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Autore: Laylath    20/01/2014    2 recensioni
Eppure a guardare più da vicino i ragazzi di quella realtà, ci si sarebbe accorti che le loro esistenze non erano così scontate: i piccoli grandi problemi dell’infanzia e dell’adolescenza a volte andavano ad intrecciarsi con situazioni difficili, dove spesso il legame con un amico fidato era la cosa migliore per poter andare avanti.
E spesso le persone più impensabili stringevano un forte legame tra di loro per uno strano susseguirsi di eventi, all’apparenza così normali… anche se poi viverli era tutt’altra cosa.
Genere: Generale, Introspettivo, Slice of life | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Nuovo personaggio, Team Mustang
Note: AU, What if? | Avvertimenti: Tematiche delicate
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- Questa storia fa parte della serie 'Un anno per crescere'
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Capitolo 13. Questioni di antropologia



 
Quando il lunedì successivo Jean e Roy si squadrarono nel cortile della scuola, entrambi portavano ancora evidenti tracce dello scontro della settimana precedente: in particolare i lividi nel viso, per quanto ormai sgonfi, continuavano a risaltare sulla carnagione chiara dei ragazzi.
 A quell’incontro erano presenti ovviamente anche Riza ed Heymans e Roy aveva fatto cenno a Kain di avvicinarsi non appena l’aveva visto arrivare.
“Non mi va di parlare davanti a tutta questa gente: – disse il moro quando furono tutti presenti – andiamo.”
E senza aspettare risposta si diresse verso il suo angolo di cortile personale con tutto il resto della scuola che li guardava senza osare superare la distanza di sicurezza che era il caso di mantenere.
Quando arrivò nel suo regno, Roy posò la schiena contro il tronco del solito albero, mettendosi a braccia conserte nella posa abituale: un re che squadra i suoi sottoposti. Ma se la cosa poteva andare bene sia a Riza che a Kain, Heymans e Jean non erano pronti ad accettare una simile esibizione di supremazia, non quando i ruoli non erano ancora definiti.
“Direi che possiamo discutere sull’esito dello scontro: – disse Heymans, rubando a Roy il diritto di iniziare il discorso e non mancando di squadrarlo con i suoi penetranti occhi grigi – ero il giudice e ho dichiarato la parità che è stata confermata anche da Riza. Alla luce di quanto è successo è il caso di rivedere le condizioni che vi eravate posti: spetta a voi decidere se ritirarle, fare un altro scontro, o quanto altro…”
“La parte sul nano la ritiro: – disse prontamente Jean, lanciando una rapida occhiata a Kain e poi tornando a fissare Roy – è libero di fare quello che vuole, non lo considero mia proprietà. Ma è una scelta mia e non dettata dall’esito dello scontro: per quanto mi riguarda questa mia condizione di vittoria è cancellata.”
“Ritiro anche la mia riguardante Kain, allora… del resto era solo il contraltare della tua.” scrollò le spalle Roy.
Ma non era quello il problema principale e tutti lo sapevano: la vicenda di Kain aveva solo avuto la sua naturale conclusione.
“Bene, – disse Roy dopo qualche minuto di silenzio – visto che nessuno parla lo faccio io: avevo proposto che voi due mi accettaste come vostro capo. A prescindere dall’esito del duello la mia richiesta rimane valida.”
I suoi occhi scuri e sottili squadrarono con attenzione i due amici. Sembrava che sia Heymans che Jean si aspettassero una cosa simili perché le loro facce non furono per niente sorprese.
“In separata sede dissi sia a Jean che a Riza che non ho nessun problema ad accettarti come capo, – disse Heymans con voce calma – tuttavia lo stesso posso dire anche di Jean: per me siete entrambi buoni come leader.”
“E tu, Jean? Che dici?” chiese il moro, annuendo alla risposta data dal rosso.
“Lo scontro è finito in parità, senza sancire la supremazia di nessuno dei due. Non mi basta a riconoscerti come capo, Roy. Non mi rappresenti nulla.”
“Capisco… e voi, Riza e Kain? Che ne pensate?”
“Eh? Ma che c’entriamo noi?” chiese il bambino
Ma Riza si ricordò quanto aveva detto Heymans a proposito dell’ipotetico gruppo che comprendeva anche loro due: dunque anche Roy la pensava a questo modo.
“A me vai bene tu, come capo, Roy… ma non posso negare che le parole di Jean abbiano un fondamento.” disse con lieve riluttanza.
“Nano?” chiamò Jean, puntando gli occhi azzurri su Kain.
“Ecco… ecco io, non lo so. Potete fare a turno?” propose con timidezza.
“Che idiozia!” sbuffò Jean, scuotendo il capo.
“Però potreste chiedere a Vato!” si illuminò il bambino, cercando di correggere il tiro.
“Il ragazzo di quarta? – si sorprese Heymans – E che c’entra lui?”
“Vato conosce un sacco di cose – spiegò Kain prendendo coraggio – e sicuramente ha letto qualche libro che potrà fare al caso nostro!”
“Ma guarda che è una questione tra indipendenti!” lo sgridò Jean, andandogli davanti e dandogli un lieve colpetto sulla fronte.
“Ohi! – protestò lui – Io ho fatto solo una proposta!”
E alla fine sembrava che fosse l’unica proposta plausibile. La situazione era davvero complicata: i tre indipendenti non volevano rinunciare a quel primo contatto che avevano avuto, ma altrettanto non volevano che il rispettivo rivale prendesse così facilmente il predominio.
Prolungare la vicenda, anche con l’intervento di un esterno, avrebbe aiutato a riflettere meglio.
 
Fu così che durante l’intervallo, Vato vide entrare nella sua classe il gruppo di ragazzi.
Eccetto Roy li aveva conosciuti qualche giorno prima a casa di Kain e gli erano sembrati abbastanza tranquilli; per quanto riguardava il moro lo guardò con attenzione, curioso di incontrare per la prima volta da vicino il ragazzo più famoso della scuola. Come gli occhi neri di Roy ricambiarono quello sguardo, il ragazzo di quarta si rese conto del notevole magnetismo che emanavano e se ne sentì intrappolato. Era come se Roy Mustang fosse in grado di esercitare un grande potere d’attrazione sulla sua persona.
“Dov’è Elisa?” chiese Kain, attirando la sua attenzione e liberandolo dalla presa invisibile di Roy.
“Oggi non è venuta: – spiegò – doveva aiutare sua madre a casa per un pranzo importante. E invece… uhm… come mai siete tutti qui?”
“Kain dice che tu sai un sacco di cose – spiegò Roy, squadrandolo – e ci serve il tuo parere.”
“Oh…” Vato annuì leggermente imbarazzato.
“Vorremmo sapere come si decide un capo.” annuì Kain, certo che avrebbe trovato una soluzione.
“Un capo?” il ragazzo si grattò la nuca con perplessità, non riuscendo a capire dove volessero andare a parare con tutta quella storia.
“Sì. – disse Jean, esasperato – Il fatto è che non riusciamo a decidere chi tra me e Roy deve essere il capo.”
“E possibilmente non ci deve essere nessun altro duello da fare!” si affrettò ad aggiungere Riza.
Mentre sentiva quelle richieste che venivano continuamente interrotte dai diversi membri del gruppo, Vato iniziò a scuotere leggermente la testa. Quello che gli stavano chiedendo, da quanto gli risultava capire, era di decidere la modalità con cui doveva essere scelto il leader.
“Elezioni?” propose alla fine, quando tutti tacquero per guardarlo con aspettativa.
“Non vale! – protestò subito Jean – Roy ha Riza e Kain dalla sua parte ed io solo Heymans. Non è corretto!”
“Kain poteva essere dalla tua se non lo trattavi male.” gli fece notare Roy con un sorriso malizioso: ovviamente l’idea delle elezioni gli piaceva, considerata la vittoria praticamente scontata.
“Beh, il concetto delle elezioni si basa appunto sulla maggioranza, – ammise Vato – ma forse, considerato che siete solo in cinque, non è molto corretto. Scusate, partiamo da principio: che cosa dovrebbe fare il capo? Insomma quali sono le doti che deve avere? Che scopo avete come gruppo? Nel senso, avete un obbiettivo specifico oppure è un progetto a lungo termine che non prevede decisioni nell’immediato?”
“Ma di che cavolo stai parlando? – lo bloccò Jean, guardandolo stranito e mettendosi a braccia conserte – Ci stai per caso prendendo in giro?”
“Assolutamente no!” disse il ragazzo con serietà.
Però anche tutti gli altri sembravano abbastanza perplessi dalla sequela di osservazioni che aveva fatto ed iniziavano a guardarsi tra di loro come a pensare che forse non era stata una buona idea cercare il suo consiglio. Questa intuizione fece sentire Vato profondamente imbarazzato, ma non totalmente sorpreso: non era la prima volta che altri ragazzi rimanessero perplessi davanti alla sua razionalità nell’affrontare le situazioni. Effettivamente solo Elisa era l’unica a non restare impressionata dal suo modo di fare.
“Non pensavo che fare un gruppo fosse così complicato.” ammise Kain, spezzando il silenzio.
“Non è complicato! – corresse Jean – E’ lui che sta dicendo cose totalmente assurde! Progetto a lungo termine.. e che diamine sarebbe? Una lezione di economia?”
“Ma scusate, voi siete un gruppo o aspirate a diventarlo?”
“Noi…” iniziò Roy, ma poi si bloccò e guardò pensieroso tutti gli altri presenti.
No, non erano un gruppo, ecco dove stava il problema principale. Ed effettivamente cercare di essere il capo di qualcosa che non esisteva non aveva molto senso. Vato Falman aveva involontariamente posto l’accento sul problema fondamentale e questo nuovo imprevisto diede parecchio fastidio al moro.
Forse l’idea di un secondo duello tra lui e Jean non era da scartare del tutto e…
“E come si diventa un gruppo?” chiese Kain, incuriosito.
“Beh, nei libri di antropologia, la definizione di gruppo è…”
“E finiscila di parlare come un libro stampato! – sbottò Jean – Mi bastano le lezioni che devo sorbirmi dai professori; mi ci manchi solo tu… per quanto mi riguarda non ho nessuna voglia di sprecare il resto dell’intervallo a seguire le lezioni di antropofagia!”
“Antropologia…” corresse Heymans.
“Quello che è! Comunque, io vado fuori a prendere una boccata d’aria: stare in classe durante l’intervallo è una vera e propria follia.”
E così dicendo Jean girò sui tacchi e uscì a grandi passi dalla stanza. Heymans rivolse uno sguardo di scusa a Vato e poi si affrettò a raggiungere l’amico, per evitare che iniziasse a farsi strane idee da solo.
“Mi dispiace che ti abbia detto quelle cose, – mormorò Kain, rivolgendosi a Vato, sentendosi in colpa per quel comportamento – ma a me interessa sapere cosa è un gruppo in quella materia che hai detto, davvero!”
“Oh, lascia stare, Kain, non è come parlarti di animali o di leggende. – sorrise il ragazzo grande, mettendogli la mano sulla spalla – E’ qualcosa di più complesso e ti annoierebbe.”
“Però è strano, - ammise il bambino – sai, io credevo che per fare un gruppo ci volessero degli amici, tutto qui. Invece pare davvero difficile… forse è per questo che non ho mai fatto parte di alcun gruppo.”
Riza, che fino a quel momento era rimasta ad osservare, sorrise dolcemente e accarezzò i capelli corvini.
“Facciamo così, Kain, fino a quando non si deciderà cosa fare, noi ci limitiamo ad essere amici, va bene? E se poi si diventa un gruppo ancora meglio, ma l’amicizia non ce la tocca nessuno.”
“Pare un buon compromesso per ora. – sospirò Roy, guardando Vato con aria rassegnata – Il tuo libro di antropochenesò prevede anche questo?”
“L’amicizia non ha bisogno di molte definizioni, non credi? – disse il ragazzo, scrollando le spalle – Più che altro io mi chiedo come si possa essere capo di qualcosa che non ha solide basi, Roy Mustang.”
“Dici che sto sbagliando?” chiese Roy, rivolgendogli tutta la sua attenzione.
“Dico solo che da quanto ho visto mi sembrava una forzatura bella e buona.”
Roy non rispose, ma rifletté a lungo su quanto gli aveva detto Vato Falman.
 
“Antropo… oh, quella cosa lì… progetto a lungo termine… ma chi diamine crede di essere quello là?” sbottò Jean in cortile, mentre Heymans gli stava appresso.
“E datti una calmata, Jean, in fondo lui voleva solo essere utile.”
“Ecco cosa succede a seguire le idee del nano! Ci abbiamo perso buona parte dell’intervallo e non abbiamo risolto niente!” Jean scosse il capo e si sedette a gambe incrociate sul basso muretto che delimitava il cortile della scuola. Il suo viso esprimeva notevole disapprovazione per quanto era successo, ma Heymans notò anche una lieve sfumatura di delusione.
“Ehi, io avrei votato per te…” gli disse per consolarlo.
“Lo spero proprio! – annuì Jean con un sogghigno. Poi però assunse di nuovo un’espressione contrariata e disse – Senti, secondo me è una fregatura bella e buona: si vede che noi e Roy non siamo destinati a fare un gruppo… siamo troppo diversi. La cosa migliore è restare noi due e basta, come al solito.”
Heymans stava per ribattere, ma poi si accorse che l’osservazione di Jean non era del tutto priva di fondamento: effettivamente non potevano definirsi un gruppo e l’imposizione di un capo avrebbe solo generato dissapori in rapporti già non proprio idilliaci. Conoscendo Jean e avendo una vaga idea del carattere di Roy, capiva benissimo che bastava un niente per scatenare inutili discussioni.
“Forse hai ragione…” ammise.
“Facciamo così allora… ce ne stiamo per i fatti nostri e se il nano vuole parlare con te o Janet non mi faccio problemi, va bene?”
Heymans annuì: probabilmente Jean aveva dato la soluzione migliore al problema… alla faccia dell’antropologia.
 
Mentre stavano tornando a casa, Riza si accorse che Roy era più pensieroso del solito.
La questione con Heymans e Jean non si era risolta nel modo sperato, tutt’altro: per come si erano messe le cose sembrava che tra i tre indipendenti fosse davvero improbabile che nascesse qualcosa di concreto. Da una parte la cosa era abbastanza normale: del resto si trattava di personalità molto forti che difficilmente accettavano qualcuno di eventualmente superiore.
La situazione si poteva riassumere in una sola parola: orgoglio.
Riza aveva abbastanza chiara la situazione ed era sicura che anche Roy stava, a malincuore, arrivando alle medesime conclusioni: non si poteva creare un gruppo basandosi su questioni di mero orgoglio. Ma purtroppo, a quindici e quattordici anni esso è una componente quasi fondamentale in caratteri forti ed indipendenti. Né Jean né Roy sarebbero mai stati disposti a fare un passo indietro… che poi sarebbe stato un passo in avanti per la creazione dell’eventuale gruppo.
“Roy…” mormorò ad un certo punto, trovando davvero insopportabile quel silenzio.
“Beh, dai, non è andata così male – dichiarò lui, continuando a guardare davanti a sé – in fondo adesso siamo in tre, no? Io, te e Kain… è già un inizio di gruppo.”
“Siamo amici.” corresse il tiro lei.
“Non ho nemmeno chiesto se a te eventualmente andava bene essere parte di un gruppo. – sorrise con rammarico lui – E nemmeno a Kain. E non mi sono nemmeno preoccupato del fatto che stavo mettendo insieme il ragazzino con Jean, dopo che per anni quel bestione l’ha tormentato.”
“Oh, dai, sappiamo bene che l’avresti difeso. E poi sembra che le cose tra loro due inizino a…”
“C’è qualcosa che non torna in tutto questo, Riza.”
“Che intendi?”
“Devo rifletterci sopra; - scosse il capo il moro con decisione – davvero… senti, tu sei arrivata. Ci vediamo domani a scuola, va bene?”
E senza attendere risposta si avviò di corsa verso il locale di Madame Christmas, lasciando Riza sola davanti al giardino di casa sua. La ragazzina rimase molto turbata da quel saluto così frettoloso: non gli era mai capitato di vedere Roy così deluso da qualcosa.
Con un sospiro entrò in casa e si diresse verso la cucina, senza nemmeno andare a posare la tracolla in camera sua. Avrebbe dovuto mettersi a preparare il pranzo per lei e per suo padre, ma si accorse di non averne nessunissima voglia.
Come si poteva forzare la nascita di un’amicizia?
 
“Papà, possiamo parlare?” chiese Vato, quando ebbero finito di mangiare e sua madre si era messa a lavare i piatti.
“Certamente, - annuì Vincent, notando come l’espressione del figlio fosse leggermente turbata. Così posò la tazzina di caffè sul tavolo e rivolse la sua attenzione al ragazzo – di che si tratta?”
“Credo… credo di aver combinato un bel guaio.” ammise lui, abbassando gli occhi dal taglio allungato.
Sembrava assurdo, ma quanto era successo quella mattina a scuola l’aveva turbato più del previsto. Si sentiva come un giudice che aveva appena disatteso le speranze di tutti quanti nel dare un verdetto che andasse bene. Nella sua testa continuava ad arrovellarsi per trovare una soluzione alternativa a quanto aveva detto e proposto, ma non riusciva a venirne a capo.
Eppure non poteva fare a meno di ripetersi che se Jean ed Heymans si erano allontanati in questo modo da Roy e gli altri era in parte colpa sua.
“Che genere di guaio?” chiese Vincent.
“Forse con le mie parole ho messo in difficoltà delle persone: mi avevano chiesto un parere, ma alla fine due di loro se ne sono andati più scontenti che mai… e anche gli altri non sono rimasti proprio felici. Mi sembra di aver disatteso la loro fiducia nei miei confronti.”
Vincent fissò il proprio figlio tormentarsi lievemente la manica del maglione verde che indossava.
Spesso si preoccupava per lui: non tendeva a socializzare molto, trovando maggior appagamento nei libri piuttosto che con le persone. Aveva una spiccata intelligenza e memoria, ma era un ragazzo che troppo spesso aveva la testa tra le nuvole, o meglio tra le pagine, e si estraniava dalla realtà quotidiana. Vincent era rimasto molto contento quando aveva stretto amicizia con Elisa: era una ragazza con la testa sulle spalle che aveva aiutato Vato a restare un minimo con i piedi per terra. Si era quasi rassegnato al fatto che lei fosse l’unica vera amicizia che suo figlio stringesse, ma poi era arrivata la sorpresa di Kain Fury e di questo sia lui che Rosie ne erano stati profondamente felici.
Ma adesso, probabilmente, stava emergendo un problema derivato da questo isolamento che si era in parte spezzato: Vato era per natura profondamente sensibile e sicuramente si stava addossando una responsabilità che si era in parte creato da solo.
Così, l’uomo stette ad ascoltare il resoconto del figlio e, se non fosse stato per il serio turbamento dimostrato dal ragazzo, sarebbe anche scoppiato a ridere.
“Vato, - disse alla fine, spostandosi nella sedia accanto a lui e circondandogli le spalle con affetto – tu ci potevi fare ben poco, fidati. Non c’è niente di più difficile dell’orgoglio adolescenziale.”
“Forse potevano diventare amici – scosse il capo lui – e probabilmente è una cosa che volevano fare… ma io ho rovinato tutto. Quando ho parlato di antropologia per poco Jean non mi rideva in faccia.”
“Antropologia? – sospirò Vincent, scuotendo il capo e arruffando i capelli bicolore del ragazzo – Oh no, Vato, non devi tirare fuori cose così complesse. Specie per una situazione che in realtà è più semplice del previsto. L’hai detto tu stesso che l’amicizia non ha bisogno di molte definizioni.”
“Sono proprio senza speranza…”
“No, non è vero. Dovresti fare semplicemente più attenzione e adattarti alla situazione in cui ti trovi. Per il resto trovo davvero encomiabile che tu ti stia preoccupando così tanto per il tuo amico Kain.”
“E anche per Riza… - aggiunse lui – sai, credo che Elisa la trovi molto simpatica. E poi, a casa di Kain ho conosciuto meglio anche Heymans e Jean e mi sono piaciuti. E’ che…”
Scosse il capo ma non aggiunse altro.
“Fidati che tutto si risolve, figliolo: – lo consolò Vincent – sono sicuro che, al momento giusto, tu saprai cosa fare.”
Vato annuì, confortato da quelle rassicurazioni: probabilmente suo padre aveva ragione ed era lui che stava vedendo la cosa da un lato troppo negativo. Come sempre quando qualcosa andava oltre quello che dicevano i libri entrava nel panico.
Come la questione del primo bacio… beh, visto che ci siamo…
“Senti papà…” si trovò a dire all’improvviso.
“Sì?”
“Supponiamo che una persona abbia un’amica…”
“Hm.” Vincent nascose un lieve sorriso, intravedendo il lieve rossore nelle guance pallide del figlio.
“Un’amica speciale che conosce da sempre… Ah, ovviamente è soltanto un ipotetico esempio, non  è che io mi riferisca a persone realmente esistenti!”
“Ma certo, Vato, continua pure.”
“Dicevo, grandi amici da sempre… però poi, insomma, questa persona si accorge che c’è qualcosa di più. E anche lei lo sa… insomma pare che lo sappiano tutti. Solo che non riesco a darle… cioè, non riesce a darle il primo bacio. E la cosa lo sta iniziando a mettere a disagio…”
“Ahi ahi, ragazzo mio – sogghignò l’uomo, arruffandogli i capelli con fare complice – ancora una volta i tuoi preziosi libri non ti aiutano in questo, eh?”
“Non sto parlando di me ed Elisa! – esclamò Vato arrossendo fino alla radice dei capelli – Era solo una pura e semplice divagazione ipotetica! Un esempio di antropologia, ecco!”
Fai almeno finta di credermi, papà, ti prego!
“Certo, e mi dispiace per la tua antropologia, ma non c’è niente di più naturale che un primo bacio, in barba a tutte le definizioni che ti può dare.”
“Naturale…” il ragazzo disse quella parola con incredula rassegnazione: dopo settimane di tentativi falliti la cosa gli sembrava tutto meno che naturale.
“Che cosa sarebbe naturale?” chiese Rosie all’improvviso, raggiungendoli al tavolo.
A Vato si fermò il cuore per due tremendi secondi: se sua madre sentiva qualcosa a proposito di Elisa avrebbe iniziato con i commenti e gli sguardi maliziosi. Il problema era che Rosie ci aveva visto giusto già da quando erano alle scuole medie e se veniva a sapere che davvero lui stava tentando di fidanzarsi con Elisa, sarebbe stata la fine della sua tranquillità nell’ambito delle mura domestiche.
“Niente! – esclamò, alzandosi dal tavolo – Cioè… volevo dire… è naturale che adesso vada a fare una passeggiata. E’ una così bella giornata! Comunque grazie per la chiacchierata, papà… io… io torno per cena!”
E senza dare tempo a sua madre di fare ulteriori domande, corse in camera sua a prendere la giacca e uscì di casa.
“Ma che ha?” chiese la donna, scuotendo il capo con rassegnazione.
“Oh, oscure materie… come l’antropologia.” disse Vincent, riprendendo in mano la tazzina di caffè ormai freddo.
“Antropologia? – sorrise Rosie – Solo Vato poteva tirare fuori una cosa simile. Spero proprio che non parli di queste cose anche ad Elisa… non è il massimo del romanticismo. Dammi pure quella tazzina, caro, ormai il caffè è freddo, te ne faccio un altro.”
“Grazie. Lo sai che sei, antropologicamente parlando, una moglie fantastica?”
Lo sguardo ironico che gli lanciò Rosie fu abbastanza eloquente: no, decisamente l’antropologia non era il massimo del romanticismo.  
 
Uscire di primo pomeriggio non era stata una grande idea: a quell’ora non c’era nessuno in giro e anche la libreria era chiusa. A Vato non restò che vagare senza meta per le vie del paese: aveva pensato di andare a chiamare Elisa, ma la sua famiglia aveva dei parenti a pranzo e dunque la cosa sarebbe andata avanti per le lunghe.
Sono uscito così di corsa che non mi sono nemmeno portato un libro dietro. Grosso errore…
Stava iniziando a valutare l’idea di andare a casa di Kain: magari avrebbe potuto dare un’altra occhiata alla documentazione relativa alla vecchia miniera…
“Ehi…” disse una voce, attirando la sua attenzione.
Girandosi verso quella direzione, Vato non vide nessuno, ma poi alzò lo sguardo e vide che da una finestra al primo piano di una strada laterale c’era Roy affacciato.
“Ehi…” rispose al saluto, con perplessità.
“Che ci fai in giro a quest’ora?”
“Niente di che… passeggiavo.”
Il moro lo guardò con attenzione per qualche secondo, come se stesse valutando che fare, e poi disse:
“Ti va di salire?”
Vato Falman non aveva mai avuto a che fare con Roy Mustang fino a quella mattina. A pensarci bene non avevano niente in comune sia per carattere che per interessi. E poi gli aveva appena proposto di entrare in quello che era un locale che, per quanto legale, non era proprio ben visto e lui in quanto figlio del capo della polizia non avrebbe mai dovuto…
“Va bene…” annuì, con sua stessa sorpresa.
“Inizia ad entrare, tanto è aperto. Vengo giù a prenderti.” sorrise con grande soddisfazione Roy.
 
Che cosa facevano due ragazzi quando si trovavano a casa di uno di loro?
Vato a volte se l’era chiesto e aveva trovato la risposta in un indefinito e oscuro verbo giocare che poteva voler dire tutto o niente. Del resto era un problema che non si era mai presentato, dato che quando era a casa di Elisa o viceversa in genere studiavano e chiaccheravano. Per cui, quando Roy lo fece entrare in camera sua e gli chiese che cosa voleva fare, lui rimase abbastanza spiazzato.
Leggere? Beh, quella era una cosa che in genere si faceva da soli, quindi era da scartare a priori, anche se i suoi occhi individuarono subito i volumi sulla libreria nella parete di lato.
“Non saprei…” ammise.
Roy rimase abbastanza perplesso davanti a quell’idecisione: l’invito che aveva fatto a quel ragazzo era stato così improvviso che non aveva nemmeno pensato a qualcosa da proporgli. La verità era che Vato Falman aveva attirato la sua attenzione, quella mattina, anche se non sapeva riconoscerne il motivo. Era completamente diverso da Kain e sembrava che le sue conoscenze fossero davvero vaste: uno che a sedici anni ti tira fuori una materia difficile come l’antropologia di certo doveva essere molto intelligente. Ma oltre a quello aveva fatto anche alcune osservazioni interessanti e, smaltita la delusione, Roy si era reso conto che quel ragazzo così particolare l’aveva portato a ragionare in una maniera del tutto nuova.
“Sai giocare a scacchi?” chiese infine, indicando la scacchiera.
“Sì – annuì Vato, con immenso sollievo: era un gioco che gli piaceva parecchio e conosceva tutte le regole a memoria – accidenti, che bella!”
“Era di mio padre – spiegò Roy, prendendola e portandola nel tavolo che stava al centro della stanza – l’hanno fatta a Central City.”
“Grandioso! I pezzi hanno anche lo stemma di Amestris e quello di Drachma!” commentò lui, prendendo in mano un alfiere ed ammirandolo controluce.
“Io Amestris e tu Drachma?” propose Roy.
“Va bene.”
Era da quando Maes era partito che Roy non rimetteva mano su quel gioco e la cosa gli fece enormemente piacere. Giocare a scacchi era veramente stimolante e quando si accorse che Vato si dimostrava un buon avversario, sebbene abbastanza intrappolato negli schemi, ne fu molto felice.
“Mi dispiace di averti coinvolto, stamattina – disse ad un certo punto – forse era una faccenda che dovevamo tenere tra di noi.”
“Oh, non fa nulla – scosse il capo Vato – anzi, mi dispiace di aver complicato le cose più che risolverle.”
“No, a dire il vero mi hai aiutato a riflettere e ti devo ringraziare.”
“Ah sì?”
“Stavo facendo un errore fondamentale – ammise Roy, posandosi allo schienale della propria sedia e stiracchiandosi – stavo imponendo una cosa agli altri senza preoccuparmi se loro la volessero o meno.”
Vato sembrava concentrato sulla mossa da fare, ma dopo qualche secondo rispose:
“Un buon leader è quello che si preoccupa di chi sta sotto di lui.”
“Jean ed Heymans non vorranno mai stare sotto di me: – scosse il capo con amarezza – non saremo mai un gruppo.”
A quelle parole, cariche di delusione, Vato alzò lo sguardo su di lui e si ricordò le parole di suo padre a proposito dell’orgoglio adolescenziale.
“Perché allora non prendi in considerazione un’altra idea di gruppo?” disse d’istinto.
“Mh?”
“Guarda Heymans e Jean – annuì Vato con un sorriso, mentre un’idea gli balenava in mente – sono una coppia ma non c’è nessuno dei due che prevalga. E se nel tuo gruppo non ci fosse un leader? Almeno non per i primi tempi.”
“Amici…” Roy quasi assaporò quella parola… così semplice eppure difficile da pronunciare. Ma era questo che lui cercava in Heymans e Jean, no?
“Del resto l’amicizia mi pare un’ottima base da cui iniziare, non credi? – disse Vato con entusiasmo – Potrebbe essere la soluzione giusta, mh?”
“Bellissima idea, Vato Falman! – esclamò Roy con un ampio sorriso sporgendosi per mettergli una mano sulla spalla – E tu ormai fai parte di questo progetto! Sei appena diventato il membro di pensiero del mio nuovo ideale di gruppo!”
“Che?” si sorprese Vato, facendo cadere il suo alfiere.
“E questo vuol dire che da questo momento io e te siamo amici!” dichiarò Roy con decisione.
Vato rimase incredulo davanti a quelle parole e a quel contatto fisico. Perché stava tutto succedendo così in fretta? Non era questo il modo corretto di…
“V… va bene.” annuì, sorridendo timidamente.
Da quando agiva d’istinto in maniera così sconsiderata?


 
  
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