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Autore: Mikayla    30/05/2008    1 recensioni
Desideri.
Ogniuno ha almeno un desiderio, nel suo cuore.
Un desiderio realizzato, uno abbandonato, uno impossibile, uno appena scoperto.
Hotaru vorrebbe solo vivere accanto a chi ama, Takashi desidera vedere la sua amata con i capelli bianchi, Shia vorrebbe un sorriso di sua madre.
Tre semplici desideri.

Raccolta di one-shot:
1. Tradition
2. Cherry
3. Twisted Smile
[ Della serie Tales of True Life. ]
Genere: Triste, Malinconico, Introspettivo | Stato: completa
Tipo di coppia: non specificato | Personaggi: Hotaru/Ottavia, Nuovo personaggio
Note: What if?, Raccolta | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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- Questa storia fa parte della serie 'e'
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Parla l’autrice:
Speravate davvero di esservi liberate di lei? E invece no! Eccola ancora qui con la seconda one-shot, a discapito dello studio e dell’imminente maturità. Questa storia è da porsi dopo Stagioni. Non si capisce nulla se non si è letto prima quella e San Valentine’s Day, dato che vi sono chiari riferimenti a quest’ultima. Altro riferimento è a Neve, ma proprio leggero.
Da ricordarsi, comunque, è che le storie sono raccontate dai personaggi al passato perché loro non sono più in quel presente: è come se parlassero dall’infinità del tepo raccontando i ricordi della vita precedente prima di reincarnarsi.
Piccola nota semplice semplice: sono passati sei anni dalla morte di Hotaru, quindi Takashi ha cinquantun’anni, Chibiusa ne ha ventuno e Shia sedici.
Ultimissima nota, più che dovuta. Grazie Clà. Questa serie non proseguirebbe senza di te, e ci teniamo a fartelo sapere, sia in privato che in pubblico. Perché tutti sappiano quanto ti dobbiamo. Grazie.

Cherry



{Takashi, Takashi! Dove sei?
Sono in studio, Hota-chan. Cosa succede?
Guarda!
Cosa? Un capello bianco!
}

Avevo preso l’abitudine di pisolare, dopo pranzo.
Mi lasciavo cullare dalla sedia a dondolo.
Verso le due del pomeriggio mi sedevo lì, e chiudevo gli occhi.
Lasciavo vagare la mente nell’oblio dell’incoscienza.

Sognavo.

Sognavo lei, la mia Hotaru-hime.

La tristezza mi aveva lasciato.
Il mio cuore era libero, colmo d’amore per Shia.
Ma desideravo averla ancora accanto.
Hotaru era sempre nei miei pensieri e nel mio cuore, ma nei miei sogni… nei miei sogni mi teneva la mano.

La sognavo in un bel prato verdeggiante.
La sognavo con la divisa scolastica.
La sognavo sorridente.
La sognavo vivace e allegra.
La sognavo accanto a me.
La sognavo accoccolata tra le mie braccia.

Così mi lasciavo cullare, e la sentivo accanto a me.
Sentivo il suo calore.
Percepivo il suo profumo.

Delle volte, nel dormiveglia, mi sembrava perfino di sentire la sua mano posata sulla mia spalla.
Ma non tentai neppure una volta di prenderla: mi avrebbe distrutto afferrare il vuoto.
Scoprire che riuscivo ad ingannare la mia mente a tal punto mi spaventava.
Speravo ugualmente che fosse reale; che una sua mano mi raggiungesse ancora una volta.

Ricordo che una volta mi sembrò perfino di vederla.
Forse era un sogno. Forse no.
Forse non lo saprò mai.
Forse se lo sapessi soffrirei di più.

Credetti comunque che fosse la sua promessa mantenuta.
Aveva detto che sarebbe rimasta accanto a noi. L’aveva giurato.
La mantenne, quel giorno.

Era lei: la vidi.

Il sorriso dolce.

[proprio come ricordavo]

I capelli neri a caschetto.

[proprio come ricordavo]

Gli occhi ametiste.

[proprio come ricordavo]

Le mani piccole, posate sul grembo.

[proprio come ricordavo]

Indossava un semplice abito, di un tiepido color lilla.

[quello non lo ricordavo]

Un piccolo diadema sul capo.

[quello non lo ricordavo]

Adagiata tra i seni una fine collanina d’argento.

[quello non lo ricordavo]

Da quella visita, iniziò la mia abitudine.
Da allora, tornai ogni giorno a sedermi lì.
Ne sentivo il bisogno.
Era un qualcosa che nasceva dal profondo del mio cuore.
Un’ora, niente di più; ma mi serviva.
La trascorrevo ricordando.

Era inutile mentire a me stesso: restavo lì per lei.
Per Hotaru-hime.
Speravo tornasse da me.
Da Taka-koi.

[l’ho sperato una vita intera]

Ero cambiato, da quando la conoscevo.
La mia vita, tutta, era radicalmente cambiata, con l’incontro della mia Principessa.
Quando incrociavi la sua via non potevi fingere di poter restare uguale.
Hotaru ha cambiato persone che neppure la conoscevano.

Per questo sostenevo che luccicasse.
Con quel tiepido brillio attirava l’attenzione di tutti.
Ti cambiava dentro. In meglio.

Io la incontrai un giorno di primavera.
L’avevo notata per sbaglio, mentre ridevo con il mio migliore amico.
Se ne stava seduta sotto il pesco.
Certamente ripassava per l’imminente esame.
Si portò distrattamente una ciocca di capelli dietro l’orecchio ed alzò lo sguardo ai fiori rosa.
Notai subito i suoi occhi ametista.
Erano come una calamita, per me.
E decisi al momento che avrei cancellato per sempre la tristezza da quel viola meraviglioso.

Mi accorsi di essermi innamorato di lei dopo averla frequentata - o, come direbbe lei: dopo averla assillata - per un mese e mezzo. Dopo il suo quarto rifiuto ad un appuntamento con me.
Ma io ero più testardo di lei: non avrei mai demorso.
Non potevo reprimere ciò che provavo. Semplicemente.

« Ti accorgerai che è una cotta. »
« Che va avanti da un anno e mezzo? »
« Ci sono bambine che se ne accorgono dopo una decina d’anni. »

Questa sua massima si rivelò una sciocchezza.
Il mio sentimento, invece che scemare, si rinforzava.
Ogni giorno, ogni momento, ogni istante.
Mi riscoprivo ogni secondo sempre più innamorato.

Apprezzavo ogni suo difetto.
Non c’era nulla in lei che mi portasse a desistere.

Così m’incaponivo, desiderando di poter condividere con lei quel dolore e quella tristezza che vedevo infondo ai suoi occhi.
Cercavo di alleviarlo con il mio sorriso, la mia vitalità.
Sognavo di stringerla a me e far sparire i suoi problemi.

Invece lei mi evitava, mi allontanava.

« Ho lezione. »
« Devo studiare. »
« Mi aspettano. »
« Oggi devo proprio tornare a casa presto. »
« Ritorna mio padre, non posso mancare. »

Sempre le stesse scuse.
Una accavallata all’altra.

Non demordevo, comunque.
Mai.

« No, Myokatono-san. »
« No, non esco con te. »
« No, non sono libera. »
« No, grazie, senpai. »
« No. Non insistere, per favore. »

Rispondeva sempre così, sempre.
Sempre, sempre e sempre.
Sulle sue labbra c’era sempre un no, per me.
Solo un no.
No.

Allora decisi di giocare tutte le mie carte.
Provai con la Donna di Cuori.

« Sakura-chan, ho bisogno di te. »
« Taka-onii-chan? Non farò nulla di compromettente, ti avverto. »
« Sakura-hime-chan… »
« Se mi chiami così vuoi la Luna. »

Le sorrisi.
Lei sbuffò.
Le passai un braccio attorno alle spalle.
Lei sbuffò.
Le sorrisi.

« Dovresti solo sederti sotto un pesco. »

Mia sorella lo fece.
E s’innamorò anche lei di Hotaru.
E io mi sentii inveire contro per la figuraccia che le avevo fatto fare.

Ad ogni modo non cambiò nulla.
Almeno così sembrava.
Hotaru continuava imperterrita a rispondermi di no.
No, no e no.
Sempre e solo no.
No.

Hotaru-hime mi allontanava.
Ed io non capivo perché.
Sembrava un controsenso: aveva bisogno di sostegno, aveva bisogno di distrarsi, eppure rifuggiva tutto ciò.
Ero certo d’essere la sua medicina, ma lei non l’ammetteva.
Non voleva lasciarsi andare.
Mi scacciava, infierendo sul mio cuore colmo d’amore per lei.
Crudele non mi permetteva di starle accanto.
E soffrivo sempre più, vedendo la sua tristezza. Consapevole della mia inutilità.

Poi venne l’ennesimo San Valentino.
La vidi appoggiata al muro ad attendere e provai un enorme senso di sofferenza.
Una fitta, una morsa malvagia mi attanagliava dentro.

Era lì per qualcun altro, non avevo dubbi.
Vidi un pacchetto tra le sue esili dita, e mi sentii pugnalato al cuore.
Avevo la prova tangibile che lei non era per me.
Non mi amava.

Ed io non sarei mai potuto tornare indietro.
Non si può smettere di amare qualcuno.
Neppure se lo vuoi con tutto il cuore.
Neppure se ti fa soffrire.
Neppure la morte ti libera da questo peso.

Ne ero consapevole.

La osservai, attraverso il fiume di gente che lasciava l’aula.
Per quanto male mi facesse volevo sapere chi era il fortunato.
Chi mi aveva superato.
Chi l’avrebbe stretta tra le braccia.
Chi l’avrebbe sostenuta.
Al posto mio.

Quando stranamente infilò il pacchetto in tasca, mi avvicinai di un passo. E sapevo che andavo incontro, a braccia aperte, ad un destino di sofferenza.
Sorrisi. E sapevo che, per lei, avrei continuato a sorridere per sempre.
A lei piaceva il mio sorriso largo, come amava definirlo.

« Myoka- »
« Hotaru-chan! Ciao! »

Le impedii di potermi chiamare ancora una volta per cognome.
Non amavo lo facesse, proprio no.
Era peggio di tutti i suoi rifiuti.
Era come se fossi sempre un estraneo; come se fossi destinato ad esserlo per sempre.
E non potevo accettarlo.

La brezza invernale mi scompigliava i capelli, mentre il silenzio cadeva tra di noi.
Senza preavviso Hotaru arrossì, per un istante.

Un bellissimo istante.

« Takashi-san »

Ed il mio nome pronunciato da lei mi parve un sogno.
Ero disceso in paradiso?

« questo è »

Ed Hotaru estrasse dalla tasca il piccolo pacchetto.
Era rosso, avvolto nel raso violetto.
Lo guardai senza capire.

« per te. »

Finì la frase porgendomelo.

Non potevo crederci.
Non riuscivo a capacitarmi che fosse per me.
Per me.
Hotaru aveva proprio detto che era per me.
Per me.

Di riflesso le sorrisi, e per un momento mi pentii d’avere il sorriso facile: sarebbe stato più bello e significativo regalarle un sorriso nascosto.
Sperai comunque che notasse che quel sorriso era diverso.
Era solo per lei, era d’amore, era di vita.
Di speranza.

« Sì. »
« Ma… ma io non ti ho chiesto nulla! »
« Non serve parlare, Hotaru-chan. Almeno non per queste cose, non con me. »

Hotaru arrossì di nuovo.
Io presi il pacchetto dalle sue mani, con tutta la delicatezza di cui ero capace.
Lei, per me, era un fragile cristallo.
E temevo di romperla.

Mi abbassai su di lei.
Imbarazzato ed impacciato.
Le posai un bacio sulla guancia.
Di più non osavo.

« Grazie, Hota-chan. Buon San Valentino. »

Poi, non so come, la trovai tra le mie braccia.
Stava piangendo.
Le sue lacrime le rigavano il viso.

Eppure sentivo che era felice.
Forse se la felicità che la stava avvolgendo non fosse stata pressoché completa avrebbe sorriso.
In cuore mio sapevo che era così.

Così andò.
E fu la prima volta che la abbracciai.
Fu la prima volta che la sfiorai.
Fu la prima volta che le diedi un bacio.
Fu la prima volta che si affidò a me.

Sentii le sue lacrime impregnarmi il maglione.
Le passai gentilmente una mano tra i capelli, gentilmente.
Le feci alzare il capo e mi persi nei suoi occhi ametiste.

Ero felice.
Ero felice.

Ed era felice.
Era felice.

A dispetto delle lacrime, lei era felice.
Non sorrideva, ma era felice.

Non sorrideva ancora; perché io l’avrei fatta sorridere, prima o poi.

Avevo avuto ragione.
Ormai la conoscevo.
Avevo visto giusto.

Allora le baciai con delicatezza le guance, rubandole le lacrime.
Sapevano di sale.
E al momento ne fui sorpreso: ero convinto che dovessero essere dolci, almeno quanto lo era lei.

« Ti amo. »

Era un sussurro.
Era la prima volta che lo dicevo.
La primissima volta, perché non amavo sprecare quel sentimento con la banalità delle parole.

A quella confessione, le sue lacrime si fermarono.
Le sue labbra, piccole e tenere, si aprirono in un sorriso sincero.

Il primo che mi regalava.
Quel giorno mi aveva già fatto almeno tre regali, uno più bello dell’altro.
Ma che dico tre! Almeno dieci!

« Ci ho messo un po’ »

Mi rivelò, guardandomi negli occhi.
Io la ricambiai, senza sapere che dire.
Ero curioso.
Anelavo che finisse la frase, per poterla comprendere.
Volevo sapere tutto di lei, ogni singolo pensiero.

« per capirlo. »

Il mio cuore mancò un battito.
Quello che prima era dolore e timore, perdita totale di speranza, si era trasformato in pura e semplice gioia.
Avevo realizzato solo allora, in quel momento, ciò che simboleggiava quel gesto, quel pacchetto nella tasca della mia borsa.

« Ti amo. »

Mi si sciolse il cuore e provai a stringerla a me.
Ma mi fermò, premendo leggermente i palmi delle mani sul mio petto.

La guardai con occhi spalancati, confuso.
Aveva le guance imporporate.
La osservai, attendendo.
Hotaru sbatté velocemente le ciglia.
Si alzò in punta dei piedi, con gli occhi chiusi.
Sentii le sue labbra fresche e morbide sulle mie.

Sapeva di ciliegia.

[sapeva sempre di ciliegia]

Sapeva di ciliegia.

Erano fresche.
Erano morbide.

Sapeva di ciliegia.

[anche il nostro ultimo bacio sapeva di ciliegia]

Sapeva di ciliegia.

[come tutti i nuovi baci]

« Chibi-chan! Non mangiare le ciliegie! »

Aprii gli occhi.
D’improvviso.

« Servono per guarnire la torta, dai! »

Scostai la coperta dalle mie gambe.
Shia si era premurata di coprirmi.
Come sempre.

« Ma che differenza vuoi che faccia? »
« Chibi-chan! »
« Shia-chan, sei troppo severa! »

Le sentii ridere.
Erano allegre.
La nostra Shia è cresciuta nella tranquillità.
Come aveva voluto Hotaru.
E Chibiusa le è sempre stata accanto.

« Smettila!! »
« Ma dai, sembra neve! »

Alzai lo sguardo.

« Shia-chan, sei buffissima! »

Osservai i boccoli corvini di Shia, striati di bianco dalla farina lanciata in aria da Chibiusa.

Hotaru, vorrei averti vista davvero coi capelli bianchi.

« Chibi-chan, sei crudele! »

Vorrei che ci fossi seduta tu, qui, sul dondolo.

« Shia-chan, invece di rincorrermi stai attenta alla torta: si brucia! »

Vorrei invecchiare con te.

« Accidenti! Se si rovina me la paghi! »

Mi alzai.
Mi stiracchiai.
Mi addentrai nel campo di battaglia.
Quella che fino ad un’ora prima chiamavo cucina.

« Oh, otou-chan, ti abbiamo svegliato? »

Sorrisi.
Ricambiò.

« No, Shia-chan. »

Chibiusa mi si avvicinò con fare furtivo.
Tra le mani una terrina in vetro.
Colma di ciliegie.
Con un semplice gesto me ne offrì una.
La accettai volentieri.

« No, otou-chan! Sono per la torta! »

Sempre seria e precisa, la nostra Shia.
Le sorrisi furbescamente e feci per posarla tra le altre.
Vidi il suo viso illuminarsi, soddisfatto.
Chibiusa, invece, mi guardava di sottecchi.

Feci roteare il picciolo.
A destra.
A sinistra.

La mangiai.

Shia mise il broncio.
Chibiusa si mise a ridere.

Per me, fu come dare un altro bacio ad Hotaru-hime.

Non mangiavo ciliegie da sei anni.

{Takashi-koi, hai tutti i capelli bianchi.
Hotaru-hime, tu li hai grigi…
Color delle stelle… non sono belli?
Sei sempre bella.
}


Parla l’autrice, di nuovo:
Non capisco perché si ostini a mettere le note a fine fic, dato che non ha mai nulla da raccontare e/o aggiungere. Fatto sta che siamo qui, alla fine.
Unica cosa che le viene in mente da dire è che la storia è triste. Voleva far venire un colpo allo stomaco contrapponendo l’amore del racconto con la fredda e crudele realtà, ma è sicura non sia riuscita davvero nell’intento. Io lascio giudicare a voi, altrimenti lei mi uccide.

Last but not least, risponde alle recensioni con il cuore in mano. E ci tiene a ringraziarvi dal profondo.

Kalos: Hola! Thanks per la bellissima recensione :* pure a noi è piaciuta molto l’ultima parte, e Shia la adoriamo *___* Per la Haruka Hotaru ci sta lavorando ^__= aspetta un po’ che le idée si mettano in moto e la Musa la assista e poi riuscirà a scriverla. E, strano ma vero, ha intenzione di scrivere qualcosa più sulla commedia, quindi preparati a vedere la fine del mondo! XD Bacio :**

Rowina: Clà, adorata, siamo noi che dobbiamo ringraziarti. Per tutto, senza te starebbe tutto ancora nella mia testa, abbandonato e solo. Povero il nostro adorato Taka! Ç_______Ç
Ancor più ti ringraziamo per la splendida recensione, ci hai fatto capire tutto il tuo apprezzamento, che per noi è davvero importante. Le fa piacere sapere che è riuscita a trasmettere quelle emozioni intense, con questo stile che ormai è proprio di Stagioni e non riesce a vedere altrettanto bene da nessun’altra parte. Insieme ti ringraziano i personaggi, che sono lieti di essere vivi e di saperti emozionare con le loro (dis)avventure.
Le frasi avevano confuso un po’ tutti (me compresa)! XD Se non le avesse spiegate saremmo rimasti tutti così -> ?_? XDD
Ti ringraziamo ancora, di cuore, e ti abbracciamo forte. Bacioni! :**

Strega_Morgana: ti ringraziamo enormemente per questa tua recensione precisa e incredibile. Questa tua analisi ci ha lasciate di stucco, e ne siamo davvero lusingate.
Dirti che hai “azzeccato” tutto è banale, ma altro non saprebbe dire. E spera di riuscire a comunicare anche attraverso queste semplici righe tutta la gratitudine che ha (buffo, che proprio una scrittrice resti senza parole). Una piccola precisazione ci tiene a farla, giusto per chiarimento: hai pienamente ragione a pensare che Shia non sappia quanto sia speciale la sua mamma. Hotaru ha confessato tutto a Takashi, perché con lui non riesce a mantenere un segreto così importante, a Shia sarebbe stato detto tutto più avanti, quando avrebbe potuto comprendere la gravità della situazione… purtroppo però non avvenne mai…


Au Revoir!
   
 
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