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Autore: kk549210    22/01/2014    5 recensioni
Il navigato Harmon Rabb, alle prese con situazioni nuove della vita privata e professionale, più o meno inaspettate.
Quinta "giornata" della serie "Cuore di padre".
Genere: Commedia, Sentimentale | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Altro Personaggio, Harmon 'Harm' Rabb, Sarah 'Mac' MacKenzie
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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- Questa storia fa parte della serie 'Cuore di padre'
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La vigilia del matrimonio di Mattie con Tony. Nonostante fosse già passato da tempo l’orario d’ufficio, la giornata del neoammiraglio Rabb non era ancora conclusa. Le ultime due settimane erano volate in un soffio, con il loro turbinio di eventi e le vorticose novità da gestire. Per fortuna, i preparativi delle nozze non si erano rivelati troppo gravosi, soprattutto grazie al solerte intervento della dolce e tenace Harriet che, memore delle scenate isteriche che diciotto anni prima avevano preceduto il suo matrimonio, aveva soccorso Sarah nell’organizzazione. E l’arrivo dei futuri sposini aveva in parte liberato il campo dai dubbi e dalle incertezze che avevano attanagliato Harm alla notizia del nipotino. Mattie era radiosa e Tony appariva molto premuroso e innamorato, al colmo della contentezza per l’imminente paternità. Ma, agli occhi preoccupati del padre della sposa, l’orizzonte non era ancora sgombro di nubi. L’unico punto fermo in quella famiglia nascente gli sembrava l’elevato reddito di cui il futuro genero poteva disporre in quanto ideatore di videogame. “Almeno non dovrò mantenerli io”, pensava, anche se quella rappresentava per lui una ben magra consolazione. Tony gli sembrava ancora un ragazzo immaturo, troppo centrato sui suoi successi professionali e sui suoi mille interessi, un po’ troppo narcisista per il nuovo e impegnativo compito di marito e di padre.
Quel giorno, per di più, Harm aveva un terribile mal di testa. E la situazione al JAG non era certo un efficace analgesico. Da quando la Helfman gli aveva passato le consegne, le complicazioni erano proliferate a dismisura e lui ormai passava più tempo con il SecNav che con sua moglie. Quella sera c’era anche in programma l’addio al celibato e doveva cercare di mantenersi decentemente lucido.  Stava esplorando il cassetto in cerca di un’aspirina, quando sentì bussare alla porta.
-Avanti!
-Buonasera, signore.
Era Vukovic. Di sicuro lo avrebbe rallegrato con un intrigante assolo di lima sorda. Aveva maldigerito che Rabb, l’eroe dalle medaglie luccicanti, l’inossidabile Adone, il padre perfetto, l’odioso Rabb, insomma, fosse diventato il capo. E che la nomina fosse stata ratificata proprio sotto il suo naso. Da giorni non faceva altro che tormentarlo in tutti modi per farsi trasferire ad altra sede. Non a una qualsiasi, però. A quella che voleva lui. O Londra o San Diego. Intollerabile una simile pretesa da parte di un subordinato. Harm cercava in tutti modi di gestire con equilibrio quella situazione anche se, sotto sotto, non gli sarebbe affatto dispiaciuto spedire al JAG di Londra quell’irrecuperabile pavone. A fare il toy boy della Krennik.
-Buonasera, capitano.
-Con rispetto parlando, – esordì il capitano con un’espressione fintamente contrita – vorrei chiedere se ci sono novità per il mio trasferimento.
“Rispetto? Questo non sa nemmeno dove stia di casa, il rispetto”.
-Capitano, lei non è un avvocato alle prime armi, che può essere trasferito a cuor leggero. Non posso ridurre arbitrariamente questo organico a favore di un altro, mi capisce…
“Ho capito fin troppo bene. Mi indora la pillola per farmela pagare”.
-Capisco, ma non c’è nessuna prospettiva? – insistette Vukovic.
“Ma quanto è insistente questo! E’ capitano e non ha ancora capito che è lui ad essere al servizio della Marina, e non il contrario
-Se un pari grado di Londra o di San Diego è disponibile a venire a lavorare qui al Quartier generale, si può attuare una compensazione. Ma finora questa strada non è apparsa ancora praticabile. Deve avere pazienza.
“Pazienza? Fa il finto carino, ma in realtà mi vuole tenere qui per tiranneggiarmi. A questo punto mi accontento di qualunque cosa, pur di non vedere la sua faccia tutti i giorni e non sentirmi il fiato sul collo”.
-Non ci sono altre soluzioni? Per il momento mi andrebbe bene  anche un incarico temporaneo – fece il capitano con tono accomodante.
“Un’ottima idea, mentre si trova una soluzione più stabile” pensò Rabb.
-Quanto manca alla fine del processo al guardiamarina Rosslyn, secondo lei? – chiese a Vukovic.
-Una settimana, più o meno. Ma se il capitano Roberts propone un patteggiamento, potrebbe chiudersi anche prima.
-Sulla Guadalcanal si è proprio liberato il ruolo di responsabile dell’ufficio legale. Può prendere servizio appena finito il processo.
-Grazie, signore – rispose Vukovic mettendosi sull’attenti – Picasso o Pollock?
-Prego, capitano? – chiese Harm inarcando le sopracciglia. Non era certo in vena di scherzi o di indovinelli.
-Il quadro – fece il capitano, indicandone uno nuovo sopra il caminetto. Ogni occupante dell’elegante e prestigioso ufficio in mogano lo personalizzava con ritratti o cimeli per lui significativi. Nella parete di facciata campeggiava una foto di Sarah, lo Stearman giallo con cui il nonno dell’ammiraglio si era guadagnato le ali d’argento. Sulla scrivania Rabb teneva le foto della moglie e degli odiosi pargoli. Ma quel quadretto appeso a sinistra era proprio una serie ingarbugliata di scarabocchi e di figure scomposte. “Quella gnocca stagionata della MacKenzie ora lavora in uno studio privato. Non sapranno dove mettersi soldi e si saranno messi a fare i collezionisti”.
-Rabb, semplicemente Rabb. – rispose Harm seccamente.
Il capitano rispose con un sorrisetto irritante. L’ammiraglio Rabb non era così temibile, in fondo. Non era più quella miscela esplosiva di Top Gun, principe della procura militare e ammaliante conquistatore che faceva sospirare le donne e crepare di invidia i rivali. Era ridotto a un pantofolaio che si appendeva in ufficio i disegni dei propri bambini. E tutti al JAG sapevano che l’indomani avrebbe accompagnato all’altare la sua figlia più grande. “Roba da vecchio bacucco”. Considerarlo come rivale ormai era come voler gareggiare in Porsche contro una station wagon sgangherata. Vukovic lo guardò in viso, incapace di controllare il suo compiacimento. Rabb aveva perso anche il suo famoso sguardo magnetico. I suoi grandi occhi cerulei apparivano spenti e offuscati dalla nebbia della senilità.   
-Se non c’è altro…
-No, signore.
-Può andare, allora – fece l’ammiraglio con un cenno del capo.
-Grazie, signore.
 Rimasto solo, Harm si mise la testa fra le mani. Gli sembrava di avere un trapano a mille giri che gli attraversava il cervello e che a manovrarlo fosse proprio quell’importuno di Vukovic, che continuava a trattarlo con irrazionale ostilità. Diede un’occhiata al disegno che Gabo e Zhiqun avevano fatto per lui. Un piccolo compromesso perché non invadessero il suo territorio professionale con la loro presenza chiassosa e gaiamente confusionaria. “Voglio venire a giocare nel tuo nuovo ufficio” – aveva esclamato entusiasta la bambina, quando lo aveva visto tornare a casa con quelle belle spalline dorate a due stelle sull’uniforme bianca. Allora lui l’aveva presa sulle ginocchia e le aveva spiegato che il lavoro dei grandi è una cosa seria. Si era molto intenerito, perché una parte di sé avrebbe voluto che i suoi figli rimanessero sempre piccoli, per poterli tenere in braccio. Ma per crescerli bene doveva dare loro delle regole. E così, dopo una battagliera contrattazione a cui si era aggiunto anche Gabriel come patrocinante della causa della sorellina, il disegno a quattro mani era apparso una soluzione accettabile per entrambe le parti.
Nonostante l’aspirina, l’emicrania era cresciuta in maniera esponenziale. Colpa del devastante effetto Vik. Poco prima delle venti, l’ammiraglio Rabb riuscì finalmente a salire in auto, in tempo utile per raggiungere il locale dove aveva appuntamento con gli altri. Ma prima doveva passare da casa per cambiarsi.
 
  
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