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Autore: martaparrilla    12/01/2014    2 recensioni
"Non voglio più che mi odi per quello che stai provando. Non voglio più che guardi i miei occhi senza sapere che mi sveglio presto solo per guardarti uscire di casa e prender il tuo cornetto al bar. Che mi piace l'odore dei tuoi capelli. Mi piace il calore della tua mano. E se devi impazzire, voglio che impazzisca con me, non per me".
Una Emma e Regina in una città senza nome, si scontrano come solo loro sanno fare. Ben presto capiscono che il loro odio cela qualcosa di più grande. Ma Regina questo già lo sapeva. Gli occhi di quella bionda erano terribilmente somiglianti a qualcuno che aveva perso e questo la incuriosiva. Emma dal canto suo non riusciva a spiegarsi i brividi che sentiva quando la vedeva.
Regina ed Emma racconteranno sensazioni e sentimenti in prima persona, alternandosi tra i vari capitoli. Non dubitate della mia sanità mentale quando leggerete le stesse frasi in capitoli diversi, il motivo è semplice: una volta sarà Emma a parlare (o ascoltare), una volta Regina.
Riusciranno insieme a superare i traumi passati?
Genere: Introspettivo, Sentimentale | Stato: completa
Tipo di coppia: Slash, FemSlash | Personaggi: Emma Swan, Henry Mills, Regina Mills
Note: AU, Missing Moments | Avvertimenti: Tematiche delicate
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Erano passate cinque settimane da quando avevo portato il barattolo di nutella a Regina e da quel giorno non l'avevo più vista. Non so perchè l'avessi inseguita ma nei suoi occhi avevo visto una sorta di rottura. Si era rotto qualcosa in lei, qualche certezza, qualche muro, non so. E' vero era una donna cinica e rompiscatole la maggior parte delle volte, ma non aveva fatto del male a nessuno, non fisicamente almeno.

La sua voce era rauca di pianto dietro la porta quando mi aveva risposto. Inizialmente avevo temuto il peggio, che fosse svenuta o che non riuscisse a muoversi. Sentire la sua voce da dietro la porta mi aveva tranquillizzata ma vista la sua pessima dote d'attrice e avendo capito che non avrebbe mai aperto, mi venne un'idea. Non so nemmeno se lasciò il barattolo fuori o lo prese con sé. Ma da quel giorno, l'appuntamento settimanale delle sue riunioni immotivate era sparito.

Devo dire che mi mancano i nostri battibecchi.

Avvolta nel mio prezioso e vecchissimo plaid, sorseggio un po' di cioccolata mentre guardo uno speciale su come riconoscere i sintomi dell'ictus. Può sempre servirmi.

Mi interrompe il campanello. Sarà la mia amica Isabella, deve passare a darmi le foto che ho fatto nell'ultimo mese. Avrei speso un patrimonio anche stavolta. Sospiro e tenendomi la coperta sulle spalle apro senza preoccuparmi di chi ci sia dietro.

«Isab...»

O. My. God. Regina è di fronte a me con un pacchetto in mano (ha anche il fiocco) e un'espressione nel viso che sembra solo imbarazzo. Chiudo subito la porta. Mi precipito in camera dove lancio la coperta sul letto e metto addosso i primi leggins che trovo. In meno di un minuto (visibilmente affaticata), torno ad aprire la porta. Lei è ancora li che aspetta con un sorriso stampato sul volto.

«Salve Emma» dice poco dopo.

«Mi dispiace averle chiuso la porta in faccia, io ero....» mi volto per giustificare in qualche modo il mio pessimo abbigliamento ma lei mi interrompe.

«Non si preoccupi, avrei dovuto avvisarla che sarei passata, volevo portarle questo» mi porge il pacchetto «per sdebitarmi del regalo di quel giorno». Allungo le mani senza smettere di fissarla. Perchè è sempre perfettamente vestita e truccata? Ma lei se lo mette il pigiama? E le pantofole? Interrompo i miei pensieri scuotendo la testa. Il suo modo di guardarmi quasi volesse mangiarmi però non è sparito.

«Grazie ma, non era necessario, spero che ora stia meglio» dico portandomi una ciocca di capelli dietro le orecchie. Mi guarda sorridendo, e per un attimo il suo sguardo va oltre, come a sbirciare dentro casa mia. Non vuole per caso entrare??? Perchè vuole entrare? Si che vuole entrare, glielo leggo negli occhi. Imbarazzata, lei spezza il silenzio.

«Be, io vado» fa un passo indietro «sono riuscita a sistemarla la cucina comunque quel giorno» la sua voce cambia di tono. E' calma, seria. Sta per voltarsi quando il mio cervello si scollega dalla bocca, anzi, la bocca si scollega dal cervello e pronuncia delle strane parole:

«Vuole entrare? Stavo bevendo della cioccolata, ma posso fare un tè, se lo gradisce, o un bicchiere d'acqua..insomma» inizio a gesticolare «quello che vuole» faccio spallucce. L'espressione sul suo viso mi fa capire che non aspettava altro.

«Volentieri, grazie». Sposto leggermente il mio corpo verso destra, per lasciarle lo spazio per passare. Impeccabile sul suo tacco dodici color perla, varca la soglia di casa mia. Chiudo lentamente la porta mentre la regina degli inferi si ferma ad aspettarmi.

«Certo che in quanto ad abbigliamento abbiamo stili completamente diversi» dico per smorzare la tensione prendendo la manica dell' enorme maglione beige che mi lasciaa scoperta la spalla. Si mette a ridere prima di dire:

«Dovrei copiare io il suo stile...almeno per stare dentro casa». Inclino la testa un po' di lato, come per darle ragione, prima di invitarla sul divano. Poggio il pacchettino sul tavolino di fronte alla tv.

«Prego» la invito sul divano e prendo la tazza che avevo lasciato sul tavolino «questa la porto via. Vado a metter sul fuoco l' acqua per il tè». Distolgo con una certa difficoltà i miei occhi dai suoi. Sono talmente scuri da sembrare neri e sembra voglia leggermi dentro.

Mi sposto velocemente nell'altra stanza. Quella donna ha lo sguardo più magnetico che abbia mai visto, come ho fatto a non accorgermene prima? Riprendo fiato. Poggio la tazza sul lavello e prendo un pentolino su cui verso dell'acqua. Poi mi dirigo a passo svelto in salotto.

Mi stupisco di trovarla in piedi a osservare la mia collezione di palle con la neve. In effetti vederne un centinaio faceva un certo effetto. E' talmente incantata da non accorgersi nemmeno del mio arrivo. Ha una gonna grigio scuro oggi. Semplice, taglio netto. La sagoma alla perfezione. La giacca va a coprire una maglia del colore delle scarpe. Orecchini e orologio impeccabilmente abbinati.

Poi guardo me stessa: maglione più grande di almeno tre volte la mia taglia, leggins un po' sbiaditi e calze con i gommini antiscivolo. Il giorno e la notte.

E' leggermente piegata in avanti e sfiora gli oggettini posti sul mobile. Mi avvicino lentamente per non spaventarla e assumo la sua posizione. Ha un profumo buonissimo. E io? Annuso il maglione che ho addosso. Meno male. Profuma di ammorbidente.

Prendo coraggio e parlo.

«Le piacciono?» dico a bassa voce. Continua a fissarli.

«Molto» si volta verso di me e rimango incollata ai suoi occhi con lei che mi fissa la labbra.

«Hanno un qualcosa di magico, non trova?» ne prende uno in mano e lo scuote davanti a me, così da far muovere la neve. Mi metto in piedi e cerco di abbozzare un sorriso ma sono decisamente in imbarazzo. E lei lo capisce ma non si allontana. Drizza la schiena dopo di me e il suo sguardo passa dalle labbra alla spalla, nuda.

«Non ha aperto il pacchetto» il suo sguardo sembra volermi mangiare (tanto per cambiare) ma nella sua voce sento una nota di incertezza, come se volesse schiarirla. Scopro una mano dalla manica del maglione, che ovviamente è più lungo del mio braccio. Lo prendo e inizio a scartarlo. Una scatolina rossa. Ansia. La apro spostando lo sguardo alternativamente da lei al pacchetto e viceversa e dato che i suoi occhi mi mettono ansia mi siedo sul divano. Almeno non rischio di cadere. Dentro la scatola c'è un barattolo. Sembra qualcosa di artigianale, non ci sono le solite etichette da supermercato. -confettura di mele- . Preso il barattolo in mano, tento di aprirlo.

«La faccio io» alzo lo sguardo, stupita.

«Non ci credo» dico io di rimando.

«Invece è vero» dice divertita, andando a sedersi accanto a me sul divano.

«Ho una casa in campagna con degli alberi di mele rosse e quando voglio rilassarmi le raccolgo e faccio la marmellata. In queste settimane ne ho fatta parecchia» si sistema la gonna con le mani, leggermente in imbarazzo.

«Le mele non erano avvelenate vero? E' un tentativo per farmi fuori?». Strizzo gli occhi guardinga e lei si mette a ridere. Quando ride la tensione nella stanza si dissipa.

«Se vuole ne assaggio un po' io prima di lasciargliela, se mi da un cucchiaino».

La parola 'cucchiaino' mi ricorda che avevo dell'acqua sul fuoco, e mi alzo di scatto.

«Il tè»'. Esclamo.

Corro verso la cucina. L'acqua è un insieme di enormi bolle e spengo veloce il fornello. Cerco le due tazze più carine che ho, sperando ci siano i piattini...no, niente piattini. Pazienza. Prendo le bustine del tè e le metto in una teiera che mi hanno regalato per un compleanno. Poi verso l'acqua. La porto in salotto per poi tornare indietro per prendere tazze, cucchiaini e zucchero, su un piccolo vassoio.

«Eccomi qui» dico prima di sedermi. Verso il tè nelle tazzine.

«Mi spiace per i piattini, ma ho rotto l'ultimo qualche giorno fa e non ho un vero e proprio servizio» la manica del maglione continua a disturbarmi e rischio di bruciarmi col tè caldo nel tentativo di spostarla.

«Vuole una mano?» Mi chiede gentilmente, seguendo tutti i miei movimenti.

«No grazie, ho fatto, ecco qui» prendo la sua tazza «quanto zucchero?». Mi fa segno “due” con l'indice e medio della mano destra e realizzo il suo desiderio.

Le porgo la tazza e un cucchiaino che lei afferra lentamente dalla mia mano. Ritrae le dita al tocco della tazza bollente.

«E' calda, le conviene lasciarla freddare un pochino>> mi accovaccio sul divano, riprendendo il barattolo di confettura in mano. Cerco di aprirlo ma senza risultato.

«Ci ha fatto sopra un incantesimo o è un semplice soprammobile»? chiedo tentando inutilmente di svitare il tappo.

«Posso provare io?» allungo la mano e solo allora noto il suo smalto. Rosso.

Poso il barattolo sulle sue mani e come se stesse svitando il tappo di una penna, me lo restituisce, aperto.

«Fantastico» dico. «Penso che non chiuderò più il tappo se ogni volta devo chiamare lei per aprirlo». Oppure posso chiuderlo ogni volta. Ma che sto pensando? Mi schiarisco la voce, prendo il cucchiaino e lo affondo nella polpa gialla del barattolo. Lo annuso prima di assaggiarne un pochino. Deliziosa. Mangio anche la restante marmellata sul cucchiaino prima di dire, estasiata:

«E' la marmellata più buona che abbia mai mangiato».

«E' la prima volta che la faccio assaggiare a qualcuno» risponde con un debole sorriso.

Il secondo cucchiaino di marmellata rimane a metà tra la faringe e l'esofago, incerta se rimanere li a soffocarmi o se scendere per liberarmi le vie aeree. La fisso incredula mentre riprendo a respirare e osservo quello che è diventato un preziosissimo barattolo.

«Lo dicevo io che voleva avvelenarmi» dico cercando di cambiare discorso.

Arriccia il naso, incerta se ridere ancora o rimanere seria. Prende la tazza di tè e ne manda giù un sorso. Sembra triste. Di nuovo. Non mi piace l'espressione triste sul suo volto (non ricordo quando ho iniziato a pensare queste cose). Si guarda intorno come una bambina. Seguo il suo sguardo cercando di capire se ho lasciato qualcosa fuori posto nei punti raggiunti dai suoi occhi. Ma il salotto è impeccabile, decisamente diversa è la mia camera da letto (che c'entra ora la mia camera da letto???).

«Mi piacciono i colori di questa stanza, si intonano con i suoi di colori» dice mentre prende un altro sorso di tè.

«In che senso?»

«Nel senso che è tutto molto chiaro e un po' retrò...i mobili sono di legno opaco, non lucido, quasi grezzo...è...calda, una stanza calda, come lei» continua a sorridere e ogni volta che allontana la tazza dalla sua bocca, asciuga il labbro inferiore con la lingua. Delicata.

«Grazie» è l'unica parola con cui posso rispondere. Non ho mai visto la mia nuova casa in questi termini. E'...una casa...i mobili della vecchia casa li ho trasferiti qui e stop. Non ho mai riflettuto su questo.

«Sono mobili che avevo preso a una fiera dopo la laurea» aggiunsi per rompere il silenzio.

«Volevo qualcosa di mio...e questi costavano poco, per cui...» mi giro a osservarli per la prima volta.

«Bene, credo sia ora di andare, sono contenta che le sia piaciuta la mia marmellata» dice alzandosi impaziente e prendendo la borsa di fianco a lei.

Non posso non notarlo. Le tremano le mani. Non so se dirglielo, non voglio metterla a disagio o in imbarazzo. Cerco così di dire di nuovo qualcosa per farla sorridere.

«Magari la posso usare per fare una crostata e sarò costretta a venire da lei a chiederle un altro barattolo di marmellata...sa, per mangiarla col cucchiaino di fronte alla tv» mi guarda un po' stupita.

«Si lo so, non dovrei mangiar tutti questi dolci, ma ne vado matta, è il mio punto debole» mi tocco la spalla nuda con la mano prima di far spallucce e sorridere. Le sue mani si stringono forte sulla borsa e poi si fermano, rilassate. Allunga la sua mano destra verso di me.

«Sarò felice di dargliene un altro barattolo allora, grazie per il tè». Faccio per allungare la mano e stringergliela e appena sfioro le sue dita...

«Ahi» dico scuotendo la mia mano mentre osservavo lei far lo stesso con una smorfia sul viso. Rimiamo qualche secondo serie e poi scoppiamo a ridere. Finalmente sorride. Intorno a noi c'è un'aria strana. Passiamo dall'imbarazzo alla complicità più profonda nel giro di qualche secondo e questo mi fa pensare.

«Siamo due donne elettriche» dice massaggiandosi le dita «avrei dovuto capirlo durante le riunioni».

«Si credo che lei abbia ragione» aggiungo spostandomi dal divano e precedendola verso l'uscita. Apro la porta. Voglio stringerle di nuovo la mano ma la sua battuta mi blocca.

«Meglio evitare altre scosse, almeno per oggi» si sposta poco oltre la porta.

«Grazie di nuovo, arrivederci».

«Arrivederci» rispondo mentre era già nelle scale. Chiudo la porta.

  
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