimo bastò per fargli rivivere l’esperienza peggiore della sua vita…

L’aria era irrespirabile e le tenebre celavano completamente l’entità di quella stanza. L’unico suono che riusciva a captare in quel luogo taciturno, era un fruscio di catene attaccate alle pareti. Posò il palmo su una di esse, era viscida di sangue fresco e un ricordo iniziò a balenare nella sua mente sconvolta da tormenti passati. Ebbe un sussulto e si pulì istericamente la mano sulla maglia, ma non indossava nulla e si sporcò il torace di quel liquido vermiglio, ormai conscio essere il suo.
Rabbrividì. Aveva i nervi scossi e l’udito teso fino all’esasperazione, senza cogliere alcun suono se non il battito del suo cuore impazzito che violento echeggiava nelle sue orecchie. Stava per avere un attacco di panico. Doveva uscire da lì, avrebbe sofferto. Sarebbe successo ancora e lui non voleva. Non voleva che la storia si ripetesse. Non voleva addentrarsi nuovamente in quell’inferno che aveva rovinato la sua vita. Ma prima che le gambe si decidessero a muoversi per andare via da quel luogo di tenebra, qualcosa gli sfiorò la schiena e lo fece gelare sul posto.
“Sei tornato, cucciolo mio” quella frase, quella voce. No, non era giusto! Qualcosa strinse il suo collo in una morsa soffocante.
“Sei tornato da me” sussurrava nel suo orecchio. Un senso di nausea si impossessò del suo corpo, mentre il mostro continuava a passare la sue bianche dita sulla sua schiena nuda e sfregiata. Rideva, quel bastardo mentre con la lingua saggiava la sua guancia umida di lacrime. Lacrime di impotenza, lacrime che non riusciva a frenare, poiché trattenute troppo a lungo. Cercò di liberarsi dalla presa sul collo nel momento in cui il tocco del mostro si fece tragicamente audace, ma i suoi tentativi furono vani, la coda del mostro troppo possente, la sua forza troppo esigua per contrastare tale tortura. Urlò con tutto il fiato che aveva nei polmoni, ma la sua voce risuonò infantile. Un bambino, era solo un bambino. E non era giusto…
“Mi divertirò con te, principino” e poi, di nuovo, quella malvagia ilarità: un’indelebile reminescenza impressa in quella mente e in quel cuore deturpati dal sommo supplizio.


Vegeta sbarrò gli occhi come se avesse ricevuto una pugnalata al cuore. Si aggrappò alla tavoletta del water, si sporse in avanti e vomitò, nonostante non avesse praticamente nulla nello stomaco. Si accasciò a terra e sbatté il pugno sul pavimento serrando gli occhi come a voler cancellare quell’atroce evento che aveva segnato la sua travagliata esistenza. Per anni era riuscito ad accantonare quell’umiliazione che lo aveva reso schiavo dello schifoso maniaco, era riuscito a non ripensare alla sofferenza provata in quei momenti in cui era stato usato come un giocattolo, ma adesso quel ricordo era tornato vivido e tremendo, un’agonia dalla quale doveva fuggire e l’unico posto dove voleva essere in quel momento, era accanto a Bulma.

Tornato in camera da letto, la vide dormire placidamente e si sentì sollevato notando il suo respiro regolare, nonostante l’involontaria aggressione che aveva subito a causa sua.
Si distese accanto a lei e l’abbracciò da dietro. Aveva paura di farle del male un’altra volta, ma non poteva starle lontano, aveva un disperato bisogno del suo calore, del suo profumo. La donna assunse un’espressione rilassata, percependo il braccio del marito intorno alla sua vita sottile, ma non si ridestò dai suoi sogni, sicuramente sereni e privi di tormenti.
Vegeta invece tremava, ma la malattia c’entrava ben poco. Una lacrima solcò il suo viso sconvolto. Chiuse le palpebre cercando di calmarsi e si addormentò di nuovo. Stavolta, però, la presenza di Bulma lo aiutò a superare quell’orribile notte.


  
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