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Autore: Eryca    13/01/2014    10 recensioni
Mattia è cieco. Ed è forse per questo motivo che si è innamorato di Filippo: i suoi occhi vedono aldilà del fatto che sia una persona del suo stesso sesso. Vedono l'anima.
Mattia è cieco, ma forse l'unico vedente in un mondo fatto di apparenze.
Genere: Introspettivo, Romantico, Sentimentale | Stato: completa
Tipo di coppia: Slash
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Contesto generale/vago
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Quello che vedo

(sei tu)

 

 

Alla zia Vera,
perché sa cosa significa avere
il fardello della diversità
solamente perché
si vede oltre.

 

 

 

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«Per un caso di cecità fisica, se ne hanno mille di cecità morale.»

Arturo Graf

 

 

*
*
*

Mattia è cieco.

I suoni e gli odori, nel suo mondo, sorgono dalle tenebre più profonde per indicargli la via. È la voce di sua mamma, che lo ha strappato dal buio per portarlo tra le sue braccia. L’universo di Mattia  è sempre stato nero, fin dal suo primo ricordo; non vi è mai stato un colore, solamente sfumature di chiaro qua e là. Quando le persone gli domandano se ha mai visto un colore, Mattia non sa bene cosa rispondere: lui nemmeno sa cos’è un colore. A quel punto, solitamente, gli estranei iniziano a mugolare e ad accarezzargli dolcemente la spalla, magari integrandoci un “povero, caro”. Mattia non è un povero caro, ma uno studente universitario di venticinque anni, che spera di potersi laureare in fretta e poter fare carriera: un povero illuso, piuttosto, come tutti i suoi coetanei.

La vita di Mattia è andata avanti tra visi raccontati dalle voci e dal tatto, tra ostacoli scampati grazie all’aiuto di amici e splendidi paesaggi che non ha potuto vedere. Questo è ciò che pensano gli altri. Questo è quella che tutti pensano sia la sua triste ed opprimente vita di andicappato.

Ma la verità è che il mondo di Mattia è fatto dal suono del vento la mattina presto, dal tintinnio dei bicchieri e delle posate, dal rumore dei passi del micio di sua mamma, dalla dolce melodia composta dalle pagine dei libri girate, dal profumo intenso del polline in Primavera, dall’odore personale che ognuno di noi ha, dal gusto dolcissimo di una fragola che si scioglie in bocca…

Mattia se le gusta, queste sensazioni. Le sente sotto il palato, nelle vene, lascia che scorrano dentro di lui come ruscelli di montagna. E così nel suo nero più profondo riesce ad intravedere delle sfumature di grigio, dei puntini quasi bianchi.

Non è vero che non vede, Mattia. Lui vede tutto ciò, lo vede così bene che la gente rimane sbalordita quando glielo fa notare. Ma allora a che cosa serve vedere il colore del sole, del cielo, dell’erba, se poi non si vede questo? Se lo chiede spesso, Mattia. Si chiede come sia possibile avere la fortuna di poter vedere il mondo, ma non riuscire a vederlo per davvero.

 

 

-           

 

Mattia ode il rumore del pulitore dell’acquario provenire da sinistra. Accanto a lui, sente il calore del corpo di sua madre avvolgerlo, in quel modo che avviene solo con lei: non potrebbe confonderla con nessun altro. Più basso e lontano, si sente una voce di uomo.

«Credo che abbiano finito, caro.» Sua mamma gli tocca dolcemente la mano e il calore si fa più intenso, segno che si è avvicinata a lui per parlare. Annuisce e le sorride.

Sono tutti uguali gli studi medici: odore di medicine e disinfettante, pazienti che tossiscono o si soffiano il naso, mani che sfregano tra di loro producendo un suono fastidiosamente impercettibile, la penna della segretaria che – sicsicsic – scrive sull’agenda degli appuntamenti. I rumori, gli odori sono sempre gli stessi, tanto che Mattia ha imparato a riconoscere subito quando entra nello studio di un dottore. E anche questo, come tutti gli altri, porta il marchio di fabbrica. L’aria sa così tanto di deodorante di pessima qualità, quelli che si trovano negli scaffali delle offerte, che Mattia ne è nauseato. Le persone intorno a lui non sembrano accorgersene, proprio come si aspettava: la vista esclude l’attenzione ai dettagli, Mattia l’ha capito ormai da anni. Ha capito che se puoi vedere ciò che ti circonda, non hai bisogno di attivare tutti i tuoi sensi per capire un po’ il mondo. Ha anche capito che se puoi vedere ciò che ti circonda e non hai bisogno di attivare tutti i tuoi sensi per capire un po’ il mondo, ti perdi un’infinità di piccoli e splendidi dettagli.

D’un tratto, il rumore di una porta che viene aperta sovrasta tutto il resto e Mattia si mette sull’attenti, sicuro che tra poco sarà il suo turno.

«Non si preoccupi, signora Rossi. Ci vediamo per la visita di controllo.» È una voce, quella che sente. Una voce calda, bassa e un po’ roca, come se nella gola dell’uomo ci fosse qualcosa che intralciasse l’uscita del suono. Una voce di quelle che ti avvolgono e ti danno la sensazione di tepore, di calda protezione. È una voce che rilassa, che coccola. È una voce così, ecco.

«Hm... Vediamo... Granato?»

E Mattia pensava che non fosse possibile pronunciare il suo cognome in quel modo, proprio così, con quella r marcata al punto giusto e la o chiusa. Suona proprio bene, detto così: Granato. Si alza, quindi, il signor Granato e – sua mamma lo segue, sente la sua presenza – va in direzione della voce. Come sempre, Mattia incespica in quel buio infinito, tentando di percepire – cazzo, la sedia! – lo spazio in cui si destreggia. La mamma arriva in soccorso e, prendendogli dolcemente la mano, lo porta verso la retta via (grazie, mamma, ti devo un favore). La retta via più bella che ci sia, perché il calore che emana il corpo che ora sta dinanzi a lui – lo sente, lo sente – è diverso da quello delle altre persone. È un calore dolce, dolcissimo, con un pizzico di freschezza, di brivido... È  cioccolato alla cannella, ecco. Un calore di cioccolato alla cannella. È così che lo descriverebbe Mattia. Cioccolato alla cannella, sì.

«Buongiorno. Lei deve essere il signor Granato, giusto?» E Mattia vorrebbe dirgli che sarebbe disposto ad essere chiunque, chiunque egli voglia, perché ad una voce del genere non si può resistere, non si può non seguirla, una voce così. Improvvisamente una mano tocca la sua – scossa – intrecciando le dita con le sue, stringendo. È una stretta di mano cordiale, da dottore, da professionista, sì... E allora perché ha smesso di respirare, Mattia?

«Sono io, sì, Mattia.» Non lo vede, ma lo sente, quel sorriso che il medico sfodera. Lo sente sulla sua pelle, lo sentono i suoi peli che si rizzano. Il dottore li fa accomodare nello studio, sua madre gli indica la strada verso la sedia e lui ci si siede. Sta lì, i quattro sensi che ha a disposizione all’erta.

«Allora, Mattia, per quale motivo hai richiesto una visita con uno specialista?»

Vorrebbe suggerirgli di leggere la cartella clinica e allora vedrebbe che lui sì che ha bisogno di un bravo oculista, di uno specialista, di uno come si deve. Ecco perché è lì. (Ed è un complimento, mio caro dottore dalla voce suadente.)  

«Io non ci vedo. » Deve averlo detto con una voce infantile, perché la risata del dottor De Paoli gli accarezza il corpo dolcemente. Se solo potesse vederci, Mattia adesso starebbe tentando di imprimersi nella memoria ogni piccolo particolare del viso del dottore, ogni neo, ogni lentiggine. Ma già si sa, Mattia non ci vede, è lì per quel motivo. Così rimane in silenzio, tentando di non arrossire troppo per la figura da stupido, memorizzando ogni colpo di tossa, ogni odore, ogni suono che il corpo del medico trasmette. Non può fare altrimenti, Mattia: lasciarmi colpire totalmente da quelle sensazioni, è l’unico modo che ha per ricordare.

«Sì, questo lo sapevo già.»

La visita va avanti senza altri incidenti e non vi è niente di particolarmente memorabile, non ha nulla che un’altra normale visita medica non abbia. Tranne lui, certo. Lui che gli tocca il viso, le palpebre, gli apre gli occhi (non cambia nulla, dottore, non vedo lo stesso) ed ogni volta è un po’ di cioccolato alla cannella nelle sue narici. Il verdetto è che la patologia di Mattia è sotto controllo, è una semplice cecità dalla nascita, ma è meglio programmare delle visite periodiche, in modo da essere certi che non ci siano peggioramenti. Stranamente, Mattia è più che d’accordo. Si accomiatano in quel modo rigorosamente formale che è degno di un professore, ma la stretta di mano se la gode proprio, il signor Granato. La assapora.

Quando sono fuori dallo studio, la mamma inizia con il suo sproloquio sulla sua malattia, per concluderlo con un: «Non è estremamente carino, il dottore?»

Estremamente, mamma, sì. Solo che la mamma e Mattia stanno dando due significati diversi al termine, ma è meglio non dire niente e stare in silenzio.

«Abbiamo appuntamento tra un mese.»

E per un mese, Mattia non farà altro che aspettare. Aspettare quel cioccolato alla cannella.

 

 

-           

 

Passa un mese. E passa anche la visita. Passa un altro mese. E passa anche la seconda visita. E poi un altro mese ed uno ancora, e poi una visita, e un altro mese ed una visita ancora. Ed è sempre cioccolato alla cannella il profumo che invade le narici ed il cuore di Mattia, che continua a chiedere controlli su controlli perché mi scusi, dottore, ma non sono tranquillo, altrimenti. E il dottore lo scusa, gli fa sentire il suo bel sorriso e gli fissa l’ennesima visita. E Mattia non può fare a meno di sentire quel suo calore tanto particolare, non riesce a respirare quando entra in quello studio che sa tanto di lui, non può non arrossire quando lui si avvicina per controllargli gli occhi.

È quel calore, che lo fotte. Quel calore che lo costringe a tornare lì ogni mese, per sentire ancora un po’ la sua pelle scaldarsi, per sentire la sua vicinanza, per... sentirlo.  

Sta seduto sulla sedia della sala d’attesa, i rumori familiari a riscaldargli le orecchie, mentre sua madre lo saluta, dicendogli che ora deve scappare perché l’hanno chiamata dal lavoro, di non preoccuparsi che lo torna a prendere tra un po’. Mattia non si preoccupa affatto, però. Almeno non di lei e del suo problema di lavoro. Attende. Attende chissà poi cosa, il calore per cui tanto smania, la stretta di mano, la voce roca. Mattia non lo sa, per cosa attende di preciso. Ma lo fa.

Lo fa e arriva il suo momento, quando il cigolio della porta che viene aperta gli indica che il paziente che lo precede se ne sta andando, che adesso il dottore pronuncerà il suo nome in quel modo e che gli stringerà la mano, in quel modo.

«Buongiorno, signor Granato. È un piacere rivederla» dice la voce quando si sono accomodati nello studio, Mattia seduto sulla sedia con i braccioli, quella di pelle nuova (lo si sente dall’odore).

Oh, no, mi creda. Il piacere è tutto mio. Sorride in direzione della voce, Mattia, e ancora una volta vede che nel suo immenso universo di oscurità entra in scena una strisce di colore diverso, meno nero e più forte, più dolce; non sa di preciso che colore sia, forse il bianco, quello di cui tutti parlano. Sì, sarà il bianco. È sempre una sorpresa, questo luccichio, anche se non è la prima volta che succede, da quando è in terapia dal dottor De Paoli.

«Allora? Ci sono dei cambiamenti? No? Controlliamo, che ne dice?» Parla con il solito tono cordiale e amichevole, il dottore: non troppo distaccato, non troppo confidenziale. È un tono di voce perfetto per un medico, davvero, Mattia ne è sicuro, dovrebbero adottarlo tutti i dottori del mondo, i pazienti sarebbero più soddisfatti.

«In realtà c’è qualcosa.»

Mattia sente lo strusciare dei pantaloni del dottore, mentre si risiede sulla sedia, dopo essersi appena alzato. Ed è sempre tutto nero, nella sua visuale, ma niente è più nero, perché Mattia lo sente, il dottore. Lo sente lì, davanti a lui.

«Sì, mi dica.»

«Mi dia del tu, per favore.» Proprio non la sopporta quella convenienza formale, dopotutto è più giovane del medico di almeno un paio d’anni. E poi lo vorrebbe più vicino, il dottor De Paoli.

«Va bene, Mattia. Dimmi.»

Non ha detto “Mattia”. Ha detto Mattia, con la doppia “t”, senza dimenticarsi la “i” e mettendo al posto giusto la “a” finale, come un perfetto epilogo. Mattia.

«Succede, in particolari situazioni, che nel mio tunnel buio ci sia un barlume di chiaro... come dei puntini un po’ meno neri.» Lo dice e poi tace. Lo dice, tace e ascolta il rumore delle mani del dottore che sfregano l’una contro l’altra, in segno di concentrazione. Il resto è silenzio.

«In particolari situazioni? Cioè?» De Paoli si informa, da bravo medico domanda al paziente i sintomi del suo malanno. Sprigiona il suo dolcissimo calore corporeo e attende risposta. A Mattia piace quel silenzio fatto di cioccolato alla cannella.

«Cioè quando sono accanto a Lei, dottore.» Sì, è proprio così che succede: il calore di De Paoli entra nel suo spazio vitale e nel suo nero scoppiano quegli schizzi di flebile luce, in corrispondenza del corpo del dottore. Mattia non sa che cosa sia, ma per la prima volta nella sua vita può dire di vedere qualcosa. Che sia luce, bianco, chiaro, sfumatura, non gli interessa, perché Mattia sa che cos’è: è lui, il dottore. Mattia lo vede.

«Signor Granato, io...»

«Mattia.»

«... Mattia. Io non capisco.»

Neanche Mattia (in corsivo, lo dice in corsivo, il dottor De Paoli) capisce, forse anche meno di Lei, ed è per questo che è seduto sulla poltrona, perché non capisce ma lo vede e ne ha bisogno. L’unica cosa che Mattia inizia a comprendere è che il dottore gli piace.

«Non c’è nulla da capire.» Ed è vero, non bisogna capirla l’irrazionalità, è questo che gli hanno sempre spiegato, è quello che le audiocassette della Disney mormoravano nelle cuffiette: segui il tuo cuore. È che al dottore gli hanno insegnato i numeri, la logica, la scienza e la passione non è di casa, per lui.

«Sono un uomo, io.»

Oh. Per un solo istante, i pensieri di Mattia smettono di turbinare nella mente e si mettono sull’attenti. Non ci avevo pensato, prima d’ora, al fatto che il dottore non aveva una voce d’angelo, una sensuale voce di donna fatale. No, era una voce roca e profonda, una voce bassa, a volte con dei picchi di tonalità, ma pur sempre mascolina. Era un uomo, il dottore, proprio come lui. Oh.

«Non ci avevo fatto caso. Non che cambi qualcosa, non fa molta differenza per me. Sa, io non la vedo. Io la sento.» Lo vede a modo suo, Mattia. Lo vede con il calore del corpo, con i barlumi di bianco, con i brividi sulla pelle e la rilassatezza. Ecco come lo vede, Mattia. Lo sente.

C’è silenzio assoluto nella stanza, eppure Mattia sente distintamente il suono nevrotico delle unghie del dottore che vengono maciullate dai suoi denti.

«Cosa Le fa pensare che a me piacciano gli uomini?»

Sorride, allora, Mattia. «Assolutamente nulla... prima di questa sua domanda.»

Mattia non ci aveva proprio pensato al fatto che il dottore non fosse un bella donna formosa. Aveva solo pensato che quella voce era bella, che quel calore era ancora più bello e quella gentilezza lo spiazzava a tal punto che aveva voglia di abbracciarlo, il suo medico.

Il suo medico che non risponde e c’è solo il ticchettio dell’orologio a muro, sulla sinistra. Però Mattia li sente i battiti del cuore del dottore: bisogna mettersi in ascolto, certo, e se non si fa attenzione non li si sente, ma la sua tecnica è affinata. Fa tum-tum il cuore del dottore.

«Ci vuole uscire con me, dottor De Paoli?»

Silenzio. Tum-tum. Silenzio. Tum-tum.

«Sta scherzando, Granato?» A Mattia piace scherzare, gli mette allegria, e le risate trasmettono calore, così Mattia può sentire le persone che gli stanno accanto, può sentire le loro emozioni.

«No.» Ma non sta scherzando, no.

Sembra che la loro conversazione si sia trasformata in un gioco di rumori silenziosi, di chi riesce a parlare il meno possibile e fare le pause più lunghe, perché il dottore non risponde di nuovo, sta lì senza dire nulla, così: tum-tum.

«Okay.»

Una sola parola, nemmeno italiana, straniera, una parola stupida, una di quelle che se l’avesse detta qualcun altro, Mattia avrebbe scrollato le spalle. Ma l’ha detto il dottore e l’ha detto a lui, ha detto che okay ci uscirà con lui.

«Okay» ripete Mattia. E lo sente il cioccolato alla cannella sprigionato dal sorriso del dottore.

 

 

-           

 

Non c’è profumo migliore di questo, pensa Mattia, seduto al tavolo della caffetteria Sant’Angelo.

Di fronte a lui, il dottor De Paoli, accompagnato dal suo indistinguibile calore di cioccolato alla cannella, quello che li ha portati a quel punto.

«Amo l’odore del caffè: rimane nell’aria per ore. Sa di casa.» Parla ad alta voce, Mattia, con un tono distante, di qualcuno che è perso nel suo mondo e, in effetti, è proprio nel suo universo di odori e sapori, che Mattia sta volando in quel momento. Solo che ci sta portando anche il dottore.

«Ore?» È un uomo curioso, quello che sta di fronte a lui, Mattia lo sa ed è per questo che sorride in direzione della voce.

«Ore, sì. Bisogna solo farci caso.» Mattia conosce già la risposta che il medico gli darà, perché anche lui, nonostante tutto, ci vede. E chi ci vede, proprio non ci vede.

«E io non ci faccio caso» dice, infatti.

Mattia si porta la tazzina alla bocca, lasciando che la bevanda calda scenda lungo la gola, aromatizzando tutto il suo organismo con quel gusto inconfondibile ed ineguagliabile. Proprio lo adora, il caffè. Sente che il dottore ingoia – è un suono particolarissimo quello del deglutire, Mattia ha imparato a riconoscerlo solo dopo anni di allenamento.

«Non è colpa tua. È colpa della tua vista: è meno sviluppata della mia.»

Ride, il dottore. Ride e Mattia si abbandona alla ventata calda di quella manifestazione, perché la risata del dottore è proprio un vento tiepido di primavera, uno di quelli che ti scaldano il cuore, ma senza farti sudare. È un dolce tepore, proprio come il suo calore corporeo. Non è una risata sguaiata e fastidiosa come quella di molte persone, no... è discreta. Discreta e dolcissima.

«Come si chiama, dottor De Paoli?» Il tintinnio del campanello che indica l’entrata di un nuovo cliente attira l’attenzione di Mattia, che torna velocemente ad interessarsi del suo medico, quello con la voce sensuale.

«Filippo. E dammi del tu, ti prego, non sono in veste di dottore, oggi.» Mattia sente il suo sorriso sulla pelle, lo sente e il luccichio smorza un po’ le sue tenebre.

«È un bel nome, Filippo. Con quella “f” iniziale sembra un soffio di vento...» Un nome elegante per una persona elegante: Filippo. Comincia con dolcezza e termina con una bella doppia “p” che dona un tocco di determinazione al tutto. Sì, è adatto al dottore. Mattia sorseggia il suo caffè, mentre nella sua mente si domanda come appare agli occhi di Filippo; gli piacerebbe sapere se lo vede come le altre persone, quindi come una persona con occhi, naso e bocca, oppure se lo vede... Se lo vede davvero, come lo vede lui.

«Sei strano, Mattia. Te l’hanno mai detto?»

«E tu sei maledettamente inopportuno, Filippo. Te l’hanno mai detto?»

Ride, il dottore e Mattia vorrebbe prenderlo a schiaffi, eppure sta ridendo con lui, così, lascia che il fiato esca dalla sua bocca, crogiolandosi nel suono del riso dell’altro, rivolgendo il viso a quella voce. Lo vede e ride, Mattia.

«No, è la prima volta» risponde Filippo con voce giocosa, che fa venire in mente a Mattia un bambino pestifero, come quello che era lui, una volta.

E mentre finiscono il loro caffè, Mattia sente che Filippo sta ridendo sotto i baffi.

 

-           

 

 

«Posso essere inopportuno?» Filippo lo domanda tra le file degli alberi del parco del Valentino (gentilmente descritto dal dottor De Paoli), in quella Torino che sa di smog e di diserbante. Mattia è contento di non poter vedere quello scempio di vegetazione, sicuro com’è che sia finto come quei nasi rifatti con la chirurgia estetica: lo sente dal rumore della ghiaia sotto i suoi piedi, che è troppo compatta per essere naturale; oppure dal soffio del vento, così debole da significare che gli alberi sono stati piantati artificialmente in modo fitto, tanto da non far passare l’aria.

«Lo sei già stato, quindi direi che non fa molta differenza.»  Che sia acido, Mattia ne è sempre stato consapevole. La gente ha sempre collegato questa sua caratteristica al suo handicap – come si ostinano a chiamarlo in molti – ma la realtà dei fatti è che Mattia è semplicemente schietto.

Filippo sembra trovare divertente questa sua attitudine, perché lo sente ridere silenziosamente.

«Ti sei mai chiesto quale sia il mio aspetto?» Camminano lentamente, senza fretta, non gli fa paura quel tempo che scorre, lo assaporano insieme al profumo di polline, al rumore degli uccellini. Mattia sente il sole scaldargli la pelle: deve essere una di quelle splendide giornate primaverili. O forse non è il sole, forse è solo la vicinanza di Filippo, che cammina al suo fianco, assicurandosi che Mattia eviti tutti gli ostacoli. Si prende cura di lui, da bravo dottore.

«Non mi sono mai neanche chiesto se fossi uomo o donna, quindi fai te...» Sorride, Mattia, voltandosi verso la fonte del calore. È la sensazione, che lo fotte: la sensazione che prova quando Filippo gli è accanto.

«Beh, sono un uomo.» Ed è tutta un sorriso la voce di Filippo mentre dice quelle parole. E Mattia lo sa che, in ogni caso, il suo dottore sta attendendo una risposta, la risposta, perché dopotutto è un vedente e chi vede vuole sempre capire come sia non vedere. Non sanno cosa si perdono.

«Sì, lo so. Ma non m’importa. E neanche il tuo aspetto.» Dalla sua sinistra proviene un chiacchiericcio di cicale, che sembrano essere impegnate in una conversazione interessante.

«Davvero non t’importa?» Sembra sorpreso, il dottore. Comprensibile: è difficile, per chi è immerso in un mondo di immagini, pensare di non aver voglia di vederne più nemmeno una. Mattia vorrebbe dirgli che le figure sono solo delle apparenze e forviano la mente dall’aspetto essenziale: il contenuto.

«Un po’ mi interessa, in realtà.» Vorrebbe capire come è fatto, Mattia. Non se è bello o brutto, non se è alto o basso, grasso o magro, ma vorrebbe imparare ogni singolo neo sul suo viso, ogni singola lentiggine, ogni cicatrice e ogni voglia. Vorrebbe imparare Filippo. «Ma voglio scoprirti a modo mio.»

Non sta più nella pelle, il dottore, Mattia sa che è curioso di sapere che cosa le sue parole significhino. «E cioè?»

Si ferma, Mattia. Non sa bene dove si trovi, sa che è sul sentiero, perché sente le pietruzze sotto le suole delle sue scarpe, ma potrebbe essere a sinistra o a destra. Cerca dei segnali e sente che accanto a lui passa qualcuno correndo... Una corsa lenta, la persona ha il fiatone: è qualcuno che sta facendo jogging, quindi deve essere in mezzo alla via. Si sposta un po’ verso destra e sente che il dottore lo segue. Adesso c’è erba sotto i suoi piedi, quindi è al sicuro.

«Posso toccare il tuo viso?»

Silenzio. Silenzio e il cuore di Filippo che fa tum-tum. Risponde di sì, il dottore e si avvicina a lui, invadendo il suo spazio vitale di calore, di cioccolato alla cannella. Alza una mano Mattia, tasta l’aria e sente che il calore è un po’ più avanti, solo un po’... Trova il viso di Filippo. Tocca la sua pelle ed è morbida, morbida come se la immaginava, una delizia per il tatto.

«Hai degli occhi grandi» afferma mentre posa le dita sulle palpebre del dottore, per poi spostarsi verso il basso ed incontrare il naso. Segue il suo profilo, tracciandone ogni linea, ogni parte. «E un naso... si dice aquilino, vero?» Filippo si abbandona ad una risata nervosa, annuendo.

L’indice di Mattia si ferma sulla bocca di Filippo. La sente soffice e, seguendone il contorno, si accorge che il labbro di sopra è carnoso e si chiude al centro: una piccola boccuccia a cuore.

Sente il cuore di Filippo che fa tum-tum e allora Mattia fa l’unica cosa che dovrebbe fare: lo bacia.

Lo bacia e lo assapora, conoscendo quella bocca di fragola, mentre Filippo gli tocca una guancia.

«Hai una bocca di cioccolato alla cannella.»

 

-           

 

 

È un buio diverso, quello in cui è immerso Mattia. È un buio che sa di riposo e gemiti sommessi, di promesse mai pronunciate e silenzi pieni di parole. È sdraiato a pancia in giù, Mattia, le braccia incrociate sotto il mento e, mentre fuma una sigaretta con svogliatezza, una bocca gli bacia dolcemente la pelle nuda della spalla.

Ed è Filippo, ancora Filippo, sempre Filippo. Filippo che lo bacia, lo accarezza, gli racconta come sia fatto il suo viso – hai dei bellissimi ricci rossi, Matti. Mattia lascia che il fumo esca lentamente dalla sua bocca, mentre il calore del suo ragazzo – il suo ragazzo, sì – lo fa sentire a casa. È un buio diverso, questo. Gli massaggia la schiena, Fil, posandogli le labbra alla fine di essa, minacciosamente vicino al suo fondoschiena. Si diverte a provocare, Filippo, lo fa sempre – scommettiamo che non mi resisti, Matti?

Isola tutto il mondo, Mattia, concentrandosi solo su di lui, su quel dottore un po’ fuori di melone che ha accettato, mesi prima, di uscire con un cieco – un cieco un po’ strambo. Posa una guancia sulla sua schiena, Filippo, le mani che vagano sul corpo di Mattia, indisturbate.

«Quando hai scoperto di essere gay, Fil?» Si ferma e rimane in silenzio, il dottore – fa sempre così quando è preso alla sprovvista. Mattia giurerebbe di aver sentito il rumore dei neuroni che roteano in quel cervello brillante.

«Non me lo ricordo.» Pausa. «Forse quando ero più interessato al mio compagno di banco che alla mia ragazza.»

Ridono. Come sanno ridere solo loro insieme, perché separati non producono lo stesso suono le loro risate, Mattia l’ha notato, sono diverse, sono un po’ vuote... incomplete.

«E tu?»

Quella domanda è sintomo che Filippo deve ancora imparare un po’ di cose, ma Mattia non ha fretta, è un buon maestro, paziente (e un po’ acido). Filippo è pur sempre un vedente e pensa di conseguenza, non potrà mai capire appieno il mondo di Mattia, che sta cercando di insegnarglielo. «Io non sono gay, Fil.» 

«Scusa?» Mattia sente che si allontana da lui – freddo – e vorrebbe dirgli di tornare ad appoggiare il viso sulla sua pelle, perché adora sentirlo, vuole sentirlo ancora un po’ (non te ne andare, Fil).

«Non sono neanche eterosessuale.»

«Perdonami, Mattia, ma non sto capendo.» C’è una punta di fastidio, nel tono del dottore, come sempre quando non segue i ragionamenti un po’ contorti del suo compagno.

«Lo sai perché mi sono innamorato di te, Filippo?» Innamorato, sì. Mattia si è proprio innamorato, ma non come succede nei cartoni animati, non ha perso la testa per la bella principessa, ma per il bel dottore dal calore di cioccolato alla cannella, nel mondo di un cieco, in cui le apparenze sono un nonnulla. Trattiene il fiato Filippo, a quelle parole.

«Per il tuo calore, per la tua voce.» Mattia si alza e si lascia guidare dal calore che tanto conosce, per trovare le mani di Filippo e prenderle tra le sue. «Io non vedo, Filippo. Quello che conta, per me, sono le sensazioni, le emozioni. Questo è quello che vedo.»

E Mattia lo sa, lo sa che Filippo lo bacerà, adesso.

 

«Quello che vedo sei tu.»

 

*
*
*

 

 

Note

 

Disclaimer: I personaggi e la storia mi appartengono, in quanto frutto della mia fantasia. I fatti e le persone descritte nel racconto sono immaginari e non corrispondono alla realtà.

Ringrazio moltissimo , alla quale ho dedicato un posticino sul muro di camera mia, in un post-it, in modo da poter rileggere quando ho voglia le sue parole, che mi fungono da guida. Suppongo che io debba anche ringraziare aniasolary, perché mi ha ricordato che “L’importante è che sia amore”.

Per chiarire due cosine:
o vivo in provincia di Torino, quindi quale città , se non la mia, poteva fungere meglio da sfondo per la storia d’amore tra Mattia e Filippo? Torino è, quindi, il background della mia storia, come viene detto quando Mattia e Filippo stanno passeggiando nel parco del Valentino, che è il principale parco della città (sarebbe anche molto bello, se non fosse pieno di gentaglia.)
All’inizio del racconto, ho inserito una “frecciatina” al sistema scolastico, al lavoro e al futuro dei giovani italiani (quando viene detto che Mattia non è un povero caro ma un povero illuso, come tutti i suoi coetanei.) Ci tenevo a precisarlo, è stata una mia piccola vendetta, ecco xD

Questa storia è nata col bisogno impellente di essere raccontata. Mi sono svegliata e ho pensato: “devo raccontare questa storia, devo dire queste cose.”
I temi che vengono trattati sono piuttosto impegnativi, complessi e delicati (l’omosessualità, la superficialità, la discriminazione) quindi spero di averli trattati in modo dignitosi e di avergli reso giustizia. (In realtà spero anche che non ne sia uscito fuori un pippone noiosissimo ed illeggibile).
Devo assolutamente dire che mi sono divertita moltissimo nello scriverla, ho adorato sia Mattia che Filippo e mi sono affezionata a loro fin dalla prima riga. Amo questa storia e ho amato scriverla. Spero che questo si legga tra le righe, come l’emozione che ho provato nel buttarla giù. Spero con tutto il mio cuore che vi possa piacere.
Se leggete lasciate una recensione, fa sempre un immenso piacere leggere i vostri commenti e gioirne.

 

Un mare di baci,
la vostra Eryca.

 

   
 
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