Le
note di One Day risuonano leggere
nella stanza, la fotografia, che ritrae due giovani sorridenti, un ragazzo ed
una ragazza fianco a fianco, giace abbandonata accanto alla penna nera, che
quasi si mimetizza sul legno scuro della scrivania. Il telefono cellulare
trilla debolmente una sola volta, lo schermo si illumina e un’icona verde
brilla accanto alla parola ciao. Il
diario, con le sue pagine a tratti stropicciate, a tratti perfette o macchiate,
straborda di foglietti di carta, annotazioni, biglietti di concerti e foto di
ogni tipo. La pagina aperta è scritta da cima a fondo, l’inchiostro si sta
ancora asciugando nei punti in cui si è indugiato maggiormente e brilla colpito
dalla luce. Tutto è perfettamente leggibile, dalla prima all’ultima riga.
Era il 7 Dicembre 2013…
Inizia.
Io e Davide ci siamo
conosciuti così, nel modo più impensabile che mi sia mai capitato.
«Ciao, sei da sola?»
mi ha chiesto lui quando mi ha vista al bancone del bar.
Non sapevo
assolutamente se fidarmi o meno, ma i suoi occhi, che per molte cose mi hanno
ricordato quelli di Steve, grigi con sfumature verdemare, mi hanno dato
fiducia.
«Già.» gli ho detto.
Lui ha sorriso: «Anche
io, non ho trovato nessuno disposto a venire con me, ma non potevo perdermi i
Kodaline.»
È stato pressappoco
assurdo trovare qualcuno al concerto nella mia stessa situazione, anche io ero
andata sola perché non avevo nessuna intenzione di perdermi la band di cui sono
innamorata.
Così io e Davide
abbiamo deciso di goderci il concerto insieme e abbiamo fatto amicizia.
Non credo ci abbia
provato con me, anzi, ne sono certa. Non mi ha fatto avance, non mi ha offerto
da bere, niente del genere, ha solo conversato.
Abbiamo parlato tutta
sera di qualunque cosa, fino ad inizio concerto. E quando i Kodaline sono
comparsi sul palco il mio mondo si è illuminato. Non so neanche descrivere cosa
ho provato, solo è stato meraviglioso, è l’unico termine con cui posso
descrivere il tutto.
Eravamo quasi sotto al
palco, io e Davide, e lui ha cantato con me ogni singola canzone, dalla prima all’ultima
parola, ha riso con me alle battute dei membri della band e mi ha lasciato
tenere la testa sulla sua spalla quando è cominciata High Hopes e io quasi non potevo crederci.
A fine concerto siamo
tornati a parlare, nella speranza di vedere i Kodaline uscire, ma niente.
Ci siamo scattati una
foto con il telefonino per impedire all’uno di scordarsi dell’altro. Mi ha
accompagnata all’auto perché: «Milano di notte è pericolosa.» e mi ha chiesto
se mi andava di lasciargli il mio contatto Facebook.
Sono passati due mesi
e noi ancora ci sentiamo, parliamo anche se siamo distanti tantissimi
chilometri e ancora ricordiamo quel concerto e quella musica che ci ha permesso
di diventare amici.
Che la musica unisse
le persone l’ho sempre sospettato, ma ora, almeno, ho la conferma.
La
tazza fumante viene abbandonata sul tavolo nel momento esatto in cui la traccia
quattro dell’album affiora dallo stereo. La ragazza nota il messaggio presente
sul suo cellulare e afferra quest’ultimo, aprendo la chat.
Il
suo sorriso si fa largo spontaneo mentre, in risposta a quel semplice saluto,
lei scrive:
Sai, ti stavo giusto
pensando.