Conoscenza
Sono distesa
sul mio giaciglio. La morbidezza del materasso di piume mi è quasi di conforto,
ma non abbastanza da farmi dimenticare la mia condizione. Non posso capacitarmi
di essere ferma, qui, senza poter combattere per la mia terra, per il mio
defunto zio e mio fratello, che senza dubbio farà onore alla nostra stirpe.
Cosa direbbe mio padre, Eomund, vedendomi qui, debole
e riversa, inutile, inattiva, quando la mia abilità con le armi e le strategie
militari era per lui fonte di orgoglio?
Non posso
uscire da qui. Non me lo permetterebbero, e, anche lo facessero, ferita come
sono, sarei di ben poco aiuto per il mio popolo. Almeno, però, il mio nome
diverrebbe immortale nella gloria della battaglia e dello spargimento di sangue
nemico.
Sento dei colpi
esitanti. Qualcuno sta bussando alla mia porta. Mi alzo a mezzo busto, in
allarme. Anche se so che nella casa di guarigione, nessuno è in pericolo, la
mia abitudine alla prudenza è dura a morire.
« Chi è là? » chiedo risoluta.
Un momento di
silenzio, poi sento una voce energica che mi risponde da dietro la porta « Sono il guaritore di turno, dama Eowyn.
Mi è permesso di venire alla vostra presenza? »
Il guaritore
di turno… cosa mai potrà volere da me a quest’ora tarda, quando il momento
dell’ultimo pasto della giornata si avvicina? C’è un solo modo per saperlo.
« Entra pure, guaritore. »
La porta si
apre con un lievissimo cigolio ed io mi alzo a sedere sul bordo del mio
giaciglio, pronta ad accogliere il nuovo venuto. La mia curiosità è accesa.
Quando arriva
davanti a me, vedo che è lo stesso anziano uomo che mi ha curata qualche giorno
fa. Ricordo la sua mano delicata e gentile prendersi cura dei miei tagli. Si
inchina rispettosamente, come gli è imposto dalla condizione sociale che lo
rende inferiore a me.
« Dama Eowyn, perdonate la mia
intrusione. » si scusa « ma sono qui per conto di qualcuno. »
Corrugo le
sopracciglia, sospettosa « E di chi, buon uomo? »
Il guaritore
sembra esitare. Rivolge uno sguardo oltre la soglia della porta, dove la
prospettiva mi impedisce di arrivare con il mio sguardo. Poi finalmente, torna
a fissarmi.
« Sono qui per conto di sire Faramir, mia
signora. »
Sentendo quel
nome, mi raggelo. Un uomo del suo rango e della sua tempra dovrebbe ispirarmi
rispetto ed ammirazione, ma l’unica cosa a cui riesco a pensare e che si è
permesso di guardarmi ben oltre quanto gli fosse concesso.
« Cosa desidera il sovrintendente di Gondor
da me? » chiedo, cercando di mantenermi calma.
Il guaritore s
inchina brevemente « Vorrebbe fare la conoscenza della
Dama di Rohan, mia signora. »
mi risponde.
Non posso fare
a meno di pensare che quell’uomo è sfrontato e impertinente,
eppure una parte di me mi dice che il suo è un gesto innocente. Io, però, so
che si tratta della parte debole della mia anima. Da quando essa si è
risvegliata, se credevo di averla sopita per sempre?
« Mi dispiace, buon uomo, ma dovrete riferire al sovrintendente che
sono molto stanca e non desidero ricevere visite. » rispondo, con dolcezza ma
estremamente ferma « Ci conosceremo in un’altra occasione. »
Il guaritore
mi guarda per un attimo, come incerto se aveva inteso o no le mie parole.
Successivamente, si volta un’altra volta verso la soglia della porta del mio
alloggio, esitante.
« Come
Senza aver
bisogno di conferme, capisco, in quel preciso istante, che si tratta di Faramir. Lo comprendo, oltre che grazie all’istinto, anche
grazie alla sua andatura. Infatti, se quella dell’anziano guaritore è lenta e
lievemente strascicata, gli altri passi sono decisi e dalla ampia
falcata. Non ho dubbi.
Mi alzo dal
letto, lentamente e mi affaccio alla finestra che dà su uno dei cortili delle
case di guarigione. Mentre rivolgo gli occhi all’esterno della mia stanza,
penso che preferirei di gran lunga avere come vista il nero cancello di Mordor, così da potermi sentire vicina ai soldati che
stanno recandosi a combattere per tutti noi.
Anche io
dovrei essere con loro. Anche sire Faramir dovrebbe
essere con loro. Il nostro posto non è questo: ecco, finalmente, una cosa che
mi fa pensare di avere qualcosa in comune con lui.
Ma non basta
questo a indurmi a permettergli di avvicinarsi a me. Non dopo quegli sguardi,
non dopo quegli strani ed a me ignoti sospiri che gli ho sentito fare quando
per caso gli passavo accanto, accompagnata da una delle dame che mi assistono.
Chissà che
cosa lo avrà spinto a venire fin qui! Non posso credere che non ci sia una
ragione, perché una ragione esiste sempre, in ogni situazione. Ma era mio
dovere rifiutare. Non deve pensare di potermi avvicinare, qualunque sia il suo
scopo.
Ecco,
improvvisamente sento bussare di nuovo alla mia porta.
« Dama Eowyn! » è la voce di una delle
mie donne, quella che sento « Siete pronta? »
Mi volto verso
la porta, che è ancora chiusa, a separare me dalla mia interlocutrice « Pronta per cosa? »
Un momento di
silenzio, che identifico come incredulità anche se non
posso vedere il volto della mia dama. Non capisco davvero a cosa si riferisca.
« Mia signora…
» continua esitante « È ora di cena… Il sovrintendente
ha detto che vuole che gli sediate accanto. »
La cena…come
ho potuto dimenticarmene? Deve essere trascorso più tempo di quanto credessi,
mentre osservavo il cortile, persa nei pensieri.
Ma sire Faramir ancora mi perseguita!
Perché è così ansioso di conoscermi? Cosa vedrà mai in me quell’uomo così
strano?
Non posso
accettare. « Riferisci, per favore, al sovrintendente
che ho intenzione di consumare il pasto qui nella mia stanza. Non ho voglia di
vedere nessuno per oggi. »
« Come desiderate, mia signora. » la sua
voce è incredula, stupita. Perché?
Immagino che
trovi strano che una donna rifiuti un invito del genere, da un uomo del genere.
Soprattutto visto che tra pochi giorni a questa parte, tutto potrebbe essere
avvolto dalla nera oscurità del signore del male.
Se il modo
degli uomini cadrà, allora vorrà dire che si trattava del suo destino. Chi
siamo noi per lottare contro il nostro destino? Non possiamo ribellarci a ciò
che la vita ci impone. Persino io sono rassegnata, stanca di divincolarmi e
dibattermi, nella speranza di poter ritornare la fanciulla d’arme che il mio
popolo ha sempre ammirato e la cui fama ha attraversato fiumi e terre
straniere.
Credevo che il
mio destino fosse questo…ma evidentemente mi sbagliavo. Era già stato stabilito
che io restassi qui, inerme, con la sola compagnia della tortura dell’attesa.
Sire Faramir proverà le mie stesse pene? Si sentirà anche lui
fuori posto, in trappola?
Ho ricordi
molto nitidi di quando, tempo fa…il mio amato…l’uomo che ammiravo…sire Aragorn, mi chiese cosa temessi, se non
avevo paura della morte e del dolore. La gabbia, io gli risposi. Stare
dietro le sbarre fino a che l’abitudine e la vecchiaia le accettino, e ogni
occasione di dimostrare il proprio valore sia diventata un ricordo o un
desiderio.
Queste erano
state le mie esatte parole.
Questo era ciò
che realmente temevo.
Eppure io ora
mi trovo qui, in gabbia, nella stessa situazione che era protagonista dei miei
incubi così come delle mie parole. E oltre questo, sire Aragorn
ha rifiutato il mi amore. Un amore prezioso, visto che non l’avevo mai donato
ad alcuno, nonostante i cavalieri valorosi fossero in tanti, tra la mia gente.
“ tu sei
figlia di re! Una scudiera di Rohan! ” egli mi
rispose “ Non credo che questo sarà il tuo destino. ”
In quel
momento, cominciai ad amarlo. Fu quello l’istante fatale che avrebbe segnato la
mia esistenza.
Ma lui si
sbagliava. Mi sbagliavo anche io.
La mia paura è
divenuta realtà, perché io, Eowyn, figlia di Eonund, sono rinchiusa premurosamente nelle case di
guarigione quando vorrei combattere per la mia patria.
Io, Eowyn, figlia di Eomund, sono in
gabbia.