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Autore: AnnabethJackson    22/01/2014    7 recensioni
Sono passati sei anni da quando Percy ha lasciato bruscamente Annabeth, e lei ancora non sa perché. Scappata in California, la ragazza ha voltato pagina, mentre lui deve pagare ancora le conseguenze del suo errore. Nessuno dei due ha dimenticato. Ma entrambi non sanno che chattano l'uno con l'altro ogni giorno da tre mesi nascosti dietro i nomi di "AtlanticBoy16" e "WiseGirl210".
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Dal testo:
"Stavo con lui da quando avevo 16 anni. Avevamo raggiunto quasi i dieci anni di fidanzamento, quando all'improvviso lui aveva rotto con me. Non conoscevo il motivo e probabilmente non l'avrei mai saputo.
Lui aveva preso le sue cose e se ne era andato dal nostro piccolo appartamento, non facendosi più sentire.
Beh, non gli abbia mai dato una chance.
Avevo impacchettato le mie cose anche io e, con le lacrime agli occhi, ero salita su un taxi con un biglietto aereo appena comprato in mano.
WiseGirl210: Non lo so. Credo che traslocherò. Non so dove, ma devo assolutamente andarmene da qui.
AtlanticBoy16: Buona fortuna allora, ragazza intelligente. Il trasloco può essere difficile... non che io mi sia mosso dopo il College.
Stavo pensando a cosa rispondere quando il citofono"
Genere: Romantico, Sentimentale | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Annabeth Chase, Percy Jackson
Note: Traduzione | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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Disclaimer:
'Questi personaggi non mi appartengono, ma sono proprietà di Rick Riordan; questa storia è stata scritta senza alcuno scopo di lucro'.


Premessa:

Questa è la traduzione della soria You've got mail” su Fanfiction.net dell'autrice “HAWTgeek”. Il permesso mi è stato accordato dalla stessa autrice. (Per leggere la storia in inglese cliccare sul titolo). Tutte le (fantastiche) vicende narrate sono solo e soltanto sue.






 
.:You've got e-mail:.
 


Capitolo 1






Annabeth



"Hai un nuovo messaggio."

Lo schermo del mio portatile si accese lampeggiando, come avevo impostato tempo prima, tanto che attirò la mia attenzione anche dalla cucina.
-Mi aspetti nell'atrio,- dissi all'uomo della pizza cercando di tenere il telefono in equilibrio tra l'orecchio e la spalla. Camminai verso il salotto, dove avevo costruito il mio ufficio istantaneo. L'uomo della pizza disse qualcosa, ma non gli prestai attenzione.
Invece, lo ringraziai e riattaccai il telefono mentre digitavo la password sul computer portatile.
Premetti il pulsante per aprire la Chat.

 
AtlanticBoy16: Che ore sono lì da te?
 
Sorrisi digitando la mia risposta.
 
WiseGirl210: Le nove. Il che significa che da te sono le quattro. Non dovresti essere in spiaggia?
AtlanticBoy16: Piove. Com'è il tempo nella soleggiata California?
WiseGirl210: Nuvoloso.
AtlanticBoy16: :-D

 
Avevo incontrato AtlanticBoy tre mesi prima.
Beh, non proprio incontrato.
Ci eravamo conosciuti online quando ero alla ricerca di un fioraio per il matrimonio. Anche se ero entrata in un sito completamente sbagliato, avevo cominciato a chattare con AtlanticBoy16. Da allora ci sentivamo ogni giorno (o quasi).

 
AtlanticBoy16: Perché sei online? Pensavo che Henry ti avesse proibito di usare il portatile dopo le otto e mezza.
 
Le mie dita indugiarono sulla lettera “N”. Esitai.
Henry.
Il mio fidanzato.
Beh, il mio ex-fidanzato.
Non che ci pensassi ancora, ovviamente.
Qualche giorno prima, mentre guardavo i possibili inviti per il nostro matrimonio, avevo appreso all'improvviso che non potevo farlo. Non potevo fare nulla. Non potevo scegliere il carattere e il colore perfetto, e sicuramente non potevo chiamare la mia eccessivamente costosa organizzatrice di matrimonio. Ma, cosa più importante, non potevo sposarmi.
Quando Henry si era inginocchiato porgendomi l'anello di sua nonna, ero rimasta a bocca aperta non essendo in grado di dargli una risposta istantanea. Quando avevo scelto l'abito da sposa mi aveva guardato, incredulo. E, quando avevamo scelto il 17 Dicembre come data definitiva del matrimonio, ero rimasta così scioccata che non l'avevo detto a nessuno per settimane.
Avevo pensato che fosse la gioia momentanea per il matrimonio, ma poi, improvvisamente, avevo capito quello che veramente era.
Esitazione.
Henry era tornato a casa dal lavoro con la borsa della spesa piena di ingredienti per preparare un'altra delle sue stupefacenti creazioni culinarie nella nostra cucina professionale, e per lui era stato difficile non notare la bionda che fissava come pietrificata gli inviti sparsi sul pavimento di legno. Era venuto verso di me, e credo abbia capito all'istante.
Era così... tranquillo.
Come se anche lui sapesse che era finita.
Non ricordo nemmeno quando avevamo rotto. Sapevamo solo che dovevamo finirla lì, facendo solo le cose che bisognava fare.
Poi smisi di pensare, e confezionai le mie cose.
Non sapevo dove stessi andando, ma improvvisamente non volevo più stare lì. Tutto quello che non stava in macchina lo feci spedire a casa di mio padre, a San Francisco. Ero indecisa su dove andare: da mio padre? O andare da amici? Oppure conveniva persino cambiare città?
Fortunatamente il condominio che avevo appena finito di costruire con la ditta era libero, così avevo deciso di andare lì.
Tutto era andato bene, finché una notte, mentre ero sdraiata in una camera d'hotel in attesa di trasferirmi,
con la metà del letto vuota, avevo smmesso di tenere la mente vuota.
All'improvviso avevo pensato alla vita che avevo pianificato con Henry.
A come non saremmo più partiti per le vacanze a Boston Terrier, come avevamo pianificato. Come lui non mi avrebbe mai ammirato con il vestito da sposa indosso. Come non avremmo costruito una famiglia assieme. Come non ci saremmo mai alzati la mattina del Sabato, cercando di insegnare ai nostri figli a cucinare le frittelle. 
Mi ci erano voluti anni per convincerlo ad avere figli. 
Non ero sicura che Henry mi mancasse. O che mi mancasse il nostro continuo parlare del 17 Dicembre anche se mancavano mesi. Ed ero assolutamente certa che non mi mancava il modo in cui mi guardava ogni volta che mettevo del cibo da riscaldare nel microonde invece di cucinare un pasto sano e delizioso che il mio fidanzato/cuoco personale da cinque stelle aveva provato ad insegnarmi.
Ma mi mancava la sua presenza dietro di me nel letto.
Era da tanto che non dormivo da sola, non ero più abituata.
Avevo conosciuto Henry quattro anni prima ed eravamo andati a vivere insieme solo sei mesi dopo esserci fidanzati. Avevamo comprato un appartamento, precisamente a metà strada tra il suo ristorante e il mio ufficio, e mi ero particolarmente presa cura di lui arredando la cucina come uno chef del suo status meritava. E, proprio quando i lavori di ristrutturazione erano finiti, Henry mi aveva proposto di sposarlo, durante il nostro primo pasto nell'appartamento.
Così, per quattro anni, non avevo quasi mai dormito da sola.
E, prima di lui, c'era qualcuno che amavo, e che mi amava...
Un'altro suono proveniente dal computer, mi riportò nel mondo reale.

 
AtlanticBoy16: Che è successo?
 
Mi bloccai, cercando il modo migliore per dirlo.
 
WiseGirl210: Abbiamo rotto.
 
AB esitò.
 
AtlanticBoy16: Stai bene?
WiseGirl210: Si... la rottura è andata bene. Credo. E ho ancora quell'appartamento che Malcom mi pregava di rendere un'ufficio.

AtlanticBoy16: Cosa farai ora?

 
Questa era un'ottima domanda.
Avevo 30 anni, quindi ero vecchia rispetto all'età media degli abitanti di Los Angeles, ero di nuovo single, e non sapevo dove andare.
Los Angeles veramente non mi piaceva. Quando ero arrivata a Los Angeles avevo previsto di rimanerci per soli due mesi. Ma poi avevo incontrato Henry e me ne ero innamorata. Così ero rimasta solo per vedere dove potevo andare...
Nella mia testa, ripensavo al mio vecchio lavoro, all'Agenzia Architettonica del Monte Olimpo. Essendo una dei tre fondatori dell'agenzia, insieme ad altri miei fratelli figli di Atena/Minerva, potevo decidere di andare in una qualsiasi delle aziende che avevamo aperto in tutto il mondo.
Tokyo.
Washington DC (avevo sentito che c'era una grandissima statua che Atena in persona aveva commissionato a qualcuno).
Miami.
Londra.
New York.
New York.
Era molto tempo che non ci tornavo.
La mia famiglia ora viveva sulla West Coast, e non tornavo al campo da molto. Non vedevo nemmeno la mia grande creazione sull'Olimpo da così tanto tempo che in realtà non ricordavo come fosse fatta. Ed era tutta colpa di un uomo.
Quando ci eravamo lasciati, sei anni prima, non sapevo cosa fare.
Stavo con lui da quando avevo 16 anni. Eravamo fidanzati da quasi dieci anni, quando all'improvviso lui aveva rotto con me. Non ne conoscevo il motivo e probabilmente non l'avrei mai saputo.
Tutto quello di cui ero a conoscenza era che lui se n'era andato dal nostro piccolo appartamento, e non l'avevo mai più sentito.
Beh, in verità non gli ho avevo dato una chance.
Avevo solo impacchettato le mie cose e, con gli occhi pieni di lacrime, ero salita su un taxi con un biglietto aereo appena comprato, in mano.

 
WiseGirl210: Non lo so. Credo che traslocherò. Non so dove, ma devo assolutamente andarmene da Los Angeles.
AtlanticBoy16: Buona fortuna allora, WiseGirl. Il trasloco può essere difficile... non che io mi sia mosso dopo il College.

 
Stavo pensando a cosa rispondere quando il citofono suonò.
-Signorina Chase, la pizza che ha ordinato è arrivata.-


 
***

 
Percy

 
WiseGirl210: Devo andare. La pizza è arrivata, e ho un sacco di lavoro da finire. Ci sentiamo domani?
 
Sorrisi tra me e me mentre rispondevo, per poi chiudere, scollegarmi dalla chat.
WiseGirl210.
Non sapevo chi fosse. Poteva non essere neanche una 'lei' ma un qualche pervertito raccapricciante. In qualsiasi caso, chiunque fosse costei, mi piaceva. Sopratutto mi piacevano le risposte che mi dava di qualsiasi cosa parlassimo.
-Papà?-
Venni portato rovinosamente alla realtà di una New York piovosa, mentre ero seduto impazientemente in una gelateria.
Guardai in direzione di mio figlio, Noah, che mi sorrideva.
Chiusi il mio portatile e trinsi mio figlio di cinque anni in un grande abbraccio.
-Mi sei mancato così tanto, amico.-
Gli diedi un bacio sulla guancia malgrado lui mi avesse detto varie volte di essere troppo grande per quelle smancerie. Ma era ancora il mio piccolino, non importava quanti anni avesse. Quando Noah era nato c'era stata un vera e propria battaglia legale con sua madre per permettergli di avere il mio cognome, e a quei tempi non potevo nemmeno immaginare un'altra battaglia per la custodia. Quindi mi era permesso solo qualche week-end occasionale. Ma, quando Noah aveva tre anni, aveva cominciato a raccontarmi del nuovo fidanzato della mamma e di come urlava tutto il tempo, sopratutto durante la notte, così ero andato in tribunale. E avevo ottenuto la custodia esclusiva.
A sua madre era rimasto solo un mese durante l'estate, e i week-end occasionali. A volte mi capita di pensare che non dovevo permetterle nemmeno quelli.
-Grazie per avermi permesso di accompagnarlo all'allenamento di calcio, Percy.- JoJo spinse i suoi capelli biondi dietro l'orecchio e nervosamente tirò nostro figlio per la maglietta.
Quando era JoJo ad avere la custodia del bambino, era stata terribile nei miei confronti. Per passare del tempo con lui dovevo accontentarmi di offrigli un gelato, un Sabato al secolo. Era stata perfida con me.
Come era sempre stata, dopotutto...
-Sono sicuro che vi siate divertiti, non è vero, Kiddo?- gli scompigliai i capelli.
Noah annuì rapidamente.
-Mi sono divertito molto, papà! L'allenatore mi ha detto che alla prossima partita giocherò come attaccante!- sorrise Noah con orgoglio.
-Ha fatto bene. Sei in assoluto il migliore giocatore, Noah.- sorrise JoJo.
Era cattiva, irresponsabile e incapace su tutti i fronti, ma dovevo ammettere che quando stava insieme a Noah non era male.
All'improvviso, il telefono di JoJo prese a suonare una canzone inappropriata per un bambino, che mi fece ricordare il motivo per cui ero andato in tribunale.
-Accidenti. Devo scappare. Ti voglio bene, Noah.- JoJo si chinò per baciare la testa di nostro figlio, affrettandosi ad uscire dalla gelateria che si trovava proprio a metà strada tra il mio e il suo appartamento.
-Vuoi un gelato, amico?- sorrisi nella sua direzione sapendo quando fosse triste ogni volta che sua madre lo lasciava. Come sembrava sempre anche lei, dopotutto...
-Gelato Superman!- Noah sorrise felice, mentre io mi alzavo dal divanetto anni 50 per andare ad ordinare due gelati blu e rossi. Feci aggiungere della panna e del cioccolato fuso su quello di Noah. La sua faccia quando glielo misi davanti, non aveva prezzo.
-Grazie, papà.- Noah cominciò a scavare nel gelato affondando la sua piccola faccia in esso.
Era in questi momenti che capivo veramente quello che avrei potuto perdere.
Come si può facilmente intuire, io e JoJo non eravamo mai stati davvero assieme. No, era solo una vecchia conoscente del collage con cui mi sarei fermato a parlare se l'avessi incontrata al negozio di alimentari o qualcosa del genere.
Quando nacque Noah, io ero innamorato di Annabeth Chase, in qualsiasi modo si possa amare una persona. Ma poi, una notte di sei anni prima, Annabeth era andata completamente fuori di testa. Mi aveva lasciato per quasi un mese e io ero sprofondato in uno stato di depressione assurdo. Alla fine, Grover mi aveva preso e mi aveva portato in un bar per tirarmi un po' su di morale. Mi ero ubriacato quasi subito, e con la tessa velocità avevo commesso un errore irreparabile.
Due mesi dopo, tutto era tornato di nuovo apposto. Ogni cosa era come doveva essere tra una coppia che viveva assieme. Io e Annabeth litigavamo per ogni cosa, come ad esempio un piatto rotto ma due minuti dopo eravamo lì che baciavamo appassionatamente. Poi qualcosa si infrappose nel mio piano.
Un giorno JoJo chiamò. Avevo quasi dimenticato chi fosse Johanna Harriet, perché fin da quando l'avevo conosciuta tutti la chiamavano JoJo. Ma, quando risposi al telefono, avevo capito subito che era lei dalla sua voce squillante.
Ed era incinta.
Di mio figlio.
Non sapevo cosa fare. Non potevo immaginare di affrontare Annabeth, così la lasciai. Ma, quando avevo capito che avrei fatto meglio a tornare indietro e parlarle perché senza di lei non potevo vivere, lei se ne era già andata.
… e non l'avevo più sentita.
-Papà?-
-Sì, Noah?- continuai a mangiare il mio gelato.
-Mamma ha un fidanzato.-
-Davvero?- mentalmente incrociai le dita sperando che quella testa calda non avesse portato in giro nostro figlio con qualche ubriaco come aveva fatto in passato.
-Perché non hai una fidanzata, papà?-
Mi bloccai.
-Non ho ancora incontrato la persona giusta, Noah.-
-Che cosa è successo con Sarah?-
-Non ha funzionato.- Mi strinsi nelle spalle, desiderando che quella conversazione finisse presto.
-Ho sentito la mamma mentre parlava con i suoi amici. Ha detto che sei ancora innamorato di Anna-Bef. Chi è Anna-Bef? E perché la mamma dice di aver rovinato tutto?-
Perché tua madre è una pettegola...
-Mamma non ha rovinato niente, Noah. Io ho rovinato tutto.- mi voltai a guardarlo. -E Annabeth era la mia migliore amica quando ero ragazzo. Mi sono innamorato di lei crescendo. Non ha funzionato, così Annabeth si è trasferita in California.-
O era ai Caraibi?
Grover si era rifiutato di dirmelo. Cambiava sempre argomento.
-È piuttosto lontano.-
-Lo so, Kiddo. Lo so.-












 
.:Note traduttrice:.
 
Ho un sacco di cosa da dire. Innanzitutto grazie di essere arrivati fin qui a leggere, significa molto per me. Come avrete capito questa è la traduzione della storia “You've got mail” in inglese. Ho AMATO questa storia in tutti i suoi particolari.
Ammettetelo, siete rimasti scioccati leggendo di Percy padre, vero? Beh anche io. Ma poi mi sono INNAMORATA FOLLEMENTE di Noah... nei prossimi capitoli capirete meglio.
La storia è composta da 44 capitoli scritti dal punto di vista di Annabeth e Percy.
E' una Percabeth quindi aspettatevi un lieto fine ;) (o forse no?)
I personaggi sono alle prese con i loro problemi ma la parte divina è ancora presente (nel senso che i nostri protagonisti sono figli degli dei).
Spero di non aver fatto un casino con la traduzione... sinceramente mi è piaciuto un sacco tradurla.
Alla prossima,
Annie

 
  
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