Diciotto gennaio: forse non esisti nemmeno tu.
“Che cosa hai intenzione di fare domani mattina? Sei a casa, giusto? Ti andrebbe di uscire con me per bere qualcosa?”
“No, grazie, credo rimarrò da solo con i miei pensieri per un paio d’ore; ho bisogno di pensare”
“Come vuoi. Ma non hai paura che ti si rivoltino contro prima o poi, i tuoi pensieri?”
“No, grazie, credo rimarrò da solo con i miei pensieri per un paio d’ore; ho bisogno di pensare”
“Come vuoi. Ma non hai paura che ti si rivoltino contro prima o poi, i tuoi pensieri?”
La casa è vuota:
languono le stanze nude,
in singulti spezzati, profondi, esistenziali.
Ti accoccoli dolcemente
alle tue deboli ossa congelate dalla notte insonne
e silenziosamente ponderi la giornata che verrà.
Siedi pacato, indesiderato, sereno però e
sleghi, sfilacci, sciogli con infinita cura
le fila dei tuoi pensieri.
Non c’è nulla qui;
non c’è nessuno qui
forse non esisti nemmeno tu, pensi.
La solitudine assordante rintocca
ritmica in una lugubre eco senza fine;
sono passati secondi, minuti, ore, giorni?
Temi il troppo silenzio; ti perfora i timpani molli.
I grovigli di materia grigia sollecitata raschiano
sulla pelle arrossata delle mani.
Sanguini e piangi;
vuoi urlare, gridare
ma non hai aria nei polmoni.
*