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Autore: Brida    12/01/2014    1 recensioni
Questa è la storia dell'infanzia e della tormentata adolescenza di Brida Cousland destinata a salvare il Ferelden dall'invasione della Prole Oscura.
Dal 5° capitolo:
"Mi fai una promessa piccola lady?"
"Una promessa?" chiesi stupita guardando il suo volto.
Quasi automaticamente fissai una delle sue tante, piccole cicatrici. Era un guerriero esperto e quelle cicatrici lo testimoniavano.
"Farai sempre ciò che ritieni più giusto, a dispetto di quello che ti diranno gli altri, me lo prometti?"
Genere: Fantasy, Malinconico, Romantico | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Altri, Nuovo personaggio, Un po' tutti
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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- Questa storia fa parte della serie 'La Custode e i suoi compagni'
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Risa, birra. Tanta birra. Tanti brindisi.

La taverna era stata chiusa, ma i parenti e gli amici più cari si erano tutti riuniti per festeggiare.
E tra loro c’ero anch’io. Non tutti sapevano esattamente chi fossi, ma tutto ciò non importava quel giorno.
Quella sera era fatta di gioia e di felicità. Nient’altro contava.

“Un brindisi a noi, alla grande impresa!” gridò qualcuno e io d’istinto sollevai il bicchiere.

C’erano anche Alfred e Lya. Pure la bella salvatrice, Helena, che Frank guardava sognante, senza riuscire a spiccicare parola .
Le lanciai uno sguardo di riconoscenza che lei contraccambiò.
Forse mi aveva riconosciuta, doveva avermi vista durante il ballo al castello, ma aveva scelto da che parte stare e sapevo avrebbe mantenuto il segreto. Non le importava scombussolare la mia vita, non le importavano più segreti e sotterfugi.
Non avrebbe mai voluto ascoltare la mia storia e farsi carico delle mie bugie, quindi potevo fidarmi della sua discrezione. D’altronde neanch’io volevo sconvolgerle l’esistenza.
Volevo che lei vivesse in pace, volevo che tutti vivessero in pace. Ora.
Mi sedetti in un angolo della sala a guardarli tutti.

E col sorriso sul volto mi sentii un attimo sopraffatta da oscuri pensieri.
Avevo di fronte a me Kai, Steve, Lore e Flie, liberi e allegri, che festeggiavano tutti insieme, eppure non riuscivo a fare a meno di pensare alle mille promesse che mi ero fatta.
Di allontanarmi, di lasciarli stare.
Che diritto avevo io di scombussolare le loro vite? E sarebbe mai finita?

“Tutto si è sistemato per il meglio, eppure voi siete triste” una voce mi interpellò, ormai la conoscevo bene.

“Alfred” sorrisi sconsolata.

“Non sono triste, sono pensierosa” gli spiegai seguendo con lo sguardo i festeggiamenti, gli scherzi, le canzoni stonate e i balli sui tavoli.

“Lo so cosa state pensando. Il tuo mondo può divenire crudele con chi non ne segue le regole” mi comunicò serio.

“Avete intenzione di continuare quello che avete iniziato?” mi domandò scrutandomi intensamente.

‘E io verrò da te. Sempre’ ripensai alle parole che gli avevo sussurrato, non molto tempo fa. A Jack.

 “Ho promesso tutte cose che non posso mantenere. Ho promesso di restare e di andarmene, e ora non so cosa fare” con un filo di voce confessai.

A Kai e agli altri avevo detto che sarei uscita dalle loro vite per sempre, una volta conclusasi questa storia, eppure ora non riuscivo a prendere una decisione, e quella serata mi pareva sempre meno luminosa e piena di felicità, rispetto a come sarebbe dovuta essere.

“Dovete fare quello che è giusto, dovete chiudere il cuore e usare la mente” lo fissai sconvolta che mi avesse detto certe cose.

Pensavo, speravo almeno, che avrebbe incoraggiato il mio amore, non so perché, insensatamente.
Ma evidentemente non era possibile.
Alfred aveva accettato di negarsi un figlio in nome della logica, io… potevo perdere chi amavo?
Girai lo sguardo attraverso la sala, persa.

Il cuore mi batteva all’impazzata.

Dovevo fuggire? Dovevo fuggire…
Volevo solo scorgere i suoi occhi.
Ancora, un’ultima volta.

Lo sguardo divenne buio mentre ricordi di poche ore prima mi scivolavano dentro.
Chiusi gli occhi appena prima di ritrovarli immersi nel suo volto.
Dovevo fuggire ancora?

Nascondermi, scivolare nell’oscurità e, semplicemente… scomparire?
 

 
 
Prima…
 
 
“Brida, ma dove eravate scomparsa?”.

“M-maestro Aldous” imbarazzata balbettai.

Era davanti alla porta della mia stanza, con una pila di vecchi libri in mano, e uno sguardo infuriato.

“Volevo portarvi qualche libro per passare il tempo, ma a quanto pare non siete così ammalata come vostra madre mi ha fatto capire” mi redarguì.

“Ho solo fatto quattro passi per il castello” lui lanciò uno sguardo alla mia cappa marrone.

“E anche nei giardini” mi inventai.

“Nan è tutta la mattina che urla contro al vostro Mabari perché crede che voi siate troppo stanca per occuparvene. A quanto pare si sbaglia” commentò.

Io mi limitai ad alzare le spalle con un mezzo sorriso stampato sul viso.
Lui scosse la testa e mi fece entrare nella stanza. Io trafelata mi tolsi la cappa e mi buttai letteralmente sul letto, sorridendo ancora di più.

“Maestro Aldous perché mi date del voi? Mi conoscete da quando ero solo una bambina”.

“E allora leggevi spesso e mi ascoltavi. Più o meno…” mi sgridò, ma scorsi nel suo volto segnato dal tempo un debole sorriso che mi diceva fosse ironico.

“Maestro voglio che prendiate questo libro”  mi alzai in piedi di scatto e mi avvicinai allo scaffale dove erano riposti alcuni testi.

Senza esitazione presi tra le mani La Leggenda di Calenhad.

“L’ho letto e… non mi serve più” sopra alla pila che teneva tra le mani aggiunsi anche quello.

“Curioso che tu me lo consegni proprio oggi, il giorno del processo”.

“Ah sì?” domandai.

“Ho sentito che la ragazza che è scomparsa, quella che non riescono a trovare, si facesse chiamare Shayna” mi spiegò.

“Che scelta bizzarra” mi spostai verso la finestra.

“Già… Chissà dov’è ora. Almeno il processo si è concluso e pare che sia stata presa la decisione giusta. Gli uomini innocenti sono stati liberati e le guardie sono alla ricerca della donna che li accusava, quella che ha causato tutto questo caos”.

“Speriamo la riacciuffino presto” lanciai uno sguardo fuori dai vetri, verso il cortile, ora vuoto.

Niente sangue bagnava la forca, niente lacrime o grida di dolore si erano avvertite in quella mattinata.
La donna era sfuggita, insieme alle carte che la inchiodavano, le quali Helena non aveva mai osato leggere, così mi aveva brevemente spiegato Jack, ma almeno Kai e gli altri erano stati liberati.

 E solo questo importava.

I segreti di Aisha erano rimasti tali, non avrei mai scoperto chi l’avesse protetta e aiutata, nonostante avessi dei sospetti.
Quello che contava però era che nessuno fosse morto, nessuno dei miei amici si fosse fatto male.
Mi lasciai scappare un sospiro di sollievo e passai poi la mia lingua sulle labbra secche.

Sapevano ancora dei suoi baci.

“Certo, ti sei persa uno spettacolo di quelli che ti sarebbero sicuramente piaciuti. Io non ero sul palco con i tuoi genitori, ma mi hanno detto che il processo è stato particolarmente… sorprendente!” sorprendente era dir poco.

In un attimo le sorti di Kai, Steve, Lore e Flie si erano capovolte.
Jack li aveva salvati, e tutto questo per un colpo di fortuna.
Lui e Alfred avevano deciso di fare qualche domanda in più alla ‘Luna di Giada’ la sera prima e avevano così scoperto che non tutte le ballerine avevano prenotato una stanza lì.

Trovare Helena non era stato semplice e neppure lo era stato convincerla a schierarsi dalla loro parte, ma infine, proprio all’ultimo momento, erano riusciti a far breccia nel suo cuore e a portarla al processo per testimoniare contro Aisha.
Un colpo di fortuna o meglio una grande impresa che Jack era riuscito a compiere praticamente da solo.

Era davvero un ragazzo pieno di risorse di coraggio.
A differenza mia che sapevo solo scappare di fronte al pericolo.

“Maestro io vorrei un attimo riposarmi. Lasciatemi qualche libro, mi è venuta voglia di leggere” tornai al centro della stanza.

‘Tutto tranne la Leggenda di Calenhad’.

Chissà se avrebbero ancora cercato Shayna, una ragazza che nessuno conosceva e che nessuno desiderava così tanto cercare.
Nessun parente, nessun amico.
Shayna era scomparsa e probabilmente lo sarebbe rimasta per sempre.
Il suo tempo era finito.

“Ti lascio questi due, anche se non sembra che tu abbia davvero bisogno di riposarti” il suo sguardo indagatore, un po’ storto, si posò su di me.

“Ma che dite Maestro?” gli domandai con uno sguardo falsamente sconvolto.

“Io sto malissimo!” continuai la mia recita scoppiando a ridere e scivolando poi sul letto, come fingendo di star svenendo.

“Certo…” grugnì lui prima di uscire dalla stanza richiudendo la porta dietro di sé.

Io risi, risi ancora.
Ancora e ancora.

Presi un libro tra le mani e davvero cominciai a leggerlo in attesa che tramontasse il sole.
Allora sarei ancora sgattaiolata fuori e avrei urlato al mondo la mia felicità.
Io desideravo solo quello.

Volevo essere felice.
 
 
 
 
Ora…
 

Perché non riuscivo ad essere felice?
Perché per una sera non potevo accantonare decisioni e ansie inutili?
La testa mi girò per un attimo, poi avvertì una pressione sul palmo della mia mano.

“Ehi, va tutto bene?”.

La sua voce.
Alzai lo sguardo.

“Jack” sussurrai e gli sorrisi forzatamente.

“Ho una sorpresa per te, dobbiamo uscire però”.

“Ti seguo. Lucky” richiamai il mio fedele Mabari, che mi venne dietro scodinzolando.

Come faceva sempre.

Uscendo dal locale avvertii come l’aria fosse ormai diventata quella tipica di inizio estate.
Quella che ti preannuncia l’avverarsi dei tuoi sogni e dei tuoi desideri.

Sembrava quasi mi stesse prendendo in giro.

Mano nella mano, silenziosamente, lo seguii.
Non gli chiesi dove stavamo andando perché ne riconobbi la strada.
Verso la Chiesa, con le grandi mura di pietra che ci aveva nascosti per molto tempo.
Ma stavolta lui deviò, leggermente. E si fermò improvvisamente.

“Perché ci siamo fermati qui?” gli chiesi confusa.

Eravamo di fronte all’entrata principale, ora chiusa, mentre le stelle luminose risplendevano sopra alle nostre teste.

“Pensavo volessi portarmi dietro” con una mano indicai il percorso che di solito seguivamo per raggiungere il retro dell’imponente struttura.

“No, non voglio nascondermi” mi confessò con aria seria, scostando dal mio viso una ciocca di capelli bruni.

“E’ qui che voglio portarti, Brida. Voglio entrare con te, in quella Chiesa, molto presto.
Voglio pronunciare solenni promesse e voglio rimanerti accanto. Per sempre.” non riuscivo a credere alle sue parole.

Io stavo meditando di andarmene, di liberarli tutti della mia presenza e lui… lui mi chiedeva di sposarlo?
Mi immaginai in un attimo di fronte a mia madre.

‘Non mi sposerò mai con Thomas… perché sono già sposata’. Mi sembrò folle, pazzesco.

Vidi nella mia mente lo sguardo sconvolto della mia famiglia, lo sguardo di Tom.
Tom. Le sue parole, così simili.

“Voglio solo… rimanerti accanto”.

Avrebbe mai capito? L’avrebbe mai fatto?
 

 

Prima…
 
 
“Sì?” qualcuno aveva bussato alla porta e dovetti interrompere la mia lettura.

“Sono io, Thomas”.

‘Thomas?’.

Non si era mai spinto a venire a chiamarmi direttamente in camera.
E la cosa mi parve molto strana, improbabile.
Richiusi il volume e mi avvicinai alla porta.

La aprii “Che succede?” gli chiesi senza troppi giri di parole.

Io e lui, a livello teorico, eravamo ancora in rotta, seppur erano successe così tante cose da quando avevo deciso di troncare la nostra amicizia.

Uno sguardo serio e preoccupato si materializzò sul suo viso “Tua madre mi ha detto che non ti sentivi molto bene… Volevo tirarti su di morale” mi sorrise e mi offrì delle rose che teneva nella mano sinistra.

“Ricordi?” continuò.

“Le rose appassiscono ma il tuo ricordo rimane” sussurrai piano.

Era il primo verso della canzone che gli avevo fatto sentire, non molto tempo prima, quando ero ancora Shayna e cantavo sempre, nascosta nel roseto.

Un’eternità fa.

Guardai le sue rose e mi sembrarono fin troppo eloquenti. Era venuto per dichiararsi per caso?
Ero stufa di evitarlo, di far finta che lui non esistesse, solo per sfuggire a questo momento.
Avevo detto a mia madre cosa pensavo, se anche lui si fosse dichiarato io gli avrei risposto.
Non avevo più paura di dirgli di no.

“Thomas, ascolta… io…” cominciai ma lui subito mi bloccò.

Parve avere un’aria allarmata.

“Senti, posso entrare un attimo? Ti devo parlare” avrei dovuto dirgli di no, sapendo già dove sarebbe voluto arrivare. Ma non lo feci.

Vedevo una strana preoccupazione riflessa nei suoi occhi e nonostante fossero centinaia le ragioni per le quali io lo dovessi detestare, considerato anche le implicazioni che suo padre poteva aver avuto nella questione di Aisha, mi feci da parte e gli permisi di varcare la soglia.
Lui appoggiò le rose su un ripiano che sporgeva dal muro.
Io lo guardavo senza capire.

“Non so come iniziare” mi confessò.

“Io ti devo dire una cosa, una cosa molto importante. Riguardo ad oggi e a quest’ultimo periodo” gli tremava la voce.

Tutto lasciava pensare al fatto che mi volesse dire qualcosa di romantico, ma sentivo che non lo era.
I miei occhi brillarono. Voleva dirmi di suo padre, me lo sentivo, di Aisha e di tutte le terribili cose lui aveva pianificato, forse per colpire me.

Mi avvicinai a lui “Dimmi tutto Thomas, ti prego”.

“Io oggi ero al processo e ho visto una cosa magnifica” i suoi occhi erano quasi lucidi, trasparenti come l'aria.

“Un gruppo di amici, uniti, che sono riusciti a salvare degli innocenti e a portare a galla la verità”.

Si fermò un attimo e poi riprese.

“Non so cosa sia accaduto, non so cosa ci abbia allontanato, ma non voglio che la nostra amicizia finisca. Non senza prima parlarne” rimasi a bocca aperta nel sentirgli pronunciare questo.

Abbassai lo sguardo.

“E’ da un po’ che cerchi di evitarmi ma… io ci tengo davvero a te” piano piano le sue guance si arrossarono.

“Ci tengo davvero, Brida” e con un gesto involontario sfiorò il ciondolo che portava al collo, un mio antico regalo.

Le rose appassiscono ma il ricordo rimane.

Mi sbagliavo, voleva parlarmi dei suoi sentimenti, non di suo padre.
Ma non mi fece arrabbiare questa cosa, anzi.

“Ti prego, dimmi come posso rimediare”.

Rimasi un secondo a rimuginare, colpita dal tono sincero che dimostrava quanto lui davvero mi volesse bene.
Non era solo un giochetto di suo padre, Tom non sapeva mentire così bene.
Era venuto lì di sua spontanea volontà, ne ero sicura.
E non potevo essere arrabbiata con una persona che ci teneva così tanto a noi, alla nostra amicizia.

Non lo amavo, non volevo sposarlo, ma perché distruggere quello che c’era di così prezioso tra noi, un rapporto di amicizia che durava da una vita, solo a causa dei miei genitori e di suo padre?
Ero stufa di sottostare alle loro regole, ora volevo giocare con le mie.

“Thomas” mi avvicinai velocemente e per la prima volta in vita mia lo abbracciai.

“Hai rischiato la vita per me contro un orso e mi hai sempre sostenuto, mi sei sempre rimasto vicino” Thomas era diverso da suo padre e per questo sentivo anch’io di tenere davvero a lui.

Lui ricambiò l’abbraccio.

“Perdonami se ti ho trattato male ultimamente “ mi staccai dal suo petto notando che era diventato tutto rosso in volto. Ignorai la cosa.

“I miei genitori, i nostri genitori, mi mettono sempre sotto pressione e io non voglio questo. Capisci? Odio le imposizioni e le regole, dovresti saperlo bene anche tu” ridacchiai e pure lui lo fece.

“Io non voglio che tu ti senta soffocare, voglio solo… rimanerti accanto” mi disse dolcemente.

Non so cosa provasse davvero lui per me, forse era più di amicizia.
Ma non volevo comunque ferirlo, non volevo fargli male.
Non volevo sposarlo, ma nemmeno dimenticarlo o perderlo.
Volevo averlo accanto, come amico.

“Anch’io” sorrisi.

Rimanemmo per qualche secondo così, senza dirci nulla.

“Che ne dici di sgattaiolare in cucina e mangiare qualcosa di nascosto? Non ho messo in bocca nulla per pranzo e ora muoio di fame” gli proposi.

“Ma non stavi male?” mi domandò.

Lo presi per mano “Sì, beh… più o meno” e facendogli l’occhiolino lo trascinai via con me.

Aprii la porta di scatto e lasciai che sbattesse nel richiudersi.

Non vidi la folata di vento che questa mia azione generò nella stanza, non vidi che una rosa si era separata dalle altre e stava cadendo, lentamente, dal ripiano sul quale Thomas l’aveva appoggiata.

Non la vidi toccare il pavimento e scivolare vicino all’uscio della camera, pronta quasi per sfuggire da quella gabbia, per raggiungere la libertà che si trovava dall’altra parte.
Ma no, non era possibile. Degli spifferi che penetrarono da sotto la porta le impedirono di raggiungere il mondo che stava al di fuori, la fecero scivolare indietro, la stropicciarono.

Andò a sbattere contro un lungo armadio, scivolò rasente al muro e colpì anche una gamba del letto.
Poi, finalmente, si fermò in mezzo alla stanza.
Rimase lì, per molto tempo, sola.
Ad attendere che qualcosa accadesse.
Lei, la rosa più coraggiosa, che era riuscita a separarsi dalle altre, rimase immobile per molto, molto tempo. Ma poi davvero qualcosa cambiò.

L’uscio di nuovo si spalancò e una domestica entrò.

Quella mattina Rose, così si chiamava la ragazza, aveva un forte mal di testa e si era pure dimenticata di pulire e lucidare le sue scarpe.
Probabilmente a causa della bravata che aveva combinato la sera prima con Jenny.
Aveva deciso di dimenticare Tray, quello stupido di Tray, ridendo tutta la notte e buttando giù  qualche sorso di troppo dell’idromele che si trovava riposto nelle cantine del palazzo.
Nessuno l’avrebbe mai scoperto.

Fu così che avvenne, fu così che la rosa andò contro al suo destino.

Venne calpestata da delle suole sporche di terra che frettolosamente si muovevano da una parte all’altra della stanza.
Perse i suoi petali e si ritrovò sgraziata, piena di fango, senza più nulla di bello che la potesse far splendere.

Era diventata un semplice gambo, pieno di spine, infelice e privo di vita.

Ma io non vidi tutto questo, io non seppi del destino della rosa.

E non conoscevo nemmeno il mio.



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Capitolo molto particolare :) Si fanno un po' di salti temporali per esplorare dei momenti chiave della giovinezza della nostra Brida. 
L'amore, l'amicizia, la paura, il senso del dovere. Tutti intrecciati nella vita della nostra eroina. 
La parte finale, dedicata alla rosa, è un indizio, o forse solo una metafora che può ritrovarsi definita in questa storia in più modi, in più personaggi e situazioni. 
E' la descrizione della vita, quella che ci separa dal gruppo, ci fa sentire speciali, e poi ci punisce. Può capitare, può non capitare. 
Ma quando succede nulla è più come prima. :)

Alla prossima settimana!

 
  
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