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Autore: Lady Stormborn    15/01/2014    0 recensioni
"Lane non poteva più sopportare tutto questo.
C'erano giorni in cui la voglia di chiudere con tutto e di sparire era così forte che si trovava con le chiavi di casa in mano, non sapendo nemmeno come, pronta a fuggire."
Terza classificata per il contest "Ritorno all'infanzia" indetto da Frantasy94 sul forum di EFP
Genere: Avventura, Introspettivo, Romantico | Stato: completa
Tipo di coppia: Het
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Contesto generale/vago
Capitoli:
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Nota iniziale:  Prima di lasciarvi al capitolo mi prendo questo piccolo spazio per dirvi che, in corso d'opera, ho deciso di dividere quest'ultimo capitolo in due parti perché a capitolo quasi concluso mi sono resa conto che era assurdamente lungo; spero non vi dispiaccia, in ogni caso la seconda parte arriverà a breve, probabilmente già domani.


Capitolo 3 parte prima
La musica della distanza fa paura al cuore


 

Lane correva veloce lungo la strada che la riportava verso l'hotel. Tutto quello che aveva sentito dalla signora che l'ospitava era che i ragazzi sarebbero ripartiti.

“Mi piacerebbe molto risentirvi un giorno o l'altro, ma tu non parti con loro?” questo era quello che aveva detto, non rendendosi conto della gravità delle sue parole e cosa quella notizia avesse creato in Lane.

Così si era messa a correre, volata via di casa senza nemmeno dare una spiegazione alla tanto gentile signora che le aveva dato ospitalità vedendola per strada, a quell'ora della notte, senza fare domande. Non poteva aspettare; non poteva pensare; doveva agire immediatamente se non per Simon almeno in nome del rispetto che doveva a quel gruppo di pazzi che li aveva raccattati come fossero randagi e portati con loro.

Arrivata davanti all'hotel dove i ragazzi soggiornavano entrò trascinandosi dietro il rumore della porta che si chiudeva alle sue spalle.

“Salve.” Salutò il vecchio signore al bancone che doveva fungere da reception ma che in realtà era quasi sempre vuoto. “Volevo sapere se posso salire un attimo dai miei amici”.

Ovviamente l'uomo aveva visto Lane per tutti i giorni precedenti fino a quando non era scappata quindi sapeva a chi si stava riferendo.

Con un colpo secco chiuse il giornale che aveva davanti – probabilmente fingeva di leggerlo solo per darsi un tono – e percorse Lane con lo sguardo come se stesse decidendo se dirle o meno qualcosa di, probabilmente, molto importante.

“Credo,” si decise a parlare, “che dovresti sapere che i tuoi amici sono partiti qualche ora fa”.

Lane sentì il cuore infrangersi e la propria vita perdere completamente di senso nei pochi secondi che l'uomo utilizzò per pronunciare quella frase che, alle sue orecchie, suonava più come una sentenza.

Erano partiti, spariti per chissà dove. Doveva trovarli, in qualche modo, anche se si fosse trovata a fare domande a mezzo mondo, non le interessava. La consapevolezza di doverli trovare le diede una leggera carica, evitandole la caduta in una fulminante depressione.

Sapeva che ci sarebbero volute tutte le sue forze e il suo ingegno, ma sperava, anche, in un aiuto dalla fortuna.

“Senta, lei per caso sa dove potrebbero essersi diretti?” Chiese cercando di far uscire dal suo viso la migliore smorfia contrita e triste del suo arsenale. Sapeva per certo quanto i suoi grandi occhi potessero essere espressivi e creare compassione negli altri all'occorrenza.

L'uomo la scrutò per qualche secondo in silenzio. Non sembra essere una persona difficile da convincere, soprattutto per via di quel suo lato un po' pettegolo che, evidentemente, lo faceva sentire al centro dell'attenzione in quel piccolo hotel; avevano scoperto questo suo lato nei pochi giorni precedenti al concerto, quando gli altri inquilini dell'hotel sembravano conoscerli perfettamente mentre loro non ne sapevano nemmeno i nomi e avevano scoperto essere stato lui a dargli notizie a loro riguardo.

Lane era certa di poter usare quel lato del receptionist e padrone dello stabile a proprio favore.

Infatti, dopo i minuti in cui sembrò pensare a cosa fosse meglio, Lane lo vide aprire un paio di volte la bocca a vuoto e poi cominciare a parlare.

“Non so se dovrei dirglielo perché, sa, se avessero voluto averla con loro gliene avrebbero parlato, suppongo,” cominciò franco lasciando un po' stupefatta Lane e anche un po' ferita, a dire il vero, “però ho sentito il signor Scat parlare di un posto importante per lei e Simon, di una città dove sarebbero dovuti andare che a voi due avrebbe creato un problema. Ora, io non so nulla e soprattutto non le ho detto nulla, ma potrei, inavvertitamente, si intende, aver letto la città da cui era stata mandata la lettera che ho consegnato al signor Scat, ma non le posso ovviamente dire nulla di più”.

L'uomo a quel punto si bloccò con un sorrisetto mellifluo e divertito, segno che la stava evidentemente prendendo in giro e che ci stava prendendo non poco gusto nel farlo. Lane, ovviamente, non aveva pensato all'eventualità che quell'uomo avesse bisogno di un aiutino per parlare e per far, soprattutto, uscire quel nome che tanto agognava sapere. Aveva un sospetto, ma non voleva farlo vedere all'uomo rischiando di indispettirlo; sapeva che persone come lui si crogiolavano nel credere di essere gli unici a sapere determinate cose e, anche quel caso, non faceva eccezione.

“La prego, sarebbe molto importante per me sapere dove sono andati i miei amici,” cominciò con tono pieno di disperazione, “sa ho litigato con il mio amico, Simon, e ho bisogno di chiedergli scusa prima che sia troppo tardi”.

Le mancava poco per cominciare a farsi uscire le lacrime; si sentiva davvero fiera di se stessa. L'orgoglio per la propria performance salì ancora di più quando vide l'uomo cominciare a cedere, il labbro che tremava leggermente commosso, la bocca che si apriva lentamente quasi convinta nel pronunciare quel nome.

“Ho sentito che lei sa sempre tutto e, sa, la trovo una dote molto interessante: non ha tutti è dato conoscere l'animo umano come lo conosce lei e credo che si sentirebbe ancora più appagato se usasse questa dote per un buon fine.” Convinta che stesse per cedere attaccò con l'adulazione. Non sapeva se avrebbe funzionato, ma quella era l'unica arma perché di soldi non ne aveva abbastanza per poter corrompere qualcuno.

“Io ...” Balbettò l'uomo cominciando a muoversi scomodo sulla propria comoda poltroncina, “… io credo che … si possa fare.” Si lasciò andare. Lane finse di asciugarsi gli occhi pieni di lacrime e lo guardò con un sorriso sincero.

“La ringrazio.” Sussurrò fingendosi emozionata per la sua gentilezza; in realtà dentro di sé stava semplicemente festeggiando la buona riuscita dei suoi metodi di circonvenzione.

“Beh, come dicevo, ho letto che veniva da una città chiamata Newtown, non so se la conosci ...” Spiegò velocemente quasi come se si vergognasse, in fondo, di aver ceduto alle lusinghe di quella giovane.

Lane spalancò gli occhi stupefatta. Non si aspettava niente del genere anche se, quella risposta, avvalorava ogni suo sospetto quando l'uomo le aveva detto che il posto dove erano andati era legato sia a lei che a Simon. Aveva probabilmente sperato, fino all'ultimo secondo, che il suo fosse solo un viaggio della propria fervida immaginazione.

Non si accorse nemmeno di essere corsa fuori dalla porta senza nemmeno ringraziare l'uomo che le stava urlando dietro adirato per tanta maleducazione.

Quando prese la strada che la portava alla stazione le sembrò di averla fatta mille volte e non solo la prima volta che aveva messo piede a Parigi. Avrebbe riaffrontato di nuovo quel lungo viaggio che, in qualche modo, aveva sperato di non dover più intraprendere: magari percorrere un tratto più lungo, magari più difficile, ma non quello. Eppure un'ora dopo era sul primo treno che la stava riportando verso quel luogo che faticava a chiamare casa, ma che lo era per un qualche difficile scherzo del destino.

Avrebbe rivisto Simon, ma avrebbe rivisto anche quella terra che gli era così dannatamente famigliare e, forse, anche i suoi genitori se non avevano già cominciato a dimenticarla rinunciando ad averla con sé.

In effetti, pensò mentre sedeva sul seggiolino vicino al finestrino del treno veloce verso nord, i suoi genitori erano ciò a cui non aveva ancora pensato da quando aveva appreso la notizia del proprio, doveroso, ritorno. Non sapeva se definirli un inconveniente fosse giusto perché, in fondo, erano i suoi genitori, che l'avevano cresciuta e, nel loro modo un po' troppo difficile e contorto, amata.

Contrariamente a quello che aveva pensato fino a quel momento, l'idea di vedere che i propri genitori l'avevano facilmente dimenticata le faceva male, immensamente. C'erano stati momenti, soprattutto prima della partenza, dove li aveva odiati con tutta se stessa: i divieti, gli obblighi, il loro non capire che la strada da loro tracciata non era quella che voleva per sé e non sarebbe mai stata capace di intraprenderla.

In quel momento però pensare che non l'avrebbero più voluta, che non l'avrebbero cercata pur potendolo fare, magari sapendo che sarebbe stata in città di nuovo, la rendeva triste come non si era mai sentita.

Era assurdo, ma essere lontana da loro la stava facendo pensare molto più di quando li aveva vicini. Forse, l'idea di aver perso, oltre a Simon, anche loro, e di essere rimasta sola, le stava facendo rivalutare tutto.

Non poteva esserne certa, probabilmente nulla di tutto questo le sarebbe mai stato abbastanza chiaro; l'unica soluzione era pazientare e vedere come sarebbero andate le cose.

 

***

 

Simon si sentiva solo.

Aveva fatto tutto il possibile perché quella cosa funzionasse, ma ovviamente non era andata a buon fine come molti dei piani che aveva fatto nella sua vita e per la sua vita. Non poteva definire un piano quello che sentiva per Lane, ma diciamo che era una parte importante di ciò che aveva immaginato per se stesso una volta diventato davvero un adulto.

Ora Lane non c'era e il senso di solitudine che aveva sentito abbattersi su di sé quando era ancora nella sua vecchia città e agognava la libertà era ritornato a farsi sentire più forte e a concedere in modo per nulla desiderato un senso di strano disagio che, evidentemente, anche gli altri stavano sentendo.

Infatti, sembrava che tutti si fossero accorti del bisogno di avere Lane vicino di Simon e avevano questa necessità in testa molto più chiaro di quanto non lo avesse lui. In particolare, soprattutto negli ultimi due giorni di viaggio, sembrava essere compito di Shun quello di consolare Simon e di preoccuparsi che quella necessità non diventasse così assoluta da renderlo apatico verso qualunque cosa che non fosse Lane.

Ovviamente Shun, con i suoi modi precisi, aveva sempre centrato il modo migliore per distogliere l'amico dai suoi pensieri quando lo vedeva particolarmente distante e di questo ogni volta, silenziosamente, con semplici sorrisi e qualche pacca scostante sulla spalla, Simon lo ringraziava. Quella mattina però, il giorno del concerto a Newtown, ricevette una sorpresa tale per cui ogni tentativo di tirarlo su di morale di Shun, successivamente, sarebbe stato totalmente vano.

“Mamma, papà!” Aveva urlato Simon quando li aveva visti entrare all'interno dell'auditorium che li avrebbe ospitati quella sera per il secondo concerto del gruppo in quella città. “Perché siete qui?”.

Tutti si erano girati verso il punto lontano, un po' in ombra, sopra le gradinate, verso il quale Simon stava urlando.

Dopo cinque minuti non si capiva più bene chi stesse accusando chi e di cosa, volavano solamente parole grosse, troppo dure da sopportare, e placidi risolini pieni di sdegno quando uno di loro centrava il punto nella discussione contro l'altro.

I ragazzi si erano ovviamente tenuti in disparte, troppo spaventati all'idea di intervenire e dire la cosa sbagliata anche perché, dopo tutto, loro cosa sapevano di Lane e Simon? Li avevano accolti nel loro gruppo; sapevano che erano scappati di casa o che comunque avevano avuto screzi tali con i loro genitori tanto da renderli suscettibili ogni volta che si provava a nominarli o a chiedere qualcosa in più della loro vita lì.

Insomma era passata circa mezz’ora e, in quel momento, stavano semplicemente discutendo su chi avesse ragione o torto, come nei minuti precedenti.

“Io non voglio vivere la vostra vita.” Urlò Simon con sdegno riempiendo l'auditorium dell'odio che provava per quelle due persone tanto da rendendo quasi tangibile.

“Noi ti amiamo Simon,” intervenne la madre che, fino a quel momento, era stata l'unica a rimanere piuttosto posata nella discussione, “volevamo il meglio per te e se pensi che fuggire lasciandoci una stupida lettera con scritto che siamo stati dei pessimi genitori sia stata una soluzione da adulto, beh, fattelo dire, non è così”.

Shun aveva guardato con astio la donna e Simon se ne accorse immediatamente: non era probabilmente il suo tono a rendergli difficile quella discussione, ma le parole della donna che, in quella gentile accondiscendenza da madre benevola, sembravano ancora più dure.

Prima di rispondere vide Scat avvicinarsi al compagno e allontanarlo da Simon per far sì che potesse discutere senza la loro interferenza e, con uno sguardo silenzioso lo ringraziò di questo.

“Non vi siete mai chiesti il motivo per cui sono arrivato a quel punto? In questo tempo avete mai pensato che forse, qualche colpa, anche solo lontana, sia anche vostra se tutto questo è successo?” chiese con un tono ostentatamente freddo per nascondere il dolore che provava di fronte a tutto questo, “io non credo o altrimenti non sareste venuti qui ad accusarmi oggi, ma solamente a chiedermi di tornare”.

Quella frase bloccò entrambi i genitori che, per un secondo, si guardarono negli occhi confusi; le loro spalle si abbassarono, segno che stavano abbassando la posizione di guardia.

La donna, imbarazzata, si scostò i lunghi capelli biondi da una spalla all'altra pur di non guardare il figlio negli occhi mentre il padre sembrò trovare particolarmente interessanti le travi di legno che reggevano un piccolo soppalco sopra le posizioni delle luci.

“Io,” sussurrò quasi impercettibile Simon, “credo che mi sarebbe bastato uno scusa per tornare da voi. Vi ho sempre amato al punto che Lane credeva foste i genitori perfetti-”.

“Lane?” Lo interruppe il padre, “allora è con lei che sei sparito”.

Il suo tono non era arrabbiato, ma solamente curioso, per questo Simon decise di non attaccare, “sì, sono partito con lei, ma al momento non è più con noi … abbiamo discusso.” L'ultima aggiunta in cuor suo l'avrebbe evitata, ma la sua lingua parlò prima di essere frenata confessando così ai suoi genitori quel primo, e probabilmente più grande, fallimento della sua vita.

“Piccolo,” mormorò la madre passando di gradino in gradino fino ad arrivare vicino al palco, “tu non sai quanto ti amiamo. Ogni cosa che tu hai visto come una costrizione era un modo per dirigerti verso una strada che ti avrebbe portato onore, gloria e successo. Questa cosa della musica è la tua passione, ma è una vita che un genitore che ama il proprio figlio non può approvare così, senza una certezza che tutto andrà bene”.

Simon si sentì un po' venire meno; il suo cuore perse un battito e i suoi occhi, così simili a quelli di suo padre, si andarono a scontrare con quelli di quest'ultimo che, con un cenno del capo, annuì accondiscendente a quello che la moglie stava dicendo.

Non osò rispondere a sua madre e quindi questa riprese a parlare. “Noi abbiamo sempre voluto il meglio per te e sì, possiamo anche avere sbagliato, ma di certo non puoi accusarci per aver desiderato il meglio che il mondo potesse offrirti.” Detto questo si bloccò, a due passi dal palco, così vicina da poterci salire senza problema, ma sembrò non volere osare tanto. Il passo indietro automatico di Simon la fece desistere completamente.

“Me ne sono andato perché volevo vivere di musica e lo sto facendo. Voi non capirete mai perché non avete mai avuto un sogno e non sapete cosa significa”.

Sbottò calandosi nella parte del figlio deluso perfettamente pur di offendere i suoi genitori. Al momento tutto ciò che gli interessava era farlo sentire in colpa, nulla di più e nulla di meno. Lo sguardo atterrito di sua madre fu straziante abbastanza da farlo desistere dal suo intento.

“Tu,” la voce di suo padre, ancora lontano, attirò l'attenzione, “pensi che non abbiamo mai avuto dei sogni, aspirazioni più grandi? La tua anima di sognatore da chi pensi di averla presa ragazzino egoista? Ti possiamo amare ancora, siamo venuti qui per questo, perché non abbiamo mai smesso di amarti, ma se questo è il tuo atteggiamento allora non possiamo nulla”.

Suo padre gli voltò le spalle più rassegnato che arrabbiato. Sapeva che il rischio di tornare era quello di ritrovarli, di sentirsi accusato di non essere stato un buon figlio per quella fuga, di non sentirsi di nuovo all’altezza delle loro aspettative. Eppure in quel momento le persone di fronte a lui, l'uomo che se ne stava andando e la donna che lo guardava con gli occhi tristi, non sembravano nemmeno le stesse che aveva lasciato abbandonando con piacere la propria casa, le stesse per cui, in quel momento, si sentiva in colpa come mai nella sua vita, come forse solo per Lane.

Lane, cosa le avrebbe dovuto dire? Era stato lui ad organizzare quella fuga, a dirle che se ne sarebbe andato e a convincerla, successivamente, che quella era la soluzione e che i propri genitori erano delle serpi manipolatrici tali e quali ai suoi.

In quel momento però non aveva davanti a se quegli stessi genitori che l'avevano costretto a mandare domande alle migliori università fregandosene di quelle che erano le sue aspirazioni.

Le avrebbe dovuto dire che era tutto finito?

Subito dopo, però, pensò che Lane non c'era, che l'aveva persa perché si era stupidamente arrabbiato e non avrebbe comunque mai più dovuto o potuto darle spiegazione di sorta.

“Venite stasera,” si intromise Shun, ormai non più frenato da Scat che lo guardò serio, “venite a vederci e se considererete quello che facciamo come poco valido allora avrete tutti i diritti di considerarlo un errore di vostro figlio e prendere le vostre decisioni”.

La donna lo guardò non convinta se stesse scherzando o meno, l'uomo invece nemmeno si voltò.

Prima di andarsene da quel palco l'ultima cosa che Simon vide fu il vestito azzurro di sua madre che si muoveva con i suoi passi svelti che raggiungevano il marito verso l'esterno; non vide il momento in cui, cedendo, questa si voltò per osservare un'ultima volta sua figlio.

 

***

 

Arrivata in città Lane ebbe la sensazione che quel viaggio fosse stato solo un sogno. Era tutto uguale, ma ovviamente non poteva pensare che una città potesse portare segni tangibili di cambiamento in così poco tempo. C'era però una sorta di immobilità che rendeva l'ambiente quasi inquietante.

Entrò nel primo bar per cominciare la sua ricerca; avrebbe potuto essere fortunata, come con il padrone dell'hotel dove avevano alloggiato … oppure no.

In ogni caso decise che doveva sentirsi positiva quindi, senza porre altre condizioni alla sua sete di conoscenza, entrò lasciandosi alle spalle il parco Grande della città su cui affacciava il locale.

“Buonasera.” Salutò facendo qualche passo avanti.

All'interno sembravano esserci solamente vecchi signori intenti nelle loro faccende, l'unico ragazzo, se così si poteva dire, era il barman vestito di una blusa elegante e con un piccolo grembiule a dir poco inutile.

Solo alcuni si voltarono, gli altri rimasero alle loro incombenze considerando quel saluto solo un buon costume di quando si entrava in un luogo pubblico come un bar. Così, vedendo il generale disinteresse, Lane si spostò verso il bancone in legno, elegantemente decorato con intarsiature degne dei migliori falegnami, e si rivolse direttamente al ragazzo dietro questo.

“Salve, vorrei sapere se per caso ha visto passare un gruppo di sei giovani musicisti. So che terranno un concerto qui in città.” Spiegò cercando di mostrare nuovamente il suo sguardo bisognoso da cucciolo abbandonato per abbindolare il barman come aveva convinto il padrone dell'hotel.

“Se li ho visti?” l'uomo sussurrò quasi non si volesse far sentire; nessuno lo stava ascoltando, in effetti, ma probabilmente era un suo modo di procedere ogni volta che stava per rivelare qualcosa, “potrei averli visti, sì”.

Mentre si sposta verso di lei per mormoragli quelle ultime parole quasi all'orecchio, Lane sentì l'odore nemmeno troppo debole dell'alcool. Quell'uomo, probabilmente, aveva bevuto qualcosa, o forse più di qualcosa, mentre stava lavorando e quindi il dubbio di Lane era che non avesse davvero capito di chi stessero parlando.

Il problema era che non aveva altro modo se non fidarsi perché non poteva correre per ogni bar della città, considerando che voleva mantenere un certo anonimato in modo da ritardare il più possibile, o addirittura sventare, l'incontro con i propri genitori.

“Ma,” riprese mentre Lane ancora stava pensando se dargli fiducia o meno, “cosa ci fa una bella signorina come te qui tutta sola. È tardi e non si addice ad una giovane donna.” Il tono, nonostante quello che potesse sembrare, non era canzonatorio, ma anzi molto serio. Sembrava che l'uomo ci tenesse davvero alla sua incolumità e al non farle fare qualcosa di inappropriato socialmente come aggirarsi nella sera buia essendo una ragazza.

Quasi volle ringraziarlo, ma questo avrebbe voluto dire seguire il suo consiglio e lei non poteva andarsene, né non arrivare alla sua risposta.

“Ha ragione, ma io ho davvero bisogno di sapere dove posso trovarli. Non potrei mai tornare a casa senza saperlo e lei ci tiene che io torni a casa presto.” Provò la sua prima carta, quella della convinzione subdola, sperando che funzionasse.

L'uomo rimase a guardarla e, poco dopo, riprese a parlare.

“So solo dirti che sono in città. Credo, almeno dalle voci, che alloggino in un piccolo posto appena fuori confine, ma non ti so dire se sono stupidaggini o meno”.

Missione compiuta con il minimo sforzo; si sentiva fiera di sé.

“Grazie e sa per caso dirmi quando si esibiscono?”.

“Oh,” rispose l'uomo sorridendo, “sono appesi manifesti in tutta la città, piccola. Ora vattene prima che qualcuno qui ti veda e non sta bene che la figlia dei signori di questa città si faccia vedere in giro”.

Il sorriso e l'occhiolino che le fece portò Lane quasi ad un attacco di panico: lui sapeva e chissà in quanti sapevano. Lei era scappata di casa e, per quanto i suoi potessero averlo tenuto nascosto, la notizia era sulla bocca di tutti e il barman l'aveva riconosciuta e chissà quanti lo avrebbero fatto ancora prima del concerto e della sua successiva, nuova, sparizione.

Lasciò il locale ancora stupefatta di come tutto fosse meno segreto di quanto sperasse. Quella era la zona nuova e in quel bar non ci era mai entrata; questo poteva solo voler dire che tutti in città l'avrebbero riconosciuta e che i suoi genitori avrebbero avuto in fretta la notizia del suo ritorno, cosa che temeva più di tutte.

Con passo veloce percorse un piccolo sentiero che portava al centro della città vecchia. Se c'erano dei cartelli che indicassero data e ora del concerto erano sicuramente lì.

Appena entrata nel recinto ottagonale della piazza di mattoncini si trovò a voltarsi verso la propria destra: da lì cominciava quel viale alberato che amava tanto, quello dove lei e Simon si erano promessi che avrebbero combattuto per quel loro sogno così vivido.

Lì tutto era cominciato e voleva sperare che, ancora una volta, tutto avrebbe ripreso da lì il suo giusto corso.

Le foglie, che alla sua partenza erano arrossite, ormai erano quasi tutte cadute e l'aria cominciava a diventare sempre più fresca calata la sera.

Come previsto vide quei grandi manifesti che avevano fatto stampare quando ancora alloggiavano a Parigi e, con estrema calma, vi si avvicinò sorridendo un po' più serena perché era come se, in qualche modo, li sentisse più vicini.

Sentì il proprio cuore pompare più forte dandole quasi un avvertimento, intendendo forse spronarla a muoversi da quel posto e correre verso l'auditorium dove il manifesto diceva avrebbero suonato.

E Lane lo fece: corse più veloce che poteva, più di quanto le sue gambe glielo consentissero perché, contro ogni logica, era riuscita a ritrovarlo, aveva di nuovo la possibilità di vedere Simon e, questa volta, non se lo sarebbe lasciato scappare senza potergli spiegare.

Ad un certo punto non seppe nemmeno se la strada che stava seguendo fosse quella giusta, ma continuò a correre imperterrita solcando a grandi passi i vialetti e le grandi strade che dividevano le zone residenziali della città vecchia.

“Hey, dove corri?!” Una voce conosciuta la bloccò sul posto; avrebbe voluto proseguire, ma non poteva non fermarsi.

Si voltò lentamente, concentrandosi sul rumore della ghiaia che scricchiolava sotto i propri piedi pur di non impazzire di fronte a quell'ennesimo colpo del destino.

“Shun ...” pronunciò. Avrebbe voluto salutarlo meglio, abbracciarlo, ma in fondo non poteva sapere se qualcuno di loro poteva avercela con lei per essersi allontanata, magari non sapendone nemmeno il motivo.

“In persona!” La sua voce era eccitata e davvero contenta di rivederla così, senza porsi ulteriori domande, questa volta si mosse verso di lui circondandogli il busto con le proprie braccia. Shun, nemmeno troppo inaspettatamente, fece lo stesso scaldandole non solo il corpo, ma anche il cuore. Aveva così tanto sperato di ritrovare Simon che loro, i suoi amici, erano passati quasi in secondo piano. Ora però tutto si faceva di nuovo più nitido e, se anche con Simon non fosse andata come sperava, comunque sapeva che avrebbe avuto Shun e forse anche gli altri; questa volta non se ne sarebbe andata di nuovo.

“Non mi hai detto dove correvi.” Insistette divertito.

“Secondo te? Appena ho saputo che eravate andati via sono corsa all'hotel e il tipo strano mi ha dato l'informazione che eravate tornati qui”.

“Lo so,” sussurrò ridacchiando.

“Come lo sai?” Chiese Lane, allontanandosi da lui quando bastava per poterlo guardare in faccia e vedere cosa avrebbe detto e se poteva corrispondere al vero.

“Diciamo che sono stato io a passare quell'informazione. Gli ho anche detto, se fossi passata, di dirgli che aveva sentito casualmente la notizia”.

Lane spalancò gli occhi sorpresa immergendoli in quelli scuri di Shun che sembravano ridere ancora più della sua bocca a quella reazione della ragazza.

Non voleva crederci: Shun aveva organizzato tutto così che, se li avesse cercati, li avrebbe potuti trovare. “Perché lo hai fatto mentire?”.

“Perché,” cominciò lentamente, “non volevo creare in te false speranze. Sapevo che, se Simon non se la fosse sentita di tornare, avremmo dovuto cambiare meta in corso di viaggio e non volevo che tu ti sentissi tradita se non ci avessi trovati qui così ho preferito che la notizia ti arrivasse come una cosa ascoltata casualmente: se non ci avessi trovati qui semplicemente avresti pensato che il tizio di Parigi aveva capito male”.

Shun aveva architettato tutto questo solamente perché non voleva che Lane si facesse una brutta idea di loro, magari di chi le forniva appositamente una meta sbagliata per depistarla.

Ancora stentava a credere che quel giovane uomo tenesse a lei al punto da fare questo, soprattutto visto quanto poco in realtà si fossero parlati visto che le normali conversazioni di gruppo erano monopolizzate da Scat.

Era bello, le scaldava il cuore sapere di avere un amico così importante.

“Ed ora, piccola Miss? Dobbiamo andare. Ti andrebbe di suonare con noi stasera?”.

“Io … non so.” Sussurrò imbarazzata. Certo che le sarebbe piaciuto, ma come poteva farlo? Simon la odiava e, a parte Shun, non aveva avuto modo di vedere se gli altri ancora la volevano con loro oppure no. “Simon mi odia e-”.

“Stupidaggini,” la interruppe, avvicinandosi poi al suo orecchio con fare cospiratorio, “Simon non ti odia. È un ragazzino impulsivo, reagisce come una macchina, ma non ti ha mai odiato e anche mentre ti diceva di andare non ha mai voluto che tu lo facessi.” Spiegò fregandosene del fatto che, in effetti, non avrebbe dovuto sapere tutto questo.

“Lui … pensi che io possa suonare con voi?”.

Shun non rispose, ma il suo sorriso bastò a far sì che si sentisse rincuorata. Poteva suonare con loro, poteva esserci di nuovo quel noi di gruppo che tanto aveva amato.

 

***

 

Simon si sentiva stanco. Era una stanchezza profonda, di quelle che non se ne andavano con una sonora dormita, per quanto i suoi amici gliela avessero consigliata. A cosa sarebbe servito provare a dormire quando ogni singolo avvenimento di quella giornata, ogni pensiero di quel periodo, sarebbe tornato sotto forma di incubo tormentando il suo sonno fino a distruggerlo?

Eppure si era diretto verso l'hotel una volta che i suoi genitori avevano abbandonato l'auditorium ed era andato a stendersi, giusto perché le gambe tremavano troppo perché potessero reggerlo. I ragazzi erano andati con lui, con la scusa di volersi riposare loro stessi, ma sapeva che, appena lo credettero addormentato, se ne andarono per tornare a provare per il concerto.

Per qualche secondo aveva pensato di alzarsi e raggiungerli, ma aveva abbandonato l'idea di fronte alla prospettiva delle domande che gli avrebbero fatto e dei consigli non voluti che avrebbero elargito senza parsimonia.

Insomma, aveva deciso di rimanere un po' in hotel a rimuginare su tutto.

I suoi genitori erano andati da lui, lo avevano raggiunto quando avevano saputo che era tornato e, in fin dei conti, nemmeno se lo aspettava perché li aveva sempre considerati troppo dediti alla loro ascesa sociale per occuparsi di lui. Lo avevano colpito e questo non poteva negarlo, ma da certi discorsi si capiva quanto, in effetti, non fossero cambiati rispetto a qualche tempo prima, quando il loro volergli imporre delle regole che non condivideva lo aveva spinto ad andarsene dal luogo che chiamava casa, ma che casa non era più.

Forse, con il tempo, avrebbe potuto provare a risentirli, contattarli o comunque creare un ponte tra di loro che li aiutasse a essere di nuovo uno parte della vita dell'altro, ma non sarebbe stato semplice.

In quel momento però il suo pensiero fisso era Lane: continuava a venirgli in mente come sarebbe stata felice di poter suonare lì. Magari i suoi genitori sarebbero venuti e, anche se era certo non sarebbero stati più accondiscendenti dei suoi, avrebbero potuto sentire la sua musica, quella che per anni avevano ignorato. Forse non avrebbero capito, anzi sicuramente, ma almeno anche lei avrebbe avuto quella possibilità come lui oggi aveva avuto modo di parlare con i suoi genitori dopo la fuga. In qualche modo si sentiva in colpa, quasi come se fosse stato lui a togliere a Lane quella possibilità allontanandola da loro, ma pensò anche che, in fondo, per quanto ne sapeva, Lane era quasi sicuramente nella sua casa ora, tornata alla vita di prima, perché non aveva posto dove andare, perché se non aveva la possibilità di affittare stanze condivise con i ragazzi del gruppo non avrebbe avuto altra scelta che tornare lì, a Newtown, ed accettare il proprio destino.

“Simon ...” Era ancora sdraiato sul letto, non aveva nessuna voglia di alzarsi. Prima di rispondere voltò la testa alla sua destra per controllare l'orario sulla sveglia appoggiata sul comodino: 8:30 pm, era ora di andare.

“Entra.” Invitò Billy ad entrare. Sapeva perfettamente che era lui perché quell'accento russo era assolutamente inconfondibile. Pensava sarebbe venuto Scat o Hit a cercarlo visto che erano dei tremendi impiccioni che avrebbero venduto i propri strumenti pur di sapere cosa aveva fatto o a chi aveva pensato.

“Tra poco iniziamo piccolo Lord. Dobbiamo fare un breve checksound prima che cominci ad arrivare gente”.

Simon semplicemente annuì cominciando a spogliarsi per poi indossare il proprio completo elegante da jazzista che amava utilizzare per le occasioni importanti. Il concerto a Parigi, essendo il suo primo, lo era stato e, in qualche modo, anche questo concerto lo sarebbe stato. Per lunghi minuti l'unico rumore che invase la stanza fu quello dello strusciare dei vestiti che venivano tolti e buttati sul pavimento e quelli che venivano messi addosso al musicista. Lo stesso Billy non proferì parola, ma rimase in un angolo aspettando che Simon finisse; era evidente che non avesse voglia di impicciarsi.

Ad un certo punto però, quando ebbe incastrato per bene la fibbia della cintura, Simon prese a parlare con una domanda quasi mormorata: “Ci sarà tanta gente secondo te?”.

La prima reazione di Billy fu quella di alzare le spalle dimostrandosi impossibilitato a rispondere perché non sapeva se davvero avrebbero riempito l'auditorium o se ci sarebbero state solo poche persone, magari appassionati del genere. Dopo qualche secondo però, pensandoci bene, comprese cosa Simon voleva sapere: chiedere se ci sarebbe stata tanta gente era un modo per chiedere se, tra quella tanta gente ci sarebbe stata anche lei. Il fatto che lo spazio fosse pieno voleva dire, inevitabilmente, che tra quella folla ci sarebbe stata anche lei.

“Lo sentirai.” Rispose solamente marcando la r in un modo che divertiva sempre molto Simon.

“Cosa? In che senso?” Chiese.

“Sentirai se lei sarà lì, anche se sarà pieno di gente; sentirai anche la presenza dei tuoi genitori che sono quasi certo ci saranno”.

Simon si fermò a riflettere. “Dici? Io sono convinto che non ci saranno invece … i miei genitori intendo”.

“Vedremo piccolo Lord, non lo possiamo sapere, ma i loro sguardi oggi mi hanno detto che potrebbero esserci quindi non disperare.” Lo spronò Billy anche se la faccia di Simon non era molto convinta.

“Vedremo e comunque non mi sto disperando”.

“Oh, certo, non di sicuro per i tuoi genitori,” azzardò sorridendo sghembo nella tipica smorfia di chi pensava di sapere tutto, “ma per Lane sì”.

Ecco, di nuovo Lane. Non sapeva perché, ma tutti continuavano a voler parlare di lei quando lui voleva solamente cercare di pensarla il meno possibile, o perlomeno quanto bastasse per poter suonare decentemente quella sera senza distrarsi ad ogni paio di occhi simili a quelli della sua Lane che avrebbe visto tra il pubblico.

“Smettila, ti prego, almeno tu.” L'amico alzò le mani in segno di resa e sorrise per dimostrargli che non se l'era presa perché non aveva voglia di parlarne.

Uscì dalla stanza silenziosamente com'era entrato e Simon finì di prepararsi frettolosamente, lasciando perdere di mettere a posto i capelli perché era, al momento, abbastanza inutile.

Uscito dalla porta, Billy era ancora lì ad aspettarlo, prese un lungo respiro e subito dopo si avviò con l'amico verso l'auditorium.


 

Nda.

Salve a tutti! Eccoci alla prima parte del terzo e ultimo capitolo.
Non ho moltissime cose da segnalarvi questa volta - tirano sospiro di sollievo - ma solo una cosa degna di nota: Shun nel nostro caso è il mediatore tra Lane e Simon in questo caso come per Mulan lo erano stati il gruppo di amici che l'hanno richiamata alla battaglia dopo il litigio con Shang. Ho voluto dare spazio questa volta a Billy, il gattone russo, che si è trasformato in un vicecapo molto più razionale di Scat e con un distintivo accento russo. 
Spero vi sia piaciuto e vi aspetto per la seconda parte che arriverà davvero a brevissimo!

 

   
 
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