Anime & Manga > Detective Conan
Ricorda la storia  |       
Autore: IamShe    23/01/2014    15 recensioni
Shinichi è uscito trionfante dallo scontro con l’Organizzazione, e a distanza di tre anni, si gode a pieno la sua vita di detective nazionale ed ammirato da tutti. Non gli manca nulla, neanche l’amore di Ran. Ma quando tutto sembra andare per il verso giusto, qualcuno sfrutterà l’ingegno della sua amica Shiho per proiettarlo in un mondo che il suo cervello, altrimenti, non avrebbe mai perseguito: quello della criminalità. E non potrà più sfruttare la sua intelligenza, che presto scoprirà arma della sua stessa tortura, ma qualcosa che il suo mito Holmes riteneva stupido e debole, da evitare: le sue emozioni.
- - - - -
Shinichi non seppe come muoversi: sebbene conoscesse a memoria la sua cucina, non aveva la minima idea di dove si nascondessero i criminali che li avevano sorpresi.
«Cosa volete?» chiese, girandosi intorno e cercando di ripararsi. Pensò ad un piano che potesse mettere in salvo tutti, ma il suo istinto lo fece voltare verso la sua fidanzata: Ran giaceva a terra con gli occhi chiusi, respirando normalmente. Questa fu l’ultima cosa che vide.
«Te», fu l’ultima che sentì.
Genere: Azione, Sentimentale, Suspence | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Ai Haibara/Shiho Miyano, Heiji Hattori, Nuovo personaggio, Ran Mori, Shinichi Kudo/Conan Edogawa
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
   >>
Per recensire esegui il login o registrati.
Dimensione del testo A A A
T o r t u r e d  M i n d

 
Primo capitolo First chapter Premiere chapitre  La macchina dei ricordi Primer capìtulo Erest Kapitel 第一章  첫 번째 장  
 
 
 
Fu verso fine novembre che la macchina dei ricordi vide la sua prima luce. I giornalisti che ne parlarono in televisione dissero che era il simbolo di una nuova era, dove la tecnologia aveva superato la natura e l’uomo ne era diventato la vittima. Costruita e progettata da un gruppo di ingegneri e scienziati un po’ eccentrici di Tokyo, che lavoravano all’università di Touto, ambiva ad essere l’invenzione del secolo. I suoi creatori erano armati di ambizione e gloria, e dietro quella macchina serbavano anni di costrizioni, accuse e traumi, che qualsiasi uomo avrebbe voluto cancellare. C’era chi aveva perduto sua madre durante gli studi, chi aveva creduto in un amore fasullo, chi aveva sperso la sua strada nella droga. Quando si sottoposero al trattamento, aprirono dinanzi a loro una nuova vita, un nuovo mondo, nuovi sogni.
«La macchina è capace di eliminare qualsiasi ricordo si desideri, anche più di uno» aveva spiegato uno degli ingegneri alla tv, in una trasmissione dedicata completamente a loro. «Un trauma, un brutto periodo, un abuso che ci rovina l’esistenza, possono finalmente sparire grazie ad essa. Agisce su una specifica parte del cervello, iniettando un determinato siero che serve a ricoprire quella zona, e nasconderla. È come se un neurone cominciasse a giocare a nascondino col cervello, nascondendosi in esso e rendendosi così invisibile. Il cervello agisce con logica, proprio come noi: nessuno andrebbe a cercare qualcosa troppo vicino.»
Shiho distese le gambe sul morbido cuscino in cotone del salotto, sbattendo le palpebre con lentezza ed apparente noia. I suoi occhi azzurri erano fissi sulla trasmissione televisiva a cui lei, professoressa di chimica alla facoltà di Biotecnologie, avrebbe dovuto partecipare. Parte di quell’invenzione era merito anche suo: il siero che iniettavano nel cervello, era stato studiato e messo a punto da lei e da altri chimici, durante i due anni di insegnamento all’ateneo. Cosa l’aveva spinta ad accettare, ancora non lo sapeva. Probabilmente quella possibilità di dimenticare, di gettare in un ripostiglio tutti i ricordi legati all’organizzazione, e mascherarli da pensieri felici: era così che agiva la macchina. Una donna violentata avrebbe chiesto la rimozione del ricordo dell’atto: a quel punto, il serio si piantava nel cervello e vestiva la violenza di una dolce e romantica cena con i suoi fratelli. La donna avrebbe vissuto la sua vita normalmente, priva del pensiero tartassante d’essere stata usata: sarebbe cambiata.
«Non sei del tutto fiera della tua invenzione, vero?» una voce familiare le giunse dietro l’orecchio, spingendola a sorridere. Staccò gli occhi dallo schermo e li roteò sulla figura dietro di lei. Shinichi aveva preso posto sulla spalliera del divano, poggiando i gomiti sulle ginocchia. «Miyano?»
«Non è mia» replicò, calma, osservandolo. Notò che il detective aveva aiutato Agasa a sparecchiare la tavola, dato che quella sera aveva cenato con loro. «Ho solo contribuito alla realizzazione del loro magnifico progetto.»
«Spero ti abbiano pagata bene» la sfotté poi, lanciando un’occhiata alla televisione. In quel momento, l’intervistatore chiedeva ai vari ingegneri i possibili rischi.
«Troppo» sillabò lei. «Anche se... potrei pagarmi una seduta sulla macchina con quei soldi. Sai, solo per rimuovere diciotto anni della mia vita.»
«E credi sia la cosa giusta da fare?»
Shiho alzò le iridi al cielo, poi sospirò. «Risparmiami la predica, Kudo.»
«L’organizzazione è stata sterminata tre anni fa. Abbiamo vinto noi, loro hanno perso. Sei libera di vivere la tua vita come ti pare e piace, senza più alcuna paura o timore d’esser vista o trovata. Ma se sei qui è anche grazie a quello che hai passato.»
«Ti avevo detto di risparmiarmi la predica» replicò, pungente.
Lui fece spallucce, abbassò il viso e incurvò le labbra. «Ti consiglio solo di non farlo.»
«Forse perché il problema sarebbe poi spiegarmi come io e te siamo diventati amici. Non trovi?» lo sfotté, ridendo, e lui fece altrettanto.
«Perché? Io e te siamo amici?» rispose lui, imitando l’ironia della compagna. Shiho si sfumò di un leggero rosa sulle guance, distolse lo sguardo e lo piantò sul televisore.
«E tu?» chiese lei. «Se potessi cancellare qualcosa della tua vita, lo faresti?»
«No, per nulla.» Ribatté il detective prontamente.
«Ho sempre invidiato la tua sicurezza» disse dopo qualche attimo di silenzio. La voce del giornalista aveva ormai riempito la stanza, quando Shiho la spezzò. «La tua vita è una corona di trionfi e successi. È ovvio che tu non voglia cambiare nulla.»
«Sei riuscita a superare il trauma dell’organizzazione, sei riuscita a riappropriarti della tua vita, e sei anche riuscita a trovare un lavoro soddisfacente. Se non sono questi trionfi.»
La ragazza non parlò subito. Lasciò che le parole facessero il loro circolo nella mente, le assaporò pian piano e ne recepì il significato senza lasciarsi andare a particolari reazioni. Shinichi era convinto che lei fosse riuscita in tutto ciò, ma non doveva forse dire grazie a lui? Se non ci fosse stato, lei sarebbe comunque stata lì, o no? Non poteva e non voleva esserne sicura.
«Hai bevuto un po’ di umiltà a colazione?» chiese, accompagnata da un sorriso diabolico, osservandolo dal basso del salotto. Shinichi aveva gli occhi sul display del cellulare, che mise in stand-by qualche secondo dopo.
«Non sto dicendo che io non sono un vincente» rispose, ghignando. Camminò sul salotto e poi, con un salto, scese sul pavimento. «Sto solo dicendo che non sono l’unico.»
Alzò la mano e le diede le spalle, poi salutò Agasa con un urlo lontano, che tuonò contro le pareti e tornò indietro in un’eco prolungato. Shiho guardò le sue spalle svanire oltre la porta in legno, la sua sagoma nera avanzare e nascondersi nel giardino del professore. Sbuffò, affondando di nuovo la testa sul cuscino.
“Tu sei solo uno stupido” pensò, e sorrise.
 
 §§§
 
Shinichi entrò in casa girando la chiave nella toppa, mantenendo lo sguardo basso e lasciando le scarpe all’ingresso di casa sua, come la tradizione giapponese richiedeva. Affondò gli occhi nell’oscurità del corridoio, quando notò una sagoma nera come la pece muoversi lentamente verso di lui. Sorrise, poi chiuse la porta alle sue spalle, con un gesto secco della gamba.
«Non va bene, non va bene» disse il detective con un tono di voce ovattato e sfumato di note ilari. «Tempo fa conoscevo una ragazza molto sincera ed ingenua, che non avrebbe mai mentito ai suoi genitori.»
La sagoma rischiarì debolmente imbattendosi sui raggi argentei della luna, che descrissero il profilo di una donna giovane e bella, dagli occhi azzurri violacei e dalla carnagione chiara, ma non pallida. I lunghi capelli castani le scivolarono sulle spalle e le coprirono il seno e la schiena. Ran abbozzò un sorriso, ringraziando la notte per celarle il rossore alle guance. Dopo tre anni che s’amavano, di progressi ne avevano fatti molti. Perlopiù non provavano più imbarazzo nel parlare dei loro sentimenti e sensazioni, ma da parte della karateka c’era ancora qualche tabù da superare riguardo una certa sfera del loro rapporto. Inibizioni che provava giorno dopo giorno a surclassare: Shinichi era quello giusto, quello a cui si sarebbe data senza più alcuna esitazione.
O almeno, ci provava.
«Ho imparato dal maestro» rispose lei, sorridendo. Gli cinse il collo con le braccia e lo attrasse a sé: lo baciò sulle labbra, lasciando che Shinichi l’accogliesse addosso a lui. Così si aggrappò con le gambe alla sua schiena e gli permise di trascinarla lungo il corridoio buio della casa.
«Il maestro non inventa scuse banali come Mamma, papà, vado a dormire da Sonoko» la sfotté, ma non lasciò la sua presa. Ran rise, ed affondò la testa sulla sua spalla. Si cullò tra le sue braccia, che la portavano verso la camera buia al primo piano. Quella dove era solita scappare quando voleva averlo solo per sé.
«Disse quello che aveva da risolvere un caso difficile e complicato...» imitò l’ironia lei, strappandogli un sorriso.
«Era legittima. A te è banale.»
«Non è banale, è convincente e semplice» disse, socchiudendo gli occhi e assaporando quel momento.
«Ma non quattro volte a settimana», Shinichi portò una mano verso la sua schiena, e con le dita le alzò la maglietta di lana rossa.
«Cosa vuoi farci, siamo molto amiche», sorrise lei.
Il detective ricambiò il sorriso, cominciò a salire le scale, e gradino dopo gradino avvertì la voglia d’essere già in camera dei suoi divorarlo. Perché sembrava così lontana, proprio in quel momento? Le sfiorò la pelle e le baciò il collo, quando all’orecchio le disse:
«Anche io e te siamo molto amici.»
Ran alzò il volto, ridente, e riprese a stuzzicarlo: provocare non era il suo forte, anzi, era lo spicchio di tabù che ancora le ostacolava un pieno abbandono a lui. Si sentiva goffa e imbranata, quindi la maggior parte delle volte lasciava fare a lui, ma quella sera le scale e la camera erano davvero lontani. Così gli baciò le labbra superiori e tentò di attrarle alle sue con un morso: la stretta poco tenace indusse il detective a ricambiare il favore. Shinichi lasciò il solco dei suoi denti sul labbro di Ran, che si gonfiò e cominciò a pulsare. Ma non fu fastidioso, e lo divenne ancora di meno quando le loro lingue urtarono sulle loro labbra infiammate e desiderose di più di quello che stavano provando. Ran afferrò i lembi della sua maglietta, se la sfilò a la gettò a terra, non curante della destinazione. Rimase in reggiseno bianco, che durò giusto il tempo che il suo fidanzato la lasciasse andare sul materasso. Liberatosi anche della sua maglietta, il detective tornò sul corpo che da un po’ di tempo a quel momento pretendeva da avere tutto per sé, come un bambino con un lecca-lecca alla coca-cola. Sfiorò il suo profilo e le baciò la pancia, e sotto i suoi seni tremanti precipitò in un vortice di vanto e lussuria, che colmò e fece strepitare il recipiente già pieno del suo ego. Le catturò di nuovo le labbra e fece leva sulle braccia per non schiacciarla. Le annusò la pelle: la sua ragazza profumava di una bellissima fragranza dolce, dai toni zuccherati.
“Fragola” pensò, sorridendo tra sé e sé. Ran si inebriò del suo corpo, dell’incurvatura della sua bocca, dei suoi occhi cristallini e azzurri. Godé nel vederlo fare sua ogni singola parte di lei. Lo strinse forte a sé tra gli ansimi, quando lui le sussurrò, con voce rauca:
«Questi sono i momenti che non vorrei mai dimenticare.»
 
§§§
 
«Una macchina che annienta i ricordi?», sbuffò oltre il bicchiere in carta di caffè che stava sorseggiando, Heiji. Camminava svelto verso la casa del migliore amico, accompagnato dalla fidanzata, che quella mattina avrebbe dovuto dirigersi alla stazione metropolitana di Beika per raggiungere l’università di Touto. Anche lei frequentava l’ateneo di Biotecnologie come Shiho, ma da studentessa. Purtroppo lo sciopero dei mezzi gliel’aveva impedito, ed aveva chiesto al suo ragazzo di accompagnarla. Peccato che lui non potesse.
«Sì, è un’invenzione incredibile» gioii Kazuha, allargando le braccia. Il fatto che l’oggetto del secolo fosse stato realizzato anche grazie ad alcune menti della sua facoltà, la riempiva d’orgoglio.
«Si sono sottoposte alla cura già venti persone, a pieni risultati. Non ricordano nulla di quello che temevano.»
«Mah» sbuffò il ragazzo, poggiando con un po’ di pressione l’indice sul citofono in metallo grigio. «A me sembra una grande stupidaggine.» Guardò con occhi seccati ed assottigliati la maestosa residenza dell’amico, aggiustandosi con un gesto secco il cappello in testa.
“Prima o poi dovrò farmi dare le chiavi” pensò, mentre Kazuha gli ribadiva contro che lui era il solito tricheco dalla mente ottusa e limitata. “Mmmh, pessimo inizio di giornata.”
«Chi è?», dopo un paio di minuti estenuanti sentii la voce di Shinichi provenire dall’apparecchio, macchiata di un sonoro ronzio metallico.
«Chi può essere alle sei del mattino? Su, apri.»
«Infatti ho sbagliato a formulare la domanda, scusa» replicò l’amico, stizzito. «Che cazzo ci fai alle sei del mattino a casa mia!?»
«Kudo, scusami» si intromise la giovane con i capelli legati in una coda. «Ci devi fare un piacere.»
«Le devi.» Puntualizzò il fidanzato, seccato. Dall’apparecchio s’avvertì lo sbuffo di Shinichi, accompagnato allo scatto del cancello automatico, che cominciò ad aprirsi a loro. I due, che ormai vivevano a Tokyo da circa due anni, attraversarono il viale che portava alla villa. Heiji era di casa: lui e Shinichi avevano un’agenzia investigativa a loro nome, la SH*, a Tokyo. Era la migliore della città, quella con il più alto fatturato annuale. Secondo i giudizi della maggior parte dei loro clienti, o di quelli che almeno avevano chiesto loro consulenza una volta, era la migliore del paese. E ciò, a due ragazzi di ventuno anni, con Vanagloria di secondo nome, non poteva che renderli fieri ed orgogliosi di quello che erano.
«Buongiorno» li salutò il detective, cercando di mantenere la sua ira a causa della presenza di Kazuha, migliore amica di Ran. La notte prima non aveva proprio dormito, ed essere svegliato alle sei non era stato il massimo.
«Scusami, davvero» ripeté la ragazza. «È che hanno indotto uno sciopero dei mezzi, ma io non posso assolutamente mancare alla lezione di oggi. Hanno invitato un grande studioso americano, e voglio esserci.»
Shinichi ascoltò tutto mentre i due lo seguirono in cucina.
«Sì, praticamente mi servono le chiavi della tua moto per accompagnarla... dato che la mia è dal meccanico» aggiunse Heiji, con fare sbrigativo e seccato. Anche lui avrebbe voluto dormire di più. «Ciao ragazzi» li raggiunse una voce dolce e squillante, dalla loro destra. Vicino ai fornelli trovarono Ran, con una maglia lunga maschile addosso che, Hattori, aveva visto più e più volte all’amico. Incurvò le labbra con malizia, poi piantò gli occhi sui due.
«Ma guarda chi c’è...» commentò il detective nato ad Osaka. «Abbiamo interrotto qualcosa?»
La ragazza arrossì, mentre Kazuha le rivolgeva un divertito: «Hai finito i pigiama, Ran?»
«Hai deciso di prendere residenza qui?»
Shinichi pensò di abbandonare la cucina per recuperare le chiavi all’ingresso, così sfuggì ai commenti ironici dei suoi amici. Aveva però lasciato la fidanzata in loro balia, che altro non faceva che ripetere che lei non aveva dormito con lui.
«Certo, da Sonoko» ribatté Kazuha, sarcastica.
«O almeno così crede Kogoro» aggiunse Heiji, ridendo. Si avvicinò al frigo e si versò un bicchiere di latte freddo, che portò alla bocca e trangugiò nel giro di quattro secondi.
«La smettete?» provò la karateka, paonazza. «È capitato solo stanotte.»
«E ieri notte.»
«E l’altro ieri notte.»
«E lunedì notte.»
Scoppiarono a ridere entrambi e Ran sbuffò, distogliendo lo sguardo. «Perché mi sfottete? Voi vivete insieme!»
«Appunto, proprio perché non lo vivi come una cosa normale» commentò Kazuha, appoggiandosi al tavolo. Poi cacciò la lingua fuori: «se non ti desse fastidio, non ti prenderemmo in giro.»
«Vi odio» sentenziò la giovane, fingendosi offesa. Shinichi sbucò alla sua destra e tese le chiavi in mano all’amico, triste per non aver scampato del tutto la solita ruota degli sfottò.
«Ma è mai possibile che Kogoro non sospetti nulla?» si interessò Kazuha, ancora tremendamente allusiva. «È troppo banale come scusa!»
“Io temo che stia progettando la mia fine” commentò in mente Shinichi, avvertendo un sopracciglio pulsare. Ran rispose che era l’unica che gli veniva in mente, ma fu Heiji a riportare a galla l’argomento degli ultimi giorni di media e giornali.
«Secondo me Kogoro si è sottoposto alla macchina dei ricordi e ha chiesto di scordarsi del fatto che di avere un ragazzino come genero che gli ruba sia il lavoro, che la figlia.»
Tutti scoppiarono a ridere, ricoprendo di spensieratezza quella cucina in marmo e legno pregiato. Niente mai era andato bene come in quel periodo: risate, sfottò, casi, serate e nottate a sfregarsi tra le lenzuola. Chi aveva bisogno di dimenticare, non viveva la loro vita.
§§§
 
«Una grande invenzione, non c’è che dire» sussurrò alla televisione la donna dai lunghi capelli rossi e gli occhi verdi. Era alta e longilinea, le labbra carnose e rosse si scontravano con la sua carnagione pallida. Sopra la clavicola, una scritta in caratteri neri le adornava la pelle: Midori. L’uomo dietro di lei le baciò il tatuaggio, facendola rabbrividire.
«Te l’ho detto che ci sarebbero riusciti, ho buoni agganci a Biotecnologie.»
Midori sorrise, voltando lo sguardo verso di lui. Akira era un uomo sulla trentina, dai capelli fonati all’indietro e due grandi occhi di un arancio magnetico.
«Funziona?» si accertò. «Come vogliamo noi
«Alla perfezione.»
«Cosa aspettiamo, allora?» sillabò. «Rubiamola.»
«Sei impaziente, vero?» ghignò l’uomo, che provò a baciarla. Ma Midori si allontanò, muovendo con grazia le cosce e i piedi. Akira si incantava a guardarla.
«Non vuoi farla pagare a quei detective, a tutti quei poliziotti?» gli chiese. «Non vuoi creare il criminale perfetto
«Non aspetto altro da due anni.»
«E allora facciamolo» lo spronò ancora Midori, spegnendo la televisione e riavvicinandosi all’uomo.
«I ragazzi sono pronti?» si informò.
«Sì. Anestetici e un po’ di violenza, se ce ne fosse bisogno» emise un lieve sorriso lei, che contagiò il suo compagno.
«Bene, dunque...» Akira annuì, poi piantò gli occhi nei suoi: «Chi preferisci abbia il piacere di provarla?»
La rossa sembrò pensarci qualche istante, aggrottò persino le sopracciglia.
Leccò i suoi denti bianchi e poi decise, sorridendo: «Shinichi Kudo».
 
§§§
 
«Professoressa Miyano, che piacere.»
Il collega le tese la mano e ricercò la sua stretta, che venne ricambiata pochi secondi dopo con una certa titubanza. Shiho non era ancora del tutto abituata alle relazioni sociali, così come le richiedeva la vita di una normale ventiduenne che frequentava l’università. Di certo, già di per sé, l’ex donna in nero era un fenomeno: tutti le si congratularono per la giovane età e per il contributo dato alla realizzazione della macchina.
«Signori, abbiamo qui una delle menti che hanno permesso questa formidabile invenzione» disse ancora l’uomo, stavolta rivolgendosi ai presenti e indicando la ragazza. Vi erano circa tre quattro persone estranee, solitamente parenti dello stesso paziente. «A lei l’onore di dare una vita migliore a questo giovanotto.»
Sulla macchina era seduto uno studente di circa ventitré anni, caratterizzato da un profondo e fastidioso tremolio alle gambe. Shiho lo notò prima di ogni cosa, ed intuì anche che fosse una conseguenza diretta del ricordo che avrebbe voluto cancellare. Difatti, qualche secondo dopo, il ragazzo pronunciò la sua richiesta: «Vorrei dimenticare il momento in cui mio padre uccise se stesso e mia madre, sei anni fa.» Poi si guardò le gambe, e posandoci una mano sopra, provò a controllare l’incessante tremolio.
La professoressa annuì, si avvicinò alla macchina ed inserì alcuni codici di verifica. Davanti agli occhi, da un monitor touch, le spuntarono la pressione sanguigna del giovane, la sua temperatura, ed alcuni dati generali. Il ragazzo si rilassò sulla poltrona a sdraio, quando la sua testa venne circondata da un disco metallico, che pian piano si strinse sempre di più. Su di esso si accesero varie luci, tutte rosse.
Shiho inserì i comandi necessari e precisi per l’oscuramento di quel ricordo, quando le luci divennero man mano verdi.
“Kudo non è d’accordo” pensò. “Ma non tutti hanno la sua vita.”
Il giovane cadde in un profondo sonno, anestetizzato, e un piccolo ago verde gli perforò dolcemente il cervello. Furono attimi particolari e molto delicati, in cui tutti tennero il fiato sospeso. Dopo circa dieci minuti, la macchina risvegliò il suo paziente. Il ragazzo sbatté più volte le palpebre, si guardò intorno stranito e un po’ spaesato. Il dottore collega di Shiho gli si avvicinò, gli porse una mano e lo aiutò ad alzarsi.
«Come va?»
Quello sorrise, ed istintivamente gli venne di guardare la sua gamba, ma ne ignorava il motivo: sembrava tutto normale. «Bene» disse. «Ma non ricordo perché sono venuto qui.»
«E allora è a posto.» Rise quello.
“Nonostante il ricordo venga celato, il nostro istinto continua ad agire come se nulla fosse successo”, Shiho guardò con fierezza quella gamba ormai ferma. “Certe volte, è davvero meglio non conoscere.”
Un sospiro di sollievo generale percorse l’intera stanza, quando i familiari del ragazzo lo raggiunsero e lo abbracciarono.
La Miyano si fece da parte, mentre venne chiamata alla macchina un’altra paziente. Guardò la procedura con un po’ distacco, quando le si avvicinò una ragazza. Era una dei suoi allievi migliori, sicuramente una di quelli più capaci.
“Se non sbaglio si chiama Yuri” ricordò. “Yuri Haido.”
«Professoressa, anche lei qui?»
«Il professor Misao mi ha invitato» replicò Shiho. «Tu? Sei qui per sottoporti alla cura?»
La giovane rise, scuotendo il capo. «No, si figuri, prof. Ma credo che l’argomento della mia tesi debba essere questa macchina.»
«È un bel tema.»
«Già» annuì. «A questo proposito, posso chiederle delle informazioni più specifiche?»
Shiho acconsentì, e decise anche di allontanarsi leggermente dalla macchina e dalla procedura in corso.
«Ho notato diversi strumenti sul pannello di controllo, ma di molti ignoro la loro funzione. Ad esempio, a cosa servono i comandi in alto a sinistra del tabellone?»
«Sono comandi d’emergenza, servono per interrompere la procedura.» Rispose con sicurezza la giovane ramata.
«Vi sono comandi per ricostruire il ricordo?»
«Sì, eliminano l’effetto del siero.»
«Ci sono potenziali rischi per chi si sottopone?»
«Secondo le sperimentazioni in laboratorio, c’è un rischio dello 0,01% che il processo vada male.»
«Intende che possa causare danni al cervello?»
«No, ma che la macchina non funzioni.»
La ragazza annotò anche questa risposta. «L’effetto dura per tutta la vita?»
Shiho annuì.
«E se una persona richiedesse la totale cancellazione della propria memoria, sarebbe possibile?» domandò dopo un po’ la studentessa, con voce sicura ma bassa. La sua professoressa la guardò.
«Sì... con una procedura specifica e leggermente diversa.»
«In cosa consisterebbe?»
«Il siero utilizzato sarebbe diverso, e dannoso» ricordò alcune voci di corridoio nel risponderle, secondo cui era accaduto uno scandalo anni prima: gli scienziati che stavano lavorando a questo progetto, erano emigrati dalla vergogna. Ma sia per disinteresse che per noia, non aveva chiesto nulla.
«È per questo che nessuno l’ha richiesto?»
 «Il governo giapponese l’ha proibito» rispose.
«Come mai?»
Shiho inspirò aria. «È irreversibile. Una volta cancellata la memoria, non si potrebbe più tornare indietro.»
«Lei cosa ne pensa della macchina, professoressa?»
La giovane insegnante si voltò e per qualche secondo rimase a fissarla. Era una domanda che aveva fatto più e più volte anche a se stessa, ma senza riuscire a darsi una risposta. Quella macchina era capace di migliorarle la vita, eppure c’era qualcosa che le impediva di adorarla come avrebbe dovuto. Shinichi le aveva detto che ciò che è stato, faceva di lei quel che era. E se lei volesse essere diversa? Più pura, candida e semplice? Più come Ran?
«Una seconda possibilità va data a tutti» disse. «Anche a chi crede di non poterla meritare più.»
Poi abbandonò la stanza, ricordando a se stessa che lei era una di quelle che l’aveva già avuta.
 
§§§
 
«Pomodorini e mozzarella?»
«Mia!» rispose Kazuha, allungandosi per prenderla.
«Cotto, salame, melanzane e peperoni?» chiese Shinichi, con voce titubante e sorpresa, aprendo lo scatolo della pizza e sbirciandoci dentro.
«Mia» fece Heiji, imitando la fidanzata.
«Tanto per andare leggeri» lo sfotté poi l’amico, mentre consegnava a Ran la sua pizza.
«Pensa a te, piuttosto.»
Intervenne il campanello a risolvere la situazione. Il detective scivolò giù dallo sgabello e andò ad aprire, muovendosi velocemente tra il corridoio e l’ingresso della sua villa. Chiese chi era, e alla voce di Shiho, aprì la porta senza esitazioni.
«Che è successo?»
La scienziata gli alzò la mano di fronte agli occhi, mantenendo con due dita un biglietto bianco con una scritta nera sopra. Il ragazzo riconobbe la scrittura di Agasa, e lesse, sebbene il buio dell’ingresso, con velocità e divertimento: «Stasera ho una riunione di vecchi amici, scusami ma non ci sarò. Vai a cenare da Shinichi.»
«Il professore crede che non sappia stare sola.» Commentò lei, seccata.
L’amico le mandò un’occhiata eloquente ed ironica. «E allora perché sei qui?»
«Mi manca il sale e l’olio.» Rispose, per poi farsi spazio nell’ingresso. Shinichi la lasciò entrare, chiuse la porta e camminò verso gli altri.
«Rimani, no?» le propose, mandando un’occhiata verso la cucina.
«Con te?» chiese lei.
«Con noi» rispose il ragazzo, quando sulla soglia della porta apparve Ran. La karateka si illuminò con un sorriso, e l’accolse con gioia e calore.
«Ciao, Shiho!» aveva preso ormai a chiamarla per nome dalla sconfitta dell’organizzazione. E alla scienziata stava bene così. «Perché non ti unisci a noi?»
«Ehm...»
«Se fossi venuta dieci minuti prima avresti avuto una pizza tutta per te» commentò Shinichi, mentre raggiungeva la fidanzata in cucina. L’ex donna in nero li seguì, sebbene titubante e un po’ a disagio: nonostante gli anni, ancora non era abituata alla tempesta di gentilezza di Ran.
«Non c’è problema» fece la karateka. «Uno spicchio ciascuno, e ne mangerà una intera.»
Arrendendosi, la ragazza prese posto insieme agli altri quattro. Salutò Heiji e Kazuha, e tra una chiacchiera e l’altra, riuscì a passare anche una bella serata. Come proposto dal delfino – come la chiamava lei -* , Shiho non rimase a digiuno: anzi, mangiò anche più del dovuto, più di loro. E nonostante i presupposti, dovette ammettere a se stessa che le sarebbero serviti più spesso momenti come quelli. Di solito, quando il gruppetto si riuniva, lei era solita rimanere in disparte: sia perché si trovava nel bel mezzo di due coppie, sia perché si sentiva inadeguata. Qualche volta aveva fatto compagnia a Sonoko, ma quando questa era con Makoto, decideva di darsi perfino per malata. Lei non aveva un ragazzo, e non aveva mai fatto nulla per volerne uno. Considerando che l’unico che le era mai interessato fosse felicemente fidanzato da tre anni, aveva rinchiuso nel cassetto quell’argomento: per lei doveva esistere il lavoro, e nulla di più.
«Shiho, dillo anche tu a questi trogloditi» nel dibattito sulla macchina intervenne Kazuha, decisa come mai quel giorno a difendere la sua facoltà. «Non ci sono pericoli per l’essere umano, Heiji!»
«Il siero non è dannoso» aggiunse la scienziata, portando alla bocca un po’ di pizza con le patatine del detective vicino a lei.
«Io non mi farei mai impiantare nel cervello quel coso» disse Heiji, bevendo un po’ di coca-cola ghiacciata. Shinichi annuì, senza che nessuno lo vedesse.
«Abbi un po’ di rispetto per chi ci ha lavorato, almeno» lo rimbeccò la fidanzata, esasperata.
«Non sto offendendo nessuno.»
Shiho rimase ad ascoltarli con finto interesse, cercando di focalizzare su loro l’attenzione e non sugli altri due. Per quanto si sforzasse, lo sguardo le cadde più volte verso il detective padrone di casa. Abbassando gli occhi sotto il tavolo, notò che lui e Ran erano mano nella mano, strette e incastrate tra loro neanche dovessero morire da un momento all’altro. La karateka appoggiò la testa sulla spalla dell’investigatore, che venne così travolto da un intenso profumo di fragola. Lo stesso della notte prima, che l’aveva inebriato e fatto impazzire. Shinichi sorrise, avvicinando le labbra all’orecchio della fidanzata: «dormi anche questa notte da me?»
Ran arrossì, ma in quel momento avrebbe tanto voluto superare i suoi tabù. Alzò lo sguardo con tenacia, e prima che potesse rispondergli con malizia, la luce della cucina si frantumò.
Rimasero al buio. La karateka si strinse al suo ragazzo, ma un po’ tutti si agitarono.
«Ma che è successo?» chiese Kazuha, intimorita.
«La lampad...» stava per dire il suo fidanzato, ma venne interrotto. Il detective di Osaka si accasciò al pavimento, privo di sensi. Shinichi vide un’ombra muoversi tra di loro, e cercò di staccarsi da Ran. Ma quando la lasciò andare, la giovane cadde al pavimento.
«Ran!» urlò, mentre alle sue spalle, nel buio dell’ambiente, avvertì il rumore di un altro corpo caduto a terra a peso morto. Alzò lo sguardo e vide solo Kazuha all’in piedi.
«Scappa!» le disse, ma era troppo tardi: un’altra ombra aveva circondato le spalle della ragazza ed otturandole la bocca, le aveva fatto perdere i sensi.
Shinichi non seppe come muoversi: sebbene conoscesse a memoria la sua cucina, non aveva la minima idea di dove si nascondessero i criminali che li avevano sorpresi.
«Cosa volete?» chiese, girandosi intorno e cercando di ripararsi. Pensò ad un piano che potesse mettere in salvo tutti, ma il suo istinto lo fece voltare verso la sua fidanzata: Ran giaceva a terra con gli occhi chiusi, respirando normalmente. Questa fu l’ultima cosa che vide.
«Te», fu l’ultima che sentì. 
 
 
 
 
* Shiho chiama Ran “delfino” perché ritiene che lei sia uno “squalo”. I delfini sono candidi e puri, proprio come Ran... e Shiho lo teme. Il confronto viene fatto nel volume 31, file 5 – 7.



Me:
Ciao miei cari amici e lettori conanosi di EFP!
Un paio di voi sapevano già che sarei tornata a breve (e si sono preparati alla grande! xD) altri invece non ne erano a conoscenza. Dunque, comunque sia, sono tornata, e con una nuova storiella bella complicatuccia e bella fastidiosa. Per la prima volta ho focalizzato la mia attenzione tutta su Shinichi. No, non vi sto prendendo in giro XD Intendo u.u che per la prima volta mi sono buttata a studiare la sua vera psicologia, infatti la maggior parte della storia sarà narrata dal suo punto di vista. È stato difficile, lo ammetto, perché il nostro detective è abbastanza complicato come personaggio. Non si capisce bene cosa potrebbe o non potrebbe essere da lui a volte, e questo rende la scrittura molto più difficoltosa!
Per quanto riguarda la storia in sé, sono nove capitoli, che pubblicherò settimanalmente, a partire da oggi, 23 gennaio. Ammetto che anche il genere di storia che ho trattato è diverso dal solito: vi è molta azione, ma il romanticismo comunque non mancherà. Detto questo XD dopo avervi fatto leggere il tanto (seee...) agognato (u.u) primo capitolo (e all'intestazione vi ho dato anche una bella parentesi di come si potrebbe dire anche in altre lingue... grazie google traslate! xD) aspetto soltanto i vostri giudizi e le vostre recensioni, con la solita speranza che la storia piaccia, magari anche più delle altre. È un po' un mio capriccio quello di cercare ogni volta di superarmi XD
Dunque..... dimentico qualcosa? Ah sì, lo spoiler u.u Nel "mio amico di infanzia" pare che l'idea dello spoileruccio piacque molto, dunque la rinnovo, anche per smorzare la tensione e l'ansia che la storia vi metterà (sì, sto cercando di spaventarvi XD)!

Il 30 gennaio avremo, niente popodimeno che XD, il secondo chap. Ok, la smetto di dire idiozie XD

Secondo capitolo: "Il criminale perfetto"

«Tu sei il candidato perfetto per il progetto del secolo. Sei colui che darà un nuovo volto al senso dell’ordine, del rispetto e del potere. Sei colui che darà vita ad una nuova forma di giustizia.» Shinichi assottigliò gli occhi, avvertendo i muscoli del viso tirare. «Cosa farnetichi?»
Midori sorrise un altro po’ oltre la luce sbiadita della cenere accesa.
«Tu diventerai il criminale perfetto


La fantasia proprio, LOL. :D

Ci vediamo il 30, ragazzi! Un bacio enorme :*

P.s. mi siete mancati. <3


 
 
 
   
 
Leggi le 15 recensioni
Ricorda la storia  |        |  Torna su
Cosa pensi della storia?
Per recensire esegui il login oppure registrati.
Capitoli:
   >>
Torna indietro / Vai alla categoria: Anime & Manga > Detective Conan / Vai alla pagina dell'autore: IamShe