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Autore: Laylath    17/01/2014    3 recensioni
Eppure a guardare più da vicino i ragazzi di quella realtà, ci si sarebbe accorti che le loro esistenze non erano così scontate: i piccoli grandi problemi dell’infanzia e dell’adolescenza a volte andavano ad intrecciarsi con situazioni difficili, dove spesso il legame con un amico fidato era la cosa migliore per poter andare avanti.
E spesso le persone più impensabili stringevano un forte legame tra di loro per uno strano susseguirsi di eventi, all’apparenza così normali… anche se poi viverli era tutt’altra cosa.
Genere: Generale, Introspettivo, Slice of life | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Nuovo personaggio, Team Mustang
Note: AU, What if? | Avvertimenti: Tematiche delicate
Capitoli:
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- Questa storia fa parte della serie 'Un anno per crescere'
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Capitolo 11. Speciale.

 

Lo scontro tra Roy e Jean aveva avuto conseguenze tali che per il resto della settimana i due contendenti furono costretti a letto a causa dei danni ricevuti, nonostante nessuna delle ferite subite fosse effettivamente grave.
Considerata la situazione “di emergenza”, ogni giorno Heymans si metteva in moto prima del previsto e andava a prendere Janet direttamente a casa, dato che la bambina non era ancora in grado di fare il percorso fino al crocevia da sola. La cosa non gli dispiaceva assolutamente: voleva dire che le cose stavano tornando alla tranquilla normalità dopo quel giorno di tensione che sembrava dover sconvolgere tanto la sua amicizia con Jean. Era come se la tempesta fosse passata naturalmente, senza bisogno che qualcuno dei due tirasse fuori l’argomento: tuttavia, se da una parte c’era stata una gradita conferma di quanto fosse forte la loro amicizia, dall’altra Heymans iniziava a sentirsi leggermente in colpa per non aver mai parlato a Jean della sua famiglia, per lo meno non in maniera approfondita.
Era come se sentisse che forse era arrivato il momento di concedere una nuova e strana forma di fiducia al suo amico e…
“Mamma è ancora molto arrabbiata con Jean: – disse Janet, interrompendo i suoi pensieri – ieri ha detto che era un bene che stava così male, altrimenti le avrebbe prese.”
“Non c’è niente da fare – ridacchiò Heymans – tuo fratello è un vero danno. E tuo padre che dice?”
“Papà non credo sia arrabbiato con lui, dice che finalmente ha risolto la questione… ma non so di che cosa parla e non me l’hanno detto né lui né Jean. A casa non mi dice mai niente nessuno!” protestò con aria offesa.
“Lascia stare, Janet, sono cose che a te non interesserebbero nemmeno, fidati.”
“Se lo dici tu! Beh, se loro non dicono le cose a me, allora io non dirò che sei il mio fidanzatino. Così imparano!”
“Quello è un segreto solo per noi. – le ricordò il rosso, strizzandole l’occhio – Ehi, hai visto che c’è Kain?”
“Oh sì! Buongiorno Kain!” salutò con entusiasmo la bambina.
“Ciao! –  sorrise il moro fermandosi per aspettarli all’ingresso del cortile della scuola – Come sta Jean? Nemmeno oggi è tornato a scuola… eppure è già il quarto giorno.”
“Nah, il ritorno sarà direttamente la settimana prossima. – spiegò Heymans – Quei due folli si sono riempiti di botte fino a un punto simile.”
“Anche Riza ha detto che Roy rientrerà direttamente lunedì prossimo, - ammise  il bambino – ma credi che faranno pace?”
“Pace! Mica hanno litigato, Kain; – sogghignò Heymans, mentre Janet vedeva le sue compagnette e correva  verso di loro – però effettivamente bisognerà chiarire come stanno le cose. Con un pareggio le richieste che hanno fatto non possono essere esaudite, anche perché erano in parte contrastanti.”
“Non mi piace essere parte di quelle richieste. – confessò il bambino, guardando davanti a sé – Avrò undici anni e sarò più piccolo… ma credo di meritare rispetto e non essere trattato come un oggetto.”
Heymans annuì e non poté che dargli pienamente ragione. In quegli ultimi giorni, considerata anche la simpatia che Janet provava per Kain, aveva iniziato a conoscere meglio la vittima di Jean ed aveva scoperto che gli piaceva più del previsto. Prima provava per lui sono una forma di pietosa simpatia e spesso faceva in modo che il suo amico non esagerasse con gli scherzi, ma adesso che aveva avuto occasione di parlaci, aveva scoperto che c’era una bella mente dietro quell’aria timida. E anche una strana maturità che non avrebbe fatto male al primogenito degli Havoc… e ad Henry.
“A proposito, – disse, per cambiare argomento – non ti ho ancora chiesto se i tuoi si sono arrabbiati il giorno in cui ti abbiamo praticamente obbligato a riportare Janet a casa.”
“Arrabbiati no, - scosse il capo lui – certo erano molto preoccupati… anche se ho corso come un matto dopo che ho riportato Janet, ho fatto più di mezz’ora di ritardo. Però quello stesso pomeriggio è venuta la mamma di Jean a casa e si è scusata per l’imprevisto e non ha fatto altro che ringraziarmi. Ero anche imbarazzato quando mi ha abbracciato e si è quasi messa a piangere! Però i miei genitori sono stati molto fieri di me, quindi tutto si è concluso bene.” un timido e soddisfatto sorriso gli apparve nel volto al ricordo di suo padre che gli metteva le mani sulle spalle in un gesto carico d’orgoglio.
“La signora Havoc è così! – sorrise Heymans – E’ molto espansiva per certe cose: in questo Janet le somiglia molto.”
“Mia mamma non credo farebbe così: – ridacchiò Kain – lei è molto più tranquilla. E la tua?”
“Anche la mia è molto più riservata rispetto alla mamma di Jean, su questo non ci sono dubbi. Oh, ciao Riza, come sta il nostro malato?”
“Ciao ragazzi. – salutò la biondina, affiancandosi a loro – Beh, come al solito: dice che stare a letto è più eccitante di venire a scuola, anche se si annoia a non fare niente. Sembra un panda con quegli occhi neri, ma almeno ora li tiene aperti senza troppo fastidio; certo che Jean poteva risparmiarsi i colpi in viso.”
“Anche lui ha diversi lividi in faccia ed un labbro spaccato, Riza. Lascia stare queste recriminazioni: nel momento in cui hanno deciso di battersi sapevano benissimo a cosa andavano incontro.”
“Guarda! – esclamò Kain – Ci sono Vato ed Elisa! Io vado a salutarli: devo chiedere a Vato un sacco di cose che mi sono venute in mente ieri… ci vediamo dopo!”
Come il bambino si fu allontanato, Heymans squadrò Riza e si fece serio.
“Quando quei due torneranno a scuola ci sarà la resa dei conti.”
“Eri tu il giudice di quella gara: dovranno accettare il tuo verdetto di pareggio.” scosse il capo, la ragazza.
“Non è tanto la questione di Kain a preoccuparmi: per come si sono evolute le cose mi pare che Jean stia iniziando a considerare l’idea di avere più rispetto per lui; anche perché sotto questo punto di vista ci penserò pure io ad agire in favore del ragazzino.”
“Rimane in sospeso la questione dell’accettare Roy come capo, vero?”
“Già; non frainterdemi, Riza, non ho niente contro di lui e penso che sarebbe un buon capo; ma lo stesso posso dire di Jean, per quanto a volte possa risultare immaturo. Il pareggio non ha fatto che rimandare di qualche giorno la questione, niente di più.”
Riza abbassò lo sguardo a terra, riflettendo attentamente.
“Roy e Jean si sono battuti ed hanno pareggiato; perché non ti proponi tu? Potresti essere un buon compromesso, non credi?”
Heymans le lanciò uno sguardo penetrante con gli occhi grigi: Riza non era per niente sciocca, tutt’altro. Ma poi scosse le robuste spalle con un sorriso di scusa.
“Io sono il meno indicato ad essere leader.”
“Non hai una buona considerazione di te stesso, – constatò lei – perché mai? Eppure sei molto maturo per quello che mi è dato di capire.”
Se fossi davvero maturo e con doti da leader non scapperei da casa ogni volta che vedo mio padre, non permetterei che Henry sia così succube di lui… non gli permetterei di far piangere mia madre così spesso.
“Heymans…?” la voce di Riza lo riscosse dai suoi pensieri cupi.
“Un conto è essere parte di una coppia, – disse evasivamente – ma per essere leader di un gruppo ci vuole altro: siamo ufficialmente in tre, ma indirettamente ci sei pure tu… ed in qualche modo c’è dentro anche Kain. Io posso dare consigli, aiutare a ragionare, se ci sono costretto sì, prendo l’iniziativa, ma in genere osservo più che agire. Credimi io non… lascia stare, sono una persona complicata. Guarda, c’è la tua amica Rebecca che sta arrivando: scommetto che non vede l’ora di sentire i pettegolezzi.”
“La questione dei patti dello scontro sta rimanendo tra le persone coinvolte. – disse Riza con decisione, quasi a voler dichiarare che di lei ci si poteva fidare – Non ho intenzione di dirla nemmeno a lei.”
“Non avevo dubbi in merito, Riza Hawkeye.” sorrise il rosso con sincerità.
 
“La settimana prossima mio padre andrà a fare il sopralluogo alla vecchia miniera: – annunciò Kain, durante l’intervallo, mentre stava seduto tra Vato ed Elisa – ha detto che è riuscito a procurarsi le vecchie piantine e altra documentazione.”
“Davvero? Mi piacerebbe darci un’occhiata: – ammise Vato – sono cose che risalgono ad almeno trent’anni prima; se c’è l’atto fondativo forse ha più di settant’anni: che meraviglia!”
“Se vuoi posso chiedergli se ci fa dare un’occhiata, non credo che ci siano problemi. – propose il ragazzino –  Un pomeriggio puoi venire a casa e vederli. Ovviamente anche tu, Elisa, se ti fa piacere; così vi faccio conoscere anche la mia mamma.”
“Sarebbe fantastico; – annuì l’altro con entusiasmo – adoro poter accedere a questo tipo di documentazione! Quando mio padre mi consente di aiutarlo in ufficio scopro un sacco di cose interessanti.”
“Da grande diventerai anche tu un poliziotto?” chiese Kain con curiosità.
“Molto probabilmente; anche se piuttosto che con l’azione preferisco lavorare con la mia testa.” e con un sorriso soddisfatto si toccò la fronte.
“E’ quasi barare; – sbottò Elisa – ti basta leggere una volta il capitolo di storia e già lo sai a memoria. Non è giusto nei confronti di chi ci impiega tutta una sera per prepararsi all’interrogazione.”
“E dai, Eli, non te la prendere! – disse Vato con aria contrita – Non è colpa mia se ho questa dote da quando sono nato; e poi ti aiuto ogni volta che vuoi, lo sai benissimo.”
“Lo so, lo so. – ridacchiò lei, strizzandogli l’occhio con malizia – Comunque va bene, Kain: se vuoi un pomeriggio passiamo a casa tua per conoscere tua madre; ne sarei davvero felice.”
“Sul serio? – sorrise il bambino – Che bello! Quasi quasi lo dico anche a Riza!”
“La figlia del vecchio Hawkeye?” chiese Vato.
“Sì, - annuì serenamente Kain – è veramente una brava ragazza; è sempre stata buona con me, anche se siamo diventati amici relativamente da poco.”
“Mi chiedo che vita faccia in quella casa: suo padre non si è mai visto in giro… i miei dicono che lei assomiglia molto a sua madre. Io della signora proprio non mi ricordo: anche perché negli ultimi anni stava così male che usciva pochissimo di casa.”
“Nemmeno io mi ricordo di lei. – ammise Vato con aria pensosa – Però erano di certo una famiglia molto strana: dicono che il nonno materno di Riza sia una persona importante, ma nessuno sa niente di più.”
“Mia mamma andò al funerale di lei, circa quattro anni fa: mi raccontò che nella lapide lui aveva fatto incidere Elisabeth Hawkeye, senza mettere il nome della sua famiglia d’origine, come invece si è soliti fare; pare ci fossero molti disaccordi sul loro matrimonio.”
Kain aveva abbassato lo sguardo, turbato nel conoscere quei dettagli così particolari sulla famiglia di Riza: non gli piacevano i pettegolezzi nei suoi confronti perché gli sembrava che la giudicassero senza conoscerla minimamente; così si alzò in piedi per interrompere quella conversazione e disse:
“Oh beh, suo padre può anche essere strano e si possono dire tante cose su di lui. Ma a me non importa niente! Riza è speciale ed è questo che conta.”
“Nessuno di noi due aveva intenzione di offenderla – disse Elisa con tranquillità, mettendogli la mano sulla spalla e inducendolo a risedersi tra di loro – anzi, sai cosa ti dico? Spero proprio che venga, perché vorrei davvero conoscerla. Se ti piace così tanto deve essere davvero speciale, no?”
Kain fissò la ragazza per qualche secondo e poi si rasserenò, accorgendosi che aveva parlato con sincerità e non c’era nessuna malizia o cattiveria nelle cose che aveva riferito prima. Anche Vato annuì, a confermare che la pensava come la sua amica e dunque il bambino considerò la questione definitivamente chiusa.
Appena avrebbe visto Riza, l’avrebbe invitata.
 
“Adesso sei ancora più speciale! – esclamò Rebecca estasiata, all’uscita di scuola – Tu non sai quante voci girano su di te: andare a casa di Roy! All’interno di quel locale particolare. Riza Hawkeye, ti comunico che sei ufficialmente la ragazza più famosa della scuola!”
“Dovresti finirla con tutti questi pettegolezzi! – la rimproverò l’amica con esasperazione – Se non ti conoscessi bene direi che sei tu la prima ad alimentarli.”
“Non potrei mai! Io mi limito solo ad ascoltare e riferire. Ah, che invidia! Tu vai a fare l’infermiera al tuo Roy… non sai cosa darei per andare a fare da infermiera a Jean!”
“Rebecca!”
“Finiscila di fare l’offesa! E poi sei stata così avida di particolari su quel fantomatico giorno del duello che in qualche modo mi devo vendicare, antipatica di un’amica.”
“Che?”
Ma prima che potesse aggiungere altro, Rebecca le fece una linguaccia divertita e scappò via. Per un secondo la bionda fu tentata di inseguirla, ma una voce che chiamava il suo nome la fece voltare, distogliendola dai suoi propositi di vendetta contro l’amica.
“Dimmi, Kain; – sorrise, lieta di vedere l’incarnazione della discrezione dopo che era stata costretta a sorbirsi l’amica in una delle sue giornate peggiori – cosa posso fare per te?”
“Volevo chiederti se uno di questi pomeriggi ti va di venire a casa mia.” disse il bambino.
“A casa tua?” sgranò gli occhi lei, sorpresa da questo invito.
“Sì; mio papà si è procurato dei documenti sulla vecchia miniera che Vato vorrebbe vedere… non so se a te possano interessare, ma in ogni caso vorrei farti conoscere la mia mamma. Oh, e viene anche Elisa, naturalmente.”
“Naturalmente?” sorrise lei con malizia.
“Beh, credo che lei e Vato si vogliano molto bene, – disse con tutta innocenza Kain – si vede che sono grandi amici; un po’ come te e Roy, no?”
A quell’affermazione la ragazza rimase interdetta e sentì un lieve calore sulle guance.
“Adesso devo andare, Kain, ma accetto molto volentieri il tuo invito.”
“Sul serio? – sorrise lui felice – Oh grandioso, Riza! Vedrai, sono sicuro che a mia mamma piacerai tantissimo!”
 
Dopo aver pranzato come sempre da sola nella grande cucina, Riza prese la sua tracolla ed uscì di casa. Come sempre non si preoccupò di avvisare suo padre, ma negli ultimi giorni ci teneva particolarmente a non dirgli niente. La parte di lei che ancora desiderava avere un dialogo col genitore rispondeva a quella regola fanciullesca per cui alcune cose si preferisce tenerle nascoste; e così, anche se non c’era assolutamente bisogno, usciva con aria circospetta, come se avesse il timore di essere scoperta.
Percorrendo le strade del paese, rifletté sul fatto che lei e Roy abitavano a cinque minuti di distanza l’uno dall’altro; tuttavia fino a quel momento non ci aveva mai fatto caso, forse perché era loro abitudine vedersi altrove rispetto alle loro case.
Arrivò davanti all’ingresso del locale di Madame Christmas ed aprì la porta con discrezione, come aveva imparato a fare. A quell’ora il posto era ancora vuoto, dato che i preparativi per le serate iniziavano solo verso le sette e mezza di sera, e dunque Riza aveva libero accesso, senza rischiare di disturbare.
Tuttavia la faceva sentire a disagio stare in quella sala e così si affrettò ad andare dietro al bancone e salire le scale che conducevano al piano di sopra. La prima volta che c’era stata, quattro giorni prima, aveva scoperto che c’era una netta divisione tra la parte dove stavano la stanza di Roy e quella di Madame e quella dove invece stavano le stanze delle signorine del locale. Era rimasta piacevolmente sorpresa da questa divisione, costituita da un pianerottolo di disimpegno e da una porta nel corridoio… in qualche modo le sembrava che Roy fosse maggiormente preservato dalle attività notturne di quel luogo.
Ormai aveva libero accesso, come le aveva detto Madame, ma fece comunque tutto in grande silenzio per non disturbare.
“Roy, – bussò delicatamente, quando arrivò davanti alla sua camera – sono Riza.”
“Vieni pure.” disse la voce dall’interno.
E la ragazza, schiuse la porta il giusto necessario per sgusciare con discrezione all’interno.
La camera di Roy era incredibilmente normale, anche se Riza si era rimproverata sin dal primo giorno: che cosa si era mai aspettata? Era una stanza abbastanza grande, sicuramente ricavata da un ambiente che prima aveva un’altra destinazione: il letto si trovava nella parete di destra, mentre dall’altra parte vi era una grande libreria; oltre ai libri, a dire il vero non tanti, c’erano tantissimi e curiosi oggetti che Roy le aveva detto essere appartenuti a suo padre e che dunque gli spettavano per eredità.
Non era mai a casa, impegnato com’era nell’esercito. Però il suo studio era pieno di queste cose… e sono riuscito a portarle con me dopo la sua morte.
“Ehilà, Riza, - salutò il malato seduto alla scrivana che dava verso la finestra sulla parete di fondo – arrivi presto come sempre.”
“Stavi ancora mangiando?” chiese lei, notando il vassoio sopra la scrivania.
“Ho terminato qualche minuto fa; fortunatamente oggi Madame ha consentito a farmi mangiare qualcosa di più decente rispetto al brodo di pollo… Forse si è resa conto che sono solo leggermente ammaccato ed il mio stomaco sta benissimo.”
“Quando si sta male bisogna mangiare leggeri. – lo rimproverò Riza, guardandolo alzarsi e andare verso il letto sfatto: non zoppicava più come il primo giorno e tutti i movimenti in generale erano più sciolti. – E con le botte che hai preso in testa dovresti evitare di alzarti: dato che hai il vassoio potresti anche mangiare a letto.”
“E dai, Riza! – sospirò lui – Quando Madame dice che sei l’infermierina lo fa per prenderti in giro, mica perché lo devi fare davvero.”
“Scusa tanto se mi preoccupo, – disse impassibile lei, prendendo dalla sua tracolla alcuni fogli e mettendoli sopra la scrivania, accanto al vassoio – considerato che io ed Heymans ti abbiamo dovuto trasportare di peso. Comunque qui ci sono i compiti: ho chiesto al tuo professore di darmeli.”
“Beh, per quelli farò finta di stare davvero male.” sghignazzò, sedendosi a gambe incrociate sul materasso
“Roy!”
“Che seccatura che sei, Riza – ridacchiò lui, strizzandole l’occhio… un effetto non proprio felice considerato che era ancora livido – ci godi a torturarmi così? E dimmi, si hanno notizie di Jean?”
“Tornerete entrambi a scuola lunedì prossimo, così mi ha detto Heymans stamane.”
“Bene.” commentò lui, mentre il suo sguardo si faceva remoto: chiaramente stava pensando a quello che sarebbe successo quando si sarebbero rivisti e alle questioni in sospeso da risolvere. Nonostante il viso pallido e tumefatto, la determinazione di quel ragazzo era estremamente tangibile.
“Perché ci tieni tanto a diventare il capo di quei due?” chiese sommessamente Riza, sedendosi accanto a lui nel letto.
“E chi lo sa…” ammise lui, continuando a fissare la libreria davanti a se, concentrando la sua attenzione su una scacchiera con i pezzi già pronti per giocare.
Riza seguì il suo sguardo, ma lo spostò quasi subito su una fotografia posata contro dei libri accanto alla scacchiera: forse aveva trovato la risposta.
Stai semplicemente cercando di colmare il vuoto che la partenza di Maes ti ha lasciato?
Lei sapeva ben poco di quel ragazzo, il miglior amico di Roy, trasferitosi a Central più di tre anni fa. Quando aveva visto quella foto, quattro giorni prima, si era vagamente ricordata di quel giovane a scuola, quando lei era appena in prima media e ancora non aveva stretto amicizia con Roy, ma nulla di più. Maes Hughes le era più che altro conosciuto dai racconti che facevano gli altri, soprattutto Rebecca: lui e Roy erano stati una coppia inseparabile, proprio come lo erano Heymans e Jean… e, proprio come loro, sembrava che lui e Roy non avessero fatto amicizia da subito, ma una volta che si erano conosciuti meglio erano diventati grandi amici.
Certamente deve essere stato un duro colpo quando lui si è trasferito… è anche per questo che vuoi andare via da questo posto, Roy?
“Sai che Kain mi ha invitato a casa sua uno di questi giorni? – disse per cambiare argomento – Dice che sarebbe molto felice di farmi conoscere sua madre.”
“Come sta lo gnometto? – chiese Roy con un mezzo sorriso – Spero che non sia ancora sconvolto dallo scontro: mi dispiace che abbia visto me e Jean picchiarci in quel modo.”
“Sta bene; credo che Heymans stia iniziando ad apprezzarlo: forse è la volta buona che verrà lasciato in pace definitivamente.”
“Avanti dillo.”
“Che cosa dovrei dire?”
“Che sei arrabbiata perché io e Jean l’abbiamo messo in mezzo con le nostre richieste. Ma sappi che l’ho fatto solo per difenderlo.”
“Lo so, Roy, lo so bene.  – sorrise con indulgenza lei – A dire il vero credo che le cose per Kain stiano davvero migliorando e ne sono felice.”
“Lo vedi che eri sciocca a preoccuparti. – le fece Roy, toccandole la guancia con l’indice – Per gnometto sei importante, colombina, e continuerai ad esserlo anche ora che non ci sarà più bisogno di difenderlo contro Jean. Lui non è il tipo da cercare amicizie per convenienza, tutt’altro.”
Riza si voltò a guardarlo: riusciva ad essere affascinante anche con il viso ridotto in quelle condizioni, con il pigiama azzurro chiaro tutto sgualcito.
…un po’ come te e Roy, no?
L’innocente domanda di Kain le ritornò alla mente, assieme ai maliziosi sottintesi di Rebecca. Non bisognava essere delle cime per capire che Vato ed Elisa erano fidanzati, anche se non c’era nulla di ufficiale.
E io sono seduta nel letto di Roy, con lui accanto in pigiama… e, per quanto se ne dica, lui non ha mai permesso a nessuna ragazza di avvicinarlo oltre a me. Basta Riza! Smettila di correre con la fantasia: lui è solo il tuo migliore amico, come Maes e….
Quell’improvviso accostamento le fece venire un tremendo dubbio. Era anche lei una sostituzione del grande amico che era andato via? Questo pensiero non le piaceva per niente e si trovò ad abbassare lo sguardo, interrompendo il contatto fisico.
“Roy – si trovò a dire con decisione, fissando il pavimento – scusa per quello che ti sto per dire, ma voglio essere chiara su una cosa. Semmai diventerai il loro capo o qualcosa di simile… ricordati che loro non sono Maes. Non sono sostituzioni, come non lo sono io.”
Non lo guardò, ma lo sentì irrigidirsi nel letto: era la prima volta che pronunciava il nome proibito e non aveva idea della reazione che Roy avrebbe avuto. Ma era giusto mettere in chiaro le cose.
“E’ questo che pensi? – chiese lui in tono di secca accusa dopo qualche secondo – Che io ti abbia concesso la mia amicizia solo perché avevo bisogno di colmare il vuoto che ha lasciato la sua partenza?” le prese il braccio e la scrollò leggermente per indurlo a guardalo
“No, ma…” si difese lei, incontrando quegli occhi scuri che, nonostante il livido intorno erano perfettamente espressivi ed irati.
“Perché devi aver paura di valere così poco? Perché credi di non essere degna di un’amicizia, Riza? Possibile che l’ombra di tuo padre debba condizionarti in questo modo?”
Fu una domanda così improvvisa che a Riza sembrò di aver ricevuto uno schiaffo. Mai fino a quel momento Roy aveva tirato fuori l’argomento di suo padre in maniera così violenta… e veritiera, dimostrando di conoscerla meglio del previsto.
“Ti ho concesso la mia amicizia perché ritengo che tu sia una persona speciale; - proseguì lui, continuando a scrollarla – e se mi sto avvicinando ad Heymans, Jean e Kain è perché li ritengo altrettanto speciali. Voi e Maes siete cose completamente diverse, ma non c’è una gerarchia d’importanza, chiaro? Sei una ragazza fantastica, Riza, possibile che non te ne rendi conto?”
“Se sono così speciale perché il mio stesso padre allora mi considera praticamente un’estranea?” chiese lei con disperazione.
“Se non ti considera allora è uno stupido! Ma tu sei speciale, Riza… lo sei per Rebecca, lo sei per Kain, in qualche modo scommetto che lo sei anche per Heymans e Jean, lo sei soprattutto per me.”
Riza non rispose a quell’affermazione che le imponeva di uscire fuori da quel momento di auto compassione. Ma Roy non le dette tregua e proseguì:
“Tutti abbiamo problemi, piccoli o grandi che siano: nessuno ha una vita perfetta. Credi di essere l’unica ad avere difficoltà col proprio padre? Adesso ti dico una cosa su Heymans: suo padre viene in questo posto spessissimo ed è un uomo pessimo che beve e tradisce quella povera moglie… in paese lo sanno tutti che si sono sposati perché lei era incinta di Heymans, che infatti è nato solo dopo cinque mesi di matrimonio. Ma anche se so questo, e so che suo fratello minore è sulla buona strada per diventare un delinquente, so altrettanto che lui è una persona che merita rispetto… così come lo sa Jean e tutta la sua famiglia e molte altre persone, compresa te.”
…lascia stare, sono una persona complicata.
 “Non lo sapevo.” ammise lei.
“E’ bello e tranquillo questo piccolo angolo di mondo, vero colombina? – chiese con un sorriso sarcastico il moro – Ma non credere che per questo sia esente da cose brutte. Tu non sei l’unica ad avere problemi: qui sono semplicemente più bravi a fare finta di niente o voltare le spalle. Sai perché mi sono avvicinato a te e mi sto avvicinando a Kain e agli altri? Perché voi non siete persone che fanno finta di niente.”
La stretta sul braccio della ragazza si era fatta più intensa a quelle ultime dichiarazioni. Solo quando ebbe terminato di parlare Roy se ne accorse e la allentò, massaggiando delicatamente quel punto.
“Scusa…” mormorò.
“Scusa tu.” fu tutto quello che riuscì a dire Riza.
Lui non smise di accarezzarle il braccio e lei non oppose nessuna resistenza. A tredici e quindici anni in fondo il mondo poteva fare male e questi gesti erano di estremo conforto.
“Non ti sta male…” sorrise debolmente Roy dopo qualche secondo.
“Cosa?”
“Colombina… non ti sta affatto male come nomignolo. Ti secca molto se qualche volta ti chiamo così?”
“Va bene – annuì lei, restituendo il sorriso – in fondo… non dispiace nemmeno a me.”
E una lontana parte della sua mente non poté far a meno di pensare che suo padre non sapeva nemmeno che Roy esisteva, così come tutti gli altri.
Ed era meglio così.


  
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