Può sembrare strano, ma sono qui, perfettamente viva.
Questa storia era originariamente iscritta al concorso sula Concupiscenza
indetto sul forum, poi annullato. Mi sono anche accorta che, non so perché, ma
alla fic che ho mandato mancava il pezzo finale °_°’’
Mi son tirata su col piazzamento al secondo posto della mia fic
Rincorrersi
su Naruto, NaruSaku.
Anzi, se a qualcuno piacesse adorerei ricevere commenti.
Oh, e se a qualcuno interessasse, l’epilogo di Don’t look è in betaggio ma arriverà. Lo ri-giuro.
Anche qui ringrazio Onda per il betaggio, è sempre la
migliore <3, e spero apprezzerete e vorrete commentare questo strano
esperimento.
Oh, dovrebbe sempre far parte del mio set sull’album Violator.
E un pezzo della parte finale ha uno stile deliberatamente ispirato al The Waste Land di T.Eliot,
che io adoro.
Ok, chiudo qui XD
-
Policy of Truth
[U n t o l d w o r d s w i l l k e e p y o u t
h e r e]
-
You will always wonder how
It could have been if you’d only lied
It’s too late to change events
It’s time to face the consequence
[Policy of truth, Depeche mode]
Incolore,
spazioso e dotato di fauci pronte ad inghiottirti.
Lo
inghiotte; a nulla serve dimenarsi disperatamente: più scalpita e più la morsa
lo separa dal mondo, lo trascina all’indietro.
Ansima su
un ciuffo di capelli tra gli occhi: è strano, non li ha mai avuti così lunghi.
Non è mai
stato così alto; è solo un bambino, dopotutto.
Non è
l’attuale sé stesso, e questo, Ed, pur senza darci troppa importanza, lo
riconosce senza problemi.
"Non
portarmi via, non voglio più andare via!"
Sai
anche tu che è giusto così, è una tua scelta.
"Non
voglio, non voglio, ho cambiato idea, voglio restare qui!"
"Non
andare via, ehi!"
Winry ed Al fanno ormai parte del paesaggio.
Al non è visibile, ma Winry è ancora un
discreto puntino giallo, con la testa volta a lui –lo sa, non può vederla in
faccia, ma lo sa.
"Scusami!
Scusami, oh, ma non vedi che non è colpa mia?"
“Potevi
evitarlo. Potevi evitarlo. Fa’ qualcosa per evitarlo, maledizione, Ed!”
Un
colore, un bianco abbagliante.
Poi il
nero.
Poi, il
caos, a macchie variopinte.
Gli occhi
gli fanno un male cane, quando riesce a sbarrarli scoprendosi ben saldo tra le
sue lenzuola, ma si sente precipitare comunque, ricadere sul letto con un
tonfo.
Trattiene
il fiato per non svegliare Alphonse nel lettino
affianco, e lascia lentamente ricrollare il capo sul
cuscino, tentando, con scarsissimo successo, di calmarsi.
Tutto
quello che ho visto non era reale. Lo giuro.
-
Il cielo è sporco, le nuvole cancellate da pennellate di grigio tenue.
Lei lo
sta guardando, con i capelli infangati appiccicati a ciocche sulle guance, con
gli occhi sgranati nel tirargli la mano sino a torcergliela (Non ha mai amato
perdere, dopotutto).
Così
vicino al suo petto, può sentirle il cuore palpitare a tratti, discontinuo,
come in procinto di esplodere.
Ed è così
assordante. Così assordante che, a costo di perdere la battaglia, Edward
matura pian piano l’intenzione di scappare via, allentare la presa dall’alto, che
lo rende ora prossimo alla vittoria, e scappare lontano- come un vile.
Ma è
soltanto un bambino, dopotutto (oh, nessuna colpa, chi ha mai parlato di
colpe?).
Il
bisogno di sopravvivere all’esplosione gli dilata gli occhi, le orbite secche
ed arrossate: accidenti ad Al, deve avergli attaccato il raffreddore.
E la
fronte, oh, la fronte va a fuoco, si sente le guance calde e l’unica cosa fredda in lui sono
le unghie disperate che affonda nella pelle di lei quando capisce che è lui,
quello in trappola.
Che lei non vuole essere lasciata andare, ma continua furiosamente a starsene
avvinghiata di peso al suo gomito, schiacciandolo sotto la sua spalla.
Che non basta farle sanguinare quel lembo di pelle raggiungibile dallo scollo
della salopette, per farla desistere.
"Lasciami andare!"
Ho solo otto anni, non voglio morire! Esplodi da sola, esplodi da sola,
sbrigati, sbrigati ma lasciami andare!
Ma lei non si arrende, e sono costretti a restarsene per altri cinque
minuti buoni nella grande pozza di fango, ad alitarsi
addosso.
"Non
ora. Mi hai parlato di un sogno, prima che giocassimo. Ora voglio sapere di
quel sogno."
"Era
per questo, che stavi per esplodere?" ansima tutto compunto lui, e sa che
non è stata un’azzeccata scelta di parole, e che lei riderà ferocemente,
prendendolo per i capelli e vincendo ancora una volta (Winry
ama essere padrona del gioco, ama che le si chieda di
essere risparmiati).
Lei si acciglia, ma non replica a questo. Solo, rilassa la spalla e si
rovescia, con tutta la grazia permessa ad una bambina che gioca nel fango, su
di lui.
Anche Winry ha gli occhi arrossati: accidenti ad Al, non solo ha
attaccato il raffreddore a Ed, ma a causa sua lui lo ha, a sua volta, attaccato
a Win.
Era
meglio se me ne stavo a casa, a fargli compagnia.
"E
quindi lo ricordi, quel sogno?" gli domanda tremolante
questa, in una maniera tutta estatica, come se stesse sudando sangue dagli
occhi e fosse sul punto di accoltellarsi con una risata isterica.
(Beh,
Edward ha sempre avuto una fervida immaginazione.)
Al è a casa con un brutto raffreddore sfociato in febbre in breve tempo: sono
soli, non può scappare.
E’ raro
che si verifichi un caso simile: una sorta di sacro dovere morale ha sempre
imposto ad Ed di portarsi dietro il fratellino in ogni minima escursione, o di
andarsene, piuttosto, a zonzo da solo.
Per non
sentirsi come se lo stesse tradendo.
Perché Al
è il sacro fratellino su cui vegliare, sempre e comunque.
Perché
loro sono un trio che non deve mai sciogliersi, mai separarsi.
E Ed sa
per sentito dire (in libri vari) che due uomini possono ammazzarsi a vicenda,
per una donna.
Perché
tutto resti com’è, quindi, sa che è…sconveniente che un bambino e una bambina
restino assieme troppo a lungo.
Dio solo
sa -Ed di certo non ne ha idea- cosa potrebbe succedere, tra di loro.
Dio solo
sa quanto potrebbe restarci male, Alphonse, che li
adora tutti e due.
Perché
loro sono immutabili ("Noi saremo sempre eterni, nii-san,
Winry…sempre eterni! Sempre insieme! Sempre in tre.
Contemporaneamente.").
Perché i
cambiamenti sono una cosa odiosissima.
E perché
Ed sa essere molto, molto pigro.
"Cosa?"
"Ricordi bene quando sei sparito nel grande vuoto? Lo ricordi bene?"
Il sudore
è solo acqua, acqua assolutamente impotente ed affatto in grado di
condizionarlo, per Ed.
Tiepida e schifosa, normalmente; un nuovo e gelido strato di
pelle, al momento.
Quali
curiose sorprese, nel bazzicare troppo a lungo nel mondo dei sogni!
Nel
raccontare troppo, riguardo tale bazzicare, ad un’amichetta ansiosa.
"Era
solo un sogno, Win. Solo un sogno."
"Ma
ricordi qualcos’altro? Qualche altro dettaglio?"
Lui fa
cenno di no con la testa, ma con un piccolo grande nodo alla gola che lo lascia
temporaneamente senza fiato.
Lei era
come oggi. Come oggi.
Winry gli tira ancora e ancora il braccio secondo la sua concezione del
termine ‘delicatezza’, invitandolo a parlare in tutta gentilezza.
Winry ha vinto, ma infierisce ancora, perché è una bambina curiosa e tanto,
tanto attaccata alle persone.
Winry è assurdamente, insopportabilmente apprensiva (sempre e comunque).
Il braccio gli fa ormai troppo male per azzardare nuovi tentativi di ribellione,
perciò Ed è costretto ad arrendersi.
"Brutta
scema, perché…?"
"Tranquillo, se il tuo braccio venisse via potrei studiare meccanica per
fartene uno nuovo. Più robusto, sai." replica incurante
e pensosa la bambina, a cavalcioni di lui, pesante sul suo stomaco.
"Questo va benissimo. Andava benissimo."
brontola il bambino massaggiandoselo, ma qualcosa dentro di lui rantola ancora
atrocemente.
Un
grosso, grosso fastidio.
"Ho
vinto, giusto?"
"Aww…"
"Sì,
ho vinto.", risatina giocosa, "Ora, il tuo pegno.", risatina
perversa zittita dal vento.
"Va bene, il mio pegno. Cos’è?"
L’importante
è che non faccia nuove domande.
Non sa
bene per quanto altro tempo potrà continuare a mentirle, sulla mancata
nitidezza dei dettagli.
Era tutto
così…così accecante, ma proprio per questo così chiaro.
Winry, era accecante ma visibile.
Alphonse era accecante, ma dalla luce stessa oscurato.
Alphonse non era qualcosa che volesse vedere; Winry
era qualcosa che voleva farsi vedere.
"Non
dovrai mai andare via. Starai sempre qui con me. Vero?"
E cade
dalle nuvole, lui, non più dal grande vuoto.
"Cosa
c’entra, questo?"
"E’
questo, il tuo pegno."
"Beh,
va bene."
Oh, sì.
La sua punizione: occhi poco confortevoli –così chiassosamente nervosi-
che tenteranno di fissarsi nei suoi.
Asserisce
col capo, perché la sensazione di disagio è crescente.
Viene su dritta dal costato, pronta a ridiscendere nello stomaco solo quando
lei cambierà espressione, lasciandolo libero.
Perché è
un fastidioso dejà-vù, quel sorriso confortato e
mansueto.
Lei sta
sorridendo, con una mano sul petto.
E lui sta
rotolando, rotolando sotto una sua spinta giocosa ma affatto simpatica.
Non gli
piace non potersi fermare ma poter solo ruzzolare giù dalla
collina fangosa sospinto dalle mani di Winry,
non gli piace che lei sia come in quel sogno –e ride, ride scioccamente ma lui
sa che dentro di sé sta piangendo, tutta infangata, tutta priva di speranze,
sconvolta da parole che neanche comprende appieno, sconvolta da parole che
neanche hanno un vero senso.
Non
avrebbe mai, mai dovuto parlarle del grande vuoto del cielo.
Pensare
alle sue lacrime tristi.
Perché
anche Lei stava sorridendo, con una mano sul petto.
Solo, in maniera decisamente più amara.
-
"Bentornato
a casa."
Una mano
dietro alla nuca, e si volge a guardarla.
Odia
frasi di quel genere, ma lei pare andarne matta.
Perché
lui non sa mentire. Non sa assecondare degnamente le false speranze.
Lui è un
disastro, in parole povere, ma non è una cosa importante, non ora.
"Sì.
Questa è casa nostra. E’ così bello dirlo." ride
gioviale Alphonse, alle sue spalle.
Dannato,
dannato Alphonse.
Sempre
così...provvidenziale.
A cosa
serve che parli lui, se c’è il suo fratellino lì per farlo, tanto credibile
quanto inespressivo dietro il metallo?
Lì a
sbirciare un mondo che non gli appartiene più e, forse, mai più gli riapparterrà.
Lui che
non rischia di compromettersi –lui non esiste, dopotutto, per colpa di un certo
qualcuno-, quando Ed ha già compromesso tutto per lui, scegliendo per lui.
Al che
potrebbe permettersi degli errori, ma non sbaglia mai.
Ed che
non può più sbagliare, ma lo fa.
Sogghigna,
e lo fa.
"Sì,
casa nostra. Potremo tornarci per sempre, dopotutto. O prevedi di farci pagare
l’affitto e la permanenza su suolo privato, strega?"
"Ah,
Ed, idiota che non sei altro. Comunque, quale dei due hai rotto, questa
volta?"
E’ assurdo, ma sulle sue labbra c’è del sollievo disciolto, come se fossero a
lungo state in tensione, temendo le sue parole, temendo forse un ‘Casa? Noi non abbiamo un casa.’.
Temendo
forse per la salute di un bambino autistico cui si è sforzata per anni ed anni
di spiegare un concetto chiarissimo.
Temendo
un rifiuto.
Ma lui
non le ha guardate, le sue labbra, prima.
Lui ha fissato il pavimento e poi Al, mentre varcavano la porta.
Il pavimento e basta, una volta entrati.
Lei non è
un’alternativa plausibile, da guardare. Troppo facile da consumare col solo
sguardo, troppo facile da infangare, da tradire.
Di
parvenza –oh, solo quella- troppo bianca e sacra per non desiderare di
riversarle addosso almeno un po’ delle proprie facciate peggiori (Che
tentazione, che bersaglio perfetto, sarebbe! E oh, che rabbia!).
Ma nel
contempo lei è L’amica, La casa, Il mondo, un qualcosa d’inviolabile per la
semplice gratitudine nel sapere che esiste ancora qualcosa di così
semplice e caro al mondo.
Quella
con cui parlare di cose normali, senza problemi, senza difetti.
Quella
con cui illudersi di non avere alcun problema –riuscirebbe a fartelo credere anche se fossi moribondo, con quelli occhioni tondi e gentili, apprensivi, che ti urlano che in
te c’è un universo che nemmeno credevi potesse esistere.
Che ti
fanno credere di avere un significato.
Di essere
sulla strada giusta.
Come
quelli verdi ed assolutamente enormi di Al –sa che sono gli stessi di quando
erano piccoli, e certo non può fare a meno di vederglieli sulle fessure scure
dell’elmo, iridi lucenti ove non c’è più spazio per le espressioni.
Dove non
c’è più spazio per la vita.
Allo
stesso modo di Winry, sa farlo sentire nel giusto
anche quando ha torto.
Praticamente sempre.
Quei due
sono una delle più sincere e paranoiche illusioni che rendano sopportabile una
vita travagliata.
Che la
rendano umanamente concepibile.
E Ed si
sente francamente in vena di ridere, al pensiero tremendamente, ossessivamente
depresso.
"Oh,
ma questa è una semplice visita di cortesi-"
"Forse
non ci senti bene, Ed. Te lo ripeterò: quale dei due hai rotto?"
"...aw. Il braccio."
"Oh,
lo sapevo!"
"Ma
questa volta l’hai rotto proprio in modo stupido, nii-san!"
lo punzecchia serenamente il fratellino, mentre Winry
solleva la mano, pronta a scagliare la sua fidata chiave inglese.
"In modo stupido?" ripete francamente perplessa lei, e Ed ha tutto il
tempo di mettersi in salvo dietro al divano, con le mani incrociate sulla testa
e del rossore seccato a farsi spazio sulle guance.
"Non
c’è bisogno che tu lo sappia. E poi non l’ho proprio rotto, è solo che…"
"Non
c’è nulla di cui vergognarsi, nii-san, dài. Beh, è caduto dal letto per quanto si agitava nel
sonno. Ed è caduto parando il corpo col gomito, così si è staccata una vite. Non c’è nemmeno stato verso di trovarla, sai." sospira
l’armatura scrollando le spalle ed attirandosi scorbutiche occhiatacce dal
ragazzino acquattato dal lato opposto della stanza.
"Se
era solo per una vite, non c’era bisogno che veniste apposta fino a qui,
chiunque avrebbe potuto sistemarla al posto mio."
Un
sorriso tutto tremolante.
Ha delle
espressioni ben strane, Winry, oggi.
Come se
non volesse sul serio delle risposte.
Come se
bastasse un minimo dissenso a farla scomparire dalla faccia della terra,
sepolta sotto una polverosa nuvola di delusione.
Così…così
pretenziosa, ecco.
"Era una buona
scusa per fare una pausa." spiega Ed scrollando le spalle e fingendo, invano,
disinteresse "E poi tu ci fai gli sconti, ovvio!"
"E
lo ricordi?"
Come colta da una scarica elettrica, prende coraggio e parla all’improvviso,
lei.
Buffo.
Non si aspettavano nuove repliche.
"Di che parli?"
"Ricordi
di cosa parlava, quel sogno?"
Di nuovo,
di nuova quella morbosa smania di conoscere fatti così lontani ed inconcreti.
Di nuovo
quella brama passata sottoforma di bisogno fisiologico di sapere cose
assolutamente superflue.
Assolutamente
superflue.
Lo fissa
-lo irrita- da lontano e lui si sente impazzire, perché non ha alcuna
intenzione di essere ragionevole e di dirle la verità.
Non è
necessario. E non avrebbe, comunque, alcun senso.
"Non…"
"Non...torcermi...il braccio..." gli fa’ eco la voce
rimbombante di Al stretta in sillabe infantili ed un po’ canzonatorie -del
miglior repertorio concesso ad un’armatura parlante-, ed il danno è fatto.
"Eh?"
"Diceva
così, sai. E parlava di un grande vuoto. E faceva ‘Eccola, piange di nuovo. Ma
dovrei essere felice, ora. L’ho voluto io.’ Una cosa del genere, ecco. Proprio
un sogno strano."
"Non
significava niente, neanche me lo ricordo,
ormai."
"Il
grande vuoto?"
"Mh."
"Ha
un che di familiare."
"Massì, Winry, è la classica
definizione da favoletta, no? Grande mostro, grande
torta, grande pozzanghera. E’ tutto così grande, per i bambini..."
"Quindi
secondo te, Al, era un sogno da bambini, il suo?"
"Credo
di sì. Sì, sembrava proprio il modo in cui si sarebbe espresso un bambino."
"E’
molto piacevole ascoltare le vostre strane teorie, ma la mia è più brillante:
era un fottutissimo sogno senza alcuna cazzo di
importanza. Contenti?"
"Quanto
sei volgare, idiota."
"Mi scusi, principessina." e storce il labbro inferiore,
con un breve inchino.
"Ed...non
ricordi nient’altro?"
"Eh?"
"Non
so, ad esempio...chi stava piangendo?"
"Nessuno
piangeva. Assolutamente nessuno."
Ed era
vero. Se ne era stata semplicemente lì a fissarlo, con gli occhi così aperti
che sembrava strano non vederli lacrimare, diventando sempre più minuscola ed
insignificante, dall’alto, fino a scomparire completamente dal suo campo
visivo.
-
"Nii-san è il re dei sogni tragici."
Alphonse ha sempre avuto questa miracolosa capacità di stemperare
la tensione più alta con una singola battuta, con un tono di voce casuale, come
se venisse da un altro mondo, un’altra situazione.
Dono
particolarmente utile, certo.
Specie
durante un così imbarazzante silenzio nel guardare il tuo migliore amico che
dorme, quando voi altri, chi per cause di forza maggiore, chi per semplice
insonnia, non può appisolarsi questa sera.
E si sta
gioiosamente così, immobili e con le ginocchia strette al petto, in un angolino
della stanza, a fissare qualcosa –qualcuno- di cui si possono mettere a
fuoco tutti i dettagli solo quando è perfettamente immobile, per quanto
convulsamente si agita da sveglio.
E poi,
quando dorme non può lamentarsi del tuo sguardo, imbarazzarsi, urlare,
scappare: è in trappola, a dirla in breve.
Ed corre
in continuazione, si spezza –usualmente-, si incrina –banalmente-, ma non cade
mai. Soprattutto.
Ed sa
bene, oh, benissimo
come cadere.
Ma cadere
è qualcosa di troppo pericoloso, in una vita così instabile.
Edward Elric ha solo quattordici anni, ma sa già perfettamente
cosa si trascinerebbe dietro con la sua caduta.
("Non
aggrapparti a me mentre corro, Al, non essere sciocco, mi cadrai addosso e
cadremo in due, e sei anche pesante!")
Edward Elric odia i vincoli, le responsabilità, nel profondo del
suo cuore.
Non esita
a caricarseli in spalla, a crearsene di nuovi e fantasiosi, ma li detesta
profondamente.
(Non sa
parlare, è questa la verità)
"Sì.
Dorme agitandosi così tanto...dovrebbe risparmiarsi
questo strazio, almeno quando nel sonno."
Parole
banali per uno strazio futile.
"Ma nii-san non può fare a meno di preoccuparsi, sai. E’ un po’
come te. Sempre ansiosa, no?"
Un
insulto per un’ovvietà.
Che
sciocchezze, che sciocchezze.
"Dopotutto,
tutti e tre ci assomigliamo per diverse cose. Siamo un tale trio di idioti...
"
Un
sorrisino divertito, di quelli che non tirava fuori da un po’.
Tu guarda
un po’ che male, quando ci perdi l’abitudine.
(Le cose
vecchie fanno sempre un po’ più male, tutte accartocciate, con i loro spigoli
smangiucchiati dai tarli)
"Beh,
magari un po’ sì, in effetti. Ma è per questo, che siamo uniti."
Che
sciocchezze. Che sciocchezze!
(Puoi ridere anche se stai piangendo, giusto?)
"No.
Noi non siamo uniti. Né dureremo per sempre."
Una
risatina isterica, un mezzo sussulto stroncato da una vivace scrollata di
spalle.
"Winry..."
"E’
così, no? Io sono superflua, dopotutto. Sempre e comunque un’intrusa..."
"Non
dire così..."
Ed Al è
carino, provvidenziale, utile, certo, ma per niente d’impatto.
Forse è
per questo, che è così facile dimenticarsi di lui.
Lasciarlo
solo, il sempre uguale, sempre bambino, piccolo Al.
Così distruttibile.
("Vetro, Al, vetro! Non era diamante, se si è rotto!")
"Non
sto dicendo nulla di trascendentale, Al. Non mi sto inventando nulla, e non sto
accusando nessuno. Beh, ora scusami. Cercherò di dormire."
Che cosa
crudele da dire.
Un ‘Cercherò di dormire, io che posso’ sarebbe stato
similmente crudele; Winry si pente all’istante dello
scatto feroce con cui è scattata in piedi ciabattando via e persino della sua
aria impensabilmente goffa, con la maglia del pigiama troppo lunga per lei a strusciarlesi ampia sulle ginocchia.
E
vorrebbe scusarsi, ma è già fuori dalla stanza, mentre Al è rimasto lì,
perfettamente immobile e rannicchiato sulla sua grossa persona (‘persona?’).
A pensare, a rassegnarsi, a rinunciare a tutto, perché senza di Ed non è sicuro
agire, senza di Ed non vi sarà nessuno a riparare i guai per lui, nessuno ad
incolparsi per lui.
Senza di Ed o Winry, non c’è nessuno. Loro tre sono
un piccolo e morboso mondo, che crea totale dipendenza a ciascuno di essi.
Che crea totale ed incredibile felicità, a ciascuno di essi.
("Poveri cari, a subirsi così, senza scelta. Winry
picchia forte, Ed ferisce tanto ed Al soffre un sacco, senza vie di mezzo. Ma
penso che siano contenti di abitare vicini. Di essere amici. Vero?"
"Certo, mamma." "Winry è la nostra
amichetta speciale!" "Al è il mio fratellino speciale!" "Ed
e Al sono i miei servetti speciali!"
"Eh?")
Semplicemente,
si raggomitola contro la parete opposta, con la testa reclinata sulle
ginocchia, vacillante.
Potrebbe
addormentarsi facilmente, ma non lo fa.
Anche
perché è questione di minuti prima che Ed le spunti
davanti con le braccia abbandonate sui fianchi, i capelli scarmigliati e gli
occhi bassi.
"Vi
stavo ascoltando. Non dovresti metterlo così a disagio, sai. Non dovresti
incolparlo. Non lui. Va bene se te la prendi con me, ma non con lui."
Hai
tirato troppo i fili. Non osare spezzarli! Non osare liberarlo!
"Non
era mia intenzione. Vorrei scusarmi, e so di non essere nel giusto."
"Difatti
non lo sei. Non è vero, che non sei importante, che sei superflua, per noi."
Infatti sei indispensabile, ma non è necessario che tu lo sappia.
"E’
una bugia carina, Ed, mi fa piacere sentirla. Su, raccontamene altre."
"Non
sono così bravo a dirne."
"Questo
è vero. Allora, ripetimelo guardandomi negli occhi e forse potrò
crederti."
Una pausa, giallo nell’azzurro.
Un
contrasto abbastanza fastidioso da venir troncato in fretta, nonostante i pugni
di entrambi restino consonamente serrati.
"Non
è vero che non sei importante. Contenta?"
"...quindi
sono ‘importante’?"
"...non
è vero che non lo sei."
"...adesso
ho capito. Tu e le tue risposte non compromettenti! Potresti anche
odiarmi, per quanto ne so, dicendomi ‘non è vero che mi sei
indifferente’!"
"Ma
io non posso pensare all’affetto e cose del genere, perché deluderei solo chi
vi convolgo.
Non dovresti provare nulla di più che sentimenti superficiali e cortesi, per
me, o potresti soffrire tantissimo, in un futuro non lontano. Non voglio che
vada così. Né voglio averti sulla coscienza."
"Sai bene che è inutile chiedermi una cosa del genere ed aspettarti che ti
ascolti, Ed."
"Eppure
devi farlo, anche perché non ci saranno tante altre occasioni perché te lo
dica. Al è la mia priorità. Ho dei doveri nei suoi riguardi."
"Perché
siete fratelli."
"No.
Perché è la mia colpa."
E non
voglio conviverci ma liberarmene e bla bla bla ed è giusto così e non
odiarmi, puoi solo compatirmi, e bla bla bla.
"Il
tuo egoismo mi fa vomitare."
"Non
essere così egocentrica da pretendere di potermi giudicare in base
all’importanza che ti do, allora. Ci perderesti e basta."
Da
quand’è, che il suo sguardo ha imparato a raffreddarsi tanto nello schivare il
suo?
Da
quand’è che teme i suoi occhi?
"La
tua angoscia non è superiore alla mia, nei suoi confronti."
"Non
possiamo misurarlo, ma non so quanto stai soffrendo, in effetti."
"Sì,
soffro più di te. Perché io non posso fare niente, solo pregare. Io non posso
cambiare le cose. Solo augurartelo. Tu sei importante, decisivo, per lui."
Piccolo
Al, se muori non posso farci niente.
Piccolo
Al, smettila di contare qualcosa, muori e fallo in silenzio, perché tanto non
posso farci niente.
"..."
"...ed
io non sono importante, per te. "
"Umph. Questo è un concetto molto relativo."
"Se
fosse il caso di scegliere tra me e lui, cosa troveresti più importante
mantenere? L’amicizia o la famiglia? "
"Non
puoi starmi chiedendo davvero di paragonare due cose simili... "
(Due
facce della stessa medaglia.)
"Allora
mentimi pure, ma rispondimi. Il tuo atteggiamento risponderà per te, perché
quello non sai comandarlo bene come vorresti."
"Sciocchezze.
Tutte sciocchezze. Smettila di parlare di me! Smettila di parlare come se mi
conoscessi!"
Stai
rovinando tutto!
"..."
"...intendevo..."
"Intendevi
proprio quello che hai detto. Scusami se solo un peso noioso e petulante e non
ti conosco, allora. Ma non so più come migliorarmi. Non so più come fare."
"Se
pretendi che trovi un senso ad un discorso così stupido..."
"No,
non lo pretendo. E ti prego di abbassare la voce, perché mi dà fastidio che mi
parli così. Lasciami fingere ancora un po’. Lasciami credere di avere un senso,
tra voi due fratelli, di non essere una semplice estranea, una terza incomoda.
Questo è un mio diritto."
Nessun
assenso, nessuna risposta.
Semplicemente
ansioso di svagarsi un po’, al di là di questo discorso pesante, lui rompe le
regole e va via in mezzo ad un dibattito al quale normalmente, per amor della
guerra e della prevaricazione, non si sarebbe mai sottratto.
Semplicemente,
le parole di Winry si sono fatte seccanti.
Può
trovare molto di meglio da fare che ascoltarle passivamente e sentirla
singhiozzare in maniera così...così sciocca.
Può
fuggire, può camminare un poco per il corridoio.
"Non
ti odio." sussurra gentilmente sfiorando la sua spalla senza attenzione,
ed è tutto quello che può dirle per non sentire il suo cuore spezzarsi.
Perché
non è quello che vuole.
Ma
restare sempre con lei, non è quello che può fare.
Non può
darle speranze in cui non crede nemmeno lui.
"Sarebbe
meglio se mi odiassi, sai. Sarebbe una risposta certa. Ti sentirei comunque
meno che indifferente. Avrei una vita mia, in questo istante. Lo capisci,
questo? Lo capisci?"
Ma è già
troppo lontano per sentirla e, se anche l’avesse udita, negherebbe di averlo
fatto.
Io lo
faccio per te. Per te ed Al. Cercate di capirmi, una buona volta.
Ora
non ho bisogno di te, ma vi amo entrambi, e lo sai benissimo –per questo non
posso lasciarvi andare e spezzare l’equilibrio.
Peccato-
oh che tragedia!-, che l’amore manchi di ragionevolezza in ogni sua fibra.
Peccato –
oh che tragedia!-, che entrambi, Al e Winry, siano
ben convinti di amarlo con la dissolutezza di ogni loro superficiale fibra.
-
Oggi non ti puoi muovere , oggi
non scappi.
Oggi devi correre invano e farti deridere.
Oggi è il tuo ultimo giorno.
Oggi non devi farti prendere –corri, corri, corri!
Oh,
dannazione, NO.
Preso!
"Ti
ho aspettato. E mi sei mancato."
Lo
strangola, lo strangola.
Niente
più fiato, è un nuovo gioco.
Se ti
uccide vinci tu.
Piegati,
dài. Ti conviene (assecondare questa maldestra
commedia).
E’
tornato a casa, con gli anni, nel suo mondo e i suoi ricordi, con Al lì per
essere riabbracciato (un Al fatto di carne) e Winry
ad abbracciarlo.
Se ne
stanno così, in mezzo alle rovine di un mondo che forse non esisterà più, tra
la sua vita e la sua morte.
In mezzo
a Sciezka ed Alphonse (che
non sorride poi molto, ora che non è più importante, ma non desiste), Winry lo stringe con tutta la sua affezionata e non
indifferente forza.
Winry si illude ma non pare intenzionata a lasciarlo presto, a discapito del
grande rossore e del principio di asfissia di Ed.
Sa che
quando allenterà la presa, sarà le fine dei giochi,
come sempre, ma per l’ultima volta.
E
perderanno entrambi.
Non rendere le cose più difficili, soffocherò!
"E nii-san, quanta polvere!
"
"Da dove salti fuori?"
Dal grande vuoto.
"Ma sei comunque vivo."
"Grazie per essere tornato."
Grazie per non averci sperato troppo, l’avrei odiato.
"Sapevo che saresti tornato."
"Volevo rivederti."
Basta.
"Temevo di dimenticarti."
Cristo. Basta!
Non
prenderà decisioni per sé stesso, oggi.
Oggi è il
suo ultimo giorno.
Oggi è
tornato, oggi si lascerà in balia degli eventi per la prima volta nella sua
vita.
Oggi è
importante che loro stiano bene e il male muoia.
A rigor
di logica, lui non dovrebbe sopravvivere.
Lui è un
eroe, una buona persona.
Di quelle
che fanno sempre una fine poco dignitosa.
Di quelle
che lo sentono, il ticchettio dell’orologio, come una bomba ad orologeria.
Lo
sentono, che quegli ultimi respiri sono preziosi perché non dureranno.
Lo
sanno, che non
dureranno.
Oggi
morirò. Ho vinto una volta, non vincerò per sempre.
Non
contro la morte.
E contro quei due, perderai?
Ma può
essere tutto più facile, so che sono sullo stesso piano, nessuno ha più diritto
di pretendermi dell’altro.
Ma potrai amarli entrambi, senza scegliere mai?
Non
c’è fretta, non c’è fretta. Oggi morirò.
Nessuna
scelta. Perché oggi morirò.
Che
sollievo. La morte deciderà per me.
"Sarà
il caso di cambiarti questi ridicoli auto-mail con quelli che ti avevo
preparato. Sei pronto?"
"Sì."
Grazie.
-
Com’è che hai vinto la
morte? Te ne sei accorto?
Ho solo schivato i suoi passi: l’ho guardata negli occhi e l’ho sconfitta.
L’ho guardata negli occhi, e non sono più morto.
Non c’è più terra nei miei polmoni. Solo un aria così
pura da farmi star male.
E devo andare via.
E ci è
giunto, alla fine dei giochi, in maniera irrisoriamente illesa, incredibilmente
vincitore.
Ora lo
ricorda perché lo sta vivendo, quello
stramaledetto sogno.
Dall’alto,
tutto così insignificante, così lontano dalla realtà, così...privo
di plausibilità.
Lei, non è
plausibile.
Così
piccola, non esiste.
Al è
presente, ma cadrà giù, dovesse buttarcelo con le sue mani, essere colpevole
del suo precipitare.
Non lo
vuole più, sulla coscienza.
(Lo aveva
voluto nel cuore.)
Aveva
preferito il silenzio alle loro frasi così concitate, troppo concitate ed
ansiose e pretenziose.
Vuole
essere libero.
E non
vuole scegliere.
Se non
gli è dato averli entrambi, non vuole nessuno dei due.
"Ringrazia
Winry per questi auto-mail. "
"Resta qui."
"E
addio."
Anche se
agli eroi spettano sempre e solo le scelte giuste per gli altri, in qualche
strano modo questa è una scelta giusta anche per lui.
Winry è un puntino insignificante, e non può più guardarla senza dover
sforzare gli occhi.
Il grande
vuoto si dissiperà, e lui sarà presto via.
"Non credere che ti odi." ma sa che non può sentirla, anche
se non vuole ammetterlo "Credi solo di non essere stata una mia
responsabilità.
Ed io non sono la tua, quindi vivi liberamente. Non ho mai fatto niente che ti
facesse credere di essere ricambiata. Non ti ho mai detto niente che facesse di
noi qualcosa di più che due amici. Non ce n’è mai stato il tempo, in verità." borbotta mordendosi poi la lingua, senza una precisa
cognizione del tempo e del luogo.
E' a
Monaco, di nuovo.
Sta stringendo senza parole ("A cosa servono le parole se non
cambiano le cose, Ed? Così inutili, così inutili...")
il suo secondo fratello lungo disteso, quand'ecco la più amara delle sorprese,
ed è subito preso dal suo dolore personale.
Il primo
fratello è tornato, nascosto in un'armatura, tutto gioioso.
"Al! Cosa ci fai qui?"
Al sorride d'un sorriso infantile e birbante.
Al sorride d'un sorriso che lo rende un po' odioso ed un po'
gradevole.
Ed è così
confuso a proposito, alle volte...
Se non
potevo avere entrambi e con essi l’immutatabilità dei
tempi passati, allora non volevo possedere nulla.
A stare solo, mi ci sono abituato, in questi anni.
Perché se non potevo averli
entrambi, potevo continuare così, benissimo, senza nessuno dei due, come mi ero
già abituato a vivere. Ma Al, non la morte, ha scelto per me. La salvezza di
mio fratello è stata la mia condanna.
Avere solo una metà della mia cara quotidianità mi fa paura, una paura insostenibile
Ma Al,
tutto baldanzoso ed incoerente, ha scelto per loro, infischiandosene di ogni
raccomandazione.
E pare dirgli “Guarda, non è colpa tua. E lei sarà felice, lo sai. Non le
hai mica chiesto di aspettarti ancora. Lei è libera.”
Giusto.
Giustissimo, e
sorride brevemente, ingollando bile che sa di interiora e sangue, qualcosa gli
cola sulla lingua per una morsicata furente.
“Questo è
il nostro mondo, ora.”
Il modo
in cui Alphonse calca la parola
“nostro”, in assenso, ha un che di straordinariamente doloroso ed
umiliante, per lui; ma sente di meritarselo e lo accetta, senza nuove
opposizioni.
Ed io
non sarò mai libero, in questo mondo e con lui, ma suppongo sia giusto così.
Non mi
ha permesso di lasciarlo andare.
E
vorrebbe tanto avere ancora, anche solo sottoforma di
una falsa Winry, quell’illusione di staticità datagli
da un sano trio incollato dai ricordi, quell’assenza di mutamento che è stata
la sua grande gioia per anni e anni.
Torniamo
indietro nel tempo, e seguici anche tu, su.
Ma lei
non poteva seguirlo.
Né avrebbe potuto effettivamente, se anche fosse stato possibile, chiederle di
farlo, se non con menzogne, promesse irriguardose e sospiri, senza mai
smentirsi guardandola negl’occhi.
Perché
lei voleva delle sue scelte -essere scelta-, pretendeva delle certezze
che lui non avrebbe comunque mai potuto darle, ché non amava pensare al futuro,
ma piuttosto viverlo prima ch'esso passasse e il tempo finisse (quanta fretta,
quanta fretta!).
Smettila
di essere egoista, di fuggire, e vivi, per una buona volta!
Avrebbe
dovuto solo ringraziarli, Al e Winry.
Per tutte
quelle spinte coscienziose in una direzione o nell’altra.
Per tutte
quelle buone cortesi parole, quelle buone azioni.
Per non
aver mai smascherato le verità delle sue bugie.
Perché
non era vero, che aveva mentito su tutto, anche se gli sarebbe costato molto
meno caro averlo fatto ed esserseli trascinati dietro entrambi.
Perché
era vero, che li aveva amati entrambi.
Ma molto
meno dannosa sarebbe stata la semplice menzogna d'un odio mai provato, d'un
sogno mai sognato, per salvarli in tempo e salvare sé stesso.
Ironico che proprio lui (un amico per un fratello), tutto sommato (il
tutto per il nulla), il principio dello scambio equivalente (la mia
salvezza per la tua salvezza) non l'avesse mai capito fino in fondo (la
mia menzogna per la tua verità).
E che non
avesse capito che una sana e definitiva menzogna poteva evitare a Winry di sprecare la sua vita e ad Al di rovinare quella di
entrambi.
(Il mio
sporco bene, per una sporca felicità.)
Nonostante il sale di un'intollerabile constatazione, Edward Elric sorride ancora, furente, alle lacrime che non osa
versare.
Addio,
cari amici!
Addio,
mie macerie!
Addio, addio, sconsolati tamburi pronti ad inneggiare al
mio arrivo!
Non farò più ritorno! Non farò più ritorno!
[Potrò essere
ingiusto, da ora.]
Che sollievo -è bello quanto faticoso crederci-, che sollievo!
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