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Autore: Lachelle Winchester    19/01/2014    4 recensioni
Come reagireste se un Dalek interrompesse una normale giornata di lezione e una strana cabina blu comparisse nella vostra scuola?
Genere: Science-fiction | Stato: completa
Tipo di coppia: Nessuna | Personaggi: Doctor - 10, Nuovo personaggio
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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- Questa storia fa parte della serie 'Elizah and the Doctor'
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 Capitolo 4: Gli occhiali del Dottore


Il Dottore camminava a passo spedito, puntando di quando in quando il cacciavite sonico verso qualcosa. La scuola sembrava essere vuota, si udivano solo i Dalek bisbigliare, come se davvero si stessero nascondendo da qualcuno. Il Dottore sembrava pensieroso e teso e io lo seguivo senza più fargli domande.
Arrivammo nel piccolo cortile dietro la palestra e vidi un'enorme scatola nera lucida. L'uomo di Gallifrey cominciò a ruotare intorno ad essa, annusandola e puntando il cacciavite ancora una volta. Girò ancora intorno, toccandola e con le dita in punti diversi, muovendosi velocemente e facendo scatti improvvisi, come se si aspettasse di trovare qualcuno nascosto nei paraggi.
« E' stata aperta dall'esterno. »  interruppe quel lungo silenzio di tensione con queste parole.
« Quindi sono stati aiutati ad uscire? »  più che una domanda era un'affermazione, ma per evitare equivoci preferii rassicurarmene.
« Già. » rispose, riponendo il cacciavite in tasca.
All'improvviso udimmo uno starnuto provenire da non molto lontano, seguito da un fruscio, un suono appena percettibile di foglie che si scontravano.
« Dottore, hai sentito? » sussultai.
Lui mi guardò ed inclinò il capo per ascoltare meglio. Cominciammo a spostare le foglie e a guardare dietro i folti cespugli, ma nessuno sembrava essere nascosto lì dietro.
Il Dottore si sfilò gli occhiali e puntò su di essi il cacciavite.
« Tienili, ti serviranno per individuare forme di vita che possono metterti in pericolo. » disse consegnandomi i suoi occhiali.
Li presi ma non ebbi neanche il tempo di indossarli che sentimmo di nuovo lo stesso fruscio di poco prima.
L'uomo dello spazio scattò in direzione opposta e si abbassò per guardare dietro un mucchio di sedie, accantonato lì da anni e consumato dalla pioggia e dal tempo.
« Oh, la pecorella smarrita... » ironizzò.
Pochi istanti dopo, il Dottore si spostò e diede modo alla fonte degli starnuti di uscire allo scoperto.
« Oddio, questa donna è un incubo! » esclamai guardando la professoressa di filosofia ergersi in tutto il suo metro e dieci, con tanto di baffi ben visibili anche da lontano.
« Bimbetta, io sono la professoressa... » cominciò ma la interruppi.
« Si è accorta che siamo in pericolo? » sbottai.
Lei mi guardò, fissandomi dall'alto in basso, arricciando il naso e riducendo gli occhi quasi a fessure, per poi passare ad osservare il Dottore.
« Ci salverà questo bel giovanotto? Che dobbiamo fare? Io in tempi di guerra mi sono sempre data da fare. Ti parlo degli inizi della mia vita, era il... » cominciò la solita cantilena, con la solita aria da essere superiore.
« Elizah, devi occuparti di lei. Devi portarla nel Tardis, lì sarete al sicuro entrambe, non c'è tempo di uscire dall'edificio. » mi sussurrò il Dottore, avvicinandosi per non farle sentire ciò che dicevamo.
« Perché? Io voglio venire con te, hai detto che potevo aiutarti. » cercai di convincerlo.
Rabbrividivo al solo pensiero di rimanere da sola con quell'essere umano.
« Ma tu hai promesso di ascoltarmi in caso di pericolo. » precisò lui, frettoloso.
« Dov'è il caso di pericolo? » chiesi, facendo spallucce.
La mano del Dottore si alzò all'altezza delle mie spalle e mi indicò una folla di Dalek, raggruppata in file ordinate, proprio all'ingresso principale della mia scuola.
« Ma... » cercai di obiettare ma guardai il suo viso e aveva l'espressione seria di chi non ammette si facesse il contrario.
« Nel Tardis. » concluse consegnandomi una chiave, una semplice chiave.
« Fai sul serio? Il Tardis si apre con una chiave? » chiesi quasi in un sussurro.
Lo guardai e mi costrinsi a fare ciò che aveva detto.
« Stai attento, Dottore. » gli raccomandai prima di fare segno alla professoressa di seguirmi.

Era una sensazione piacevole decidere cosa fare, sapere di avere in mano la situazione e decidere quale strada prendere, ma la mia mente era ancora troppo concentrata sul Dottore per poter godere a pieno di quella piccola rivincita. La donna era tanto bassa che spesso inciampava, e quando non lo faceva perdevamo tempo per fermarci e farle riprendere fiato. Avevo avuto più volte la tentazione di farle fare un percorso e farla poi tornare indietro, scusandomi per essermi sbagliata, ma non riuscivo a combatterla con la sua stessa moneta, io non ero come lei.
Nonostante questo, però, si trovò indietro tantissime volte e spariva per minuti interi prima di raggiungermi.
« Corriamo, dobbiamo metterci in salvo, Elizah. » mi esortò, raggiungendomi quando ormai il Tardis era a pochi metri da noi. « Dobbiamo entrare nel Tardis, sei sotto la mia responsabilità. Muoviamoci o rischieremo di morire. » aggiunse.
Continuavo a camminare ma la situazione cominciava a sembrarmi sempre più strana. Mi accorsi che all'improvviso la professoressa si preoccupava per me, non mi chiamava più "bimbetta", non sembrava neanche più lei e aveva perso quel fare da saputella. Non mi aspettavo potesse sembrare una persona normale e in quel momento mi sorpresi, perché ancora non avevo capito nulla.
Il borbottare continuo dell'insegnante si trasformò lentamente in un suono ripetitivo, senza interruzioni, quasi meccanico, fino a che con un netto passaggio cominciò a parlare con una voce diversa, una voce che avevo già sentito.
Cercai di intravedere la sua ombra a terra, ma il sole era avanti a noi e le ombre finivano dietro di me, e non riuscii neanche a guardarla attraverso qualche specchio. Avevo troppa paura per girarmi e camminavo a passo spedito, mentre il sangue mi si gelava nelle vene solo al pensiero, ma non potevo fare a meno di credere che quello che la mia mente stava elaborando purtroppo era la verità.
Raggiunsi la porta del Tardis di corsa e ci infilai la chiave nervosamente, distinguendo perfettamente la parola "sterminare", ripetuta dietro di me minimo una decina di volte. Con mio grande stupore, non fu la cabina blu del Dottore a proteggermi, almeno non letteralmente.
Quando riaprii la porta, vidi ancora la figura della professoressa, che non riusciva ad oltrepassare un punto nonostante continuasse a camminare, come se stesse urtando contro una barriera invisibile.
« Lascia che gli altri Dalek si occupino del Dottore. » sghignazzò, con la faccia arcigna.
Per quanto la detestassi, sapevo che quella che avevo avuto come insegnante per molti anni era caratterizzata da una cattiveria del tutto umana, ma sembrava essere diventata un Dalek. Infilai gli occhiali del Dottore che avevo conservato nella tasca, mentre lei continuava ad urtare contro questa barriera che non riuscivo a vedere. Le lenti mi mostrarono appunto un Dalek nello stesso punto in cui sapevo ci fosse l'insegnante.
« Era una trappola? Perché sei capitata proprio nella mia classe? » urlai contro quell'affare.
« Sciocca ragazzina, non sono mai stato uno stupido umano. ».
Il Dalek possedeva delle armi all'altezza delle mani e questo mi rendeva nervosa: non era facile stare lì fuori anche sapendo che c'era una barriera che mi proteggeva. Come potevo fidarmi di una cosa che non vedevo? Ma la mia ostinazione nel voler aiutare il Dottore era più forte.
Ero abituata a passare per un'idiota dopo gli anni di sopportazione di insulti della prof senza poter reagire, così cercai di far parlare l'alieno il più possibile per cercare di apprendere quante più informazioni potevo.
« Non capisco, professoressa, non siete umana? » finsi e la cosa non mi riusciva tanto male.
Mi accorsi che il Dalek non sapeva che potevo vedere la sua forma reale e mi credeva anche dotata di un'intelligenza al di sotto della media, ma poco mi importava.
« IO SONO UN DALEK. » la voce mi terrorizzava e riuscivo a stento a trattenermi dal fuggire nel Tardis.
« Un Dalek? No, non può essere, io conosco i Dalek, li ho visti e non sono così. Sono brutti, sembrano macchinette del caffè, ma ci siete andata vicina...insomma con quegli orrendi baffi. » lo schernii.
Ero diventata pazza? Lo ero sempre stata ma non avevo mai avuto l'opportunità di rischiare tanto la mia vita; era pericoloso, terrorizzante, agghiacciante, ma non mi ero mai sentita tanto viva prima di quel momento.
« Sono un essere superiore, sciocca ragazzina. »
« Io sciocca? Professoressa ma vi siete vista allo specchio? Va bene non avere un minimo di autostima ma da foca a Dalek... » stavo rischiando grosso, ne ero consapevole, ma volevo sapere a tutti i costi come facesse quel Dalek ad avere l'aspetto della mia professoressa.
Dopo aver insistito a lungo, riuscii a far perdere la pazienza all'alieno, che mi rivelò di avere il potere di assumere qualunque sembianza dopo essersi fuso con un'altra specie di alieni, che allora ancora non conoscevo.
« Ahhh, forse ho capito. Sei stato tu a liberare i tuoi amici perché non sei stato catturato e ora vuoi sottomettere tutto il tuo popolo. » ad ogni mia frase il Dalek si arrabbiava sempre più, ma sentirlo gridare mi dava tempo per ragionare.
Dovevo avvertire il Dottore che la vera minaccia era di fronte a me, che i Dalek erano molto più spaventati di lui perché non volevano essere sottomessi da uno dei loro che fosse più forte e, anche se ero riluttante, dovevo trovare la professoressa di filosofia che era stata catturata da loro perché l'alieno di fronte a me aveva ora preso le sue sembianze e per mantenerle doveva essere tenuta dai suoi simili. Non sapevo i motivi, né come tutte quelle cose fossero possibili, ma per aver incontrato il Dottore da così poco tempo non ero poi tanto male.
In genere si dice "Se Maometto non va alla montagna, la montagna va da Maometto"; io dovevo andare da Maometto, ma non potevo abbandonare la montagna senza che il Dalek mi uccidesse.
Quindi fondamentalmente avevo un piano: raggiungere il Dottore e portare il Tardis con me. 
   
 
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