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Autore: Laylath    22/01/2014    2 recensioni
Eppure a guardare più da vicino i ragazzi di quella realtà, ci si sarebbe accorti che le loro esistenze non erano così scontate: i piccoli grandi problemi dell’infanzia e dell’adolescenza a volte andavano ad intrecciarsi con situazioni difficili, dove spesso il legame con un amico fidato era la cosa migliore per poter andare avanti.
E spesso le persone più impensabili stringevano un forte legame tra di loro per uno strano susseguirsi di eventi, all’apparenza così normali… anche se poi viverli era tutt’altra cosa.
Genere: Generale, Introspettivo, Slice of life | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Nuovo personaggio, Team Mustang
Note: AU, What if? | Avvertimenti: Tematiche delicate
Capitoli:
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- Questa storia fa parte della serie 'Un anno per crescere'
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Capitolo 14. Gesti d’amicizia.

 

Mentre Roy e Vato stringevano amicizia in quel modo particolare, Riza, nella cucina di casa sua, si dava da fare come mai le era capitato. Cucinare per lei era sempre stata una cosa ovvia e scontata, ma non si era mai cimentata in qualcosa che andasse oltre i canonici piatti preparati per pranzo e cena.
Tuttavia, ad un certo punto aveva alzato lo sguardo sopra una mensola ed aveva notato un vecchio libro di ricette di sua madre. Non capiva ancora cosa le fosse passato per la mente, ma due secondi dopo stava levando la polvere da quel volume e lo stava sfogliando, cercando qualche dolce da preparare.
Sì, un dolce: nonostante non ne avesse mai cucinato uno in vita sua, adesso sentiva che era il momento buono per provare. Forse cimentarsi in questa nuova sfida le avrebbe dato modo di non pensare al disastro che era successo quella mattina e poi, se doveva essere sincera, era rimasta talmente impressionata dalla bravura della madre di Kain che in qualche modo voleva provare pure lei.
Per quanto in cucina non se la cavasse male, si accorse subito che la realtà dei dolci era molto più complicata rispetto a quella dei comuni stufati, minestre e quanto altro.
Le dosi indicate erano precise, il procedimento molto rigoroso eppure, per quanto lei lo seguisse diligentemente, l’impasto per la torta che aveva deciso di fare non era per niente simile all’immagine proposta dal libro. Quando poi passò a preparare la crema per farcirla, il disastro fu ancora peggiore: il pentolino sul fuoco iniziò a ribollire in maniera strana e, poco dopo, la ragazza si ritrovò con il preparato quasi del tutto attaccato al fondo.
“Ma perché! – esclamò esasperata, rimestando quella poltiglia nella speranza di salvare qualcosa – Perché non va bene niente?”
Alla fine, dopo svariate imprecazioni, il risultato che ottenne fu una torta non proprio bellissima farcita con una crema altrettanto imperfetta; tuttavia, almeno al palato era qualcosa di gradevole da mangiare.
Alla luce di questa piccola vittoria, Riza pensò che tutto sommato era naturale che la prima volta non le uscisse tutto perfetto come i dolci della madre di Kain.
Del resto la mamma non cucinava i dolci, se non in rarissime occasioni…
Quel pensiero la sorprese: era da parecchio che non si concedeva qualche ricordo di sua madre. In genere la cosa la intristiva molto perché la faceva rimuginare sulla felicità che aveva vissuto assieme a quella donna, prima che la sua vita diventasse cupa e vuota, sola in casa con suo padre.
Ma non era più così, ad essere sinceri… adesso aveva anche altre persone che tenevano a lei, che la consideravano speciale. Non era quello che le aveva detto Roy qualche giorno prima?
Secondo me dovresti provare e poi li assaggio io. Per i dolci mi offro sempre volontario… specie se sono con il cioccolato.
Le parole di Kain ritornarono alla memoria, mentre finiva di decorare la torta con lo zucchero a velo.
“Ma sì – si disse, fissando il suo operato finale – anche se non è al cioccolato, quasi quasi vado a casa sua e gliela faccio assaggiare.”
Dopo averlo tagliato a cubetti, impacchettò quel dolce, di cui iniziava a sentirsi estremamente fiera, e si avviò verso casa del bambino, uscendo fuori dal paese. Sulle prime le era venuta anche l’idea di portarne un po’ a Roy, ma poi aveva scosso il capo: lo conosceva abbastanza bene per capire che era una di quelle giornate in cui voleva stare solo e riflettere. L’ultima cosa che gli serviva era fare da cavia per una cuoca dilettante come lei.
Dopo aver oltrepassato la scuola, poco prima di prendere la biforcazione che portava verso casa di Kain, intravide una figura scendere dall’altra parte del sentiero. Sulle prime non ci fece caso, ma poi socchiuse gli occhi e riconobbe Jean.
Quasi d’istinto si fermò e lo attese.
“Ciao…” salutò come arrivò vicino.
“Ciao.” rispose lui squadrandola con attenzione, quasi avesse il sospetto che Roy comparisse all’improvviso.
“Dove vai?”
“In paese a fare una commissione per mia madre. – rispose lui, laconico, con uno sguardo annoiato, mettendosi le mani nelle tasche – E tu?”
“Stavo andando a casa di Kain.”
“Ah, allora salutamelo.”
Considerando quella conversazione chiusa, Jean le rivolse un lieve cenno con il capo e fece per proseguire. Ma dopo qualche passo Riza lo chiamò di nuovo.
“Ti va… ti va di assaggiare la mia torta?” chiese d’impulso.
Jean si fissò a guardarla con estrema sorpresa e Riza notò che gli occhi erano davvero di un bellissimo  azzurro, specie quando non avevano l’espressione annoiata o maliziosamente perfida. Ora che lo vedeva senza Heymans a fare da spalla si accorse che era davvero alto per la sua età e che era completamente diverso da Roy: c’era una forza più sfacciata nella sua figura, nei suoi lineamenti, un qualcosa di perfettamente tangibile come il sole estivo.
“Scusa?” fece Jean.
“Non è uscita molto bella a vedersi, a dire il vero, – ammise lei, arrossendo lievemente, e iniziando a svolgere il pacco – ma è buona, te lo assicuro.”
Il ragazzo si avvicinò e squadrò quei cubetti all’interno del contenitore; ne prese uno con cautela e se lo mise in bocca in un sol boccone. Riza lo osservò con apprensione masticare attentamente, con l’espressione concentrata come se fosse un insegnate che valuta il lavoro di un allievo.
“Non male.” dichiarò infine, annuendo.
“Dici davvero?” chiese, sollevata.
“Sì – annuì lui – è solo un po’ bruciatella sul fondo, ma per il resto è buona. Non sapevo che ti cimentassi con i dolci.”
“E’ la prima volta, a dire il vero.”
“Oh, vedrai che il nano ti coprirà di complimenti: anche se gli servissi una torta di fango, stravede così tanto per te che direbbe che è ottima.”
“Jean… mi dispiace per quanto è successo oggi.” si trovò a dire Riza dopo qualche secondo di silenzio.
“Eh? Oh no, dai, non abbassare lo sguardo in questo modo. – disse lui, impanicandosi lievemente – Possibile che voi femmine dovete essere così maledettamente complicate?”
“Proprio tu e Roy non potete venirvi incontro?”
Jean la guardò sempre più confuso: era strano parlare di queste cose al di fuori della scuola con una persona che non fosse Heymans. Riza gli sembrava completamente diversa da quella ragazzina scontrosa sempre pronta a difendere Kain e a rimproverarlo: adesso la vedeva molto più fragile emotivamente, con quell’espressione così preoccupata e triste.
“E’ complesso, lo sai bene, – cercò di spiegarle con estrema pazienza – ma cerca di capire anche le mie ragioni: lui non può venire da me e pretendere di essere il mio capo.”
“Ma Heymans ha detto che sarebbe disposto…”
“Heymans è più accomodante ed è per il compromesso. Ma, onestamente, Riza, che cosa mi rappresenta Roy Mustang? Se Heymans deve rendere conto a qualcuno, anche se già questa idea mi dà molto fastidio, preferisco essere io, non quel ragazzo di cui non so niente… se non che è bravo a battersi.”
“Non lo conosci nemmeno!” protestò lei.
“Appunto! – disse lui – Non lo conosco e scusami tanto se preferisco dare la priorità a me ed Heymans. Ho accettato la sua condizione al duello perché ero sicuro di batterlo… e se poi mi sono proposto come capo al posto suo è stato per oppormi a quella sua strafottenza. Non è un dio sceso in terra, assolutamente.”
C’è qualcosa che non torna in tutto questo, Riza.
I dubbi di Roy qualche ora prima trovavano conferma nelle parole di Jean: a conti fatti si era voluto mettere in una posizione di superiorità che non gli spettava di diritto… e le conseguenze si erano viste.
“Lo disprezzi?”
“Disprezzo… è una parola grossa, Riza. – sospirò Jean – Diciamo che per ora preferisco non avere a che fare con lui. Non è con un duello che una persona mi dimostra quanto vale.”
Riza alzò gli occhi castani su Jean e, per la prima volta, si accorse della strana forma di saggezza che caratterizzava quel ragazzo. Una sicurezza in determinati principi solida come la campagna dove vivevano, un giudicare le persone che aveva regole molto precise. Adesso iniziava a capire perché Heymans lo ritenesse un candidato leader più che valido: non era solo un gesto d’amicizia.
“Ed io quanto valgo?” si trovò a chiedere, curiosa di essere valutata secondo quel metro di giudizio.
Jean riflettè per qualche istante e poi si fece più vicino, posandole un dito in fronte e sorridendole: non nel solito modo sfacciato o cattivo, ma con una naturalezza disarmante.
“Tu sei stata una bella guastafeste per tutti questi anni, Riza Hawkeye, paladina dei secchioni. Ma hai difeso Kain sempre e comunque perché tieni a lui e, da quanto mi racconta Heymans, anche il ragazzino è sempre pronto a difenderti. Questo ai miei occhi vale molto, perché indica che sei una bella persona.”
“Possiamo essere amici?” propose lei, tendendo la mano libera dal pacco della torta.
“Proprio a me vieni a fare una simile richiesta? – la prese bonariamente in giro lui – Forse prima dovevi passare per Heymans.”
Ma mentre diceva queste frasi, prese la mano tra le sue e la strinse lievemente.
Riza si accorse che la sua mano era davvero piccola in quella presa così sincera e franca: le mani di Jean erano così diverse da quelle di Roy. Erano calde e poteva sentire tutto il duro lavoro che erano abituate a fare, al contrario di quelle del moro che invece erano snelle, eleganti e fresche.
“Se ci tieni così tanto, ragazzina… allora sì, siamo amici.” dichiarò Jean.
“Perché ti comporti così diversamente quando sei a scuola? Puoi essere così gentile, se ti va.” sorrise Riza, lieta di quella stretta.
Un sogghigno sfacciato apparve sul volto di Jean e gli occhi azzurri si illuminarono della solita malizia.
“Perché evidentemente non mi va. E anche se siamo amici non pensare che non giochi ancora qualche tiro al nanetto.”
“Jean Havoc!” esclamò lei, arrabbiandosi e ritirando la mano.
“Ahahah! Eccoti qua, paladina dei secchioni, iniziavi a mancarmi. Adesso scusami, ma devo proprio andare, altrimenti la commissione per mia madre non la farò mai.” e le diede una lieve tirata ad una delle ciocche bionde, in un gesto identico a quello che compiva con le trecce di Janet.
Riza rimase completamente spiazzata da quell’azione, tanto che per qualche secondo non riuscì a reagire.
Ma poi sentì l’esigenza di ricambiare in qualche modo il gesto e senza pensarci due volte prese uno dei cubetti di torta e lo lanciò a quella figura che stava già correndo verso il paese.
Fu un tiro preciso e mirato che teneva perfettamente conto della distanza che aumentava: la torta colpì la nuca di Jean, spiaccicandosi sui capelli biondi.
“Adesso che siamo amici, – gli gridò, mentre lui si girava stupefatto e si metteva una mano sul danno che aveva nella capigliatura – non pensare che la smetta di darti una lezione ogni volta che lo meriti.”
“Femmine! – sbottò Jean – Siete veramente fuori di testa! E tu lo sei più di tutte le altre, Riza Hawkeye!”
“Ci vediamo domani a scuola. – sorrise lei, riprendendo la sua strada – Ciao ciao!”
Certo, aveva due cubetti di torta in meno da portare a Kain, ma li aveva spesi in modo davvero produttivo.
 
“Ma tu guarda che schifo! – sbottò Jean con disgusto, mentre si rendeva conto dell’entità del disastro dietro la sua nuca: la mano poteva fare ben poco contro quella crema e quei rimasugli di torta che iniziavano a scivolare anche sul collo – Stupida ragazzina! E chi pensava che avesse una mira simile!”
Arrivò all’ingresso del paese e si guardò attorno con notevole disagio: non voleva assolutamente che qualcuno lo vedesse in quelle condizioni, ma del resto non poteva fare a meno di compiere quella commissione per sua madre.
Femmine! Sempre e comunque colpa loro!
Procedendo per le strade si chiese con che coraggio potesse mai entrare nel negozio dove doveva andare, ma poi intravide la sua salvezza in una via laterale. Con un rapido balzò si levò dal corso principale e sfrecciò verso il suo miglior amico.
“Heymans!” lo chiamò urgentemente.
“Jean? – si sorprese il rosso, seduto sui gradini del portone di casa, alzando la testa dal libro che stava leggendo – Che ci fai q… ma che hai fatto ai capelli?”
“Un gesto d’amicizia da parte di Riza; – spiegò lui, con sguardo irato – non posso andare in giro in queste condizioni, devi darmi una mano! Da solo non se ne va!”
Heymans squadrò l’amico con aria preoccupata: l’unica soluzione era farlo entrare in casa e fargli lavare la testa. Ma se non aveva mai fatto venire il suo miglior amico a casa sua, c’era un buon motivo…
Però Henry ora è fuori… e lui sta dormendo ubriaco in camera…
“Va bene – sospirò chiudendo il libro e alzandosi in piedi – vieni, ma giurami che farai il più piano possibile.”
“Che succede?” chiese Jean con curiosità, vedendo l’amico così teso.
“Mio padre dorme, va bene? – spiegò il rosso, aprendo lentamente la porta e facendogli cenno di entrare – E non voglio che si svegli.”
Jean annuì e seguì l’amico dentro casa.
La prima cosa che lo colpì fu la piccola dimensione degli ambienti: sapeva bene di venire da un’abitazione parecchio grande, ma la casa del suo amico gli sembrava stretta oltremisura. Il mobilio, per quanto pulito e non era certamente di prima qualità e tutta la casa emanava uno strano senso di silenziosa tensione. All’improvviso Jean iniziò a capire l’esigenza di Heymans di stare così tanto tempo via da casa sua.
Tuttavia, quando entrarono nella piccola cucina, l’atmosfera cambiò: c’era un bel profumo di pulito, evidentemente il pavimento era stato lavato da pochissimo. Anche le stoviglie ed il piano di cottura erano perfettamente in ordine e dalla finestra un bel sole illuminava la stanza.
Al tavolo era seduta una giovane donna, intenta a rammendare alcune camicie con particolare perizia.
Jean aveva visto alcune volte la madre di Heymans e gli era sempre sembrata carina, ma triste; tuttavia in quel momento pareva particolarmente serena e faceva intravedere una bellezza tutta nuova.
Gli occhi grigi si alzarono dal lavoro quando i due ragazzi entrarono e subito un sorriso comparve nel suo volto. Poi si mise una mano davanti alla bocca e le sue spalle sussultarono lievemente.
“Si vede così tanto?” chiese Jean, con tristezza.
“Abbastanza, caro, – sorrise la donna, facendogli cenno di avvicinarsi e constatando il danno – e direi che ci hai passato le mani più volte, peggiorando la situazione.”
“Mamma, lui è il mio amico Jean. – sorrise Heymans, contagiato dall’ilarità della madre – E a quanto pare ha avuto una leggera disavventura con una torta alla crema.”
“E’ un piacere conoscerla, signora, – disse imbarazzato il ragazzo – anche se non è proprio un bel modo di presentarsi a casa sua.”
“Oh, figurati; – rispose Laura, alzandosi dalla sedia – forza, vieni al lavandino: vediamo di sistemare un po’ questo disastro. Heymans, per favore, andresti in bagno a prendere un asciugamano?”
“Certo, mamma.”
“Faccio io…” iniziò Jean, quando la donna aprì il rubinetto.
“Lascia, non ti puoi vedere: – lo bloccò lei, aspettando che l’acqua diventasse abbastanza calda, prima di accompagnare la testa bionda sotto il getto – fai fare a me.”
E a Jean non rimase che stare fermo, mentre le mani di quella donna gli massaggiavano la nuca, levando i residui del proiettile di Riza. Quanto era passato da quando sua madre gli aveva lavato i capelli per l’ultima volta? Otto anni di sicuro… e adesso si trovava in questa condizione assurda. Ma nonostante tutto non poté far a meno di accorgersi della gentilezza di quelle dita e si sorprese a chiudere gli occhi e crogiolarsi in quel tocco.
“Va bene, direi che abbiamo eliminato tutto – dichiarò Laura poco dopo, chiudendo il rubinetto – ah, eccoti caro, dai passami l’asciugamano.”
Con gentilezza avvolse la stoffa attorno alla testa di Jean e gli permise di riprendere una posizione eretta. Poi lo fece accomodare in una sedia e iniziò a frizionargli la chioma bionda. Nel frattempo Heymans gli si sedette davanti.
“Mi vuoi spiegare perché Riza ti ha lanciato una fetta di torta addosso?”
“Per amicizia…” rispose laconicamente lui.
“Strana dimostrazione d’amicizia. Spero che non pretenderai lo stesso da me, dato che la torta preferisco mangiarla…” commentò causticamente il rosso.
“Prima che si dimostrasse la solita indemoniata abbiamo parlato – spiegò Jean – e credo che ci sia rimasta molto male per quello che è successo stamane… così mi ha chiesto se potevamo essere amici. Forse era preoccupata che siccome era andato tutto a rotoli non le avremmo più parlato, ma è strano perché non è che avessimo questo grande dialogo, tutt’altro.”
“E’ una vostra compagna di classe?” chiese Laura che aveva ascoltato con attenzione.
“No, - scosse il capo Heymans – è un anno più piccola; più che altro non perdeva occasione di battibeccare con Jean.”
“Anche quello è un dialogo, dopotutto. – sorrise la donna – Tu hai una sorellina, Jean: scommetto che spesso e volentieri litigate, vero?”
“E’ diverso!” protestò il ragazzo, mentre si scrollava i capelli finalmente asciutti ed i ciuffi biondi in fronte tornavano ad essere dritti e ribelli.
“Forse per Riza è importante anche un rapporto di questo tipo: – commentò Heymans, facendosi pensoso – non credo che abbia molti amici e suo padre, da quello che si dice, sta sempre chiuso in casa e la calcola veramente poco.”
Jean abbassò il capo: gli dispiaceva sempre sentire di realtà familiari non proprio felici e la cosa lo faceva sentire profondamente a disagio… anche perché stava parlando con una persona che di difficoltà col padre ne sapeva qualcosa.
Se dunque la sua amicizia era così importante per Riza, allora era ben felice di avergliela data, su questo non aveva dubbi. Era stato sincero quando le aveva detto che la considerava una bella persona.
“Beh, in ogni caso ora è mia amica e agirò di conseguenza. – disse, come se quel dato di fatto chiudesse la questione – Adesso però devo proprio andare: la commissione che devo fare per mia madre è stata rimandata di troppo.”
“Ti accompagno; – propose Heymans, alzandosi dalla sedia – torno tra poco, mamma, va bene?”
“Certamente, caro: lascia pure l’asciugamano, ci penso io a rimettere in ordine. E’ stato davvero un piacere conoscerti di persona, Jean: tu non hai idea di quanto sia felice che mio figlio abbia un amico come te… e sono così grata alla tua famiglia per tutto quello che fate per lui.”
“Oh, non si preoccupi, signora: – arrossì Jean mentre le stringeva la mano – è il mio miglior amico, tutto qui e anche a casa gli vogliono  molto bene. E comunque sono felice di averla conosciuta… e grazie per i capelli.”
“Di niente. Forza, adesso andate.”
“Arrivederci, signora.”
“A dopo, mamma.”
Come uscirono in strada il biondo diede una gomitata all’amico.
“Sai che ti dico? In fondo devo ringraziare Riza per quella torta: ho finalmente avuto occasione di conoscere tua madre e di venire a casa tua.”
“E che ne pensi?”
Jean stette un attimo in silenzio, preferendo tacere la brutta sensazione che gli aveva dato il primo impatto con quell’ambiente. Preferì soffermarsi su Laura.
“Penso che tu abbia una bella mamma, proprio come la mia, sebbene in modo diverso.”
“Sì. – sorrise Heymans – su questo non posso che darti ragione.”
 
“Kain, è la quarta volta che ne mangi! – disse Ellie, squadrando il figlio – Poi ti verrà il mal di pancia!”
Il bambino finì di masticare il boccone con aria colpevole e poi mise le mani in grembo.
“Va bene, ho finito. – dichiarò, leccandosi le labbra per assaporare gli ultimi residui di crema – Ma non mi viene mal di pancia! Erano pezzi piccoli, hai visto pure tu. E comunque era davvero buonissima, Riza!”
A quei sinceri complimenti, la ragazza sorrise deliziata, sentendosi profondamente orgogliosa.
“E’ vero, Riza, - annuì Ellie, versandole di nuovo del succo di frutta – ti è uscita davvero bene per essere la prima volta. Se vuoi ti do qualche consiglio così al prossimo tentativo correggi quei piccoli errori in cui sei caduta, specie per tenere a bada la crema mentre è sul pentolino.”
“Davvero, signora? Grazie, sarebbe davvero un pensiero gentile!”
“Anzi, uno di questi pomeriggi puoi venire qui, così la facciamo insieme.”
“Non vorrei essere di disturbo…” protestò lei.
“Ma che dici? – sorrise la donna – In ogni caso i dolci li preparo lo stesso e cucinare in due è decisamente più piacevole, non credi?”
“Sarebbe bellissimo.”
“Oh, dai Riza! Non farti pregare!” supplicò Kain.
Quant’era piacevole stare in quella cucina calda e luminosa: Riza se n’era accorta già il giorno che era stata lì assieme a tutti gli altri. Ma adesso, con solo tre persone e non tutto il caos creato da tanti ragazzi, era qualcosa di più intimo e confortevole. A dire il vero tutto in quella casa emanava ospitalità, a partire dalle persone che ci vivevano:la madre di Kain l’aveva accolta con un ampio sorriso, quando era andata ad aprirle la porta, ricordandosi perfettamente di lei e facendola accomodare.
Kain, poi, era quasi caduto dalla foga di scendere le scale e le si era catapultato addosso, stringendole la vita in un abbraccio entusiasta.
Ed era stato incredibile come quelle due persone l’avessero fatta sentire a casa.
In qualche modo Ellie le ricordava sua madre, sempre intenta a raccontarle qualcosa sia che fosse di cucina o di qualsiasi altro argomento… era il tono di voce, capì la ragazza dopo un po’: aveva lo stesso tono di voce calmo e rassicurante.
“L’avevo detto io che ti dovevi cimentare nei dolci! – disse Kain, con l’aria di chi la sa lunga – E se ne cucini un altro lo fai al cioccolato?”
“Tu e il tuo prezioso cioccolato!” lo prese in giro Ellie, stuzzicandogli la pancia con l’indice.
“Mamma, mi fai il solletico!” rise lui, cercando di sottrarsi a quella presa.
“Vuoi che la smetta? – lo bloccò la donna – E allora dammi un bacio… e forse ti lascio andare!”
Riza guardò divertita la scena, constatando che Kain non aveva il classico imbarazzo dei maschi nel farsi coccolare dalle proprie madri. Quel bambino le piaceva sempre di più: aveva la capacità di farla sentire accettata in una maniera del tutto particolare, così innocente, pura… e assoluta.
“Libero! – esclamò lui con una risata, scendendo dalla sedia e correndo al fianco di Riza. – Vuoi salire in camera mia? Ti voglio far vedere una cosa!”
“Va bene.” annuì lei, alzandosi in piedi.
Seguì Kain su per le scale ed entrò nella sua camera per restare a bocca aperta.
Non somigliava per niente alla stanza di Roy, così grande, ordinata e piena di cose eleganti ed importanti: Kain aveva personalizzato il suo piccolo mondo con decine e decine di oggetti che richiamavano le sue passioni: l’elettronica e la natura. Sulla libreria e sulla scrivania c’erano tanti contenitori di vetro con sassolini colorati, piantine, foglie, radici… in una scatoletta di cartone stava addirittura un vecchio nido di rondini. E a queste testimonianze naturalistiche si affiancavano, con una strana armonia, pezzi elettronici e piccoli strumenti quali cacciaviti, lampadine, cavi, rondelle.
“Sembra la camera di uno stregone…” commentò affascinata Riza, accostandosi alla libreria e prendendo in mano un barattolino di vetro con bellissimi petali bianchi e azzurri e diverse pietre di fiume.
“Ti piace? – chiese lui con un sorriso – Sei la prima persona che vede la mia stanza, eccetto mamma e papà, ovviamente. Quelle pietre le ho raccolte vicino al ponte dove ci siamo parlati per la prima volta: hai visto come sono belle? La corrente le ha lavorate per anni ed anni prima di ottenere quelle forme così morbide… aspetta, guarda, questa non ti sembra una mezzaluna?”
“E’ vero! E qui invece che c’è?”
“Questi invece sono dei minerali: alcuni me li ha procurati mio papà… hanno dei nomi così difficili, però me li sono tutti scritti: vedi, ogni pietra ha una targhetta accanto. Ho messo sia il nome comune che quello in latino: in questo libro ho trovato persino quelli.”
“Ed in questa scatoletta chiusa?” fece Riza, aprendo il piccolo coperchio di cartone.
“No! Quello no!”
“Aaah! Che schifo! Sono scarafaggi!” esclamò lei, facendo cadere la scatola a terra e facendo dei passi indietro.
“Ma no! – corresse il bambino, inginocchiandosi a terra e prendendo con delicatezza gli insetti che si dimenavano dopo la caduta – Sono delle cicale: le ho raccolte stamane tornando a casa.”
“Perché le hai raccolte? – chiese lei, inorridita osservandolo tenerle nei palmi delle mani – Non farle volare qui!”
“Volevo solo osservarle da vicino… e poi erano un po’ stordite perché ormai non fa più così caldo. – spiegò lui, chiudendo i due insetti fra i palmi delle mani, quasi fossero dentro uno scrigno – Aspetta: adesso apro la finestra e le libero, va bene?”
“Per favore!” annuì lei.
“Scusami tanto, non volevo spaventarti. – mormorò il bambino, mentre le due bestiole saltavano via dal suo palmo per riprendersi la libertà – Lo so che magari non sono molto belle a vedersi… anche mia mamma a volte urla se scappa qualche insetto che ho portato in camera. Ma sono animali innocui, te lo giuro.”
“Ne hai altri in camera?” chiese Riza guardandosi attorno con sospetto.
“Ho loro…” sorrise il bambino, frugando tra i barattoli e mostrandone uno, fortunatamente chiuso con un tappo forato. Riza osservò con sospetto le foglie sul fondo, ma poi sospirò di sollievo quando vide delle innocue coccinelle.
“Sai – spiegò Kain, rimettendole al loro posto – i miei non vogliono animali in casa, mentre a me piacerebbero tanto. E così mi sono dovuto ingegnare. A dire il vero cerco sempre di avvicinare uccellini o scoiattoli, ma non sono animali molto propensi a fare amicizia… almeno gli insetti si catturano abbastanza facilmente e non si offendono se li osservo per qualche ora prima di liberarli. Anzi, a volte sono anche felici se do loro qualcosa di buono da mangiare.”
“Che animale ti piacerebbe avere?” chiese lei con un sorriso.
“Un cagnolino, senza ombra di dubbio! Però adesso vorrei mostrarti quello per cui ti ho fatto salire in camera mia: è proprio davanti a te, nella scrivania.
“Ma… ma che cosa è?” chiese Riza, fissando perplessa l’oggetto in questione.
“E’ il circuito base di una radio: ne sto costruendo una!” disse con orgoglio lui, andandole accanto.
Riza fissò affascinata quei fili e quei meccanismi che si intrecciavano tra di loro in quello strano pannello quadrato. Era incredibile: Kain aveva appena undici anni eppure già si cimentava con simili cose. Vide le mani snelle prendere in mano dei pezzi così piccoli e fragili da far paura e inserirli senza difficoltà in mezzo a quel circuito.
“Davvero la stai costruendo da solo? Non pensavo che fossi così bravo.”
“Ce l’hai una radio a casa?” chiese lui, fissandola con malizia.
“No.”
“Allora come finisco te la regalo, sei felice?”
“Cosa? Ma no! – protestò lei, rendendosi conto di tutte le ore che costava un lavoro simile – Dovresti tenerla per te…”
“Oh, stai tranquilla, la mia personale è quella che sta sulla libreria, la vedi? Era di mio padre e l’ho riparata tutta da solo quando avevo sette anni: non me ne separerei per nulla al mondo. Ma questa vorrei regalarla a te, davvero… sei sempre così buona e gentile con me. E’ un gesto d’amicizia, no? Come la torta che mi hai portato.”
“O come un pezzo di torta lanciato in testa a Jean…” sorrise lei.
“Eh?”
“Niente, davvero. Comunque grazie, Kain: sei davvero un amico speciale, te lo posso assicurare.”
 
“Posso sedermi oppure hai intenzione di sfruttarmi biecamente per qualche altro lavoro?” sospirò Jean, sedendosi pesantemente al tavolo della cucina.
“Perché quando aiuti tuo padre in magazzino non ti lamenti mai, mentre se ti chiedo di fare qualcosa io sembra quasi che pretenda che tu sollevi una montagna da solo?” chiese Angela con aria irritata.
“Jean vai in paese e prendi questo, Jean spacca la legna per il fuoco, Jean accompagna tua sorella a scuola, Jean metti a posto qui, fai questo e fai quest’altro…” scimmiottò lui.
“Senti un po’, ragazzino capriccioso, – disse la madre, andandogli dietro e tirandogli lievemente i capelli – ti voglio ricordare che sono tua madre e finché sei sotto questo tetto ci sono delle cose che devi fare… eh? Hai i capelli lievemente umidi.”
“Oh, davvero? Vabbè, tanto si asciugano… Ma che…?” mormorò quando sentì la mano di sua madre che si soffermava ad accarezzarli.
“Fermo che hai alcuni nodi… E poi che c’è? – sussurrò la donna – Non posso nemmeno accarezzarti i capelli? Eppure ti piaceva tanto quando eri piccolo…”
Jean non rispose, ma chiuse gli occhi e la lasciò fare. Chissà perché, dopo aver sentito le mani della madre di Heymans che gli sfregavano la nuca, era più propenso a quelle attenzioni non proprio virili.
Ma sì, ogni tanto è giusto concederle cose di questo tipo e…. oddio! Sì, sì, sì… lì dietro l’orecchio. Oh mamma… io ti amo! Ti amo tantissimo! Ti prego continua…ecco, ecco! Sei fantastica!
No, non c’era niente di virile in tutto questo, ma la piacevole catalessi che provocavano quelle carezze era qualcosa di cui si era completamente dimenticato. Come poteva essere così stupido da lasciare a sua sorella l’esclusiva di quelle coccole?
Inarcò il collo come un gatto e andò quasi ad impattare sul petto della donna.
“Jean! – esclamò lei ridendo – Ma guardati! Ancora un po’ e inizi a fare le fusa!”
“Se vuoi le faccio… basta che continui, mamma. Sei fantastica…” mormorò lui.
“Ma sentilo, il mio raggio di sole. Che dici? Te la senti anche di abbracciare tua madre?”
“Tutto quello che vuoi – sospirò Jean, girandosi verso di lei, ancora seduto, e abbracciandola per poter immergere la testa nel sul petto – sono completamente tuo… ecco lì, sul collo! Mamma, io ti adoro!”
Quanto rimase a farsi accarezzare come un gatto? Non lo seppe quantificare.
Ma a un certo punto sentì un significativo schiarirsi di gola e aprendo gli occhi vide che suo padre era davanti a loro a braccia conserte e con un sorriso divertito sul viso.
“Che… che c’è?” chiese Jean, mentre l’incantesimo si spezzava e si alzava in piedi di scatto.
“Niente. – commentò James – Solo che erano anni che non ti vedevo così mammone, figliolo.”
“E’… è stata lei a cominciare… ed io le ho concesso di farlo, ecco tutto. Del resto è mia madre e devo accontentarla, no? Lo dici sempre anche tu!”
“Certo, certo! – rise James, avvicinandosi e dandogli una pacca sulle spalle – Però la prossima volta che la accontenti cerca di tenere il contatto con la realtà. Sembravi completamente sotto sedativi.”
“Lascia in pace il mio bambino! – esclamò Angela, rinchiudendo Jean in una stretta possessiva – Se lui vuole essere coccolato, non c’è nulla di male!”
“Mamma!” arrossì Jean.
Perché dovevano succedere sempre cose così imbarazzanti con le femmine?

 
  
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