Videogiochi > Assassin's Creed
Segui la storia  |       
Autore: Lechatvert    17/01/2014    4 recensioni
Dicono che delle persone si serbino, in genere, tre ricordi.
Di lei, da qualche parte nella mia mente, ne conservo soltanto due, entrambi popolati da quella paura che fa tremare le gambe, quel terrore del buio che fa piangere i bambini quando si soffia sulla candela per spegnerla.

Cominciarono a chiamarla طّ, Qitt, Gatto.
Ma si sa, quando i gatti muoiono, muoiono soli e lontani dal mondo.
Genere: Introspettivo, Malinconico | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Altaïr Ibn-La Ahad, Altro personaggio, Malik Al-Sayf, Nuovo personaggio, Sef Ibn-La'Ahad
Note: Missing Moments | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
 <<    >>
Per recensire esegui il login o registrati.
Dimensione del testo A A A
modellostorieefp





Dove cresce l'erba gatta

Ventunesimo – fuga
(http://www.youtube.com/watch?v=u77drpBYYg8)




Come per Qitt, il mio lutto durò quattro mesi¹.
Mi svegliai una mattina con il bisogno di prendere una boccata d’aria e mi vestii velocemente, senza preoccuparmi di coprirmi con qualcosa di pesante, quasi sapessi di dover fare in fretta a scendere nel cortile.
Ad accogliermi fu l’alba di una giornata fredda ma luminosa, con un vento gelido e un’aria tagliente che mi fece starnutire.
Pensai che dovevo aver trascorso veramente molto tempo tra i miei libri, poiché nel cortile incrociai un paio di Assassini ed entrambi mi guardarono strabuzzando gli occhi, come se avessero davanti un fantasma. Li salutai, ma non mi trattenni a parlare con loro, liquidandoli con un lieve cenno del capo mentre la mia passeggiata procedeva spedita verso le mura.
Rimasi invece a parlare con Sef, di ritorno dalla legnaia con una delle sue figlie, carico di rami e frasche secche.
« Salute e pace, Shaykh²! », mi salutò, allegro, mentre la bambina che gli camminava al fianco mollava per terra i bastoncini che portava sotto braccio per aggrapparsi alle gambe di suo padre. « Come mai fuori a quest’ora? »
Aprii la bocca per inspirare un po’ d’aria e una nuvola di fiato caldo si levò dalle mie labbra, dissolvendosi nel giro di pochi istanti.
« Una passeggiata », risposi, alzando le spalle.
Sef mi scoccò un’occhiata divertita.
« Verso la cittadella? », chiese, ridacchiando sotto la sciarpa. « Strano, sei la seconda persona che stamattina è in vena di passeggiate fuori dalle porte! »
Dal sorriso furbo che mi lanciò capii a chi stesse facendo menzione.
« È già arrivato il momento? », chiesi.
Sef alzò le spalle.
« Così pare. Mi sono offerto di farle da scorta, ma credo si sia offesa ».
Erano passati quattro mesi ed era tempo che Qitt si recasse dalla famiglia di suo marito per portare ufficialmente le sue condoglianze. Scortata o meno, doveva raggiungere Gerusalemme e lì soggiornare il tempo che i fratelli di Imaad avrebbero ritenuto necessario.
Era la tradizione e accadeva spesso che le vedove lasciassero Masyaf per sempre, trasferendosi nella città d’origine con la famiglia del loro defunto marito. Erano scene che avevo già visto più volte, da ragazzino. Serve in lacrime per la partenza di un’amica, giovani assassini ammutoliti dall’addio appena dato alle loro madri. Quando qualcuno partiva, c’era sempre una discreta folla, dinanzi alle porte.
Qitt, invece, aveva deciso di partire senza farne parola con nessuno. Quasi certamente il suo incontro con Sef era stato casuale e del tutto malvoluto, sebbene potesse essere parte di un piano più scaltro per rassicurare sua figlia circa la sua partenza.
Piano o meno, non c’erano dubbi che quella di Gerusalemme non fosse altro che una scusa bella e buona per allontanarsi da Masyaf e sparire chissà dove per mesi.
Scusa che non ero sicuro di voler accettare.
Salutato Sef e la sua figlioletta, mi affrettai a scendere fino alle mura.
Tutt’oggi non saprei dire cosa guidò i miei piedi fin lì.
Ormai, lasciavo così raramente i corridoi della fortezza per uscire a prendere aria nel cortile, figurarsi per perdermi tra le strade di Masyaf. Ammetto di essermi stupito parecchio, infatti, quando scoprii di conoscere ancora la strada che portava alle mura.
Aveva appena iniziato a nevicare una neve fina, calda, tipica di quando la primavera è ormai alle porte e le nuvole si stanno preparando alla stagione più arida.
Quando arrivai alle scuderie, trovai Qitt indaffarata a sellare uno dei cavalli nella stalla.
Tutta avvolta in una sciarpa di lana, sembrava alla ricerca di un paio di staffe dalle cinghie sufficientemente corte per la sua statura minuta.
Mi avvicinai con tranquillità, sebbene l’idea di rivolgerle nuovamente la parola dopo mesi mi rendesse più agitato del solito.
Non c’era che imbarazzo, in realtà, visto che dalla morte di Imaad non avevo ancora trovato il coraggio per farle delle condoglianze che si scostassero da quelle formali che le avevo rivolto al funerale.
« Strano vederti scappare », le dissi, accarezzando con il dorso della mano il cavallo sellato.
Lei sobbalzò, mollando a terra le staffe con le quali stava armeggiando.
Mi compiacqui di averla colta di sorpresa.
Le sorrisi stentatamente e in un istante vidi i suoi occhi verdi riempirsi di lacrime, mentre le guance si arrossavano, le labbra sottili tremavano sotto l’irruenza del pianto.
Si buttò contro il mio petto, premendo il viso tra la stoffa della cappa, e io non potei far altro che stringerla a me.
L’abbracciai così forte che sentii le mie vecchie ossa scricchiolare, ma non diedi loro peso, continuando a stringerla. La strinsi per tutte le volte che non l’avevo fatto prima; per quando l’avevo vista morente all’ospedale, per quando mi spiava dall’erba alta del cortile, per quando era quasi morta per portarmi fino a Gerusalemme. Affondai il mento nei suoi capelli scuri per quando Imaad mi aveva chiesto di prendermi cura di lei e anche per quando tutti assieme eravamo andati al tempio. Per quando all’ospedale le avevo stretto la mano così forte da sentirla tremare sotto la mia forza, per quando mi aveva detto di essere incinta e io non avevo potuto fare a meno di invidiare Imaad. Infine la strinsi più forte che potei per quando avevo visto Sef tornare dalla battaglia da solo, per quando l’avevo vista disperarsi sul cadavere di suo marito e per quel momento, in cui ogni parola era superflua perché avrebbe saputo soltanto di addio.
E io non volevo che quello fosse un addio, volevo che lei tornasse bambina, dietro il bancone della Dimora con il viso assonnato chino sui taccuini che i Templari avevano lasciato al tempio.
Mi accorsi di stare per piangere quando il nodo che avevo alla gola mi impedì di deglutire la saliva e allora mi scostai da quell’abbraccio, imponendomi un minimo di contegno.
« Non devi per forza andartene », le dissi, abbassando lo sguardo.
Poi la guardai in viso e capii che non c’era altro, in quel momento, che Qitt volesse più di allontanarsi da Masyaf, la meta che tanto aveva agognato da bambina e che le si era rivoltata contro, togliendole tutta la felicità che in quegli anni le avevo visto addosso.
Mi chiesi come sarebbero state, le cose per lei e Imaad, se quel giorno li avessi lasciati a Gerusalemme, addormentati sui cuscini della Dimora.
Strinsi i denti, muovendo un passo indietro.
« D’accordo », mormorai.
In fondo, la capivo.
Come fermarla, ora che l’unico luogo che poteva offrirle protezione era quello in cui scappava ogni qual volta il mondo le stava stretto? Persino Imaad l’aveva capito.
All’improvviso, rammentai il giorno in cui arrivai alla Dimora.
Salute e pace, Fratelli miei! E benvenuti a Gerusalemme!
Sorrisi nel ricordare il tono allegro di Imaad e i suoi occhi vispi che mi studiavano con giovialità mentre lui mi portava a fare il giro della Dimora.
Non ho intenzione di restare qui a guardarla morire.
Per Allah, Malik. Come sei ingiusto!
Sono veramente felice per te, Malik.
Avrei dato davvero qualunque cosa per averlo ancora al mio fianco.
Guardai Qitt e lei mi guardò di rimando, poi prese la mia mano e la aprì verso l’alto.
Passò il suo dito indice sul mio palmo, tracciando una lettera dopo l’altra con delicatezza.
Non essere triste, Rafiq”, scrisse, quasi mi avesse letto nel pensiero. “In battaglia, le persone muoiono”.
Fu il solo fatto che lei si ritrasse per salire a cavallo, ciò che mi trattenne dal darle un ulteriore abbraccio.
« So che tornerai », dissi, serio, guardandola ficcare i piedi nelle staffe un po’ troppo basse per le sue gambe corte.
Lei alzò le spalle.
Può essere’, ammise, sorridendo appena.
« Allora ti aspetterò ».
L’avevo sempre fatto.
A Gerusalemme, sepolto tra i documenti e i registri, o a Masyaf, chiuso in biblioteca dietro i tomi di storia. Ma non c’era stata notte in cui, prima di coricarmi, non avessi guardato fuori dalla finestra alla ricerca di un cavallo di ritorno da una missione, non c’era stato mattino in cui non fossi sceso all’ospedale per chiedere di lei.
Sapere che sarebbe tornata, mi tranquillizzava.
La guardai indugiare un poco, dopodiché spronò il cavallo e partì al galoppo verso il Regno, lasciando dietro di sé soltanto il rumore degli zoccoli che tamburellavano sulla terra.
Rimasi lì impalato per appena il tempo di un respiro, poi mi voltai verso le stalle.
Tutt’oggi ignoro cosa mi spinse a seguirla.
Paura di dover tornare a vivere con me stesso ora che lei se n’era andata, piuttosto che di dover trascorrere un altro anno alla finestra a sperare di vederla ricomparire.
Forse la verità è che ero stanco di doverla sempre aspettare.
Sellai il primo cavallo che mi capitò a tiro e mi buttai al suo inseguimento, superando in una manciata di secondi lo steccato che delimitava i confini di Masyaf.
Arrivai a tagliarle la strada che il freddo mi aveva congelato le guance e tagliato le nocche.
« Scappiamo insieme », le dissi, mentre lei mi guardava con quegli occhi color dell’erba spalancati sul mio viso ansimante. Sorridevo, forse. Non lo ricordo. « Ti do tre giorni. Fammi vedere dove vai quando hai voglia di sparire ».
Qitt mi sorrise.
Per un istante temetti mi stesse per scoppiare a ridere in faccia, ma poi scalciò nella pancia del suo cavallo e prese a galoppare verso la valle coperta dalla lieve nebbia del mattino.
La seguii senza esitare e immediatamente capii perché scappare pareva piacerle così tanto.
Faceva sentire liberi.







__________________________

Note d'autore
[1] Disse il libro che, per i quattro mesi sucessivi alla morte del marito, la vedova non può uscire di casa/vedere altri uomini/parlare con altri uomini/sposare altri uomini. Per i parenti stretti in genere, invece, il lutto dura una settimana in cui si presenta il digiuno.
[2] Shaykh significa vecchio, non in tono dispregiativo ma di ammirazione (Shaykh viene usato per le persone sagge).

La parte scritta del mio esame è andata, tra dieci giorni l'orale.
Maaaaaaaaaaaaaaa sono ancora viva. Più o meno.
Il prossimo capitolo è l'ultimo che ho pronto (*parte la musichetta tragica) per cui spero vivamente che la mia ispirazione si faccia viva; se n'è andata in Alaska a fare le vacanze di Natale e non si è più fatta viva :c
Ergo ... speriamo <3


Biscotti,

Lechatvert


   
 
Leggi le 4 recensioni
Segui la storia  |        |  Torna su
Cosa pensi della storia?
Per recensire esegui il login oppure registrati.
Capitoli:
 <<    >>
Torna indietro / Vai alla categoria: Videogiochi > Assassin's Creed / Vai alla pagina dell'autore: Lechatvert