Arthur
si era svegliato di malumore. Che cosa inusuale.
Dopo
aver fatto colazione, annunciò a Patricia che avrebbe
saltato le
lezioni di quel giorno e che avrebbe dovuto coprirla.
“Beh
certo, cosa pensi che abbia fatto per una settimana?” le
aveva
risposto la coinquilina, arricciando il naso con aria saputa. Poi
però, prima che uscisse le aveva urlato: “Spero
che sia talmente
carino da valerne la pena!”
Arthur
trasse un grosso sospiro, la piccola chiave dorata nella mano a pochi
centimetri dalla toppa.
La
casa di Merlin.
Stava
per entrare nella sua casa, senza chiedere permesso né
avvisarlo.
Non era azzardato? Un tempo lui, nel suo castello, non aveva avuto
bisogno di farsi troppe remore per decidere di andare in camera sua o
negli alloggi di Gaius; ma ora non aveva più un castello e
Merlin
viveva in una sua proprietà.
Improvvisamente
sentì nostalgia per le cose che erano state sue, oggetti
stupidi
come gli scudi attaccati alle pareti o il suo calamaio o i suoi
anelli.
Aprì
la porta, dandosi per l'ennesima e non ultima volta, dell'idiota.
“Merlin?”
chiamò dall'ingresso, mentre richiudeva l'uscio. Delle voci
concitate si spensero in quel momento.
“Siamo
in camera da letto!” rispose la voce del ragazzo, attirandolo
verso
la stanza.
Merlin
teneva un piatto con una mano, mentre con l'altra imboccava Lancelot,
semi sdraiato sul letto; entrambi si girarono alla sua comparsa, con
due sorrisi identici e stupidi. Chissà che razza di discorsi
aveva
interrotto. Lancelot
stava meglio e Merlin si era arrischiato a dargli qualcosa di
più
sostanzioso, un leggero brodino per reintegrare sali minerali e
zuccheri; lo imboccò fino all'ultima goccia, nonostante le
proteste
dell'ex cavaliere. Sempre così, Merlin, a rendersi
servizievole con
gli amici, a farsi in quattro e non pensare mai a sé stesso
per
primo; Arthur notò le occhiaie sotto gli occhi dell'ex
servitore,
segno di una notte, se non proprio insonne, nemmeno molto tranquilla.
Lancelot
si sdraiò nel letto e acconsentì a raccontare
cosa gli fosse
accaduto, adesso che anche il Re era presente.
Rimasero
in silenzio ad ascoltare la voce della ragazza raccontare, della vita
tranquilla, un po' da maschiaccio, che aveva avuto, con alti e bassi,
ma mai grossi problemi; narrò di come, dieci giorni prima,
avesse
fatto un sogno, della voce che gli raccontava di Lancelot du Lac,
-uomo dai solidi principi, che desiderava essere un cavaliere,
nonostante non fosse un nobile,- e di come tutti i ricordi di allora
gli fossero piombati addosso, implacabili. Arthur
ascoltò ed il racconto gli causò una prepotente
sensazione di déjà
vu, riconoscendo la rabbia, la frustrazione e il senso di pazzia che
aveva attanagliato anche la sua mente, quando le sensazioni e le
memorie di ciò che era stato erano tornate da lui,
confondendolo.
Era
accaduto tutto esattamente come era successo a lui, non si poteva
parlare di coincidenze o altro, c'era evidentemente una connessione.
Un
altro maledetto enigma da risolvere.
“La
voce, ti ha detto per quale motivo sei rinato?” chiese
improvvisamente, brusco, dopo che Lancelot ebbe raccontato di come
fosse andato in giro a cercare risposte e aiuti. Forse un po' troppo
bruscamente, decise, mentre aspettava la risposta.
“No,
ha detto solo che una promessa antica mi richiamava. Un contratto che
non sapevo di aver stipulato, ma che doveva tuttavia essere
rispettato” rivelò il cavaliere, gettandoli ancor
di più nel
panico.
Una
promessa, un contratto?
Merlin
aggrottò la fronte. Solo una creatura magica o uno degli Dei
poteva avere il potere di far
rinascere Arthur e Lancelot, e di fargli ricordare la loro vita
precedente, per di più; con chi avevano stretto un accordo?
Kilgharrah? Era l'unica creatura che avessero incontrato entrambi ed
era stato il drago a predire il ritorno del Re.
“E
quegli uomini, chi erano?”
“Li
ho incontrati per caso, mentre mi dirigevo verso Camelot. Mi hanno
accerchiato e mi hanno 'offerto' di lavorare per loro; quando ho
rifiutato, hanno iniziato a darmi la caccia”
raccontò, chiudendo
appena gli occhi, come se il ricordo fosse troppo doloroso.
Arthur
lo vide affondare un po' nei cuscini, con aria stanca.
“Ok,
cosa ne dici di un bagno caldo?” propose, alzandosi per
raggiungere
il bordo del letto.
Lancelot
tirò su la testa, gli occhi sbarrati dalla sorpresa; Merlin
era
scivolato un po' dalla sedia, con un espressione attonita.
“Voi,
Sire? Non potrei mai accettare di farmi lavare dal re di
Camelot!”
“Preferisci
che lo faccia Merlin? E' un idiota, ma è pur sempre un uomo.
E non è
abituato a vedere ragazze nude” esclamò scettico
Arthur, puntando
un pollice oltre la sua spalla ad indicare il povero servitore.
“Ehi!”
ribatté il ragazzo, con le orecchie rosse.
“Sì,
sì, Merlin, indignati e arrossisci come la ragazzina che
sei, ma
dopo avermi aiutato a portare Lancelot nella vasca!”
Tra
schiuma e acqua calda, il cavaliere riprese colore.
Arthur
gli stava insaponando la testa, pensando a come fosse strano sapere
che dentro quel corpo femminile ci fosse Lancelot: la faccia del suo
ex cavaliere gli balenò perfetta nella mente, nitida come se
fosse
una fotografia.
“Cosa
state pensando, Sire?” chiese la ragazza, accortasi che aveva
smesso di strofinare.
“Tu
ricordi il tuo aspetto come Lancelot? Il tuo viso, il tuo
corpo?”
domandò Arthur, rovesciando un catino di acqua calda sui
suoi
capelli, lavando via il sapone.
Lancelot
sospirò di benessere.
“Vaghi
ricordi. Se cerco di definire i dettagli mi sfuggono, sono sfocati.
Mi son detto che probabilmente è perché non mi
sono mai specchiato
molto, allora. Ero troppo impegnato a combattere” rispose,
facendo
ondeggiare le braccia sulla superficie dell'acqua, creando onde di
schiuma e vapore.
“Ma
ricordo il vostro!” aggiunse poi strizzando gli occhi per
ricordare.
“Credo
che tu possa darmi del tu, ormai. Siamo nella stessa situazione e io
non sono più re, al massimo una regina”
sbottò Arthur, sfregando
ancora la cute e districando i capelli stopposi. Il bagnoschiuma e lo
shampoo avevano quel profumo così... Merliniano, che gli
faceva
venire i brividi e il nervosismo allo stesso tempo.
“Cosa
ne pensi di tutto questo?” chiese poi, desideroso di sapere
il
parere del cavaliere, che sentiva davvero affine, data la situazione.
“Del
fatto che siamo rinati come donne e dei ricordi di allora? Non lo so.
Ho creduto di essere matto, di aver immaginato tutto. Credo che se
non avessi visto Merlin, con lo stesso aspetto di allora, avrei
continuato a vagare e a impazzire fino alla morte. Siano benedette le
sue orecchie a sventola!” ridacchiò, soffiando via
un po' di
schiuma che gli era calata sull'occhio.
“Sì,
ho avuto la tua stessa reazione” ammise Arthur un po' a
malincuore.
“Lo
avete... lo hai abbracciato?” chiese ironico l'altro,
beccandosi
un'occhiataccia.
“Ma
figurati! L'ho schiaffeggiato!”
Lancelot
rise di cuore e Arthur si aprì in un sorriso. Avere Lancelot
lo
faceva sentire bene.
Lui
poteva capirlo perfettamente, era nella sua stessa situazione, aveva
vissuto la sua stessa esperienza; era stato il suo cavaliere
più
valoroso e in quel momento era un'alleata, qualcuno che sentiva
vicino come fosse una sorella.
L'aiutò
ad asciugarsi e a mettere il cambio d'abiti che le aveva portato,
facendo attenzione ai tagli e alle abrasioni, mentre gli raccontava
dell'incontro con Merlin avvenuto pochi giorni prima.
“Sono
contento che tu abbia preso bene la storia della magia di
Merlin”
mugugnò la bruna mentre infilava la testa nel dolcevita
verde.
Arthur
si bloccò nell'atto di infilare la manica nel suo braccio,
interdetto.
Quello
che aveva sentito, non era quello che aveva inteso, giusto? Gli era
parso di capire che...
“Da
quando sai che Merlin ha poteri magici?” domandò,
con finta
nonchalance, aggiustando le righe sopra le spalle e tirando su il
colletto.
Lancelot
si ravvivò i capelli, distrattamente.
“Dal
periodo in cui mi presentai al castello facendo finta di essere un
nobile per diventare cavaliere; Merlin mi aiutò a
sconfiggere il
grifone, grazie ad un incantesimo. In realtà i meriti
andrebbero
tutti a lui” rivelò lisciando la maglia, tirandola
giù con
delicatezza.
Arthur
sentì qualcosa rompersi al suo interno.
Qualcosa
che, ne era certo, a dispetto del silenzio con cui si era rotto, era
di sicuro importante e doloroso. Ascoltò vagamente i
discorsi
dell'altro, mentre guardava Merlin trasportare la ragazza nel letto,
e si tenne in disparte mentre i due parlavano tra loro.
Lancelot
sapeva.
Da
così tanto tempo, lui sapeva. E tutto acquistò
senso, come le volte
in cui il cavaliere si era offerto di accompagnare il servitore da
solo in missioni, o altre in cui li vedeva parlottare con sussurri,
gettando occhiate fugaci attorno perché nessuno sentisse;
allora non
vi aveva dato peso, ma adesso, adesso sapeva che stavano parlando di
magia, dei poteri di Merlin; e quello sguardo rilassato che l'idiota
sfoggiava in quei casi, era finalmente spiegato.
Per
sette lunghissimi anni, durante i quali era stato il suo servitore,
Merlin non gli aveva mai confessato nulla e quando lo aveva scoperto
in punto di morte, dopo l'iniziale rifiuto, si era detto che
sicuramente era stato difficile, per lui, vivere nascondendosi da
chiunque, senza avere un amico con cui parlarne; e lo aveva
giustificato, alla fine.
Ma
Merlin l'aveva detto a qualcuno, lo aveva avuto un amico con cui
parlarne, e non era lui, Arthur, nonostante tutti i
suoi
vaneggiamenti sulla fiducia.
Si
sentì tradito, come se fosse caduto in un'imboscata mentre
cavalcava
tranquillo, credendosi tra amici; si sentì come se ormai si
trovasse
in catene, senza possibilità di salvezza; le chiacchiere lo
infastidivano e la voce di Merlin gli feriva le orecchie, intrisa di
veleno e bugie.
Si
alzò di scatto, attirando l'attenzione senza volerlo, deciso
a
mettere quanta più distanza possibile tra sé e
quel posto; uscì
senza una parola, senza nemmeno guardarli in volto.
“Arthur?
Arthur?” sentì chiamare dalla stanza.
Merlin
guardò la porta in cui era sparito, poi Lancelot, che con la
sua
espressione attonita esprimeva la sua sorpresa; quando sentì
la
porta di casa aprirsi e poi richiudersi con forza si alzò
velocemente, correndo verso l'esterno.
Arthur
stava per salire in macchina, il volto una maschera di furia. Lo
raggiunse, a piedi nudi, incurante della ghiaia del vialetto che gli
feriva la carne.
“Sire?
Che cosa è successo?” domandò,
spaventato dal comportamento del
suo signore.
“Sai
una cosa, Merlin?”
iniziò,
voltandosi verso di lui, con voce concitata.
“Lealtà non ha solo
un significato. Ti sei riempito per anni la bocca con quella parola,
professandola come se ne fossi fiero, ma credimi, non hai mai capito
cosa volesse dire!”
L'altro rimase a fissarlo,
sopportando quel fiume di parole che gli rovesciava addosso con tono
irato, senza capire che cosa avesse scatenato quella rabbia.
“Lealtà
non significa solo
servirmi, seguirmi e rischiare la tua vita per me. Lealtà
significa
anche fiducia e tu, Merlin, non ne hai mai avuta. Non in me”
gli
sputò contro, avvicinandosi minaccioso.
Lo colpì al petto con una mano
e Merlin sentì qualcosa di metallico incidergli la pelle;
quando
Arthur si allontanò, veloce, qualcosa scivolò,
cadendo a terra con
un tintinnio sordo, attirando il suo sguardo: la sua chiave giaceva
nella ghiaia, scintillando innocentemente. Si chinò a
raccoglierla,
come in trance.
“Arthur,
cosa...” provò a
chiedere, ma l'unica risposta furono la portiera sbattuta e lo
stridio delle gomme, improvviso e rabbioso, mentre la macchina
sfrecciava via.
Merlin rimase immobile, la
chiave stretta nella mano, a domandarsi cosa fosse davvero accaduto.
“Dovresti
uscire da quella camera! Ti avviso che se entro stasera non uscirai
da lì, chiamerò la polizia, i vigili del fuoco e
anche gli scout
della parrocchia qui vicino!”
Patricia
continuò a urlare frasi sconnesse e fuori di testa,
incurante dei
suoi silenzi. Arthur
si voltò appena sulla poltrona, osservando lo sfacelo che
aveva
creato in poco più di un giorno nella sua stanza: i
soprammobili
infranti contro il muro, le lenzuola lanciate con foga dall'altro
lato della camera, i suoi poster di film e band strappati dalla
frustrazione. La sua povera stanza aveva subito la furia che avrebbe
voluto riversare su Merlin. Oh,
quell'idiota non sapeva nemmeno quanto dovesse ringraziare che non si
trovassero più a Camelot, che lui non fosse più
Re: lo avrebbe
mandato al patibolo in quel caso, per tradimento alla corona.
Per
tradimento personale.
Non
gli importava più nemmeno della missione, delle cavolo di
domande
irrisolte, del maledettissimo motivo per cui era lì! Che
andasse
tutto al diavolo, insieme a quel cretino di Merlin. Di
nuovo, l'impulso di spaccare o lanciare qualcosa lo assalì
improvviso, soffocato immediatamente dalla realizzazione che non si
era salvato nulla, da rompere; solo il PC, ignaro e costoso, era
rimasto intonso e inviolato, poggiato con cura sulla scrivania.
Sospirò
sofferente, affondando la testa nelle spalle.
“Sei
da più di un giorno lì dentro! Cosa diamine
è successo? Parlami
Althea, perché non mi muoverò di qui se non lo
farai!” gridò
Patricia con una voce strana e Arthur immaginò che avesse la
faccia
premuta contro la sua porta per capire cosa stesse combinando.
“Va
via! Non ho niente e non ho bisogno di niente!”
Udì
un grosso sospiro di liberazione.
“Grazie
al cielo! Credevo fossi morta! E' da tre ore che non sentivo
più
nemmeno un respiro, stavo iniziando a preoccuparmi! Credevo fossi
rimasta schiacciata mentre provavi a lanciare il cassettone!”
Arthur
sorrise suo malgrado, pensando a quale Dio burlone e con dubbio senso
dell'umorismo avesse deciso di affibbiargli Patricia come amica.
La
musica di “the final countdown” riempì
la stanza,
all'improvviso, facendolo sobbalzare. Ricordandosi che era la
suoneria del suo cellulare, si alzò per cercarlo, certo di
averlo
lanciato da qualche parte un paio di ore prima; alla fine lo
trovò
avviluppato nel piumone, che giaceva triste vicino alla finestra,
tutto spiegazzato.
Il
numero non era registrato.
“Pronto?”
rispose incerto, premendo il telefonino contro l'orecchio.
“Arthur?
Sono...”
Tu
tu tu tu tuuuuuu...
Con
un gesto deciso aveva messo fine alla conversazione, col batticuore,
e adesso guardava il telefono come se fosse stato lui a tradirlo, a
dire a Merlin come contattarlo. E in effetti, come diamine faceva lo
zotico ad avere il suo numero di telefono?
Un
debole trillo. Messaggio.
“Sono
andato da vostra madre per farmi dare il vostro numero, vi prego
rispondete” lesse ad alta voce, sempre
più indignato.
Quel
maledetto cretino, mettere addirittura in mezzo sua madre!
Sicuramente di lì a breve avrebbe ricevuto ottanta chiamate
dalla
donna, che le avrebbe fatto il terzo grado per sapere perché
avesse
litigato con quel ragazzo così per bene e a modo, ci avrebbe
scommesso.
Secondo
debole trillo.
“Vi
prego, non serve a niente fuggire. Ho parlato con Lancelot.
Parliamone.”
Oh,
che onore! Merlin ne voleva parlare! Avrebbe dovuto sentirsi
lusingato dalla sua magnanima concessione, dal suo moto di
bontà,
perché lui ora ne voleva parlare.
Incredibile... e di sua
spontanea volontà, poi! Non perché si sentisse
costretto dalla
situazione, no, affatto.
La
canzone ripartì con foga, tra giri di tastiera elettrica e
batteria
a ritmo dannato; Arthur guardò il display con ardore, ma non
rispose
alla chiamata.
La
musica si interruppe.
Terzo
debole trillo.
“Sappiate
che non demorderò per così poco!”
Aveva
messo anche il punto esclamativo. Uh, c'era da avere paura.
“Cos'è,
una minaccia, Merlin?” chiese al suo telefonino, come se
quello
incarnasse lo spirito del suo servitore. Certo
che avrebbe continuato a chiamare e a mandare messaggi, decise di
spegnere del tutto il cellulare e per precauzione tolse anche la
batteria.
“Arroventati
il cervello per cercare di assillarmi, Merlin”
ghignò con
un sorriso folle, sempre al suddetto telefonino.
Soddisfatto
di sé stesso per aver chiuso la chiamata di Merlin, che era
un po'
lo sbattere la porta in faccia dei tempi moderni, Arthur decise di
andare in cucina a rubacchiare del gelato dal freezer; zittì
con una
mano ogni parola di Patricia, meravigliata dalla sua apparizione, e
ritornò subito indietro con una vaschetta di affogato al
cioccolato
sotto il braccio, richiudendo la porta della sua camera con un piede.
Assaporò
ogni singola cucchiaiata, perdendosi in vaneggiamenti mentali, come
ad esempio: come era stato possibile vivere senza conoscere il gelato
e il cioccolato? Camelot era stato un posto stupendo, ma lo sarebbe
stato di più con un freezer di gelati e una scorta di
cioccolato ad
ogni gusto. Raspò il fondo della vaschetta, succhiando
l'ultimo
cucchiaio di gelato con gli occhi chiusi, un po' sollevato.
Il
campanello trillò, gelandogli le vene. Ma non poteva essere
lui, no?
“E'
per me! Esco con Gerard, fai la brava!” urlò
Patricia, facendogli
riacquistare l'uso dei polmoni, dal sollievo. Udì
un chiacchiericcio indistinto e un risolino emozionato. Patricia
faceva quel verso solo quando c'era qualcuno che trovava carino e
Gerard non si poteva definire tale: l'amico, pezzo di pane e cervello
fino, avrebbe fatto apparire Piton come Miss Universo per dieci anni
di fila.
Si
alzò dal pavimento, pulendosi distrattamente le mani
appiccicose di
gelato sulla maglietta, e si avvicinò alla porta per
ascoltare.
“Quindi,
ehm, che rapporti ti legano ad Althea... Mervin?”
sentì l'amica
domandare, con tono falsamente innocente.
Spalancò
la porta come una furia, balzando in salotto come una piccola tigre
feroce. Merlin stava in piedi vicino all'ingresso, sconvolto e
imbarazzato, con le occhiaie sempre più evidenti, mentre
Patricia lo
osservava sorridente.
“Come
hai osato? Con che coraggio ti presenti in casa mia?”
urlò
ergendosi fiero, ignaro dello sbafo di gelato sotto il naso, che
pure, lo faceva apparire più grottesco.
“Arthur,
se mi fate spiegare...”
“Non
mi va di sentire niente, Merlin. Niente che esca dalla tua bugiarda,
infida bocca!” lo bloccò allontanandosi da lui,
schifato.
Patricia
girava la testa da uno all'altra, pronta ad intervenire non appena
avesse capito se le colpe di questo Merlin fossero così
ignobili da
essere buttato fuori.
“Ma
se solo mi ascoltaste...”
“L'ho
sempre fatto! Non c'era nessuno che ascoltassi come facevo con te,
non c'era nessuno di cui mi importasse il giudizio oltre al tuo,
Merlin, e lo sai, certo che lo sai. E nonostante io avessi deciso di
darti la mia amicizia, nonostante sapessi quanto fosse impossibile
data la differenza di ceto, tu hai pensato bene di mentirmi, giorno
dopo giorno per sette maledettissimi anni. Cos'altro devo ascoltare?
Cos'altro mi vuoi dire?”
Merlin
stette in silenzio a quell'affermazione, ma fu come essere
schiaffeggiato. Lo aveva sospettato, che la questione magia non fosse
chiusa, che era solo stata rimandata a un momento in cui entrambi
avrebbero dovuto ascoltare e spiegare, cercando di capire se quel
legame che c'era tra loro si fosse rotto per sempre o se avessero
potuto recuperarlo.
Il
campanello suonò di nuovo e Patricia, che era rimasta
attonita a
seguire la scena, si risvegliò come da una trance. Si mosse
indecisa, da un piede all'altro, valutando il da farsi.
“Vai,
Patricia. E' tutto a posto” mormorò Arthur,
intuendo i suoi
pensieri.
“Sicura?
Io...” rispose, occhieggiando titubante verso Merlin.
“Tranquilla.
Sarà anche uno schifoso bugiardo, ma non si azzarderebbe mai
a
toccarmi” disse con cattiveria, piantando i suoi occhi in
quelli di
Merlin, che sostenne lo sguardo col suo, lucido di lacrime.
Patricia
spostò lo sguardo da uno all'altra e poi, bisbigliando un
“chiamami
se sei nei guai” all'orecchio dell'amica, sparì,
chiudendosi la
porta dell'appartamento dietro.
Silenzio.
Irreale, pesante, che nessuno dei due sembrava avere la forza o la
voglia di spezzare.
“Vorrei
che te ne andassi!” esalò Arthur, incrociando le
braccia sotto il
seno, irremovibile.
“No”
rispose Merlin, senza farsi intimidire.
“Sono
sempre il tuo re, corpo femminile o meno! Te lo devo comandare?
Voglio che tu te ne vada!” replicò, iniziando ad
arrabbiarsi.
“No.
Non prima di aver chiarito la questione!”
“Chiarire?
Cosa c'è da chiarire? Hai tradito la mia amicizia! Per non
parlare
del fatto che hai tradito il tuo re, verso il quale professavi
lealtà
imperitura!” urlò fuori di sé,
passandosi la mano nei capelli,
forse per non metterla addosso a Merlin, sotto forma di pugno.
“Arthur,
non è andata così e lo sapete! Volevo dirvelo,
gli Dei solo sanno
quante volte ci ho provato, ma poi non c'è mai stata
l'occasione.”
Arthur
iniziò a camminare avanti e indietro, in circolo, per
sfogare la
rabbia.
“No,
io non lo so! Ti ho scusato, ti ho giustificato, mentre stavo
morendo. Già allora sapere delle tue bugie mi aveva
sconvolto, ma mi
dicevo che non mi rimaneva molto tempo e che avrei dovuto cercare di
capirti; mi son detto che ti eri di certo sentito solo, che doveva
essere stata dura per te, senza un amico con cui confidarti,
nascondendoti da tutto e tutti. Balle! Lancelot sapeva! E
chissà che
belle risate vi siete fatti alle mie spalle! L'asino Arthur
Pendragon, che non riusciva a scoprire le magie che gli facevi sotto
il naso! Complimenti, Merlin! Sei stato bravissimo!” esplose,
battendo le mani con sarcasmo, in un finto tripudio.
“Maledizione!
Non è affatto vero, Arthur. Io avrei voluto che voi mi
vedeste per
come ero davvero, non c'era persona a cui desiderassi dirlo
più che
a voi, ma non potevo! Non con quello che pensavate della magia, non
con quello che Uther vi aveva inculcato nella testa!”
Le
orecchie di Merlin si stavano colorando di rosso, dalla
rabbia.
Arthur
aveva ragione a sentirsi tradito, a reagire in quel modo, ma non era
tutta colpa sua il modo in cui erano andate le cose; si era sentito
un verme a mentirgli, a nascondergli la sua vera natura, ma non aveva
avuto davvero alternativa.
“Avevi
paura che ti mandassi al patibolo? Davvero mi credevi capace di
tanto? Certo, all'inizio forse non avrei capito, probabilmente ti
avrei allontanato, ma non ti avrei mai mandato a morire, dovresti
saperlo. E non mi importa se puoi sparire in un soffio o far piovere
con un battito di ciglia: è il tradimento che mi brucia,
Merlin. Ti
ho confidato tutti i miei dubbi e le mie paure, ti chiedevo consigli
quando non sapevo come agire, ho parlato di affari di cuore con te,
di politica e strategia. Dove hai mai sentito parlare di un re che
chiede consigli a un servitore? Sei stato la figura più
importante e
vicina ad un amico che avessi a Camelot e tu invece non ti sei mai
fidato abbastanza da dirmi nulla. Io non ti conosco, Merlin. Non so
chi sei davvero!”
Arthur ansimò
un poco, per la rabbia trattenuta nel petto mentre vomitava quelle
accuse.
Merlin lo guardò a bocca aperta, mentre
cercava il modo di
rispondere, ma sapeva già di aver perso in partenza.
Abbassò la
testa, sconfitto. Arthur
aveva ragione: non gli aveva mai confidato nulla, non si era mai
aperto con lui. Era stata sempre un'amicizia unilaterale e non se
n'era mai accorto. Per anni aveva dato la colpa al suo re,
perché
non lo trattava come amico ed era stato lui, Merlin, il primo a
remare contro la loro amicizia.
La ragazza girò i tacchi e si chiuse in camera, sbattendo la
porta; si appoggiò
contro la superficie legnosa, chiudendo gli occhi, arrabbiata.
La
voce di Merlin gli arrivò attutita dall'altra parte.
“Mi
dispiace, Arthur. All'inizio non potevo dirvelo, perché voi
eravate
un borioso arrogante e io sapevo che non avreste perso un secondo a
farmi uccidere. Poi, quando ci conoscevamo già da qualche
anno, mi
sono detto che eravate a posto, che eravate finalmente maturo
abbastanza da sapere la verità, ma Morgana tradì
e si scoprì
essere una strega e non fece che alimentare il vostro odio per la
magia. Più il tempo passava, più le cose si
facevano difficili e
più il momento della verità sembrava lontano e
temuto. Non ho mai
avuto paura di morire per mano vostra o per ciò che sono,
avevo
paura che voi non mi vedeste più con gli stessi occhi e che
potessi
perdervi, in qualche modo.”
Arthur
rimase immobile, bevendosi quelle parole, volendo crederci davvero,
ma il dolore che sentiva nel petto gli imponeva di non cedere, di non
cascarci.
“Gli
occhi con cui ti vedevo erano ciechi, Merlin. Io non ti
conosco!”
Un
grosso sospiro frustrato echeggiò dall'altra parte.
“Mi
chiamo Merlin, sono nato a Ealdor, mille cento vent'anni, fa. Non
conoscevo mio padre allora, mia madre non me ne parlò mai
durante la
mia infanzia e gli altri bambini del villaggio a volte mi prendevano
in giro per questo. E per le orecchie a sventola”
iniziò a
raccontare, sedutosi di fronte alla porta della camera di Arthur.
L'ex
re, nella stanza, si sedette anch'egli per terra e rimase a fissare
la porta, ascoltando con aria assorta. Ascoltò
dell'infanzia del suo servitore, di come già appena nato
facesse
magie e di come sua madre gli avesse insegnato a nasconderlo, non
appena fu in grado di capire che era sbagliato farlo davanti agli
altri, intorno ai due anni. Scoprì che i bambini del
villaggio gli
stavano alla larga o lo prendevano in giro e che nessuno aveva
cercato di capirlo; Will era stato l'unico a non curarsi delle voci e
che era diventato suo amico.
E
si perse, rapito, a immaginare la vita di Merlin, costellata di
domande e a volte rabbia repressa, per ciò che era e che non
poteva
essere. Scoprì che era stata Hunith a mandarlo a Camelot,
per fargli
cercare la sua strada, un modo di impiegare la magia.
Passarono
le ore e Merlin continuava a raccontare alla porta e quella
trasmetteva le sue parole ad Arthur, che seguiva in religioso
silenzio.
Scoprì
ogni cosa, ogni volta in cui Merlin aveva usato la magia: per far
apparire i serpenti dallo scudo di Valiant, per creare la bolla di
luce che lo aveva guidato fuori dalla caverna, per salvargli la vita
quando la bestia errante lo aveva colpito e centinaia di volte
ancora. Apprese
che era stato lui a salvare la ragazza pantera, che Balinor era suo
padre, che era stato lui a far forgiare la spada dal Drago e mille
altre cose ancora.
Arthur
aveva poggiato la fronte al legno della porta, pensieroso. Per anni,
non aveva mai sospettato nulla, per anni c'era stata una barriera tra
loro che non aveva mai nemmeno percepito. Ma il modo in cui Merlin
raccontava la sua vita, ridendo di tanto in tanto ad un ricordo
felice o con quel tono di dolore, che di sicuro non sapeva nemmeno di
trasmettere, ma che c'era nel fondo e non poteva essere ignorato, lo
toccarono.
Si
alzò e con decisione abbassò la maniglia,
scoprendo Merlin
accucciato per terra, la testa contro lo stipite; la frase che stava
pronunciando morì tra le sue labbra e il suo viso si
alzò verso
l'alto, in attesa.
“Non
sapevo sapessi usare un telefonino” esclamò
Arthur, scettico.
“Non
lo sapevo fare, infatti. Ne ho comprato uno in fretta e furia. E'
stato difficile imparare a scrivere” rispose Merlin, con un
filo di
voce.
Arthur
lo guardò, sbuffando leggermente per non ridergli in faccia,
e
scavalcandolo si diresse verso il divano.
Gli
fece segno di avvicinarsi.
“Ricomincia
da capo” ordinò, non appena il ragazzo si fu
seduto sulla poltrona
vicina.
Merlin
sorrise, sorpreso; dopo aver annuito con fare stupido,
iniziò di
nuovo a raccontare, gesticolando e con la voce ormai roca, mentre
Arthur, rannicchiato sul divano, seguiva ogni parola guardandolo
negli occhi, ascoltandolo con tutto sé stesso.
Note:
Benritrovate!
E' passato un secolo, vi chiedo scusa. Dicembre è stato
molto
impegnativo e anche ora non trovo tempo nemmeno per allacciarmi le
scarpe. Sì, sono una che si infila le scarpe già
allacciate per
fare prima!
Allora:
siamo in un punto di svolta, si può dire. Una scena che
avevo in
mente sin dall'inizio, perché non era stata sviscerata per
nulla nel
telefilm: la giusta sfuriata di Arthur. Perché possiamo
fluffare
quanto vogliamo, ma Arthur non avrebbe reagito così
tranquillamente
alla notizia della magia di Merlin. Si sarebbe sentito tradito. Si
sarebbe sentito preso in giro. E avrebbe reagito di conseguenza.
Nel
telefilm stava morendo e ho pensato che sia stata quella la ragione
per la sua arrendevolezza, perché non voleva morire
lasciando Merlin
convivere con i sensi di colpa per avergli mentito. Ma qua sono
entrambi vivi e vegeti e c'è già della tensione
tra loro, di ogni
genere.
Ne
approfitto per ringraziare chi ha messo la storia tra le seguite, tra
le preferite, addirittura chi l'ha già messa tra le
ricordate
nonostante sia ancora in corso! Grazie! Mi date così tanta
fiducia!
E
grazie per i vostri bellissimi commenti! Sono strafelice che la
storia stia piacendo così tanto!
A
presto!
Un
grosso abbraccio!
Mimì
Ah, già! L'errore di Patricia nel chiamare il nostro maghetto Mervin è voluto! E' così emozionata dalla sua bellezza da capire male il suo nome! XD Potete biasimarla?