Diciannove gennaio: Ofelia.
AMLETO: Sì, oh sì! Ha più potere la bellezza
di cambiare l’onestà da quella che è in una ruffiana,
di quanto l’onestà non abbia forza di tradurre la
bellezza a sua somiglianza. Una volta era un paradosso,
ma ora i tempi ne offrono prove. Vi amai.
OFELIA: Così mi faceste credere, monsignore.
AMLETO: Credermi non dovevate, non si può
innestare la virtù sul nostro vecchio ceppo e
fargli perdere la sua natura. Non vi amavo.
OFELIA: Tanto più fui ingannata.
AMLETO: Va’ in convento.
Vorresti farti madre di peccatori? Io sono passabilmente
onesto, eppure potrei accusarmi di vizi tali,
che sarebbe meglio se mia madre non mi avesse partorito. […]
(Amleto, Atto III – scena I)
di cambiare l’onestà da quella che è in una ruffiana,
di quanto l’onestà non abbia forza di tradurre la
bellezza a sua somiglianza. Una volta era un paradosso,
ma ora i tempi ne offrono prove. Vi amai.
OFELIA: Così mi faceste credere, monsignore.
AMLETO: Credermi non dovevate, non si può
innestare la virtù sul nostro vecchio ceppo e
fargli perdere la sua natura. Non vi amavo.
OFELIA: Tanto più fui ingannata.
AMLETO: Va’ in convento.
Vorresti farti madre di peccatori? Io sono passabilmente
onesto, eppure potrei accusarmi di vizi tali,
che sarebbe meglio se mia madre non mi avesse partorito. […]
(Amleto, Atto III – scena I)
Camminiamo ad un passo dall’oblio,
istigatore e tentatore ci sospinge il vento
verso la piacevole fine della storia:
l’ultimo capitolo sfogliato con dita febbrili
ed occhi languidi di speranze presto disilluse.
E’ cedevole e superbo
l’ultimo capitolo;
la resa dei conti,
la fine della tragedia,
l’atto finale.
E noi camminiamo con i cuori in mano,
tra i palmi piagati; oltre quelle fronde profumate
e quelle nuvole plumbee ci sarà la pesa dei sentimenti.
Camminiamo con l’amore e l’odio ghermiti nel petto,
la gola occlusa dal finto coraggio:
non è mai troppo tardi per scappare e fingere di vivere di nuovo;
fuggire e trattenere il respiro.
Ma singhiozza il tramonto
tra barlumi cerulei e dorati;
il sipario si chiude e,
questa volta, forse,
Ofelia vivrà.
O forse no, e crollerà
una volta ancora
nell'inganno.
LAERTE: Miseria mia, è annegata!
REGINA: Annegata, annegata.
LAERTE: Di troppa acqua sei già vittima, povera Ofelia:
tratterrò le mie lacrime. Pure, non c’è vergogna dove la natura
reclama i suoi diritti: quando avrò pianto queste,
non avrò più niente di femmineo in me. Addio Monsignore.
Ho un discorso di fuoco, e vorrebbe divampare,
ma la sciagura lo estingue.
(Amleto, Atto IV – scena VII)
REGINA: Annegata, annegata.
LAERTE: Di troppa acqua sei già vittima, povera Ofelia:
tratterrò le mie lacrime. Pure, non c’è vergogna dove la natura
reclama i suoi diritti: quando avrò pianto queste,
non avrò più niente di femmineo in me. Addio Monsignore.
Ho un discorso di fuoco, e vorrebbe divampare,
ma la sciagura lo estingue.
(Amleto, Atto IV – scena VII)
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