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Autore: JennyWren    18/01/2014    5 recensioni
Mi porse una foto indicando i volti sorridenti dei ragazzi con la pettinatura a caschetto - Lui è George, poi c'è Paul, Ringo e quello dietro più in alto è..
- John - conclusi la presentazione fissando il volto del ragazzo dai capelli chiari e lo sguardo magnetico che sfoggiava un sorriso divertito.
Serrai la mascella stringendo la foto stretta tra le mani, il mio sguardo si indurì all'istante, avrei bruciato quella maledetta foto se solo l’avessi guardata ancora.
- Puoi ridarmi la foto? - la ragazza chiese titubante notando il cambiamento della mia espressione.
- Tienitela - Risposi con un tono glaciale
Dal cap. 21
Mi si bloccò il respiro per un attimo e un brivido mi salì sulla schiena, lasciandomi a bocca aperta. - Cosa? - Chiesi quasi senza fiato.
Patti mi guardò perplessa - Beh, Paul ha lasciato Jane appena dopo il tour scorso.
Il cuore batteva in petto come un martello pneumatico e sentivo la gola terribilmente secca. - Vado a bere - Mi diressi al tavolo con le bibite ma il mio sguardo si posò su l’ultimo arrivato, il ragazzo dai capelli neri in giacca e cravatta
Paul.
Genere: Malinconico, Romantico | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Altro personaggio, George Harrison, John Lennon, Paul McCartney, Ringo Starr
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Please forgive me.

1973.
 Il vento di Gennaio sferzava prepotente contro gli infissi della casa di Londra. Il clima freddo e decisamente pungente sembrava suggerire alle persone di starsene sdraiati a letto sotto le coperte, magari con una tazza di cioccolata calda. Purtroppo, sebbene l’idea fosse particolarmente allettante avevo deciso di lavorare proprio quella mattina, per cercare di terminare l’articolo da consegnare al “grande capo”.
E così, armata di vestaglia e the caldo battevo freneticamente le dita sulla macchina da scrivere.
 
Ormai lavoravo per lo più da casa, con l’arrivo di George dopo cinque anni dalla nascita di Elizabeth, andavo in ufficio al massimo dieci volte al mese. Lavoravo al mattino presto, prima che tutti si svegliassero, in modo da avere almeno due ore di pace e di silenzio in cui poter scrivere in tranquillità, prima di cominciare il mio lavoro a tempo pieno di moglie e madre.
 
Sfilai il foglio dalla macchina da scrivere e lo poggiai sul plico che già tenevo sulla scrivania, avevo finito e mancavano ancora almeno 10 minuti prima che la sveglia di Steve suonasse.
 
Strinsi le mani dietro la nuca per stiracchiarmi e guardai le foto poste sulla parete del soggiorno: una di esse ritraeva me e John a Mendiphs. Sullo sfondo si vedeva anche zio George intento a raccogliere dal giardino i nostri giocattoli.
L’altra, invece, ritraeva me, George e Paul al porto di Liverpool.
 
“- John sai scattare una fotografia? – Chiese Paul ridacchiando.
- Certo che lo so fare. Non sono mica stupido come te! – Sbraitò John cacciando via il fumo.
- Okay – Alzò le spalle Paul prima di tornare in posizione. Questa volta, però, non si limitò a stare di fianco a me e George, ma strinse il mio fianco delicatamente.
- Dannazione John, hai la macchina al contrario! – Urlò esasperato George.
L’espressione di John fu la goccia che fece traboccare il vaso. Io e Paul scoppiammo a ridere e John scattò una foto a dir poco orribile.”
 
 
- Judith?
Sobbalzai. Non avevo sentito che qualcuno stesse arrivando ed ero talmente immersa nei ricordi da non aver capito quanto tempo fosse passato.
- Buongiorno Steve. George ed Ellie dormono ancora?
- Sì. – Sbadigliò stropicciandosi gli occhi – Oggi vai in ufficio quindi porto George con me?
- Se non è un problema.
- È mio figlio, non è un problema – Sorrise e mi sfiorò le labbra con un bacio prima di andare in cucina a fare colazione.
 
 
 
°oOoOo°
 
 
 
Eravamo sulla soglia della porta, tutti imbacuccati, pronti per uscire. Elizabeth stringeva il pupazzo che John le aveva regalato, mentre George si agitava nel passeggino per cercare di uscire.
 
- Steve sarò di ritorno tra tre ore al massimo. George ha mangiato ma ti ho preparato la borsa con il necessario: frutta in pezzi, acqua, qualche giocattolo e anche con un paio di pannolini di ricambio. Nel caso dovesse succedere qualcosa…
- Sta calma! – Mi rimproverò Steve afferrandomi per le spalle. – Un bambino di otto mesi starà benissimo in una sala piena di amplificatori con il volume al massimo.
- Steve, cosa?! – Strillai in preda al panico spalancando gli occhi.
- Sto scherzando! – Rise cercando di abbracciarmi.
- Mi stai prendendo in giro. – Mi lamentai colpendolo sulla spalla.
- Mmh, sì.
- Ti detesto.
 
Steve rise ancora prima di salutare me ed Elizabeth che gli si gettò al collo.
- Hey, non far disperare la mamma. Prometti che sarai buona?
Elizabeth ci pensò prima di rispondere. – No!
 
 
°oOoOo°
 
 
 
Elizabeth saltellava al mio fianco, coperta dal cappotto di lana rosso e la sciarpa blu sembrava non accorgersi del freddo pungente di Gennaio. La bambina dai riccioli ramati cercava di evitare le linee nelle piastrelle della strada poiché, secondo la sua fervida immaginazione, queste erano fatte di lava.
 
Camminavo in modo molto più rilassato rispetto all’andata.
Al redattore l’articolo piaceva e lo avrebbe senza dubbio pubblicato.
“Solo qualche insignificante taglio, per il resto è semplicemente perfetto” Aveva detto e per me non esisteva complimento migliore, data la sua inclinazione nel giudicare “spazzatura” tutto ciò che i suoi occhietti miopi leggevano.
 
 
La bambina si fermò sul marciapiede prima delle strisce pedonali che avevano fatto da sfondo ad uno dei più celebri album dei Beatles e allungò la mano per farsela stringere, ma una volta a metà strada corse verso i cancelli degli Studios e si fiondò dentro per trovare suo papà.

Stavo per richiamarla quando qualcuno mi fece voltare.
 
- Non dirmi che quella è Elizabeth! – Esclamò sfregandosi le mani prima di togliere i guanti.
 
Lo osservai a lungo prima di stringere le labbra.
Indossava un cappotto lungo, la sciarpa era annodata elegantemente sul collo. I capelli erano decisamente più lunghi ma neri come li ricordavo e quegli occhi, Dio, avevo cercato in tutti i modi di dimenticarli ma ora erano proprio lì, a pochi passi da me, dritti nei miei e facevano ancora male.
 
Fui sicura di guardarlo a lungo poiché Paul spostò il peso da una gamba all’altra e distolsi lo sguardo.
 
- Sì, è proprio lei – Sorrisi in imbarazzo guardando dove la bambina era sparita.
- Ti somiglia tanto. Sembra te in miniatura. – Rise grattandosi il naso.
 
Conoscevo quel gesto. Era in imbarazzo.
 
- Io devo entrare. – Cercai di chiudere la conversazione.
- Anche io. – Aggiunse nell’esatto momento in cui terminai la frase.
 
Guardai in basso, non lo vedevo da anni ma l’effetto era lo stesso del Natale di sette anni prima, quando scoprii di aspettare Elizabeth.
Era semplice reprimere i ricordi, con il tempo avevano cominciato a sbiadire, le emozioni sembravano essersi affievolite ma averlo di fronte, beh era tutta un’altra storia.
 
- Ti prego Judith non ignorarmi. – Il tono di voce mi costrinse ad alzare lo sguardo.
- Paul… - Cercai di parlare ma non ci riuscii.
- Siamo andati avanti entrambi, io sono diventato di nuovo padre, ma ti prego, non ignorarmi. Sono anni che non ti vedo, non voglio perderti del tutto. Ho perso già John, i Beatles, non voglio perdere definitivamente anche te.
 
Aprii la bocca per parlare ma fui interrotta da Elizabeth.
- Mamma andiamo? Voglio Georgie! – Si lamentò la piccola aggrappandosi al mio cappotto. - Chi è? – Indicò Paul che sorrideva cordialmente.
- Non si indicano le persone Ellie! – La rimproverai - Lui, è un amico di zio John.
- Quello delle foto che sono a casa! – Chiese inclinando la testa incuriosita. – Ti chiami Paul, non è vero?
 
Tossii violentemente e cercai di nascondere il mio imbarazzo ma non ci riuscii.
Paul sbatté le ciglia ripetutamente mentre io cercavo un posto in cui sparire per la vergogna.
- Sì, mi chiamo Paul. – Si presentò cercando di non ridere.
 
- Ellie perché non cominci ad entrare? Mamma arriva tra un minuto. – Cercai di suonare il più rilassata possibile.
- Va bene. Arrivederci signor Paul! – Salutò trottando verso l’entrata.
 
 
Eravamo talmente in imbarazzo che scoppiammo a ridere entrambi. Elizabeth l’aveva combinata grossa ma era anche riuscita a rompere il ghiaccio tra me e Paul.
 
- Niente peli sulla lingua, giusto?
- Dio, Paul sono così in imbarazzo! – Mi coprii il volto con le mani cercando di trattenere la risata nervosa.
- Ma no, figurati. Però devo farti una domanda: hai mie foto a casa? – Chiese accigliato ma con un sorriso furbo sulle labbra.
Sgranai gli occhi. – No! Sono vecchie foto di me, te, George e John a Liverpool, tutto qui. Lei chiede sempre chi ci sia nelle foto e ti ha semplicemente riconosciuto.
Paul fece cenno di aver capito. Infilò le mani in tasca e inclinò un po’ la testa sorridendo.
- Chi è Georgie?
- Ehm, mio figlio. Ha otto mesi ed Elizabeth lo usa come un pupazzetto. Quel bambino è martire, te lo assicuro.
Paul rise. – Le mie sono lo stesso. Heather adora Stella, la più piccola, e la vuole sempre tenere in braccio. Poi Mary vuole giocare con Heather e prendere Stella. È un continuo. – Raccontò stanco ma orgoglioso.
 
Sorridemmo entrambi e sentii lo stomaco stringersi in una morsa dolorosa, mi era fisicamente difficile stargli di fronte.
 
- Paul devo andare, mi aspettano. – Affermai prima di voltarmi.

- No aspetta. - Esclamò senza guardarmi negli occhi.
- Cosa?
- Posso salutarti?
 
Inspirai violentemente sbattendo le palpebre più volte.
- Certo – Mi voltai completamente verso di lui cercando di imporre a me stessa una calma che sapevo di non avere.
 
Paul mi strinse a sé, mi avvolse con le sue braccia e respirai profondamente, rilassandomi al tocco. Portai le braccia dietro il suo collo e lasciai che mi stringesse a sé. Respirai il suo profumo, notai che non era cambiato minimamente e mi portò alla mente tutti i ricordi che avevo tentato di nascondere, di relegare in uno spazio remoto della memoria.
Restammo stretti l'uno nelle braccia dell'altro, nessuno dei due diceva nulla o accennava a diminuire la presa per sciogliere l'abbraccio.

- Sono ancora innamorato di te, Judith.
 
Fu solo allora che ritornai con i piedi per terra.
Mi allontanai quasi troppo bruscamente da lui, guardandolo spaventata.
 
- Judith, non volevo dirlo, ti prego perdonami. Non volevo! – Cercò di avvicinarsi ma io mi allontanai compendo un passo indietro; scossi violentemente la testa e lo guardai disarmata.
 
Era innamorato di me.
Dannazione, era ancora innamorato di me dopo tutto quello che gli avevo fatto! Come poteva?
 
- Sei proprio stupido. Come fai ad amarmi ancora? Io sono rimasta incinta di un altro mentre stavo con te. Ti ho ignorato per un anno intero. L’ho sposato e ho avuto da lui un altro figlio. Sei proprio uno stupido, McCartney! – asciugai le lacrime con il dorso della mano. – Non voglio vederti mai più.
 
Paul non rispose, non si mosse, non batté nemmeno gli occhi. Colsi la sua reazione come incentivo per andarmene ma una volta sulla soglia mi voltai un’ ultima volta per guardarlo.
Era immobile mentre il vento colpiva con cattiveria il suo viso scompigliandogli i capelli. Nonostante ciò non distoglieva lo sguardo da me.
Lo guardai a lungo prima di abbassare il capo ed andarmene.
 
 
 
Perdonami Paul, l’ho fatto per te.
   
 
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