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Autore: martaparrilla    19/01/2014    4 recensioni
"Non voglio più che mi odi per quello che stai provando. Non voglio più che guardi i miei occhi senza sapere che mi sveglio presto solo per guardarti uscire di casa e prender il tuo cornetto al bar. Che mi piace l'odore dei tuoi capelli. Mi piace il calore della tua mano. E se devi impazzire, voglio che impazzisca con me, non per me".
Una Emma e Regina in una città senza nome, si scontrano come solo loro sanno fare. Ben presto capiscono che il loro odio cela qualcosa di più grande. Ma Regina questo già lo sapeva. Gli occhi di quella bionda erano terribilmente somiglianti a qualcuno che aveva perso e questo la incuriosiva. Emma dal canto suo non riusciva a spiegarsi i brividi che sentiva quando la vedeva.
Regina ed Emma racconteranno sensazioni e sentimenti in prima persona, alternandosi tra i vari capitoli. Non dubitate della mia sanità mentale quando leggerete le stesse frasi in capitoli diversi, il motivo è semplice: una volta sarà Emma a parlare (o ascoltare), una volta Regina.
Riusciranno insieme a superare i traumi passati?
Genere: Introspettivo, Sentimentale | Stato: completa
Tipo di coppia: Slash, FemSlash | Personaggi: Emma Swan, Henry Mills, Regina Mills
Note: AU, Missing Moments | Avvertimenti: Tematiche delicate
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Quella notte non avevo dormito. Mi giravo e rigiravo tra le lenzuola candide, cercando un valido motivo per cui ero entrata in casa sua. Continuava a non aver senso. Nè la timidezza verso di lei (non ero mai timida), nè il non riuscire a dormire. Si, volevo far qualcosa di carino per lei vista la sua gentilezza quel giorno, ma la mia marmellata! Non la conosceva nessuno, non l'avevo mai fatta assaggiare a nessun amante, uomo o donna che fosse, perchè sapevo che sarebbero stati passeggeri nella mia vita.

No. Una persona l'aveva assaggiata.

Henry.

E' mio figlio però.

O meglio lo era stato quegli anni che lo avevo avuto in affidamento. Poi. La vera madre era tornato a riprenderselo. E le mie marmellate sono tornate al loro posto. Nella credenza, in cucina.

Quei pensieri mi fannoo male. Ma non riesco a togliermi dalla testa quegli occhi verdi come il mare che mi guardano con tanta innocenza. Non riesco a far sparire dalle mie narici l'odore del suo maglione. Mi aveva fatta entrare subito in casa.

Era così palese il mio desiderio di veder dove viveva? Non ero la donna più enigmatica del pianeta? (definizione di un mediocre essere di sesso maschile con cui non ho trovato opportuno dividere il mio letto nemmeno una volta).

Quel maglione, troppo grande per lei...la illuminava. Sembrava una bambina. I suoi capelli dorati le ricadevano sulle spalle...e le mani. Lunghe, sottili, affusolate. Bellissime. Le avevo potute osservare meglio mentre tentava di aprire il barattolo di marmellata. Cercavo di guardare altrove ma più mi imponevo di non guardarla con sguardo insistente, più non ci riuscivo.

Potevo controllare l'espressione del viso (forse), ma non volevo smettere di guardarla. Poteva essere l'ultima volta che avevamo un incontro e..quegli orrendi calzini rossi di spugna. Solo la loro orrendità potevano distrarmi dalle sue gambe. Avrebbe fatto meglio a lasciarsi quel pantalone larghissimo e di colori improbabili con cui mi aveva aperto la porta la prima volta per poi sbattermela in faccia. In effetti c'ero rimasta male ma i passi veloci che avevo sentito dopo mi avevano aiutata a capire che sarebbe tornata ad aprire.

I pantaloni larghi, mi avrebbe reso meno difficile smettere di guardarle quelle gambe. Invece le aveva avvolte da dei leggins aderenti e....mica ero cieca. Si vedeva il ginocchio. Le ossa del ginocchio. Potevo essere attratta dal suo ginocchio?

Solo il tè, peraltro pessimo, mi distoglieva l'attenzione.

Ma poi lei si toccava i capelli e dovevo riniziare da capo. Parliamo del suo collo. Della sua spalla. La pelle candida (non c'era bretellina del reggiseno e questo mi portava a far pensieri tutt'altro che casti), sembrava da mangiare.

Forse aveva capito che mi balenava questa idea in testa: mangiarla.

Dritta, seduta sul suo divano, eravamo imbarazzate. Lei era imbarazzata. Oh si vedeva. Si toccava i capelli e quando aveva assaggiato la marmellata sembrava davvero spaventata che non l'avessi avvelenata.

Non so perchè l'avevo fatta assaggiare a lei.

Non so perchè le avevo permesso di sapere questa cosa di me. Avevo la strana sensazione che in un modo o nell'altro non se ne sarebbe andata.

Cosa che invece avevo fatto io. Tutto in quella casa mi piaceva, oltre lei ovviamente, e non volevo in nessun modo diventarne dipendente, così, all'ennesima folata di shampoo proveniente dai suoi capelli, decisi di andarmene, certa che le mie mani non avrebbero più potuto fare a meno di sfiorarla, anche solo per sentire il calore della sua pelle.

E ancor una volta mi stupì. Allungò la sua mano destra per salutarmi e...che sciocca. Stringere la mano era un gesto di cortesia, avrei potuto pensarci prima. Ma questo desiderio venne interrotto da una scossa che arrivò al nostro contatto. Aveva fatto molto male...e ci aveva fatto ridere di gusto. Lei rideva con ogni parte del corpo. Si era piegata un po' indietro col busto per poi mettersi una mano di fronte alla bocca. Non la doveva nascondere quella bocca.

Aveva anche tentato un secondo modo per stringermi la mano ma avevo gentilmente declinato. Per quel giorno non ci saremo riuscite.

La mattina dopo sono stanca come dopo la mia lezione di kik boxing. Distrutta, pronta a crollare. Mi trascino fuori dal letto e mi affaccio alla finestra. Bene, penso, è sabato e sta per piovere, ma che giornata fantastica.

Mi infilo sotto la doccia cercando di scacciare via quegli occhi dalla mia testa. Mezz'ora dopo sono fuori casa, in macchina, per riempire il mio frigo che ormai è praticamente vuoto.

Sono una donna pragmatica. Veloce. Senza dubbi. Non devo pensare se prendere questo o quello. Ho la mia lista, prendo e metto sul carrello. E così riesco a riempirlo quasi sempre in poco più di mezz'ora. Sarei stata a posto per almeno due settimane.

Sul tragitto di casa gocce grandi come palline da tennis iniziano a cadere copiose, rendendomi difficoltoso perfino camminare a 20km/h. Parcheggio vicina al palazzo (in divieto di sosta), giusto il tempo di portare la spesa in casa e non trovarmi bagnata fino al midollo.

Ma questo mio desiderio è ampiamente messo da parte visto che nel momento esatto in cui metto piede fuori dalla macchina, le gocce non sembrano semplici gocce, ma vagonate d'acqua, secchi d'acqua.

Addosso.

Schiaffeggianti.

L'ombrello è inutile, rientrare in macchina non se ne parla. Avrei dovuto ripulire pure quella. Così apro il cofano e prendo le tre buste (di carta) piene di cibarie.

Buste di carta.

Regina, la tua furbizia non ha limiti alcuni. Credo che anche le buste di plastica con quella pioggia non avrebbero avuto un destino tanto diverso. Infatti, di fronte all'ingresso di casa, una busta cede e mi ritrovo quattro arance che rotolano sul marciapiede. Insieme a tre yogurt, burro, busta del pane e la mia preziosissima scatola di cereali.

«Maledizione» dico a voce alta. Poggio velocemente le due buste dentro il portoncino, che non so come è aperto e quando mi volto per andare a raccogliere il resto, la trovo li. Capelli bagnati incollati al viso, stivali neri, jeans e giubbino rosso, il solito insomma. Sta raccogliendo il pane e le arance quando la raggiungo.

«Emma» mi inchino a prender gli yogurt.

«Regina» mi risponde lei sorridendo. Devo avere un aspetto orribile, lei invece brilla anche così.

«I capelli stile Morticia Addams, anche se corti, le stanno bene» dice spostandosi dentro il portoncino.

Rimango ferma a riflettere su quelle parole. La pioggia ormai fa parte di me. Anche delle mie mutande, per essere precisi. Mi volto a guardarla.

«Vuole prendersi il raffreddore?» mi chiede facendomi segno di entrare. Seguo il suo consiglio. Ho le mani occupate dal burro e dagli yogurt, non posso sistemarmi i capelli. Diamine.

«Grazie per avermi aiutata, non l'avevo vista arrivare».

«Vuole una mano a portare sopra le buste?» chiede senza aspettare «ovviamente useremo l'ascensore. Di solito faccio le scale ma prima ci togliamo via questi vestiti bagnati, meglio sarà per noi. Forza, mi segua».

Ha preso con se una delle mie buste mentre chiama l'ascensore. Io sono completamente assente. Innanzitutto mi sent ridicola con quei vestiti e capelli gocciolanti e poi il suo tono sembra voglia prendermi in giro e questo mi imbarazza.

Arrivo accanto a lei mentre le porte dell'ascensore si aprono. Mi fa cenno di andare prima di me e non replico. C'è solo un problema: le dimensioni dell'ascensore. Forse è 1 m x 1 m. E' piccolo. E noi siamo bagnate. E infreddolite. Premuto il punsante col numero tre, mi rendo conto che le nostre spalle si sfiorano e che lei non ha accennato a volersi spostare. Espiro rumorosamente.

«Si sente male?» mi chiede voltandosi a guardarmi.

«In effetti è pallida».

Le porta si aprono. Sono salva.

«No, sto bene. Non mi era mai capitato di bagnarmi così tanto per colpa della pioggia» mi sposto con una busta di fronte al portoncino e prendo a cercare le chiavi nella borsa. Lei è sempre li, sorridente, e io non trovo le chiavi. Merda.

«Dove diavolo...o eccole». Le sfilo soddisfatta e le infilo nella toppa. Con un po' di fatica faccio scattare la serratura. Ok ora devo decidere se farla entrare o meno. Vacillo un po' prima di voltarmi. E se avesse detto no? Poi è bagnata, magari si sente a disagio. Troppi pensieri, troppi dubbi. Basta Regina, non sembri nemmeno tu!

«Vuole entrare?» O mio dio l'ho detto davvero. La mia bocca ha pronunciato quelle parole. Mi volto lentamente, Il suo viso è indecifrabile. Poi spunta un sorriso e si guarda i vestiti gocciolanti.

«Magari vado a mettermi qualcosa di asciutto prima».

«In effetti» alzo le sopracciglia.

«Tra mezz'ora?» mi chiede timidamente.

«Così avrò tempo di cambiarmi anche io» dico riprendendo fiato.

«Allora vado» indietreggia e si precipita nelle scale.

Non riesco a dire altro. La forma di quei pantaloni (bagnati) sul suo sedere, mi ha completamente rapita. Mi sveglia una busta che si è rumorosamente accasciata per terra, come se fosse sull'orlo dello svenimento anche lei.

  
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