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Autore: IamShe    30/01/2014    9 recensioni
Shinichi è uscito trionfante dallo scontro con l’Organizzazione, e a distanza di tre anni, si gode a pieno la sua vita di detective nazionale ed ammirato da tutti. Non gli manca nulla, neanche l’amore di Ran. Ma quando tutto sembra andare per il verso giusto, qualcuno sfrutterà l’ingegno della sua amica Shiho per proiettarlo in un mondo che il suo cervello, altrimenti, non avrebbe mai perseguito: quello della criminalità. E non potrà più sfruttare la sua intelligenza, che presto scoprirà arma della sua stessa tortura, ma qualcosa che il suo mito Holmes riteneva stupido e debole, da evitare: le sue emozioni.
- - - - -
Shinichi non seppe come muoversi: sebbene conoscesse a memoria la sua cucina, non aveva la minima idea di dove si nascondessero i criminali che li avevano sorpresi.
«Cosa volete?» chiese, girandosi intorno e cercando di ripararsi. Pensò ad un piano che potesse mettere in salvo tutti, ma il suo istinto lo fece voltare verso la sua fidanzata: Ran giaceva a terra con gli occhi chiusi, respirando normalmente. Questa fu l’ultima cosa che vide.
«Te», fu l’ultima che sentì.
Genere: Azione, Sentimentale, Suspence | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Ai Haibara/Shiho Miyano, Heiji Hattori, Nuovo personaggio, Ran Mori, Shinichi Kudo/Conan Edogawa
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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T o r t u r e d  M i n d

 
Secondo capitolo Second chapter Deuxième chapitre  Il criminale perfetto Segundo capìtulo Zweite Kapitel    번째 장   


 
 
Quando si svegliò, Shinichi avvertì un gran male alla testa. La tempia sinistra gli pulsava dolorosamente, la guancia era fredda ed umida, ed uno strano odore amaro gli torturava le narici. Realizzò fosse sangue. Il suo, soprattutto, quello che aveva perso in seguito all’impatto con il tacco del fucile che l’aveva fatto svenire. Intontito, aprì gli occhi lentamente. Vide intorno a sé una stanza buia, con diversi macchinari, alcune sedie, ed una finestra chiusa. Cercò di mettere al fuoco qualche particolare, ma gli sembrò impossibile in quelle condizioni. Troppo tardi realizzò di essere legato: due manette gli bloccavano i polsi alla poltrona sulla quale era quasi sdraiato, e alcune funi gli circondavano il petto, il ventre, le gambe e i piedi.
«Ben svegliato, detective
Si voltò di scatto verso la donna che aveva di fronte. Aveva lunghi capelli rossi, due penetranti occhi color smeraldo, un vestitino nero che andava a fasciarle il corpo ma lasciava nuda la spalla: Midori.
«E tu...» sussurrò, recuperando la voce nei meandri dei suoi polmoni. Lì dove respirare gli faceva ancora male, in seguito a quella botta. «Chi sei?»
Ma c’era qualcosa, in lei, che gli suggerì che già l’aveva vista. Ricordava vagamente un volto simile al suo, ma molto più giovane, più dolce e più ingenuo.
«Avremo tempo per conoscerci, detective, ma non ne abbiamo altrettanto per fare di te ciò che vogliamo.»
Shinichi respirò appena. La voce della donna era chiara, veloce e penetrante. Sembrava sicura di quello che stava facendo perché non lasciava trasparire nessuna forma di dubbio o timore.
«Cosa volete da me?» chiese, allora. Midori sorrise, allontanandosi di qualche passo. Shinichi le guardò le spalle minute e le gambe lunghe, che tanto gli ricordavano quelle di Ran.
“Ran!” sussultò, su quella sdraio, intrepido. Nella sua mente si fecero largo le immagini di qualche ora prima: i suoi amici che cadevano uno ad uno davanti ai suoi occhi, il corpo inerme della sua fidanzata al pavimento, quello pesante di Heiji un po’ più distante. E Shiho, e Kazuha, che erano con lui poco prima che quella voce lo tramortisse.
«Cosa avete fatto ai miei amici?»
Le luci della stanza si accesero, portando al chiaro la geometria del luogo. Shinichi notò di essere sotto una macchina maestosa ed incombente, di un metallo dipinto di bianco. Deglutì, esterrefatto, quando si rese conto di cosa si trattasse: era la macchina dei ricordi.
Midori gli si avvicinò di nuovo, e gli posò una mano sulla sua.
«Tra poco non ti importerà più nulla di loro» sillabò lentamente la giovane, quasi con perfidia.
Shinichi si dimenò sulla sdraio con impazienza. «Eh?»
Midori fece per calmarlo: il suo tocco, delicato e subdolo allo stesso tempo, strusciava sulla sua spalla e il suo petto. Il detective era intontito, spaesato e stranito. Un brivido lo percorse e lo obbligò a fermarsi, quando lei lo avvisò con spaventosa velocità del loro piano:
«Dimenticherai tutto ciò che sei.»
 
§§§
 
Le dita del giovane detective dalla pelle olivastra si contrassero e distesero in un solo gesto. Le sue palpebre ripresero a battere normalmente, mentre le sue iridi mettevano a fuoco il lampadario in stile moderno comperato da Yukiko anni prima, nell’enorme cucina dei Kudo. Si rimise a sedere con fatica, poggiando la schiena ad un cassettone vicino i fornelli. Guardò con stanchezza e riluttanza l’ambiente, ed incapace a formulare un pensiero razionale, stette parecchi secondi a scrutarlo: vi erano le lattine di Cola a terra, gocciolanti al pavimento, e alcuni pezzi di pizza schiacciati contro i mobili della stanza. Spostò lo sguardo più a destra: la sua ragazza era sdraiata pancia all’in giù, apparentemente immobile. Strabuzzò gli occhi e si trascinò sino a lei.
«Ehi, Kazuha», la chiamò, scuotendole la schiena. «Ehi, svegliati, Kazuha.»
La giovane mugugnò qualcosa, poi  cominciò a contrarsi su se stessa. Stiracchiò le gambe e le braccia, e quasi spontaneamente girò il corpo verso Heiji. Aprì con lentezza le palpebre, poi si fermò, stranita.
«Ohi.»
«Stai bene?» le chiese, sporgendosi verso di lei.
«Io... sì, credo... ma... non...» balbettò. Kazuha buttò gli occhi un po’ intorno, e si mise a sedere di scatto. Hattori invece aveva riacquistato l’uso degli arti inferiori, e riuscì finalmente a mettersi all’in piedi.
«Comincio a preoccuparmi» lo sentì dire, mentre lei continuava ad osservare la cucina. C’era un silenzio tombale.
«Heiji... cos’è successo?»
Il fidanzato sbuffò, si passò una mano fra i capelli e si tirò le guance all’ in giù.
«Siamo stati aggrediti» disse, come se la cosa fosse più che ovvia. Poi fece leva sulle ginocchia, si abbassò, e da terra recuperò una fialetta con una puntura. Era grande circa quanto l’unghia di un pollice. «E ci hanno anche mandato a nanna.»
«Chi ci ha aggredito?»
Il ragazzo negò, non sapendo cosa dire, mentre fece il giro della stanza alla ricerca delle altre fiale.
«Heiji, dove sono gli altri?»
Hattori non rispose, sembrava immobilizzato. Kazuha lo affiancò e seguì la traiettoria dei suoi occhi. A terra vi era del sangue, gocciolato da una sola ferita: quella di Shinichi.
«È questo che mi preoccupa.»
 
§§§
 
«Vuoi farmi... dimenticare tutto?» Shinichi rise, quasi schernendo la donna che aveva di fronte. Il suo sguardo riacquistò man mano la tenacia e la spavalderia che da sempre lo contraddistinguevano, eppure non brillava della solita sicurezza: dov’era la sua fidanzata, dov’erano i suoi amici? Lo mascherò nel migliore dei modi, cercando di pensare ad un modo per scampare a quella follia. La donna che gli stava parlando era sicuramente pazza, eppure il pensiero di non sapere cosa potesse aver fatto ai suoi amici lo struggeva: doveva sapere.
«Tra poco non riderai, detective.» Midori si sedette su uno sgabello a fianco alla macchina, ed incrociò le gambe.
«Questa macchina è capace ad eliminare solo i traumi che vogliamo» ribatté lui, cercando di prendere tempo. Osservò la stanza e capì che aveva ben poco con cui liberarsi: c’era l’orologio spara aghi soporiferi al suo polso che sarebbe potuto essergli d’aiuto, se solo non avesse avuto le mani bloccate.
«Questa macchina è capace ad eliminare tutto quello che vogliamo» lo corresse. Poi frugò con le mani nella sua borsa: aveva un tocco delicato e dolce, e quando estrasse il pacchetto di sigarette, lo rivolse al giovane Kudo. «Favorisci?»
Shinichi sorrise. Era l’occasione giusta per farsi liberare dalle manette uno dei due polsi.
«Sì, grazie.»
Midori si alzò, si avvicinò e tirò su col fiato. Si sporse verso di lui, e con la bocca gli indirizzò il fumo contro. Il moro si ritrovò così a respirare in una nube di nicotina che lo spinse a tossire ripetutamente: d’altronde lui non era un fumatore e quell’odore gli dava particolarmente fastidio.
«Stavi cercando di fregarmi, detective?» lo sfotté, sorridendo.
“Dannazione, è più furba del previsto” imprecò Shinichi, osservandola divenire sempre più nitida oltre il fumo. “Speriamo che non sappia dell’orologio. È la mia unica arma.”
«Cosa vuoi da me?» si decise finalmente a chiederle, con la voce ancora bassa per via della nube grigiastra che gli infastidiva le narici. Midori sbuffò altro fumo, sempre indirizzato al viso leggermente tumefatto del giovane. La sua ferita sanguinava ancora.
«Tu sei il candidato perfetto per il progetto del secolo. Sei colui che darà un nuovo volto al senso dell’ordine, del rispetto e del potere. Sei colui che darà vita ad una nuova forma di giustizia.»
Shinichi assottigliò gli occhi, avvertendo i muscoli del viso tirare. «Cosa farnetichi?»
Midori sorrise un altro po’ oltre la luce sbiadita della cenere accesa.
«Tu diventerai il criminale perfetto
Qualche secondo d’oblio, mentre il ragazzo fece sue le parole di quella giovane. Così innalzò un sopracciglio, incredulo. «Come scusa?»
«Mmh», si lamentò Midori, buttando un po’ di cenere a terra. «Quante spiegazioni a vuoto mi fai dare. Sai cosa mi da fastidio? È che tra un’ora non ricorderai nulla, quindi tanto vale tacere.»
«Tu sei pazza» disse. Ed gli era anche familiare. Dove l’aveva vista? Aveva un ricordo lontano, di circa qualche anno prima. L’omicidio di un uomo, le attenuanti di un altro.
La sua mente parlava ma lui non riusciva ad ascoltarla, i suoi ricordi così lo aiutarono: l’aveva vista alla fine di un caso risolto con Hattori, lei gli si era avvicinata, era felice.
«Sei grande» gli aveva detto in quel momento, e lui aveva ricambiato con un sorriso.
«E tu sei legato», gli sorrise. «Chi è quello che sta peggio?»
Shinichi distolse repentinamente i pensieri, ricordandosi improvvisamente che avrebbe dovuto trovare una soluzione per il presente. «Tu, perché io posso liberarmi.»
«I ricordi saranno la sola cosa di cui ti libererai» ricominciò Midori, ridendo con convinzione. Gli accarezzò la mano e la strinse nella sua, avvertendo una certa riluttanza da parte del giovane sdraiato là sopra. Così sorrise e forzò le loro mani in modo che potessero stringersi. «Ti ho osservato, sai. Tu hai sangue freddo. Sei glaciale, e per essere un difensore della giustizia, sei anche parecchio categorico. Quando sei a lavoro, il tuo sguardo non fa tramutare alcuna emozione: né gioia, né dolore o commiserazione per il delinquente di turno. Tu vuoi solo sbatterlo in gabbia.»
«Mi hai spiato?» comprese allora, cominciando a preoccuparsi sul serio. Ciò gli fece capire che l’attacco era premeditato, ed anche da parecchio.
«Mi piace osservarti mentre lavori.» Dichiarò la giovane, sorridendo e rilasciando andare un altro po’ di fumo. «Tu non lasci scampo a nessuno, questo lo adoro.»
«Io voglio che sia fatta giustizia» replicò Shinichi, cercando di sottoporsi alla mano della donna. Era liscia e fredda, e così diversa dal tocco di Ran. «Lavoro affinché un criminale non possa causare ulteriori vittime o danni.»
«Lo so», sembrò divertirsi Midori. «Però io ho osservato anche il tuo collega.»
“Hattori” volò subito col pensiero al suo amico, osservandola muovere le labbra a suon di sbuffi.
«Tu e lui eravate i candidati ideali per questa missione: intelligenti, geniali, sagaci. Eppure sotto questa macchina ci sei tu. Sai perché? Lui manca di una caratteristica fondamentale per un criminale: l’autocontrollo.»
Shinichi non disse nulla, e a stento inspirò. Controllò la respirazione in modo che Midori non s’accorgesse di un suo possibile nervosismo. Doveva mostrarsi sicuro: era la prima arma per sbriciolare la sicurezza di qualcun altro.
«È impulsivo, non ragiona di fronte al pericolo. Tu sì.»
Riuscì a districarsi dalla mano della donna, ma probabilmente perché era ciò che aveva voluto lei. Infatti Midori si allontanò, per affiancarsi alla macchina: pigiò qualche tasto, e questa cominciò ad emettere un rumore profondo e fastidioso, segno che stava per mettersi in moto.
“Dannazione” imprecò tra sé e sé, preoccupato. “Cosa posso fare?”
«Posso chiamarti per nome, detective?» lo sfotté, buttando via la sigaretta in un cestino lì vicino.
Lui emise un grugnito infastidito. «Chiamami come vuoi.»
«Bene, Shinichi» enfatizzò il tono sul nome, come a volergli dimostrare di essersi presa la briga di entrare in confidenza con lui senza troppi problemi. Fece schioccare le dita: «adesso possiamo iniziare.»
Il detective avvertì dei passi raggiungerlo, ed alcune urla smorzate diffondersi tra le mura dell’edificio. Rabbrividì quando riconobbe di chi erano. Shiho si presentò di fronte a lui trattenuta da tre uomini, quando venne catapultata a terra con poca delicatezza, giungendo a suoi piedi.
«Kudo» bisbigliò la ramata, deglutendo terrorizzata. Alle sue spalle, Ran doveva far fronte alla forza bruta di altri due criminali, che le riservarono lo stesso trattamento della scienziata.
«Shinichi!». Quando giunse al suo cospetto, Ran afferrò le gambe dell’amico d’infanzia e si aggrappò a lui. Ma non le fu possibile andare oltre: Midori ordinò ai suoi uomini di allontanarla.
Così venne presa per i capelli e sbattuta all’indietro, scontrandosi con un mobiletto poco distante e facendone cadere i fogli.
«Ran!» urlò, cercando di dimenarsi sulla sdraio e raggiungerla. Ma era così legato che anche respirare pareva divenire un pregio. La guardò e per un po’ rimase a scambiarsi con lei una profonda occhiata: la sua ragazza aveva i capelli scombinati e gli occhi luccicanti, come se da un secondo all’altro stesse per scoppiare a piangere.
“Ran” recitò il suo nome nella sua mente, ma la voce di Midori lo richiamò alla realtà. Aveva afferrato per il colletto la scienziata, costringendola a trascinarsi per la stanza.
«Adesso che ci siamo tutti, concedo l’onore alla dottoressa di dare vita al progetto», Shiho fu così  spinta ad alzarsi, ma era completamente all’oscuro del piano di quei malfattori: indietreggiò, ma si ritrovò a scontrarsi con uno di loro. Fu indirizzata e avvicinata alla macchina, quando cercò di liberarsi e proferì un seccato: «lasciatemi stare».
Poi successe qualcosa: dallo stesso corridoio da cui erano giunte le ragazze, fecero capolino altri passi. Nel giro di qualche secondo, alla porta si mostrò un giovane uomo sulla trentina. Quando questi assistette a quella scena, sorrise.
«Akira, finalmente.» Sbuffò Midori, che intanto chiese ai suoi uomini di afferrare la karateka con la forza: questa venne presa e bloccata tra le loro braccia. «Sei in ritardo.»
«Scusami», rise ancora lui, poi fece qualche passo e si posizionò di fronte al detective. «Che bello rivederla, signor Kudo.»
Shinichi assottigliò gli occhi come se volesse mettere meglio a fuoco la sua immagine. Cominciò a respirare con fatica, quando nella sua mente si districò, tra tutta quella confusione, un solo pensiero: “Akira Kitoshi.”
«Cosa vuoi?» chiese allora, «cosa ci fai qui?»
«Saltiamo i convenevoli, detective?» Akira rise di nuovo, poi rivolse lo sguardo a Shiho: «Dottoressa Miyano, avvii il processo di amnesia totale.»
«Cosa?»
«C-cosa?» le fece eco Ran, dall’altro lato della stanza.
«Ha capito bene» ribadì. «Avvii il processo di amnesia totale.»
La scienziata guardò il suo amico, cercando nella sfumatura dei suoi occhi qualche soluzione. Chi erano quelli? Perché li avevano rapiti? E cosa volevano da lui? Ma Shinichi non era in grado di aiutarla: era legato su quella macchina, e non poteva nemmeno parlarle dell’orologio.
«Dottoressa Miyano, è qui perché lei è l’unica a sapere attivare il processo. Adesso, con gentilezza, le chiedo di farlo.»
Shiho inarcò un sopracciglio: «No. Non è possibile, la macchina oscura solo un tot di ricordi.»
«Non cerchi di prendermi in giro, dottoressa» sentenziò Akira, con freddezza ed acidità. «Non sono famoso per la mia pazienza.»
Lei sospirò, e cercò di fornirsi della migliore sfilza di bugie che possedesse: «la macchina non ha questa capacità, e se l’avesse credo di non esserne a conoscenza.»
Akira sbuffò, guardò Shinichi e gli regalò un’occhiata beffarda: «Crede che io abbia voglia di perdere il mio tempo?»
«Neanche io, se è per questo.»
Il detective non abbassò lo sguardo, lo sostenne con decisione e fermezza. Quando l’uomo chiese nuovamente a Shiho di procedere col processo, e lei nuovamente si rifiutò, Shinichi assistette ad uno scorrere degli eventi repentino: uno degli uomini sparò Ran in una gamba, facendola gemere dal dolore. Il suo fidanzato urlò, disperato, cercando di raggiungerla. La scena si oscurò e fece spazio al solo sangue della karateka che giungeva al pavimento con preoccupante velocità.
«Ran! No!» sbraitò lui, facendo forza sulle catene e le funi che lo legavano: cominciò ad arrossire i polsi e il corpo per via dell’insistenza con cui tentava di liberarsi e raggiungerla. Ma sembrava tutto inutile: e mentre Ran gemeva, Shiho non aveva la minima idea di cosa potesse fare.
«Dottoressa Miyano?» la richiamò allora Akira, con fare convincente. «Prenda il siero giusto ed esegua il processo.»
“Il siero giusto?” pensò lei. La mente viaggiò a quel pomeriggio, a quelle domande, e a quella ragazza: “Dannazione, Yuri Haido!”
«Siamo stati così gentili da prelevare i campioni di siero che ci occorrono» continuò per lui Midori, permettendo che due uomini facessero spazio ad un tavolo su cui erano poggiate diverse fialette. «Le notizie a Biotecnologie corrono veloci.»
“Dannazione” imprecò Shiho. “Cosa potrei fare?”
Guardò il detective e notò che lui era poco interessato alle richieste gentili e discutibili di Akira e Midori: aveva il volto tirato e fisso sulla gamba della sua fidanzata, consapevole di non poter fare nulla per aiutarla.
“Dannazione, Kudo, dammi un’idea!”
Shinichi ansimava, il volto cinereo fisso sulla gamba coloratosi di cremisi di Ran: quando non ne poté più di quella visione, volse lo sguardo a Shiho. Con gli occhi gli indicò il suo orologio, quello che da Conan gli aveva salvato la vita un’infinità di volte. Sembrava dirle “usalo, usalo e scappate via”.
La dottoressa dapprima scosse il capo, pensando tra sé e sé che quella fosse una follia: il processo era irreversibile una volta iniziato, come avrebbe potuto salvarlo? Ma quando i criminali puntarono la pistola sul capo di Ran, Shinichi non ebbe più coraggio di resistere oltre.
«Fallo» le ordinò, con un filo di voce. «Fallo!»
Shiho socchiuse gli occhi: aveva le mani tremanti.
«Ok, basta», le sue parole interruppero i due uomini che imprigionavano Ran. La stessa Midori disse loro di fermarsi. «Per iniziare il processo, è necessario privarlo di ogni aggeggio metallico. Potrebbe interferire con la macchina.»
Akira la guardò leggermente perplesso. Probabilmente si stava chiedendo se fosse vero o meno, ma non la interruppe.
«No» gemette Ran, quando realizzò quello che stava per accadere: Shiho sottrasse l’orologio a Shinichi, e si apprestò ad iniziare il processo. Quando giunse di nuovo al pannello di comando, la scienziata inserì la fialetta in un tubicino apposito. Nella mano sinistra reggeva l’unica possibilità di fuga che aveva: di ago ce n’era solo uno, e doveva sfruttarlo il meglio possibile.
«No, Shiho!» urlò di nuovo la karateka, quando la macchina si accese di luci verdi e rosse. Due bracci ruotarono intorno al capo del detective, che rivolse un ultimo sguardo alla fidanzata. Probabilmente, quella era davvero l’ultima volta che si sarebbe ricordato di lei.
Ran incrociò quegli occhi azzurri e riempì di lacrime i suoi: non ci volle molto prima che queste scendessero e le bagnassero il viso, precipitando sui suoi pugni. Ne lanciò uno al pavimento, quando la macchina iniziò il processo: la fialetta era entrata in contatto col cervello del detective.
Tutti i criminali sembrarono estasiati ed attratti: Shiho guardò la karateka e sperò che fosse abbastanza lucida da riuscire a combattere con almeno uno dei due che la imprigionavano. Ma Ran era sull’orlo di una crisi di pianto, e continuava a balbettare il suo nome: «Shinichi... S-Shinichi! N-No!»
«Ehi, MOURI!» urlò Shiho all’improvviso, attraendo l’attenzione di tutti. «SCAPPA!»
Alle parole seguì l’azione: la giovane ramata mirò uno dei due uomini, e velocemente riuscì ad addormentarlo con l’ago, che gli perforò il collo. Ran strabuzzò gli occhi, cercò di recuperare tutte le sue energie ed ignorare il dolore alla gamba: si alzò e si proiettò contro l’altro, gettandolo a terra. In un istante scoppiò il caos: sia Akira che Midori non s’aspettavano quella reazione, e provarono a braccarle. Ma le due ragazze si riavvicinarono, si nascosero dietro la macchina e cercarono di fuggire: un’altra donna si pose davanti a loro, ma Shiho fece in modo che un mobiletto le cadesse contro e le impedisse di bloccarle. Akira sparò e colse la spalla della scienziata, che gemette ma non demorse: quando poterono finalmente uscire da quella stanza infernale, Ran gettò uno degli uomini contro i suoi complici. Guadagnarono così velocità e metri, ma la karateka era tutt’altro che intenta ad andarsene via.
«Shiho! Il processo! Shinichi! Dobbiamo salvarlo, ti prego!»
«No, non possiamo!» le urlò, mentre il fiato cominciò ad aggravarsi per via della corsa. «Mi dispiace, Mouri, ma è irreversibile. È troppo tardi ormai.»
Si fecero scudo con un muro, evitando i proiettili che sfiorarono i loro volti: erano traboccanti di sangue e prive di forze.
«Mi dispiace» ripeté Shiho, abbassando lo sguardo e ripartendo. Sfruttarono un condotto dell’aria condizionata: lì si nascosero e velocemente riuscirono ad uscire da quell’edificio, gettandosi nel buio della notte. Erano finalmente salve, ma un solo pensiero premeva nel cervello della giovane Mouri:
«Vuoi dire... che Shinichi non ricorderà mai più nulla?» diede alito alle sue paure, tra lo sgomento e l’incredulità. «N-Non è vero.»
«È meglio andare via di qui, Mouri.»
«NO, SHINICHI!» si gettò a terra Ran, esasperata. Fece scivolare con violenza le mani nei capelli e continuò a piangere, senza riuscire a calmarsi. «NO!!»
Shiho la guardò imperterrita, immobilizzata da uno strano e stupido senso di colpa: in qualche modo, era riuscita a rovinare di nuovo la loro vita.
 
§§§
 
L’uomo dall’impermeabile arancio avanzò nella centrale con un caffè in mano, tentando di svegliare il cervello con la giusta dose di caffeina: dopo uno sbadiglio lunghissimo, Megure vide avvicinarsi dall’entrata due ragazzi. Si accese in un sorriso, quando riconobbe uno dei due: «Oh, Hattori, qual buon v...»
Ma quello lo interruppe: «Ispettore! Siamo stati aggrediti! Kudo, Ran e Miyano sono scomparsi!»
L’uomo, dunque, sputò tutto il caffè per terra, incredulo. Strabuzzò le palpebre e fece anche cadere il bicchiere. «CHE COSA!?»
«Eravamo a casa di Kudo, e all’improvviso un gruppo di persone ci ha anestetizzato!» disse Kazuha, terrorizzata. Dopo aver ripreso i sensi, i due giovani di Osaka avevano convenuto che la cosa più giusta fosse avvisare la polizia.
«MA CHI ERANO!?» chiese l’ispettore, preoccupato come sempre quando l’argomento della conversazione era un certo detective figlio di uno dei suoi più grandi amici scrittori.
«Non lo sappiamo, purtroppo.»
«Ma voi state bene?»
«Sì» rispose freneticamente Hattori, al che la fidanzata aggiunse: «Solo un po’ intontiti.»
«Ok», Megure posò una mano sulla spalla della ragazza, quando richiamò alcuni suoi agenti dal fondo del corridoio. Urlò il loro nome e disse loro di occuparsi dei ragazzi: «portateli in ospedale, è meglio accertarci che stiate bene. Cercheremo noi i vostri amici.»
«No!» obiettò il kendoka. «Io sto benissimo!»
«Hattori.»
Heiji lo guardò negli occhi con ferocia: «Io-sto-bene.»
Il poliziotto ricambiò lo sguardo e poi sbuffò. «Ok. Chiba, chiama Takagi e Sato, ci vediamo dai K...»
«I-ISPETTORE!» urlò una voce alle loro spalle, che squarciò con terrore quella di Megure. Tutti si girarono, increduli, quando riconobbero Shiho, con la spalla sanguinante e i vestiti traboccanti di rosso scuro.
«Miyano!», Hattori le corse incontro, mentre alcuni poliziotti la aiutarono a sorreggersi in piedi.
«Cos’è successo?» cercò di spronarla a parlare, ma la giovane era scioccata. «Kudo...»
«UN’AMBULANZA, PRESTO!» gridò Megure ai suoi uomini, mentre Shiho si sorreggeva alla spalla di Heiji. Col respiro affannoso gli sussurrò: «Mouri... Mouri è qui fuori. Ha un proiettile nella coscia.»
«COSA? RAN!?» fece il ragazzo, lanciando un’occhiata alla fidanzata e pregandola di raggiungere l’altra. Kazuha corse fuori la centrale, dove trovò Ran ai piedi dei scalini principali, con il sangue che le scorreva da una gamba, e le mani sporche di terra sul volto: si dondolava con la schiena avanti ed indietro, ed aveva inevitabilmente attirato l’attenzione di molti.
«RAN!» le corse incontro la giovane, abbassandosi alla sua altezza per cercare di aiutarla: «Ran, stai perdendo sangue, sei ferita! Andiamo in ospedale!»
Ma la piccola Mouri non le rispose: con le unghia delle dita si graffiò il viso, che scrisse per lei il nome del ragazzo che amava da una vita.
«Shinichi...», le lacrime le caddero in bocca, regalando al suo palato un gusto amaro ed aspro. Eppure nulla era in confronto alla sua anima: «Il mio Shinichi...»
 
§§§
 
Risplendette il Sole oltre le pareti in vetro della villa, che riscaldarono le sue stanze e diedero inizio ad una nuova giornata. I raggi si intrufolarono tra le tende e giunsero sino al letto e alle sue lenzuola di seta bianca. Sopra, sdraiato in un apparente sonno ristoratore, vi era Shinichi. Quando la stella del nostro sistema posò i suoi raggi anche sul suo viso, il giovane fu costretto a svegliarsi. Titubante si ritrovò ad aprire gli occhi su un soffitto color blu e un lampadario di cristallo, che all’apparenza pareva anche caro. Volse la faccia a destra e a sinistra, intontito e spaesato, fece leva sulla schiena per potersi alzare. Si mise così a sedere sul materasso, cominciando ad ispezionare un po’ l’ambiente: era una bellissima stanza, circondata da innumerevoli vetri. Fuori, a quanto poteva scorgere, vi era un magnifico giardino con piscina.
«Ben svegliato, tesoro.»
La voce di una dolce donna fu la prima che sentì quella mattina: voltandosi, si scontrò con una giovane dai capelli rossi e gli occhi di un penetrante verde smeraldo. La guardò stranito, e preoccupandosi, cominciò a fissarla con insistenza.
Non la ricordava.
«Tutto bene? Hai avuto un brutto incidente ieri» lo informò, sorridente. Midori gli accarezzò il viso, ma a quel tocco il detective si sottrasse.
«Cosa...» boccheggiò, quasi terrorizzato. «Io... io non...»
Si diede un’altra occhiata intorno. Si scontrò così con uno specchio posto in corrispondenza del letto. Poté ammirare i suoi capelli corvini e ribelli, i suoi occhi azzurri e penetranti, il suo fisico longilineo.
Non sapeva dov’era, non sapeva che giorno fosse, ma il peggio, era che non sapeva chi fosse.
«Chi... chi sono, io?»
La donna dai capelli color cremisi sorrise. «Tu sei Shinichi Kudo.»
Il giovane strabuzzò gli occhi, e quando Midori si allungò nuovamente per accarezzarlo, le permise di farlo.
«Shinichi Kudo?» chiese conferma, con un filo di voce. La donna annuì, facendo scorrere le sue dita sul viso del ragazzo: aveva la pelle morbida e liscia.
«Sì, Shinichi», gli sussurrò sulle labbra, con dolcezza. «Sei il mio tesoro.»
«I-il tuo tesoro? Perché?» chiese lui.
Era spaesato: non sapeva chi fosse quella ragazza, ma la cosa più brutta era che non aveva la minima idea del perché non lo ricordasse. «Tu chi sei?»
«Io mi chiamo Ran, Ran Mouri. Sono la tua fidanzata.»




Me:
Aaaaarieccomi! :3 Passata in fretta una settimana, vero? Lo so che stavate tutti aspettando questo bel continuo (u.u dite di sì), ma non so se ve l'aspettavate già così movimentato :D Credo che il piano dei criminali adesso sia un tantino più chiaro rispetto ad una settimana fa, ma ovviamente ci sono da dire ancora taante cose, che troveranno spazio nei vari capitoli! Be', cosa ne pensate? Shinichi si scontra faccia a faccia coi suoi rapitori, li vede ferire Ran ed obbliga Shiho ad innescare il processo. Cosa succederà adesso? :D E Midori, che si finge proprio Ran? :3 Cosa avranno in mente e come riusciranno Ran e gli altri a ritrovarlo? 
Bene, per il momento è tutto u.u Vi aspetto numerosi al secondo capitoletto. <3
Un bacione grande ai recensori del primo, grazie mille ancora! <3
Vi lascio con lo spoiler, e ci vediamo il 6 febbraio!

Capitolo terzo "Una nuova memoria"
«A quanto pare non sono l’unico che comanda qui» osservò il detective, e Midori trattenne il fiato. Ogni qualvolta lui si accorgeva di cose non proprio ovvie, che faceva delle osservazioni o si comportava da detective, lei perdeva battiti del suo cuore. Aveva paura che l’effetto del siero scomparisse. Che lui tornasse ad essere lui. E tutta la sua fatica sarebbe andata sprecata.
«Infatti siamo in due» acconsentì Akira. «Io sono tuo fratello, mi chiamo Akira.»



Tonia
 
 
 
 
 
 
 
   
 
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